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martedì 19 ottobre 2010

LA CRISI IMPONE IL CAMBIAMENTO

 

La grande crisi economico-finanziaria  ha lasciato il mondo occidentale in ginocchio perché ,  forse dal dopoguerra in poi, è la prima volta che è stato posto un alto-là al nostro modo di vivere ed al ns livello di consumi.

E' stata  una crisi che ha avuto origine dal mondo finanziario proprio per questo . Proprio per questo è partita dal paese che è il faro dell'occidente:gli Stati Uniti d'America dove si è realizzata la miscela esplosiva di una insostenibilità del debito pubblico unito all'insostenibilità del debito privato. Per anni il debito pubblico anericano è stato sovvenzionato dagli altri paesi. Prima  dal Giappone , poi dai Paesi Arabi (si arrivò a quel punto a togliere il rapporto di convertibilità del dollaro  con l'oro pur di continuare a vendere e comprare  petrolio nel mondo) ed infine con i paesi del sud est asiatico ed  in particolare la Cina.

Oggi il debito pubblico Americano è in mano principalmente a: Giappone  e Fondi sovrani dei paesi Arabi ed asiatici: Cina.Questi paesi hanno continuato a comprare dollari (sotto forma di riseve e debito pubblico ) per sostenere la capacità d' acquisto di questo paese; ma, quando anche l'indebitamento privato è arrivato al punto in cui il costo  è diventato superiore alla sua sostenibilità,  il meccanismo si è inceppato.

 Lo Stato,  già indebitato e senza disponibilità, è dovuto intervenire  a sostegno delle Banche, la cui clientela era insolvente, per evitare il disastro e  anche i fondi sovrani asiatici, arabi e la Cina sono intervenuti direttamente nei capitali delle grandi banche per salvare  il nostro mondo occidentale.

Tutti gli Stati con un debito pubblico elevato si sono impegnati dicendo: pagheremo.

Ma con quali soldi?

Gli Americani stampano moneta ed i Cinesi , dapprima controvoglia, alla fine  hanno acconsentito a prenderla pur di mantenere  la possibilità di vendere le proprie merci.

Il  problema tuttavia rimane . come rimane in ogni famiglia dove i costi del debito  diventano insostenibili.

Che fare? Non c'è scelta…. in ogni famiglia ed impresa la strada è obbligata ridurre i costi e amentare i ricavi.

Ma Come si fa a diminuire i costi se in tutti questi anni la ricchezza reale non è aumentata  di pari passo con i ns consumi . Su quali settori  possiamo aumentare i ricavi? I ns prezzi sono competitivi? Come è lo stato attuale della divisione internazionale del lavoro?

E' evidente che i ns prezzi, su tutta una serie di prodotti,  inglobano un livello di vita che non possiamo permetterci . La scorciatoia è quella di svalutare la  moneta occidentale  ( dollaro/euro) rispetto a quella cinese .

In sostanza chiediamo ai cinesi di prendere  atto della realtà e rivalutare la loro moneta . Con questa operazione il ns potere di acquisto verrebbe ridimensionato ma verrebbero favorite le ns esportazioni e scoraggiate le importazioni dei prodotto cinesi. I ns ricavi reali e la ns competitività potrebbero pertanto aumentare. La Cina non è tuttavia d'accordo e prende tempo.La rivalutazione della propria moneta permetterebbe un aumento del loro livello di vita , del salario reale, e della domanda interna  ma basterebbe questo incremento a sostituire l'eventuale perdita del volume delle esportazioni?. Il processo è forse inevitabile ma la Cina desidera poterne decidere i tempi per evitare possibili squilibri interni.

 Nel frattempo, la crisi fa sentire le sue conseguenze nel nostro  mondo.

Dobbiamo pertanto, per forza di cose,  prendere altre strade. La prima è la riduzione dei  costi complessivi privati e pubblici.E' in questo senso la recente delibera per la stabilità del Governo europeo che stabilisce  penalità severe per chi esce fuori dai parametri stabiliti.

In questo, la singola situazione nazionale  costringe a politiche diverse. In italia per esempio  Il debito privato è del tutto  tollerabile ( quasi virtuoso) mentre è il debito pubblico che è fuori controllo. In una situazione del genere parlare di politica espansiva  della spesa pubblica per far ripartire la domanda di consumi ed investimenti non ha senso se non vengono individuate le risorse specifiche per sostenerla attraverso una seria riforma fiscale, l'individuazione di risparmi della gestione ordinaria e parallelamente non si studi e si attui un piano di rientro del debito pubblico in un arco di tempo plausibile ( 20 anni).

La  crisi è il segnale del  mutamento storico del nostro posto all'interno della divisione internazionale del lavoro.

