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mercoledì 15 dicembre 2010

OLTRE LA FIDUCIA

 

E così finalmente Berlusconi ha ottenuto la fiducia al suo Governo e potremo, per un attimo, lasciare da parte  i problemi della  Destra Italiana  e la necessità impellente ( per chi'?) della modifica della legge elettorale.

Potremo finalmente eliminare dal nostro carnet prossimo venturo la costituzione di un governo tecnico/interesse nazionale che dir si voglia  per cui non ci sono i numeri in Parlamento e cominciare ad organizzare il nostro progetto alternativo di Governo per l'Italia.

Le principali linee d'azione sono state già delineate dal segretario del PD Bersani nela suo comizio a conclusione della manifestazione dell'11 sc. a Roma ed ora si tratta di metterle in pratica .

Lo scenario politico chiede un progetto importante ed articolato ed una vocazione governativa forte che si assuma la responsabilità di rappresentare ed organizzare le lotte presenti nelle nostre piazze: gli studenti ed i ricercatori, gli Aquilani, la popolazione di Terzigno, gli immigrati, i disoccupati  , il mondo dei produttori ecc.

Il PD può e deve rappresentare queste istanze della società ed in particolar modo il mondo del lavoro senza di cui qualsiasi progetto per l'Italia non è realizzabile.

Nei prossimi giorni inoltre si aprirà in sede europea una valutazione della situazione di stabilità dei paesi con il più alto debito pubblico ed è possibile che l'Italia venga richiesta di procedere alla individuazione di un deciso piano di rientro dell'ammontare complessivo del suo debito pari ad ottobre a ca 1.860 mliardi di euro oltre il 120% del PIL.

Chi può chiedere un simile piano di sacrifici senza assicurare contemporaneamente delle linee di sviluppo che inglobino tutte le classi popolari in un  progetto di maggior benessere?

Il ruolo storico di un partito come il PD è in questo momento cruciale. Ha ragione Bersani quando indicava  nel corso del suo discorso a Roma la presenza di  questioni che tagliano in due il paese: la divisione generazionale e la divisione fra Nord e Sud.

All'interno di queste due questioni si pone tutto il resto: la ripresa di produttività, la lotta al precariato, la ripresa di ricerca e formazione, i mutamenti istuituzionali  ecc. ecc

Ha fatto anche bene a cominciare ad accennare alla necessità che l'Europa  diventi anche un motore dello sviluppo dei paesi membri adottando adeguate politiche di sostegno oltre che di stabilità.

Qualsiasi progetto, anche quello  prospettato dal PD, ha bisogno di individuare le risorse necessarie. Oggi non vi sono risorse ed è probabile che si dovranno individuare delle manovre correttive per iniziare un piano di rimborso dell'attuale debito pubblico. Per il 2011 è prevedibile che avremo in scadenza il rimborso di ca 300 miliardi di titoli di stato ed interessi  nell'ordine di ca 80 miliardi.Senza programmare nessuna spesa aggiuntiva, per evitare l'aumento del debito, dovremmo pensare ad una manovra di almeno 60 miliardi.

Dove troveremo i soldi per lo sviluppo? Quali riduzioni fiscali sono possibili?  L'unica strada e rifare all'inverso il percorso dei tagli lineari di Tremonti andando a recuperare risorse della spesa pubblica dai settori dove è evidente il privilegio, la corruzione e lo sperpero. Sul piano fiscale è difficile pensare ad un aumento del carico ma al contrario  bisognerà pretendere un piano di redistribuzione delle ricchezze ed una seria lotta all'evasione .

Ciò può consentirci , insieme alle proposte organiche del PD sul patto dei produttori,le  nuove regole del lavoro ,un nuovo piano per la ricerca e la formazione  ecc di far ripartire il percorso di sviluppo  ma con estrema lentezza.

Possiamo invece cercare subito delle risorse aggiuntive per uno sviluppo rapido ed eccezionale solo se il nostro progetto è credibile e finanziabile tramite l'aiuto dell'Europa:

Tremonti e Junker hanno recentemente fatto la proposta di costituzione dell'EDA ( European Debit Agency) per spostare sull'Europa le nuove emissioni di debito pubblico ricevendo  secche contestazioni da parte soprattutto della Germania: Tuttavia la questione posta non è trascurabile! Possiamo chiedere come Europa  nel suo complesso fiducia ai mercati? Si può pensare di chiedere il finanziamento di un progetto di sviluppo che comprende delle differenziazioni  sui singoli paesi membri? Io credo di si e la questione pertanto non va archiviata .

 Bisognerà tuttavia essere capaci di assumere a livello centrale  europeo  un attegiamento attento e selettivo, valutando le singole richieste di intervento e decidendo di conseguenza di operare non solo nell'assunzione centrale del pregresso  debito consolidato ma anche nella ricerca di nuove risorse per lo sviluppo.

Un'Italia, guidata dal PD e dalle forze a lui alleate, avrebbe anche a livello Europeo la possibilità di indicare delle possibili strade  per uno sviluppo comunitario e per la definitiva uscita dall'attuale crisi economico/finanziaria.

venerdì 10 dicembre 2010

OPPORTUNITA' E PROBLEMATICHE DELL'EDA

 

 

La proposta dell'EDA di Tremonti e Junker ha la capacità di porre l'intera Europa come intelocutore dei mercati  nella ricerca delle fonti di  finanziamento del debito pubblico degli Stati Membri; tuttavia, le forti resistenze di paesi come la Germania inducono a pensare a dei correttivi necessari sia nei termini dell'ammontare dell'importo del finanziamento richiedibile da parte di ogni singolo stato membro ( nella proposta si parla di max 40% PIL per tutti)  che del costo del debito stesso.

 Mi sembra invece che su queste due questioni non si possa  nascondere la necessità di operare in manera selettiva.

Così come è buona esperienza di ogni soggetto economico, l'ammontare e il prezzo del proprio debito variano in base al proprio rating : vale a dire in base alla rischiosità e qualità del prenditore.

Paesi con una economia più debole devono poter ricorrere al finanziamento ordinario da parte  dell'EDA in misura percentuale minore degli altri e su progetti assolutamente da valutare e condividere . E' inoltre plausibile che il costo del debito sia differente fra i diversi paesi:in questo senso andrebbe probabilmente stabilito un paniere percentuale diversificato  a somma zero rispetto al prezzo di emissione degli e-bonds.

Nasce il problema di come vadano stabiliti questi parametri di costruzione del rating nei confronti di ogni Paese membro. Una proposta potrebbe essere quella di dividere i paesi in fasce omogenee rispetto alla lontananza dai parametri di stabilità previsti dagli accordi europei.

Una volta stabiliti i parametri e costruite le  fasce omogenee in cui collocare gli Stati membri bisognerà inoltre stabilire  la variabilità  consentita rispetto all'ammontare ed al prezzo dei  finanziamenti  richiedibili.

Il sistema scelto  deve prevedere inoltre  le regole in base a cui può essere modificato il rating e quindi la posizione ( vantaggi e svantaggi) di fascia di ogni singolo Stato nel suo rapporto con gli altri.

Va inoltre  considerata la natura  e lo scopo del finanziamento.

Non sembra infatti corretto limitare l'utilizzo esclusivamente ad una ipotesi di ristrutturazione del debito sovrano ma anche a possibili importanti  progetti di sviluppo 

La strada proposta non può che essere un intreccio di questioni politiche ed economiche e va condivisa dalla maggioranza  dei partecipanti della Comunità Europea.

Certo è una strada impegnativa e  selettiva ma il " buonismo" non paga e può portare alla perdita di valore di una proposta che al contrario rappresenta un passo avanti nella costruzione del rafforzamento  di una prospettiva comune Europea.

domenica 28 novembre 2010

COSA CI ASPETTA?

