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martedì 13 dicembre 2011

Verso la riforma del lavoro

In questi ultimi giorni, dopo la caduta del governo Berlusconi, sono state prese delle decisioni importanti che avranno un profondo impatto sia sulla crisi dell'Eurozona, sia sul nostro piano nazionale. Il nuovo Governo Monti ha prodotto una manovra economica, in corso d'approvazione dal Parlamento, del valore di ca. 30 miliardi di euro, che dovrebbe consentire al nostro Paese di raggiungere il pareggio di bilancio nel 2013, nonostante la possibile contrazione del PIL, recuperando affidabilità sul piano internazionale. Si è raggiunto fra gli Stati europei un accordo per il controllo comunitario sulle politiche di bilancio e sul deficit di ogni singolo Stato membro. La BCE ha ridotto all'uno per cento il tasso di riferimento europeo e sta per dare vita ad una gigantesca erogazione di liquidità nel confronti delle banche europee con la concessione di prestiti illimitati con scadenza a trentasei mesi, ha ridotto i requisiti dei collaterali sui finanziamenti e dimezzato i requisiti sulle riserve per i depositi. Si sta approntando un finanziamento di 200 miliardi da parte di diversi Stati europei nei confronti del FMI, dandogli così la possibilità d'intervenire con almeno il doppio delle risorse con specifici interventi di salvataggio nei confronti delle situazioni più a rischio. Questo nuovo quadro d'insieme, pur con le problematicità esistenti in campo europeo, dovrebbe garantire al nostro Paese il tempo necessario per tamponare la difficile situazione finanziaria e procedere alla realizzazione di quelle riforme di carattere strutturale che ci possono consentire l'equilibrio dei conti e la ripresa di produttività e competitività. Tali misure sono poi necessarie per riprendere il cammino della crescita economica, condizione necessaria per la realizzazione del secondo grande obiettivo di risanamento: la riduzione della percentuale del debito sul PIL e la diminuzione dell'incidenza del costo del servizio del debito. Il governo Monti ha già portato avanti la riforma del sistema pensionistico ed ora bisognerà procedere con determinazione verso quella del lavoro.Tre obiettivi sono urgenti a questo proposito:

 a)L'attacco all'attuale dualismo del mercato del lavoro, riducendo la piaga del precariato con l'approvazione del disegno di legge 1873 presentato dal sen. Ichino ed altri;

 b) la riforma degli ammortizzatori sociali, con lo spostamento delle risorse dalla cassa integrazione verso forme di sostegno al ricollocamento del lavoratore e l'introduzione del reddito di solidarietà attiva per tutti gli esclusi dal lavoro;

c)La riduzione sostanziale del carico fiscale sul lavoro che porterebbe ad un immediato beneficio di reddito per i lavoratori dipendenti ed ad uno stimolo per la domanda aggregata.

Queste misure potrebbero ridare forza soprattutto alle giovani generazioni, che sono il motore della nostra società, e costituire la premessa per l'avvio di una ripresa economica.Il Governo Monti sta già operando per il rilancio della spesa per le infrastrutture, sollecitando il CIPE a dare il via libera alle prime spese per svariati miliardi. La sommatoria di questi investimenti pubblici ed un sostegno maggiore ai redditi più poveri può costituire un primo stimolo allo sviluppo della domanda aggregata e costituire una base di stimolo per gli ulteriori investimenti dei privati. La vera crescita tuttavia è legata a quella di tutta l'Eurozona e necessita dell'introduzione di politiche comunitarie di sviluppo, legate ad un progetto comune e finanziate da appositi strumenti comunitari come gli eurobonds. Per il momento, tuttavia, dovremo fare da soli! La questione lavoro sarà quella principale da affrontare da parte delle forze politiche e sociali con tutti i conflitti e diversità immaginabili. D'altra parte, bisognerà una volta per tutte confrontarsi su questi temi, soprattutto all'interno del mondo sindacale e della " sinistra". Il nostro continua ad essere un mercato del lavoro ingessato, con una rigidità tale per cui si può banalmente affermare che: " chi è dentro è dentro e chi è fuori è fuori". Gli ammortizzatori sociali sono tutti a sostegno dei lavoratori occupati e mancano del tutto nei confronti dei marginali e degli espulsi dal lavoro. In una società moderna, invece, nessuno deve essere escluso ed è necessario assicurare l'adeguata opportunità di mobilità e di formazione che permettano la migliore e piena allocazione delle risorse umane verso gli impieghi più produttivi. Se questo significa rompere il tabù del licenziamento economico: rompiamolo! Il discorso è aperto e da questo dipende molto del nostro futuro.