Bisognerà  tagliare principalmente  tutti i costi improduttivi  privilegianodo invece i costi a sostegno dell'investimento in conoscenza,tecnologia e sviluppo.

D'altra parte la spesa sociale dello Stato deve essere indirizzata  verso  tutte quelle situazioni in cui il mercato mostra i suoi limiti.

 E' questo il compito dello Stato nel nostro nuovo tempo.

Questo è stato già fatto per l'erogazione di alcuni servizi essenziali quali la  formazione ( scuola) sanità, giustizia e sicurezza  i servizi amministrativi. Lo Stato sociale del '900 ha costruito l'intervento nell'economia, il welfare, la partecipazione politica  e democratica dei suoi cittadini.

Bisogna completare questa rivoluzione modificando opportunamente il  welfare e aggiungendo il diritto alla casa ed al lavoro.

 E' evidente che le leggi del mercato non consentono di rispondere con equità e successo al diritto di ogni cittadino italiano di avere un lavoro e un tetto sotto cui vivere .

 Lo Stato del nostro nuovo secolo deve occuparsi di quei problemi che il mercato non è in grado di risolvere. Le risorse dello Stato in prima battuta devono essere utilizzate per far fronte a queste esigenze.

Alcuni servizi essenziali vanno dati a tutti: casa , scuola, lavoro, sanità,sicurezza giustizia  :

Bisogna pensare a dei servizi essenziali da offrire gratuitamente  fino a certi livelli di reddito ed a pagamento graduale , oltre.

Nello specifico vorrei sottolineare che per quanto riguarda  l'alloggio ed il lavoro  sono necessarie delle operazioni  d'intervento  forte per combattere la marginalità sociale.

 Bisogna far ripartire un piano di case popolari con assegnazione  immediata  a chi non ha reddito. Per quanto riguarda il lavoro  bisogna che lo Stato dia un lavoro  a chiunque ne faccia richiesta attraverso la creazione di un Ente pubblico del lavoro  che utilizzi  queste risorse per  lavori pubblici ,servizi,assistenza ecc. in cambio di un salario di sussistenza .

Questa è la prima risposta nei tempi moderni alla logica di un mercato  del lavoro senza limiti  ma anche  alla tesi ormai obsoleta della socializzzazione dei mezzi di produzione della tradizione socialista.

Accanto a questa soluzione è necessario aprire l'acceso al credito con il forte sviluppo del microcredito, del prestito d'onore , del Fondo di garanzia per le PMI ecc.per dare delle possibilità di avvio di inziative personali.

Bisogna iniziare a parlare di un diverso modo di intendere lo Stato della solidarietà , la socialdemocrazia, bisogna pur parlarne di queste cose e di questi problemi.Deve diventare  un valore comune  il fatto che la marginalità sia la prima piaga da combattere perché rappresenta il limite dell'organizzazione economica di una società

Non si può abbandonare nessuno al suo destino  per poi ritrovarlo  come problema  sociale irrisolto e fonte di disperazione e di  conflitto.

In generale le nostre società devono abituarsi al concetto di relazione  fra costo ed opportunità  dove queste ultime rapppresentano i ns diritti e il nostro benessere che hanno comunque un costo personale e sociale da sostenere.

Abbiamo la possibilità di tornare ad essere competitivi su tutte quelle produzioni e settori in cui abbiamo ancora un vantaggio determinato dall'investimento storico del capitale, dalla tecnologia , dalla capacità organizzativa e  finanziarìa, dalla tradizione culturale e possiamo cercare di continuarla a sviluppare .

Un paese avanzato importa ed esporta nei confronti degli altri paese avanzati lo stesso tipo di merci/servizi. Guai ad uscire da questo processo e questa logica perché sarebbe l'evidente declassamento del nostro paese nel sottosviluppo.Dobbiamo trovare nelle nostre qualità e risorse la chiave del successo  raddopiando i ns sforzi .

Vi è un problema  di reperimento delle risorse necessarie. In prima battura biosogna spostarle dal mondo della rendita e  dei patrimoni a quello della produzione, della conoscenza e del lavoro  grazie ad una politica fiscale diversa e ad un ruolo attivo del sistema bancario  con indicazioni pubbliche forti.

 

 

lunedì 18 ottobre 2010

L'UNITA' SINDACALE E LA POLITICA

 

 

 

All'indomani della possente manifestazione  organizzata dalla FIOM,  a cui hanno aderito diverse componenti politiche e di movimento ( studenti , popolo viola ecc…) ci si interroga sul futuro dei rapporti fra le tre confederazioni sindacali.

Le ragioni delle divisioni in atto  sono profonde articolate e meritevoli di approfondimento, ma  fa bene chi come Bersani ritiene che compito di un partito come il PD sia quello di cercare  in ogni modo di ricomporle anche con una capacità propositiva., partendo dalla constatazione che comunque un progetto di cambiamento non può prescindere dal rappresentare  la popolazione presente alla manifestazione di Roma.