 

Mentre l'orchestra suona e le forze politiche litigano, i cittadini sentono  sul collo il fiato gelido delle misure restrittive messe in piedi dal nostro ministro dell'Economia come risposta Italiana alla più grande crisi economico finanziaria del dopoguerra.

Ma ….è stato servito solo l'antipasto…. e , come  osserva  il mondo della sinistra, i tagli alle pietanze della spesa pubblica sono stati lineari per non scontentare nessuno dei commensali.

Solo che, alcuni di essi, avrebbero avuto bisogno di maggior cibo per poter andare a scuola o al lavoro per poi tornare a casa con un po' di soldi; mentre, altri  potevano benissimo fare qualche sacrificio in più ( ministero della difesa e  costi della politica in  primis).

Il piatto forte arriva adesso con le decisioni sulla stabilità prese, a livello europeo, per rispondere alle difficoltà delll'area dell'euro di fronte agli attacchi della speculazione che si dirige verso i paesi che ne costituiscono i punti più deboli: quelli in cui il deficit ed il volume del debito pubblico sono fuori controllo. Il primo paese ad essere  colpito è stato la Grecia e dobbiamo ringraziare la prontezza e lo spirito unitario dei principali protagonisti europei se il problema è stato affrontato im maniera sostanzialmente efficace. Tuttavia, Germania e Francia , alla testa del gruppo di salvataggio, nel decidere la costituzione di un fondo di aiuto ai paesi in difficoltà, hanno preteso da tutti i partecipanti misure rigorose per un piano di stabilità. Queste misure,  che ogni paese sta mettendo in campo, prevedono tagli profondi della spesa pubblica ( e questo significa riduzione di posti di lavoro nel settore)  e rigido controllo  delle spese: è sostanzialmente una politica deflattiva che pretende il formarsi di un circolo virtuoso a partire dal risanamento. Dubbi su queste scelte così rigorose si sono affacciati anche nella mente della sig.a Merkel, se la stessa ha cominciato recentemente e dire che nella ipotesi di salvataggio delle economie degli stati pericolanti è giusto che parte della perdita sia assorbita anche dai privati investitori. E' come dire che non possiamo far pagare tutto allo Stato e non possiamo di conseguenza mettere noi( Germania ed altri Paesi in aiuto) la mano al portafoglio per salvare questo stato senza pretendere la partecipazione di chi ha in qualche modo investito in operazioni a rischio aspettandosi un lauto guadagno. Mi viene ijn mente a questo punto la difficoltà che continua ad avere la proposta di tassazione sulle transazioni finanziarie internazionali dello 0,05% ed il fatto che superata la crisi non vi sia stato un inasprimento delle tassazioni sui guadagni finanziari tale da scoraggiare le speculazioni. Il motto successivo alla crisi doveva essere : privilegiare il lavoro rispetto alla rendita finanziaria ed alla speculazione. Ma non c'è traccia di questo in Europa e nel mondo.

Se, continuando, prevale l'ipotesi di uno sviluppo  lento, accompagnato da  fasi di deflazione e riservato solo ai Paesi  più virtuosi, il costo sociale è enorme. Sulla società intera graverà infatti il compito di ripagare le perdite provocate dal collasso economico finanziario e dal possibile attacco speculativo che ne scoperchierà la brutale verità. Non vi saranno soldi per occupazione e lavoro. Non vi saranno risorse da destinare alla scuola e la ricerca e tutto questo potrà diventare  insostenibile per le masse popolari .

Alcuni economisti, a cominciare dal premio nobel Krugman e dall'italiano Savona, intravedono la possibilità di una disgregazione dell'area Euro. Il costo del mantenimento dell'appartenenza potrebbe in taluni casi superare quello della possibile uscita. In ambedue i casi i costi sono elevati.

Sono questi i temi su cui dovrebbe soffermarsi maggiormente "tutta" la nostra classe politica. E' probabile che presto dovremo mettere in cantiere una manovra di diverse decine miliardi l'anno per cominciare a rientrare, in tempi ragionevoli, dal nostro debito pubblico.

Che impatto avrà sulle possibuilità di reperire risorse per la crescita? Riusciremo a finanziare il recente piano per il Sud  che, al di là di normali possibili, critiche, rappresenta un buon tentativo da continuare?

Potremo in un momento  come questo completare le importanti riforme sul federalismo e sulle forme istituzionali di contrappeso ?

Può un Europa priva di una capacità politica,  che vada oltre quella attuale, affrontare con successo queste sfide?

E' senz'altro ragionevole, come dice Savona, per un paese come il nostro, che la classe politica si accordi su un piano B di salvataggio che preveda uno sbocco ad una possibile crisi dell'Euro con la necessità di agire da soli e contare solo sulle nostre forze.

 In questa ipotesi  Savona afferma

 " potrebbe l'economia italiana uscire dallo stallo gestendo la quantità di moneta o i tassi dell'interesse e potendo svalutare, come fa il Regno Unito? Questa è una parte del piano B che noi economisti dovremmo studiare. Questa politica potrebbe causare una crisi inflazionistica e un crollo di valore del debito pubblico. L'aumento dei prezzi e la perdita di valore del debito pubblico con il conseguente innalzamento del suo costo scuoterebbero il paese dall'illusione di poter vivacchiare sotto un'inesistente ombrello europeo. La storia insegna che una crisi salutare è sempre stata il fondamento di una nostra ripresa di vitalità."

 

Personalmente ritengo che le possibilità di riuscita del piano A ( restare all'interno dell'area Euro)  per l'Italia siano elevate. Questo sia per il già buon rapporto Deficit/PIL sia per il fatto che il nostro debito pubblico è prevalentemente coperto dalle sottoscrizioni dei privati italiani.Inoltre , ha ragione chi in passato aveva richiesto a viva voce la possibilità di uscire dai parametri di stabilità con operazioni finalizzate esclusivamente allo sviluppo e superando le politiche deflattive.

Se a livello europeo si avesse il coraggio di intraprendere una politica coordinata ed unitaria di sviluppo, finanziata dall'emissione di bond europei, sarebbe un importante segnale per i mercati della presenza di una volontà politica unitaria della "nazione "europea. L'Europa  acquisterebbe  un peso internazionale di arbitro fra i grandi colossi orientali e gli Stati Uniti d'America. Il passo successivo sarebbe dotarsi finalmente di un governo Politico Federale  e di un esercito.

Nel piano B il nostro futuro non  potrebbe che essere maggiormente legato ai paesi del Mediterraneo , alla Russia . all'India ed alla Cina  anche per i comuni interessi energetici ed agli sbocchi di mercato per i nostri prodotti.

In ognuno dei due scenari sarebbe comunque  opportuno che a livello nazionale si decidesse con rapidità un  piano di sviluppo  basato sul recupero del  divario di produttività del lavoro nei confronti degli altri paesi, sulla green economy, sul turismo e cultura patrimonio unico dell'Italia, sullo sviluppo del Sud ( continuando ciò che è stato apena iniziato con il recente piano del Sud), sul rilancio della scuola e della ricerca, sul superamento della mortificazione, a causa del precariato, del bene più prezioso che abbiamo a disposizione : i ns giovani. Questo piano nazionale non può inoltre prescindere da una decisa redistribuzione della ricchezza a favore del lavoro, della famiglia e del'impresa.

Chi deve pagare di più?: Le rendite ( soprattutto finanziarie), i patrimoni ma anche i redditi elevati.

Non possiamo abolire ad esempio la speculazione finanziaria, ma possiamo fare in modo  di tassare tanto i guadagni da ridurne l'attrazione rispetto all'investimento direttamente produttivo. Il clima nel mondo è sensibile a questi discorsi! La nostra classe politica si faccia parte attiva di questo processo.

 

 

giovedì 25 novembre 2010

La scuola e le risorse

 

 

 

Gli studenti ed il mondo della scuola sono in uno stato di aperta contestazione che non sembra limitarsi alla protesta  nei confronti della riforma del Ministro Gelmini, ma  mette in discussione la prospettiva precaria del proprio futuro.