 

mercoledì 7 dicembre 2011

Ancora sulle prospettive europee

      

            

Mentre la nostra attenzione è concentrata sull'iter d'approvazione delle misure del nuovo Governo Monti.Sui pregi e difetti e sui sacrifici richiesti alle parti sociali, si stanno per decidere a livello Europeo delle questioni ancora più importanti per il nostro futuro. La Germania sta trascinando la Francia verso la richiesta di far partire un euro plus caratterizzato dall'adesione di un possibile ristretto gruppo di Stati disponibili ad accettare delle misure di controllo rigido sia sul deficit pubblico (da mantenere al di sotto del 3%) che del rapporto debito /PIL da riportare rapidamente al 60%. Il tutto con la previsione di sanzioni automatiche e dalla decisione di approvare a livello europeo misure eguali per il mercato del lavoro e il regime di tassazione delle imprese.Riporto il link della lettera spedita dal duo Merkel -Sarkozy Lettera  al Presidente del Consiglio Europeo Van Rompuy.

Risulta evidente come l'impegno alla difesa dei partecipanti al nuovo patto e l'impegno a rispettare i propri impegni di debito è legato alla possibilità d'imporre una politica basata su regole precise che per l'Italia comporterebbero una rinuncia alla sovranità nazionale ed una politica di risanamento che durerà anni per riportare il debito al 60% del PIL. Misure improntate anche ideologicamente al risparmio e sostanzialmente recessive. Non viene indicata la modalità per la crescita a livello europeo per i paesi in difficoltà e per tutta l'Unione. Viene richiesto da più parti una politica espansiva dei consumi da parte dei paesi forti che faccia da traino per tutti. Un sostegno alla domanda aggregata anche con il ricorso ad una dilatazione complessiva del debito europeo e non alla sua contrazione. Quando si stabilisce un piano di ristrutturazione del debito è necessario prevedere anche una " nuova finanza" per consentire ad un'azienda di sopravvivere produrre ed onorare i propri impegni. Questo andrebbe fatto anche a livello europeo. Molte sono le perplessità su questo progetto come quelle  espresse recentemente da Amato e Prodi in un articolo congiunto.

Draghi ha  da parte sua recentemente affermato davanti al Parlamento europeo la  volontà d'intervento a favore dei paesi che aderiranno al patto di controllo del proprio debito; ma, mi sembra che le condizioni siano molto pesanti e vessatorie per chi come noi parte da un rapporto debito /Pil del 120%

Di fronte al rischio di crisi del progetto europeo la strada prospettata richiede la rinuncia alla sovranità senza adeguate garanzie di crescita dell'integrazione politica e democratica dell'Unione e senza un progetto di crescita espansivo che possa contare con chiarezza sulla BCE come prestatore di ultima istanza. Viene detto che il MES sarà partecipato sino all'85% dalla BCE . Quindi solo per chi partecipa al patto? e come si pensa d'intervenire?Si profila un'Europa a due velocità?

Troppi dubbi e troppe ipoteche per risultare convincente ed ottenere la fiducia degli Stati sovrani e dei loro popoli. SE il risultato fosse un'Europa a due velocità quale sarebbe il destino del nostro Paese se non aderisse? Immagino uno spread impazzito ed il rischio di fallimento a meno di una risposta forte a carattere patrimoniale . E se aderisse? Immagino lunghi anni di ristrettezze per il risanamento del debito in tempi forse troppo brevi. Ho l'impressione che questi siano giorni importanti e decisivi

 

 

 

 

 

sabato 3 dicembre 2011

Europa:fra crisi di liquidità e prospettive

 