E' la politica l'ambito in cui il contrasto può essere sanato o da cui può uscire  un tentativo di mediazione e risoluzione?

Si può pensare di si per due motivi:

1)      perché un partito come il PD può essere la guida di un 'alleanza politica che si pone come rappresentante dell'intero  mondo dei produttori  ricucendo così    le differenze all'interno della sua proposta

2)      perché la politica ha il compito di  dirimere una delle questioni più spinose poste sul tappetto che è quella della rappresentanza sindacale  ma più ancora del rapporto fra democrazia e movimento.

 

In queste righe mi vorrei soffermare sul secondo aspetto . E indiscutibile  che le differenze sindacali andrebbero verificate e compattate nell'unico "locus" possibile : nella base, tra i lavoratori.

Ma che vuol dire questo? Chi deve decidere? Con quali strumenti ? Che rapporto deve esserci fra le organizzazioni di movimento e la totalità dei lavoratori? E fra questi e la controparte?

Le organizzazioni dei lavoratori : i sindacati, sono organizzazioni di movimento, nate nella lotta , che attraverso  gli anni  sono riusciti a darsi delle organizzazioni stabili, conquistato il riconoscimento ufficiale dalla controparte ed ottenuto per legge dei  diritti fondamentali per tutti i lavoratori. Tuttavia, proprio per garantire la loro piena autonomia, non è stato mai regolato il loro rapporto di rappresentanza con la totalità dei lavoratori, né ,di conseguenza, il vincolo di coerenza degli stessi rispetto agli accordi sottoscritti.

Questa regolamentazione chiama in causa il rapporto fra democrazia e movimento. I movimenti  nascono con operazioni di rottura rispetto all'organizzazione del quotidiano e coinvolgono con strumenti di democrazia diretta i partecipanti al movimento stesso. Questo ritiene , a ragione , di rappresentare gli interessi globali di tutta la categoria  e pertanto si ritiene autorizzato a lottare per tutti e fare in modo che le sue conquiste siano patrimonio comune. Il massimo di verifica  delle scelte avviene all'interno del movimento  con forme di democrazia diretta: asemblee , consultazioni aperte anche ai non iscritti .  Ma possono questi strumenti essere considerati sufficienti quando i movimenti si sono ormai consolidati nella storia come organizzazioni. E' come dire  che le votazioni politiche  dovrebbero essere  organizzate dai partiti politici  che verificano il consenso alle loro proposte fra gli iscrittti e i simpatizzanti. Che fine faranno le opinioni di tutto coloro che non partecipano attivamente alle consultazioni politiche? E' già un problema nelle attuali  democrazie il fenomeno dell'astensionismo e della disaffezione al voto, figuriamoci in una situazione dove  la votazione richiede un atto di volontà partecipativa. La questione della rappresentanza sindacale e del vincolo per tutti i lavoratori degli accordi sottoscritti va normata dalla politica per dare regole certe a tutti i soggetti del luogo di lavoro.: lavoratori , rappresentanti sindacali, imprese.Può essere il referendum lo strumento più idoneo? Quale deve essere  il ruolo delle assemblee? Quale caratteristiche deve avere la clausola di tregua dopo la sottoscrizione degli accordi? Quali i suoi limiti?

Su questo terreno impervio  si può tentare di contribuire al  ripristino dell'unità sindacale  non come precondizione ma come risultato di un metodo di gestione della rappresentatività.

sabato 9 ottobre 2010

OLTRE LE DIFFERENZE: UN'ALLEANZA PER L'ITALIA

 

Il nostro Paese sta vivendo uno dei momenti più difficili della sua storia  .

Il decadimento morale ed ideale è palpabile così come la disillusione  e la difficoltà delle nuove generazioni  che rimangono  ai margini della società. Abbiamo perso slancio anche nella nostra attività produttiva  con una riduzione progressiva della  competitività  internazionale e  della produttività del lavoro. Il processo di formazione della nostra gioventù è vecchio e insufficiente e le risorse messe a disposizione della ricerca sono poche .Non riusciamo ad avere un progetto d'integrazione  all'altezza di una società  in cui  la marginaltà e la presenza di numerose etnie  rappresntano un aggravamento dei problemi,. Non abbiamo un rispetto condiviso della legalità e delle regole  a tutto vantaggio di chi  si organizza per non rispettarle. Non abbiamo una classe dirigente che, nel suo insieme, riesca ad essere una guida autorevole.

Come viviamo da sinistra tutto questo?

C'è una profonda insoddisfazione e sconcerto.