La principale preoccupazione è vedere la solitudine di queste lotte nei confronti del mondo politico.Non che non vi siano stati segnali importanti di solidarietà: primo fra tutti quello del segretario del PD , On. Bersani ma il loro contenuto non sembra adeguato.

Non si può non essere  d'accordo con il severo giudizio sulla riforma Gelmini e sul sostegno di principio al mondo della scuola pubblica e alle sue lotte; ma, se vogliamo fare un passo avanti sia su questo problema che su altri, fino a finire con la scelta delle alleanze, dobbiamo una volta per tutte affrontare il problema delle risorse disponibili.

A parità di risorse, si può solo contestare la politica dei tagli lineari operata da Tremonti e quindi scegliere con chiarezza i settori della spesa pubblica da penalizzare a favore di altri . Questa scelta va fatta subito e con chiarezza ... altrimenti si rischia di fare pura demagogia senza ottenere credibilità.

Seconda questione : il piano di stabilità europeo ci chiamerà dal 2011 a mettere in piedi un piano credibile di rientro del nostro debito pubblico che si attesta sul 120% del PIL. Questo significa che non solo le risorse sono limitate ma che si dovranno sostenere nei prossimi anni manovre di rimborso di diverse decine di miliardi ciascuna.

A questo punto non si può rimanere ancorati alla debole proposta di riforma fiscale approvata nella recente assemblea nazionale del PD senza ritrovarsi con un fucile scarico in mano. Le scelte sono dolorose( tassare in maniera forte rendite, patrimoni e redditi alti e prevedere la galera per l'evasione fiscale) ma dividono  con chiarezza il mondo della destra (che non può operare una redistribuzione della ricchezza pena perdita del proprio consenso elettorale) ed un mondo di sinistra che invece deve pretendere la redistribuzione della ricchezza ( detenuta da una ristretta minoranza della popolazione) del nostro paese attraverso la leva fiscale diretta e indiretta a sostegno del mondo produttivo e delle classi sociali più povere .

Delle alleanze politiche, che abbiano la possibilità di durare,   si potranno fare solo tra chi condivide la stessa  impostazione di fondo e le stesse scelte.

Una riforma seria della scuola passa attraverso scelte  propedeutiche di questo tipo.

venerdì 19 novembre 2010

STUDENTI, IMMIGRATI ,OPERAI UNITI NELLA LOTTA

 

La gravità della  crisi economico/finanziaria  ha permesso di scoprire dei punti deboli del sistema economico internazionale , sempre presenti ma ampiamente sottovalutati anche perché  l'Occidente  in generale non ne veniva colpito direttamente. I danni  provocati dallo sviluppo diseguale venivano sostanzialmente scaricati sui paesi sottosviluppati. Su di essi infatti si sono abbattuti i disastri ecologici, ambientali le logiche di scambio diseguale dei beni  e una divisione ineguale  internazionale del lavoro. Quando la crisi ha posto lo stop all'indebitamento privato degli Stati Uniti di America, cresciuto  oltre ogni limite  tollerabile, ed ha evidenziato  il gigantesco debito pubblico  della maggior parte dei paesi occidentali attraverso cui è stato finanziato il nostro livello di benessere si sono evidenziati alcuni limiti strutturali del nostro  modello di sviluppo:

 

1)      Incapacità di utilizzo pieno e ottimale  della risorsa lavoro

2)      Creazione di aree strutturali di marginalità ed impoverimento della popolazione

3)      Progressivo incremento della disuguaglianza.

4)      Incapacità di passare rapidamente ad uno sviluppo rispettoso dell'ambiente sia nella produzione di beni, nello stile di vita ,nell'utilizzo delle fonti energetiche e nello smaltimento dei rifiuti.

5)      Incapacità di ridurre il disequilibrio fra le diverse aree del mondo

 

Tutti questi aspetti  ci costringono a ripensare il rapporto fra iniziativa privata e collettività troppo facilmente liquidato a favore della prima  dopo la caduta del muro di Berlino. L'iniziativa privata , il desiderio di miglioramento sono un motore irresistibile della storia umana  ma è pur vero che esse vanno subordinate  come ci ha insegnato l'esperienza socialdemocratica  all'interesse delle collettività a cui appartengono. L'individuazione dell'elefantiasi dello Stato è stata una analisi corretta ma la conseguenza da trarre  non era lo smantellamento del ruolo equilibratore dello Stato rispetto al mercato  bensì la ricerca delle disfunzioni  che lo paralizzano ( burocrazia, clientelismo,  occupazione dell'amministrazione da parte della politica ecc.) .

Va riconosciuto il malfunzionamento strutturale del mercato. La  "manus " invisibile non funziona! Troppe volte ci accorgiamo che  il risultato delle libere forze del mercato è la concentrazione delle ricchezze, il monopolio delle attività produttive, lo scempio dell'ambiente, la povertà ecc ecc.

La nostra proposta sulle dinamiche del lavoro del nostro Paese va inquadrata all'interno di questa analisi.

La prima  contraddizione  verso cui bisogna intervenire è quella del dualismo presente fra un mercato del lavoro degli occupati a tempo indeterminato  e quello del lavoro cosiddetto precario. Tale contraddizione risulta ancora più insostenibile non solo per la disparità di garanzie ma anche per l'aspetto generazionale che ha assunto.Citando una riflessione degli economisti Boeri e Garibaldi " Quando una piccola quantità di lavoratori continua a entrare e uscire dalla disoccupazione generando forti flussi dall'occupazione alla disoccupazione e viceversa, mentre il resto dei lavoratori è saldamente legato a un posto fisso, è evidente che vi è qualche cosa di completamente distorto nel mercato del lavoro e spetterebbe quindi alla politica economica di intervenire."In tal senso riteniamo che il progetto di Flexsecurity  del prof Ichino dia una prima risposta importante al problema tentando di rompere l'immobilismo  che  impedisce qualsiasi flessibilità con la conseguenza che troppo spesso le aziende, non potendo fare diversamente, stanno utilizzando il lavoro precario per ottenerla sia in entrata che in uscita. Tuttavia la contraddizione fondamentale del sistema economico è l'incapacità del mercato di garantire il pieno incontro fra domanda e offerta di lavoro  con il risultato di costringere una parte della popolazione alla marginalità e all'inoccupazione. Questa massa di persone,  insieme ai lavoratori immigrati, costituisce l'esercito di riserva del lavoro su cui vive e prospera anche l'altro grande settore del mercato del lavoro: quello del cosiddetto lavoro nero e marginale, privo di diritti , di garanzie ,spesso gestito in combutta con la delinquenza  organizzata in vaste aree territoriali.

E' per questo che è indispensabile che lo Stato metta in campo delle iniziative volte a garantire a tutti dei diritti universali: un salario di cittadinanza, un tetto , l'istruzione la salute, la tutela complessiva dell'ambiente, intervenendo direttamente in quanto le forze indipendenti del mercato non riescono ad assicurare tutto questo.

 

Si pone pertanto con urgenza la necessità di operare questi  interventi:

 

-         introduzione del progetto Flexsecurity del prof. Ichino con le relative modifiche del diritto del lavoro

-         l'introduzione di un ente pubblico del lavoro che dia lavoro, formazione e pieno utilizzo delle risorse  lavoro, marginali, disoccupate ed inoccupate in cambio di un salario di cittadinanza

-         disincentivazione del lavoro precario facendolo costare  più di quello a tempo indeterminato.

-         Avvio di un importante piano di edilizia popolare.

-         Sviluppo importante della formazione e della ricerca.