L'impressione che si ricava dai discorsi dei leaders europei e dalle dichiarazioni della BCE è che vi sia una viva preoccupazione per il grave problema di liquidità che può paralizzare le banche e l'intera Europa; ma, nello stesso tempo, non si voglia abbandonare il concetto di responsabilità nazionale nei confronti del debito. In sostanza, si chiede ad ogni Stato di attuare una politica in grado di sostenere il servizio del debito, di controllare il proprio deficit di bilancio e il rapporto Debito/PIL impegnandosi in una politica europea fiscale comune, con capacità di controllo nei confronti dei devianti.  Contemporaneamente sembra che la strada scelta per ridare liquidità sarà di consentire alla BCE di finanziare a medio termine (due /tre anni) in maniera illimitata le Banche Europee, a fronte di una garanzia prestata dagli Stati sovrani. Questa soluzione avrebbe il vantaggio di dare liquidità al sistema bancario che avrebbe poi il compito di sostenere il debito pubblico del proprio paese senza coinvolgere gli altri membri europei. L'altra possibilità d'azione della BCE sarà quella d'intervenire nel mercato secondario dei titoli di Stato per contenere l'aumento dello spread. Bisognerebbe inoltre che l'EBA modificasse le sue istruzioni circa i criteri per l'appostazione nel bilancio delle Banche dei titoli di Stato al valore di mercato. Questo criterio comporta la contabilizzazione immediata delle perdite connesse alla riduzione del corso del titolo che, invece, a scadenza recupererà per intero il suo valore nominale.Queste istruzioni, improntate ad un'eccessiva prudenza, riducono i mezzi a disposizione delle Banche e ne comportano una ricapitalizzazione che è di difficile realizzazione. Inducono inoltre le Banche a ridurre la quantità dei titoli di stato in portafoglio, che è l'esatto contrario di quello che sarebbe auspicabile. Bisogna che gli organismi politici europei affrontino questa questione. Mentre si sta intervenendo per evitare il default del sistema bancario, rimane presente, in tutta la sua gravità, il possibile default degli Stati sovrani per l'insostenibilità del servizio del debito. C'è da dire che la ritrovata liquidità dovrebbe consentire una riduzione dello spread dei tassi applicati e quindi un miglioramento dei conti pubblici alla voce interessi. Rimane tuttavia piena la responsabilità degli Stati di fronte alla propria situazione finanziaria e diventa essenziale la capacità dei Governi di attuare le politiche più valide per raggiungere le tre parole d'ordine: "Risanamento, crescita, equità.Per molti anni, a partire dall'introduzione della moneta unica, i paesi del Sud Europa hanno beneficiato di una riduzione sostanziosa del livello dei tassi d'interesse dell'euro, trascinati in giù dalla forza economica dei paesi del Nord Europa. L'Italia non ha tuttavia saputo approfittare degli anni di vacche grasse per ridurre significativamente il proprio volume del debito che è servito invece a mascherare i problemi di scarsa produttività e concorrenzialità della nostra struttura produttiva rispetto a quella dei partners europei.E' come se la finanziarizzazione del consumo, attuata nei paesi anglosassoni per sostenere attraverso il credito la domanda interna, fosse avvenuta in Italia ricorrendo al debito pubblico. Questo ha permesso il mantenimento di un sostanziale equilibrio dell'indice d'indebitamento delle famiglie italiane ed il loro relativo benessere, supportato da un crescente indebitamento della finanza pubblica.La forte evasione fiscale, la corruzione e le politiche liberiste applicate anche nel nostro paese hanno poi consentito che la ricchezza complessiva si spostasse in un numero ristretto di persone facendo sì che il 10% delle famiglie possedesse più del 45% della ricchezza netta nazionale. Anche la distribuzione dei redditi e la remunerazione professionale hanno raggiunto livelli abnormi di disuguaglianza se è possibile che alcuni grandi managers possano guadagnare più di 300/400 volte del salario operaio. In un momento in cui la grande crisi finanziaria mondiale ha spostato le proprie insolvenze sul debito degli stati sovrani, che si trovano in obiettiva concorrenza sul mercato dei capitali, è logica conseguenza l'estrema attenzione e selezione degli investitori nel valutare il rischio insito in ogni debito pubblico pretendendo un'adeguata remunerazione. Non dobbiamo pertanto stupirci se il nostro debito subisce l'innalzamento dello spread rispetto al Bund tedesco quanto meravigliarci che non sia accaduto prima. E' probabile che questa differenza sia eccessiva e si possa ridimensionare a patto che il nostro Paese dia forti segnali verso la stabilità del volume del debito, il suo progressivo risanamento e la ripresa di produttività del sistema. Recentemente P. Krugman, nel commentare le problematiche dell'euro, rilevava come fosse quasi scontato che sarebbe arrivato un momento in cui si sarebbe dovuto necessariamente riequilibrare il divario fra i paesi meridionali dell'area europea con quelli del nord. La soluzione ideale secondo Krugman è che mentre si ridimensiona il livello di salari e dei prezzi delle aree del Sud avvenga l'esatto contrario in quelli del Nord dando una spinta espansiva all'intera economia europea. Sembra invece che il richiamo al rigore generale non sia accompagnato da politiche espansive e pertanto l'Europa rischi un lungo processo di stagnazione. La richiesta del pareggio di bilancio da parte dei singoli Stati membri, oggi tanto criticata dai commentatori più a sinistra, sembra invece condizione essenziale perché, in assenza di un bilancio unitario, gli stati più virtuosi possano accettare di mettere in atto politiche monetarie a sostegno della liquidità del sistema. Dovrebbe poi essere l'Europa nel suo complesso ad attuare una politica keynesiana d'espansione della domanda trainata da investimenti di grande impatto finanziati dall'allargamento del debito europeo (con emissione di eurobonds allo scopo da parte di un organismo comunitario e con il ruolo della BCE come prestatore d'ultima istanza) senza che tutto questo possa definirsi come un azzardo morale.In assenza di un piano europeo articolato per la crescita, il risanamento e l'equità, l'Italia dovrà fare da sola. Il destino di cadere e restare in una lunga recessione non è inevitabile, come non è un dogma che sia necessario inevitabilmente ricorrere al deficit di bilancio per finanziare la crescita, perché il costo sarebbe probabilmente insostenibile. Nella nostra situazione dovrà essere invece, come auspica il Presidente Napolitano, la forza morale della collaborazione, la condivisione delle ricchezze presenti, del sacrificio e del lavoro ad operare un nuovo miracolo italiano.Quando potremo guardare ai mercati ed ai nostri partners europei in condizioni di parità, solo allora potremo porci il problema di valutare se il progetto europeo abbia ancora un senso ed a quali condizioni.

http://maredelsud.ilcannocchiale.it