Abbiamo ridato forza al processo dell'Unione di Prodi ,portandola alla vittoria  ritenendo che  sarebbe riuscita  ad affrontare i problemi enormi che erano sotto gli occhi di tutti ,per primo il precariato giovanile.

Ma quell'esperimento è fallito sotto i colpi dell'incapacità di mediazione delle varie forze che lo componevano. Dalla presa d'atto di quel fallimento  abbiamo avuto tre conseguenze:

 

1)      la perdita di un leader riconosciuto come Prodi

2)      la vittoria del Berlusconismo

3)      la nascita del Partito Democratico e la sua separazione ideale dall'estrema sinistra.

 

Il processo che ha portato alla nascita del Partito Democratico è stato  idealmente ambizioso perché ha cercato di raccogliere le sfide di un mondo ormai cambiato  cercando di affrontarle alla luce della tradizione ideale non solo socialista ma anche liberal democratica e cattolico-sociale. Quello che, a mio avviso, non ha funzionato in  questo progetto è la scelta dei tempi di realizzazione.Questo partito è nato nell'urgenza elettorale e le sue problematiche sono figlie di una situazione esterna sempre più drammatica. In poche parole  in tempi così brevi non può arrivare in porto un processo così ambizioso e complesso  che invece  ha un passo lento e riflessivo. Ci vorranno anni perché si compia  la prefigurazione di un progetto sociale che sia il frutto della maturazione della riflessione del partito in tutte le sue componenti.

Nel frattempo tutavia le urgenze sociali non aspettano e l'asse Berlusconi/Bossi  sta mettendo in pericolo le prospettive di sviluppo democratico economico e civile del Paese.

Bisogna prendere atto che la sinistra  in genere ma anche  le forze che si richiamano al nuovo centro  o al terzo polo non sono in grado da sole di porsi come punto di riferimento per un grande processo di rinnovamento della società italiana che sappia mettere in minoranza  quello ormai  inguardabile rappresentato dall'asse Berlusconi/Bossi.

Tutti sono ormai concordi che è possibile una grande convergenza per il cambiamento della legge elettorale. Ma è un obiettivo sufficiente ? e dopo?  Ci si presenterà in piena crisi  economica sociale ritenendo ognuno di avre una soluzione convincente? Di rappresentare delle forze in grado da sole di raccogliere la speranza del Paese?

No  …non è così  Non se ne ha né la forza, né la capacità.

E' il momento invece di saper trovare i punti di convergenza fra forze politiche idealmente diverse  che siano disponibili ad un sacrificio d'identità per mettere mano, al contrario, a delle grandi riforme condivise per la ripresa dello sviluppo italiano:

 

1)      Riforma delle Istituzioni politiche  e della legge elettorale , loro semplificazione e taglio delle spese( con approccio federale)

2)      Riforma del diritto del lavoro come nuovo patto dei produttori e lotta al precariato/disoccupazione ( eliminazione del lavoro nero)

3)      Riforma della fiscalità a favore del lavoro e della famiglia  e a danno delle rendite e dei redditi elevati. Lotta durissima all'evasione fiscale ( carcere agli evasori)

4)      Riforma della scuola e della ricerca

5)      Riforma della giustizia . Semplificazione dei processi e certezza delle pene

6)      Nuove regole sul  Conflitto d'interesse e sul mondo dell'informazione.

7)      Elaborazione di un piano ventennale di  riduzione del Debito Pubblico/PIL all'interno dei parametri europei

 

Questo devono fare le forze politiche : presentarsi insieme  a partire dal nuovo partito di Fini sino a Vendola per dire che la stagione dell'asse Berlusconi /Bossi è finita e che nasce un nuovo progetto Italia. Un progetto basato sulla volontà comune di metter insieme tutte le risorse umane migliori di un paese in crisi  per porre le basi della sua rinascita.

Accanto a loro dovrà essere capace tutta la migliore classe dirigente e gli intellettuali  di dare il suo apporto  per la riuscita sociale della trasformazione proposta: Un paese civile e all'avanguardia nel mondo.

Non c'è dubbio che la parabola di Berlusconi e di Bossi abbia avuto la sua utilità. Sarebbe ingiusto nei loro confronti non avere l'onestà intellettuale di ammettere la loro importanza storica . Senza di essi sia il federalismo che l'individuazione dei limiti del cosiddetto " statalismo" o eccesso delo stato nella società moderna  non sarebbero divenuti patrimonio comune.  Ma la loro funzione storica si  è conclusa. Dobbiamo guardare avanti verso una società globale e multietnica senza aver paura delle sue sfide.Per fare questo c'è bisogno di ritrovare  i valori che ci hanno guidato e  di costruire insieme il nostro futuro.

Ci sarà tempo,  finito il  processo di costruzione delle fondamenta della casa, di proporsi per la sua conduzione.