-         Sgravio fiscale sul mondo del lavoro ( imprese e lavoratori)

-          

La copertura di questi provvedimenti deve passare attraverso un concreto processo di redistribuzione della ricchezza a favore delle classi popolari utilizzando  principalmente la leva fiscale ed un taglio selezionato della spesa pubblica che ridistribuisca risorse a scapito della  spesa per la politica e gli armamenti. Si deve provvedere ad un'attenta revisione delle invalidità e una seria lotta all'evasione fiscale ( con maggior ricorso alle pene  detentive ).

La copertura finanziaria  può trovare il suo completamento sia con un maggior onere delle classi agiate nell'utilizzo dei servizi sociali sia con un maggior peso della tassazione indiretta sui beni di lusso che sull'incremento del prelievo fiscale  sui redditi elevati ed i patrimoni ( ICI, tassa di successione, rendite finanziarie, tassa pluriennale di scopo). La sommatoria di queste misure potrebbero  coprire un fabbisogno annuo  di oltre 24 miliardi di euro  tanti quanto bastano per  dare un salario di cittadinanza di 500 euro al mese a quattro milioni di persone ( pari a ca. il 6% della popolazione del nostro paese). La tassa patrimoniale di scopo e l'ICI potrebbero essere inoltre sufficienti a far partire un importante piano di edilizia popolare .Le ulteriori risorse sarebbero a mio avviso sufficienti per un importante sviluppo della formazione e della ricerca e per uno sgravio del peso sul lavoro e le imprese.

E' il mondo della produzione e del lavoro l'asse politico e sociale  a  sostegno di questo piano di lavoro. Le imprese chiedono un quadro di riferimento chiaro , provvedimenti immediati, un piano progettuale di ampio respiro che ponga il lavoro al centro di qualsiasi progetto politico. Le risorse di uno dei paesi più sviluppati del mondo devono essere orientate verso il lavoro e non verso la rendita e/o la finanza.

Le gambe su cui cammina questo progetto sono già nelle piazze , ancora senza un'organizzazione politica unitaria: sono gli operai delle fabbriche in cassa integrazione o che minacciano la ristrutturazione e la delocalizzazione, sono i lavoratori precari dello Stato e privati che rischiano di esser espulsi dal mercato del lavoro, sono i disoccupati , gli inoccupati, le donne , gli immigrati senza diritti che chiedono  un riconoscimento ed un ruolo sono le migliaia di giovani studenti che chiedono una formazione ed un futuro.

Forze che chiedono un progetto di sviluppo e di speranza .

Dice un grande giovane di colore negli Stati Uniti  d'America : si può fare! Aggiungerei si deve fare!

domenica 7 novembre 2010

UNA GIORNATA SPECIALE

 

 

Ancora una volta , dopo averlo apprezzato nel discorso di Mirabello, non si può non dare atto dell'alto livello ideale e politico dell'intervento di Fini a chiusura della Convention di Futuro e Libertà per l'Italia.

Non sottovaluterei il discorso di Fini che ha toccato quasi tutti i punti sensibili della situazione attuale; inoltre, ha individuato nel patto fra le generazioni,nel mondo dei produttori ( recependo il tavolo di lavoro fra Confindustria e  Sindacati come punto di riferimento) e nei moderati le gambe su cui fare camminare il proprio discorso. Un discorso in cui con chiarezza pone la propria candidatura per il governo del Paese aprendo all'UDC e dichiarandosi disponibile ad ascoltare anche le ragioni dell'opposizione.

Ha posto l'ultimatum a Berlusconi decretando la fine dell'attuale governo e di una stagione politica.
Non mi sembra che si stia traccheggiando o si possa dire ancora che Fini si muova in una logica di inciucio di palazzo.

Se c'è un limite del suo discorso , da cui il mondo della cosiddetta sinistra può invece ripartire, è semmai quello di  sottovalutare il carattere dirompente  della profonda diseguaglianza sociale che necessità di una riforma fiscale redistributiva e di una revisione del diritto del lavoro e del welfare. Non solo ,come dice Fini; per essere un welfare delle opportunità ma per affrontare la marginalità e lo spreco delle risorse umane che sono il risultato evidente dei limiti strutturali del mercato del lavoro nel mondo della globalizzazione.

Ci sarà un motivo se il Governatore della Banca d'Italia individua nella precarietà una delle cause  strutturali della mancanza di competitività e produttività della struttura economica italiana !
Futuro e libertà è un gruppo  che  prospetticamente si pone fra i protagonisti della politica italiana ed uno fra gli interlocutori  più seri con cui ci si dovrà confrontare.

L'intera sinistra dovrà dimostrare di avere argomenti più validi da mettere in campo per lo sviluppo dell'Italia.

Non sottovaluterei, in questa giornata importante, nè il suo discorso nè quello di Renzi che ha chiuso una manifestazione a Firenze piena di forze giovanili di cui abbiamo tutti bisogno ed il PD in particolare.

lunedì 1 novembre 2010

IL DECLINO E LA VIOLENZA

Chi ha avuto l'opportunità di seguire gli interventi di Tremonti e Draghi nella Giornata del Risparmio ha potuto comprendere come nuovi equilibri mondiali attraversino il nostro tempo. I grandi blocchi che si contendono il primato economico e politico nel mondo attuale sono ormai  gli USA e la Cina seguiti a breve distanza dall'Europa Unita, dalla Russia, dal Giappone e quindi dall'India, Brasile e Corea. Questi paesi emergenti hanno già ottenuto una modifica della rappresentanza e dei rapporti di forza all'interno del Fondo Monetario Internazionale e l'impegno per una nuova redistribuzione dei seggi a loro favore entro il 2013. D'altra parte le difficoltà di rapporto con il mondo islamico complicano ulteriormente i rapporti internazionali.

E' finito, secondo Tremonti, ogni residuo privilegio dell'era coloniale e le Nazioni si affacciano alla competizione internazionale senza alcun vantaggio di posizione. Ogni Paese in sostanza, dovrà sostenere il proprio livello di benessere con la propria  capacità di lavoro, d' investimento di capitale, di capacità di ricerca e innovazione e aggiungerei anche con la  propria volontà unitaria  di crescita ed il  proprio spirito di sacrificio . Non è tempo in cui le società occidentali  possano pensare di ottenere dei benefici senza un'adeguata contropartita-

In tutto questo non c'è una reale possibilità di far valere il nostro peso specifico se non riusciamo a muoverci come un corpo unico europeo. Fortunatamente questo aspetto comincia ad essere condiviso da  tutte le classi politiche dirigenti dei diversi paesi, pur con qualche tentazione individualistica, mentre  la mia impressione è che non via sia altrettanta coscienza nelle popolazioni. In esse, al di là dei facili luoghi comuni europeisti non vi è ancora nessuna abitudine a concepirsi come un'unica nazione . E' questa una grande sfida urgente e irrimandabile. L'Europa ha bisogno di un Governo Centrale con importanti deleghe ed una struttura federale. Ha bisogno di un esercito europeo e l' attenzione verso processi culturali unificanti,da inventare e sostenere.

E' una grande sfida che tuttavia può anche fallire  , con le conseguenze facilmente immaginabili.

A livello della Regione Italia il quadro è ancora peggiore – La situazione economica vede la presenza di un mercato del lavoro in cui la parte pubblica  vive nella prospettiva della progressiva contrazione dell'occupazione ed il   privato é lacerato fra un mercato del lavoro giovanile e precario, un mercato settoriale e territoriale dominato dal lavoro nero ed infine un mercato della forza lavoro forte  assistito dalle piene garanzie dello statuto dei lavoratori. Ma riesce la dinamica del mercato a soddisfare la piena occupazione della risorsa lavoro ed il  suo migliore utilizzo? Questa situazione del lavoro costituisce un motivo di serenità e di crescita per le famiglie ed in genere per la popolazione del nostro paese? Assicura la necessaria flessibilità alla aziende? Non mi sembra, anzi è fonte di una profondo disagio personale e sociale.

Il mondo delle  imprese a sua volta si dibatte di fronte ai problemi storici della  sua evoluzione economica: una generale sottocapitalizzazione , la mancanza di competitività in assenza di  campioni di grandi dimensioni  internazionali, il fermo dell'investimento in innovazione. Il peso eccessivo degli oneri fiscali una minore competitività rispetto al passato ed un basso livello  di produttività.

Dal punto di vista territoriale siamo lacerati  dal divario fra Nord e Sud dove quest'ultimo non riesce più a stare al passo né dal punto di vista politico che economico ed è sempre più monopolio dell'illegalità organizzata.

La struttura dello Stato e la politica ma anche la stessa società civile danno un'immagine di sé sempre più in difficoltà.

Questa è una situazione generale di declino politico, economico, civile e morale. Fa specie dover aggiungere anche morale in un paese in cui si trova ubicata la sede centrale di una delle più importanti organizzazioni religiose mondiali: La Chiesa Cattolica. Eppure, è quello che sta accadendo. Diviso dall'incapacità di seguire un processo di crescita globale, ogni settore della popolazione grida la sua insoddisfazione ed il proprio disagio contaminati dal sorriso sprezzante dell'opportunismo realista vincente.

E' questo il segno più forte del declino. Convivono la disperazione del sofferente insieme all'arroganza del potere e l'uno si ciba dell'altro. Non riesce mai a decollare un disegno complessivo di salvezza reciproca ma si diffonde sempre più l'insofferenza per il disagio altrui che ha la colpa di crearci fastidio e peggiorare il nostro livello di vita- Nella misura in cui il declino infrange la speranza  della socialità e della solidarietà non può che sfociare nella violenza- L'un contro l'altro armati solo per poterci difendere e sopravvivere. E' questa la spirale del declino e della violenza.  Spesso l'azione violenta rappresenta il balbettio di una incapacità di padroneggiare la realtà che ci circonda. La ricerca di un nemico, del responsabile del proprio disagio e/o solo dell'inadeguatezza sono le strade più facili per negare le conseguenze logiche dell'analisi della situazione  e delle scelte che non sappiamo o non vogliamo fare.

Tutto questo rappresenta solo una possibilità di quello che una situazione di  declino può creare a livello locale, nazionale, europeo, mondiale; ma, ricordiamoci che l'unica alternativa possibile non può che essere frutto del nostro impegno, della partecipazione, della solidarietà ed infine della capacità di proporre un progetto di crescita complessivo e alternativo. Troppe volte nel passato le fasi di crisi economica si sono accompagnate  a profonde crisi sociali sfociate poi in grandi sommovimenti  o addirittura in guerre fra le Nazioni. Tutto questo  ci deve spingere a cercare le soluzioni possibili, a non smettere mai di operare per il miglioramento e la riduzione del divario sia fra i diversi paesi che fra le classi sociali rimuovendo gli ostacoli alla promozione sociale  ed allo sviluppo rappresentati in primo luogo da un'eccessiva concentrazione della ricchezza in poche mani. Dobbiamo premiare i migliori senza sacrificare chi non riesce a stare al passo. Dobbiamo  saper ascoltare le motivazioni  degli altri e preoccuparci delle loro esigenze. Le difficoltà possono essere occasione di miglioramento.

martedì 19 ottobre 2010

LA CRISI IMPONE IL CAMBIAMENTO

 

La grande crisi economico-finanziaria  ha lasciato il mondo occidentale in ginocchio perché ,  forse dal dopoguerra in poi, è la prima volta che è stato posto un alto-là al nostro modo di vivere ed al ns livello di consumi.

E' stata  una crisi che ha avuto origine dal mondo finanziario proprio per questo . Proprio per questo è partita dal paese che è il faro dell'occidente:gli Stati Uniti d'America dove si è realizzata la miscela esplosiva di una insostenibilità del debito pubblico unito all'insostenibilità del debito privato. Per anni il debito pubblico anericano è stato sovvenzionato dagli altri paesi. Prima  dal Giappone , poi dai Paesi Arabi (si arrivò a quel punto a togliere il rapporto di convertibilità del dollaro  con l'oro pur di continuare a vendere e comprare  petrolio nel mondo) ed infine con i paesi del sud est asiatico ed  in particolare la Cina.

Oggi il debito pubblico Americano è in mano principalmente a: Giappone  e Fondi sovrani dei paesi Arabi ed asiatici: Cina.Questi paesi hanno continuato a comprare dollari (sotto forma di riseve e debito pubblico ) per sostenere la capacità d' acquisto di questo paese; ma, quando anche l'indebitamento privato è arrivato al punto in cui il costo  è diventato superiore alla sua sostenibilità,  il meccanismo si è inceppato.

 Lo Stato,  già indebitato e senza disponibilità, è dovuto intervenire  a sostegno delle Banche, la cui clientela era insolvente, per evitare il disastro e  anche i fondi sovrani asiatici, arabi e la Cina sono intervenuti direttamente nei capitali delle grandi banche per salvare  il nostro mondo occidentale.

Tutti gli Stati con un debito pubblico elevato si sono impegnati dicendo: pagheremo.

Ma con quali soldi?

Gli Americani stampano moneta ed i Cinesi , dapprima controvoglia, alla fine  hanno acconsentito a prenderla pur di mantenere  la possibilità di vendere le proprie merci.

Il  problema tuttavia rimane . come rimane in ogni famiglia dove i costi del debito  diventano insostenibili.

Che fare? Non c'è scelta…. in ogni famiglia ed impresa la strada è obbligata ridurre i costi e amentare i ricavi.

Ma Come si fa a diminuire i costi se in tutti questi anni la ricchezza reale non è aumentata  di pari passo con i ns consumi . Su quali settori  possiamo aumentare i ricavi? I ns prezzi sono competitivi? Come è lo stato attuale della divisione internazionale del lavoro?

E' evidente che i ns prezzi, su tutta una serie di prodotti,  inglobano un livello di vita che non possiamo permetterci . La scorciatoia è quella di svalutare la  moneta occidentale  ( dollaro/euro) rispetto a quella cinese .

In sostanza chiediamo ai cinesi di prendere  atto della realtà e rivalutare la loro moneta . Con questa operazione il ns potere di acquisto verrebbe ridimensionato ma verrebbero favorite le ns esportazioni e scoraggiate le importazioni dei prodotto cinesi. I ns ricavi reali e la ns competitività potrebbero pertanto aumentare. La Cina non è tuttavia d'accordo e prende tempo.La rivalutazione della propria moneta permetterebbe un aumento del loro livello di vita , del salario reale, e della domanda interna  ma basterebbe questo incremento a sostituire l'eventuale perdita del volume delle esportazioni?. Il processo è forse inevitabile ma la Cina desidera poterne decidere i tempi per evitare possibili squilibri interni.

 Nel frattempo, la crisi fa sentire le sue conseguenze nel nostro  mondo.

Dobbiamo pertanto, per forza di cose,  prendere altre strade. La prima è la riduzione dei  costi complessivi privati e pubblici.E' in questo senso la recente delibera per la stabilità del Governo europeo che stabilisce  penalità severe per chi esce fuori dai parametri stabiliti.

In questo, la singola situazione nazionale  costringe a politiche diverse. In italia per esempio  Il debito privato è del tutto  tollerabile ( quasi virtuoso) mentre è il debito pubblico che è fuori controllo. In una situazione del genere parlare di politica espansiva  della spesa pubblica per far ripartire la domanda di consumi ed investimenti non ha senso se non vengono individuate le risorse specifiche per sostenerla attraverso una seria riforma fiscale, l'individuazione di risparmi della gestione ordinaria e parallelamente non si studi e si attui un piano di rientro del debito pubblico in un arco di tempo plausibile ( 20 anni).

La  crisi è il segnale del  mutamento storico del nostro posto all'interno della divisione internazionale del lavoro.

Bisognerà  tagliare principalmente  tutti i costi improduttivi  privilegianodo invece i costi a sostegno dell'investimento in conoscenza,tecnologia e sviluppo.

D'altra parte la spesa sociale dello Stato deve essere indirizzata  verso  tutte quelle situazioni in cui il mercato mostra i suoi limiti.

 E' questo il compito dello Stato nel nostro nuovo tempo.

Questo è stato già fatto per l'erogazione di alcuni servizi essenziali quali la  formazione ( scuola) sanità, giustizia e sicurezza  i servizi amministrativi. Lo Stato sociale del '900 ha costruito l'intervento nell'economia, il welfare, la partecipazione politica  e democratica dei suoi cittadini.

Bisogna completare questa rivoluzione modificando opportunamente il  welfare e aggiungendo il diritto alla casa ed al lavoro.

 E' evidente che le leggi del mercato non consentono di rispondere con equità e successo al diritto di ogni cittadino italiano di avere un lavoro e un tetto sotto cui vivere .

 Lo Stato del nostro nuovo secolo deve occuparsi di quei problemi che il mercato non è in grado di risolvere. Le risorse dello Stato in prima battuta devono essere utilizzate per far fronte a queste esigenze.

Alcuni servizi essenziali vanno dati a tutti: casa , scuola, lavoro, sanità,sicurezza giustizia  :

Bisogna pensare a dei servizi essenziali da offrire gratuitamente  fino a certi livelli di reddito ed a pagamento graduale , oltre.

Nello specifico vorrei sottolineare che per quanto riguarda  l'alloggio ed il lavoro  sono necessarie delle operazioni  d'intervento  forte per combattere la marginalità sociale.

 Bisogna far ripartire un piano di case popolari con assegnazione  immediata  a chi non ha reddito. Per quanto riguarda il lavoro  bisogna che lo Stato dia un lavoro  a chiunque ne faccia richiesta attraverso la creazione di un Ente pubblico del lavoro  che utilizzi  queste risorse per  lavori pubblici ,servizi,assistenza ecc. in cambio di un salario di sussistenza .

Questa è la prima risposta nei tempi moderni alla logica di un mercato  del lavoro senza limiti  ma anche  alla tesi ormai obsoleta della socializzzazione dei mezzi di produzione della tradizione socialista.

Accanto a questa soluzione è necessario aprire l'acceso al credito con il forte sviluppo del microcredito, del prestito d'onore , del Fondo di garanzia per le PMI ecc.per dare delle possibilità di avvio di inziative personali.

Bisogna iniziare a parlare di un diverso modo di intendere lo Stato della solidarietà , la socialdemocrazia, bisogna pur parlarne di queste cose e di questi problemi.Deve diventare  un valore comune  il fatto che la marginalità sia la prima piaga da combattere perché rappresenta il limite dell'organizzazione economica di una società

Non si può abbandonare nessuno al suo destino  per poi ritrovarlo  come problema  sociale irrisolto e fonte di disperazione e di  conflitto.

In generale le nostre società devono abituarsi al concetto di relazione  fra costo ed opportunità  dove queste ultime rapppresentano i ns diritti e il nostro benessere che hanno comunque un costo personale e sociale da sostenere.

Abbiamo la possibilità di tornare ad essere competitivi su tutte quelle produzioni e settori in cui abbiamo ancora un vantaggio determinato dall'investimento storico del capitale, dalla tecnologia , dalla capacità organizzativa e  finanziarìa, dalla tradizione culturale e possiamo cercare di continuarla a sviluppare .

Un paese avanzato importa ed esporta nei confronti degli altri paese avanzati lo stesso tipo di merci/servizi. Guai ad uscire da questo processo e questa logica perché sarebbe l'evidente declassamento del nostro paese nel sottosviluppo.Dobbiamo trovare nelle nostre qualità e risorse la chiave del successo  raddopiando i ns sforzi .

Vi è un problema  di reperimento delle risorse necessarie. In prima battura biosogna spostarle dal mondo della rendita e  dei patrimoni a quello della produzione, della conoscenza e del lavoro  grazie ad una politica fiscale diversa e ad un ruolo attivo del sistema bancario  con indicazioni pubbliche forti.

 

 

lunedì 18 ottobre 2010

L'UNITA' SINDACALE E LA POLITICA

 

 

 

All'indomani della possente manifestazione  organizzata dalla FIOM,  a cui hanno aderito diverse componenti politiche e di movimento ( studenti , popolo viola ecc…) ci si interroga sul futuro dei rapporti fra le tre confederazioni sindacali.

Le ragioni delle divisioni in atto  sono profonde articolate e meritevoli di approfondimento, ma  fa bene chi come Bersani ritiene che compito di un partito come il PD sia quello di cercare  in ogni modo di ricomporle anche con una capacità propositiva., partendo dalla constatazione che comunque un progetto di cambiamento non può prescindere dal rappresentare  la popolazione presente alla manifestazione di Roma.

E' la politica l'ambito in cui il contrasto può essere sanato o da cui può uscire  un tentativo di mediazione e risoluzione?

Si può pensare di si per due motivi:

1)      perché un partito come il PD può essere la guida di un 'alleanza politica che si pone come rappresentante dell'intero  mondo dei produttori  ricucendo così    le differenze all'interno della sua proposta

2)      perché la politica ha il compito di  dirimere una delle questioni più spinose poste sul tappetto che è quella della rappresentanza sindacale  ma più ancora del rapporto fra democrazia e movimento.

 

In queste righe mi vorrei soffermare sul secondo aspetto . E indiscutibile  che le differenze sindacali andrebbero verificate e compattate nell'unico "locus" possibile : nella base, tra i lavoratori.

Ma che vuol dire questo? Chi deve decidere? Con quali strumenti ? Che rapporto deve esserci fra le organizzazioni di movimento e la totalità dei lavoratori? E fra questi e la controparte?

Le organizzazioni dei lavoratori : i sindacati, sono organizzazioni di movimento, nate nella lotta , che attraverso  gli anni  sono riusciti a darsi delle organizzazioni stabili, conquistato il riconoscimento ufficiale dalla controparte ed ottenuto per legge dei  diritti fondamentali per tutti i lavoratori. Tuttavia, proprio per garantire la loro piena autonomia, non è stato mai regolato il loro rapporto di rappresentanza con la totalità dei lavoratori, né ,di conseguenza, il vincolo di coerenza degli stessi rispetto agli accordi sottoscritti.

Questa regolamentazione chiama in causa il rapporto fra democrazia e movimento. I movimenti  nascono con operazioni di rottura rispetto all'organizzazione del quotidiano e coinvolgono con strumenti di democrazia diretta i partecipanti al movimento stesso. Questo ritiene , a ragione , di rappresentare gli interessi globali di tutta la categoria  e pertanto si ritiene autorizzato a lottare per tutti e fare in modo che le sue conquiste siano patrimonio comune. Il massimo di verifica  delle scelte avviene all'interno del movimento  con forme di democrazia diretta: asemblee , consultazioni aperte anche ai non iscritti .  Ma possono questi strumenti essere considerati sufficienti quando i movimenti si sono ormai consolidati nella storia come organizzazioni. E' come dire  che le votazioni politiche  dovrebbero essere  organizzate dai partiti politici  che verificano il consenso alle loro proposte fra gli iscrittti e i simpatizzanti. Che fine faranno le opinioni di tutto coloro che non partecipano attivamente alle consultazioni politiche? E' già un problema nelle attuali  democrazie il fenomeno dell'astensionismo e della disaffezione al voto, figuriamoci in una situazione dove  la votazione richiede un atto di volontà partecipativa. La questione della rappresentanza sindacale e del vincolo per tutti i lavoratori degli accordi sottoscritti va normata dalla politica per dare regole certe a tutti i soggetti del luogo di lavoro.: lavoratori , rappresentanti sindacali, imprese.Può essere il referendum lo strumento più idoneo? Quale deve essere  il ruolo delle assemblee? Quale caratteristiche deve avere la clausola di tregua dopo la sottoscrizione degli accordi? Quali i suoi limiti?

Su questo terreno impervio  si può tentare di contribuire al  ripristino dell'unità sindacale  non come precondizione ma come risultato di un metodo di gestione della rappresentatività.

sabato 9 ottobre 2010

OLTRE LE DIFFERENZE: UN'ALLEANZA PER L'ITALIA

 

Il nostro Paese sta vivendo uno dei momenti più difficili della sua storia  .

Il decadimento morale ed ideale è palpabile così come la disillusione  e la difficoltà delle nuove generazioni  che rimangono  ai margini della società. Abbiamo perso slancio anche nella nostra attività produttiva  con una riduzione progressiva della  competitività  internazionale e  della produttività del lavoro. Il processo di formazione della nostra gioventù è vecchio e insufficiente e le risorse messe a disposizione della ricerca sono poche .Non riusciamo ad avere un progetto d'integrazione  all'altezza di una società  in cui  la marginaltà e la presenza di numerose etnie  rappresntano un aggravamento dei problemi,. Non abbiamo un rispetto condiviso della legalità e delle regole  a tutto vantaggio di chi  si organizza per non rispettarle. Non abbiamo una classe dirigente che, nel suo insieme, riesca ad essere una guida autorevole.

Come viviamo da sinistra tutto questo?

C'è una profonda insoddisfazione e sconcerto.

Abbiamo ridato forza al processo dell'Unione di Prodi ,portandola alla vittoria  ritenendo che  sarebbe riuscita  ad affrontare i problemi enormi che erano sotto gli occhi di tutti ,per primo il precariato giovanile.

Ma quell'esperimento è fallito sotto i colpi dell'incapacità di mediazione delle varie forze che lo componevano. Dalla presa d'atto di quel fallimento  abbiamo avuto tre conseguenze:

 

1)      la perdita di un leader riconosciuto come Prodi

2)      la vittoria del Berlusconismo

3)      la nascita del Partito Democratico e la sua separazione ideale dall'estrema sinistra.

 

Il processo che ha portato alla nascita del Partito Democratico è stato  idealmente ambizioso perché ha cercato di raccogliere le sfide di un mondo ormai cambiato  cercando di affrontarle alla luce della tradizione ideale non solo socialista ma anche liberal democratica e cattolico-sociale. Quello che, a mio avviso, non ha funzionato in  questo progetto è la scelta dei tempi di realizzazione.Questo partito è nato nell'urgenza elettorale e le sue problematiche sono figlie di una situazione esterna sempre più drammatica. In poche parole  in tempi così brevi non può arrivare in porto un processo così ambizioso e complesso  che invece  ha un passo lento e riflessivo. Ci vorranno anni perché si compia  la prefigurazione di un progetto sociale che sia il frutto della maturazione della riflessione del partito in tutte le sue componenti.

Nel frattempo tutavia le urgenze sociali non aspettano e l'asse Berlusconi/Bossi  sta mettendo in pericolo le prospettive di sviluppo democratico economico e civile del Paese.

Bisogna prendere atto che la sinistra  in genere ma anche  le forze che si richiamano al nuovo centro  o al terzo polo non sono in grado da sole di porsi come punto di riferimento per un grande processo di rinnovamento della società italiana che sappia mettere in minoranza  quello ormai  inguardabile rappresentato dall'asse Berlusconi/Bossi.

Tutti sono ormai concordi che è possibile una grande convergenza per il cambiamento della legge elettorale. Ma è un obiettivo sufficiente ? e dopo?  Ci si presenterà in piena crisi  economica sociale ritenendo ognuno di avre una soluzione convincente? Di rappresentare delle forze in grado da sole di raccogliere la speranza del Paese?

No  …non è così  Non se ne ha né la forza, né la capacità.

E' il momento invece di saper trovare i punti di convergenza fra forze politiche idealmente diverse  che siano disponibili ad un sacrificio d'identità per mettere mano, al contrario, a delle grandi riforme condivise per la ripresa dello sviluppo italiano:

 

1)      Riforma delle Istituzioni politiche  e della legge elettorale , loro semplificazione e taglio delle spese( con approccio federale)

2)      Riforma del diritto del lavoro come nuovo patto dei produttori e lotta al precariato/disoccupazione ( eliminazione del lavoro nero)

3)      Riforma della fiscalità a favore del lavoro e della famiglia  e a danno delle rendite e dei redditi elevati. Lotta durissima all'evasione fiscale ( carcere agli evasori)

4)      Riforma della scuola e della ricerca

5)      Riforma della giustizia . Semplificazione dei processi e certezza delle pene

6)      Nuove regole sul  Conflitto d'interesse e sul mondo dell'informazione.

7)      Elaborazione di un piano ventennale di  riduzione del Debito Pubblico/PIL all'interno dei parametri europei

 

Questo devono fare le forze politiche : presentarsi insieme  a partire dal nuovo partito di Fini sino a Vendola per dire che la stagione dell'asse Berlusconi /Bossi è finita e che nasce un nuovo progetto Italia. Un progetto basato sulla volontà comune di metter insieme tutte le risorse umane migliori di un paese in crisi  per porre le basi della sua rinascita.

Accanto a loro dovrà essere capace tutta la migliore classe dirigente e gli intellettuali  di dare il suo apporto  per la riuscita sociale della trasformazione proposta: Un paese civile e all'avanguardia nel mondo.

Non c'è dubbio che la parabola di Berlusconi e di Bossi abbia avuto la sua utilità. Sarebbe ingiusto nei loro confronti non avere l'onestà intellettuale di ammettere la loro importanza storica . Senza di essi sia il federalismo che l'individuazione dei limiti del cosiddetto " statalismo" o eccesso delo stato nella società moderna  non sarebbero divenuti patrimonio comune.  Ma la loro funzione storica si  è conclusa. Dobbiamo guardare avanti verso una società globale e multietnica senza aver paura delle sue sfide.Per fare questo c'è bisogno di ritrovare  i valori che ci hanno guidato e  di costruire insieme il nostro futuro.

Ci sarà tempo,  finito il  processo di costruzione delle fondamenta della casa, di proporsi per la sua conduzione.

domenica 26 settembre 2010

UN PATTO DEL LAVORO PER LA CRESCITA ECONOMICA E CIVILE DEL NOSTRO PAESE

 

 

E' giunto il momento che, di fronte allo sfascio mostrato dalla politica  e della perdita dei valori, di rispetto e convivenza della società civile, le forze produttive di questo Paese si assumano la responsabilità di un grande patto  per la crescita economica e civile  attorno a cui coalizzare tutte le forze politiche, culturali e sociali disponibili a questo progetto.

Le associazioni di categoria ed i leaders di un settore produttivo Italiano, che presenta ancora al proprio interno elementi d'avanguardia, insieme alle tre principali confederazioni sindacali, ricche di una storia importante del movimento operaio, hanno il dovere e la possibilità di trovare  i punti d'accordo su di un patto del lavoro che consenta ad ognuna delle sue componenti di trovare motivi di soddisfazione e di speranza

Il mondo dell'impresa deve poter trovare un terreno fecondo dove  sia possibile utilizzare nel modo migliore i fattori produttivi capitale e lavoro , con l'elasticità e la flessibilità necessarie.

Per fare ciò  questo settore deve essere protetto da tutte le sacche di arretratezza e di parassitismo presenti in Italia

Dobbiamo poterci liberare del peso funesto dell'evasione contributiva e fiscale che costituisce un fattore di sottosviluppo e di concorrenza sleale.Dobbiamo liberarci delle forme di monopolio più o meno evidenti presenti soprattutto nel settore dell'informazione e dei media. Dobbiamo liberarci dal peso corruttivo della politica che alimenta collusione , corruzione e non consente lo sviluppo della meritocrazia.Dobbiamo liberarci dal malaffare che avvelena intere zone  territoriali dal punto di vista economico e civile e sta diventando, oltre che una spinta verso il sottosviluppo, un attore di profonda turbativa dell'economia con attività sostanzialmente negative per la libera concorrenza. Dobbiamo ridurre il peso della rendita e renderla meno conveniente rispetto all'investimento produttivo.

Bisogna  che la produttività del lavoro abbia un'impennata  grazie ad una legislazione e ad una organizzazione del lavoro moderna  e condivisa con le tre organizzazioni sindacali e le forze politiche che saranno disponibili a questo progetto.

L'impresa deve poter disporre di capitali per produrre e pertanto di un sistema bancario e di stimoli governativi all'altezza.

Fino ad oggi il sistema bancario italiano è stato sicuramente in grado di seguire le imprese e nel pieno della crisi economico finanziaria  i cordoni del credito non si sono chiusi. Grazie anche ad operazioni di stimolo e di garanzia messe in atto dal governo con l'accordo dell'ABI ( Fondo Garanzia PMI, Programma impresa Italia, riscadenzatura del debito  a MLT per le PMI in difficoltà finanziaria ecc) si è potuto attenuare la sofferenza del momento economico; ma, non possiamo rischiare che le recenti manovre sul principale gruppo bancario Italiano : Unicredit possano significare un privilegio per alcune aree ( quelle sostenute dalla Lega Nord) o per alcuni imprenditori ( gruppo Mediaset  e altri imprenditori vicini all'asse Mediobanca/Generali)

Bisogna garantire maggiori mezzi finanziari per le imprese  con una politica fiscale che privilegi  il lavoro ( imprese e lavoratori) rispetto alle rendite finanziarie ed ai redditi elevati ( fiscalità progressiva oltre 150.00 euro) con una riduzione dei costi della politica ( dimezzare il numero dei parlamentari e ridurre i loro stipendi, ridurre del 50% almeno le auto blu, eliminare le provinvce ecc) e con la lotta all'evasione fiscale.

L'impresa deve poter disporre   tuttavia anche di una possibilità di utilizzo del fattore lavoro che stia al passo coi tempi e ne permetta un' allocazione elastica verso i settori che offrono maggiori opportunità all'interno del mercato globale.

E' necessario pertanto porsi il problema, con l'accordo delle forze sindacali, di liberarci dalla rigidità del lavoro offrendo la necessaria flessibilità a patto che il ricollocamento dei lavoratori avvenga senza se e senza ma  e con l'assunzione di responsabilità di tutti: imprese e collettività ( Lo Stato).

 Bisogna che sia data all'impresa pubblica e privata la possibilità del licenziamento economico ma altresì che venga  garantito al lavoratore in esubero e/o licenziato un percorso di reinserimento.

E' valida l'ipotesi della costituzione di un contratto di ricollocamento  in cui il lavoratore venga assunto da agenzie pubbliche /private  con lo scopo di dargli una formazione aggiuntiva e seguirlo nel reinserimento lavorativo . Questo progetto  descritto dal Prof Ichino nel programma Flexsecurity  prevede che per i successivi tre anni le imprese che hanno messo in esubero il lavoratore  contribuiscano al suo ricollocamento  erogandogli la contribuzione che aveva al momento del licenziamento nella misura del 90% per il primo anno, dell'80% per il secondo anno e del 70% per il terzo anno.

 Bisognerà tuttavia aggiungere a questo progetto due integrazioni importanti:

1)      Costituzione preventiva di un fondo di salvaguardia a carico delle imprese e dei lavoratori  che consenta di intervenire  nel caso in cui le imprese  non possano pagare l'onere previsto essendo andate in default.

2)      Nel caso in cui il lavoratore dopo i tre anni di contratto di ricollocamento non sia ancora riuscito a trovare un'occupazione deve essere previsto il suo passaggio ad una struttura di lavoro pubblico a salario minimo garantito.

3)      Tali strutture di lavoro pubblico devono essere la base del sistema economico del lavoro per intervenire in tutte le situazioni in cui il mercato non riesce a soddisfare l'offerta di lavoro. Non possiamo più permetterci la piaga sociale diffusa di persone costrette alla marginalità. Se è vero che il pensiero socialista/comunista  è ormai totalmente obsoleto è tuttavia necessario che i tempi moderni e sfidanti in cui viviamo si pongano il problema rivoluzionario, già presente nella nostra Costituzione, di non lasciare nessuno senza lavoro, di non lasciare nessuno ai margini della società, di dare a tutti una possibilità di inserimento. E' comprensibile l'obiezione che tutto questo comporti una spesa per lo Stato e la collettività che può essere insostenibile  ma io rispondo che si tratta solo di priorità : quando c'è un malato in casa si evita di spendere anche in vestiti per pagare le medicine.

Tutti noi  dobbiamo farci carico di questi problemi . Bisognerà forse che i ceti medio alti       paghino di più la scuola, la salute,i servizi?.. si può fare …si deve fare.

E' necessario che i costi della politica si dimezzino? Si può fare   ..si deve fare

E' necessario che gli evasori fiscali, i corrotti e i delinquenti vadano in galera?   si può fare… si deve fare .

 

Ma cosa deve dare in cambio l'impresa al lavoratore? Il mondo delle imprese deve eliminare l'uso anomalo e abnorme dei contratti di lavoro precario accettando la riduzione e la modifica degli stessi ( introduzione del contratto unico d'ingresso Nerozzi con un solo anno di prova) riducendo il periodo di apprendistato a un anno e  accettando  forti disincentivi al loro utilizzo.

Il lavoro precario deve costare di più.

Bisogna inoltre che siano garantiti adeguati parametri di crescita delle retribuzioni generali dei lavoratrori di pari passo con l'aumento della produttività.

Bisogna che vi siano maggiori sgravi fiscali e contributivi sul lavoro e l'esenzione per tutti gli stipendi fino a mille euro mensili.

 Bisogna porre in atto una seria politica ed un impegno nei confronti della sicurezza del lavoro..

Il sindacato da parte sua si deve dichiarare disponibile a trovare un accordo   con le imprese e le forze politiche perché sia definito il tema della rappresentanza e la clausola di tregua successiva alla sottoscrizione dei contratti. Bisogna inoltre stabilire quali deroghe sono possibili al contratto nazionale e fino a che punto sia consentita la derogabilità stessa.

Per aumentare la produttività, abbiamo bisogno che l'Italia investa  nel fattore conoscenza. Vanno reperite tutte le risorse possibili  anche a scapito di settori come il restante della pubblica amministrazione ( con una profonda razionalizzazione ) ed armamenti e con una politica fiscale che penalizzi le rendite, introduca un'aliquota progressiva  sui redditi superiori a 150.000 euro annui e che inoltre richieda un maggiore contributo rispetto all'utilizzo dei servizi pubblici ( con maggiori oneri a carico dei ceti medio /alti)

Non è solo questione di costi , non si può ritenere che il problema della scuola sia costituito dalla sistemazione del personale precario. Bisogna pretendere  che vi sia un piano di sviluppo concordato sull'istruzione e la ricerca da parte delle forze del patto del lavoro.E' necessario che le migliori professionalità ridisegnino il percorso e i contenuti della formazione da un lato semplificandolo e dall'altro omogeneizzandolo( troppi indirizzi universitari , troppe materie  ..l'università dura mediamente troppo) ed elevandolo nella qualità.

Le forze del lavoro stabiliscano insieme un patto per la crescita economica e civile di questo paese .

 Bisogna essere ambiziosi e realisti ma tutti sappiamo che con la buona volontà, l'onesta. la concordia, il lavoro e lo spirito di sacrificio nessun obiettivo è impossibile.