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domenica 17 febbraio 2013

Programmazione dei fondi UE per la Coesione

 

Nell'ambito dell'utilizzo dei fondi europei, va sottolineata l'efficacia dell'azione svolta dal Ministro per la Coesione Territoriale, Fabrizio Barca. Tale azione ha consentito la spesa, nell'ultimo anno, di circa nove miliardi di euro del pacchetto stanziato per il nostro Paese, per il periodo 2007-2013, che altrimenti correvano il rischio di essere decurtati.

L'efficacia dell'azione del Ministro, e dei Dipartimenti di cui si avvale, insieme alla forte azione  governativa in ambito europeo hanno sicuramente influito positivamente sulle decisioni relative alla nuova dotazione di risorse stabilite a favore del nostro Paese, in un momento in cui, invece, si è proceduto ad un generale ridimensionamento degli stanziamenti. L'accordo politico raggiunto l'8 febbraio 2013 dal Consiglio europeo in merito al Bilancio 2014-2020, che dovrà quanto prima essere ratificato dal Parlamento Europeo, offre comunque una prima    importante informazione su quelle che sono state le decisioni ipotizzate e rappresentano una prima base di riferimento per l'avvio di una programmazione dei fondi per la politica di coesione. L'accordo prevede che, nell'ambito della Politica di Coesione UE, le allocazioni, per il periodo 2014-2020, destinate al nostro Paese ammontino a 29,6 miliardi d'euro (valori prezzi 2011). Di questi, 20,5 sono destinati alle Regioni meno sviluppate (Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia), 1,0 alle Regioni in transizione (Abruzzo, Molise e Sardegna) e 7,0 alle regioni più sviluppate.

In uno scenario europeo, caratterizzato dalla riduzione dei fondi totali per la coesione di ca. l'8%, l'Italia è riuscita ad assicurarsi un pur lieve incremento: dai 29,4 miliardi di euro del 2007-2013 ai circa 29,6 del prossimo periodo (entrambi a prezzi 2011).

Partendo da queste informazioni, lo staff del Ministro ha già prodotto un documento dal titolo" Metodi e obiettivi per un uso efficace dei fondi comunitari 2014-2020"   con l'obiettivo di avviare immediatamente, insieme con tutte le parti istituzionali, economiche e sociali, il lavoro di programmazione dei fondi. Non si può certamente sottovalutare la delicatezza del momento politico; pur tuttavia, questo lavoro rappresenta una base di partenza utilissima per chi dovrà operare in questo ambito.

La parte più interessante è costituita dalla proposta dell'introduzione di sette innovazioni metodologiche, di elevata rilevanza politica, e dall'individuazione di alcuni indirizzi strategici.Tali innovazioni, descritte nel documento, partono da un'analisi del perdurare delle problematicità dello sviluppo legate ad un difetto della volontà politica da parte delle classi dirigenti di quelle aree e della presente azione di disturbo della malavita organizzata.

In tal senso il documento afferma: "Esiste un crescente consenso nell'interpretare le "trappole del non-sviluppo" – sia attorno a equilibri di arretratezza, come nel Mezzogiorno, sia attorno a un blocco della produttività, come nel Centro-Nord –quale risultato di scelte consapevoli delle classi dirigenti locali e nazionali. " In tal caso " l'azione pubblica per la coesione, nel mirare a creare per tutti i cittadini opportunità di vita, lavoro e impresa che dipendano il meno possibile dalle condizioni e luogo di nascita, deve destabilizzare queste trappole del non-sviluppo, evitando di fare affluire i fondi nelle mani di chi è responsabile dell'arretratezza e della conservazione. Aprendo invece varchi per gli innovatori sia nei beni pubblici che produce, sia nel modo in cui li produce. Le innovazioni di metodo proposte sono rivolte ad aprire tali varchi. Ecco perché il "come spendere" è così rilevante"

Le sette innovazioni generali di metodo proposte dal documento sulla base di queste considerazioni configurano un sistema di valutazione pubblica aperta e possono essere così riassunte:

 

1)      Risultati attesi.( nella programmazione operativa gli obiettivi saranno definiti sotto forma di risultati attesi con indicatori opportuni di misurazioni e target da raggiungere)

2)      Azioni. ( indicazione delle azioni utili per conseguire i risultati)

3)      Tempi previsti e sorvegliati.

4)      Apertura. Trasparenza e apertura delle informazioni e rafforzamento delle possibilità di mobilitazione dei soggetti interessati.

5)      Partenariato mobilitato. Coinvolgendo nella "valutazione pubblica aperta", oltre alle parti economiche e sociali, tutti i soggetti potenzialmente influenzati o che alle azioni possano dare un contributo di conoscenza

6)      Valutazione di impatto.

7)      Forte presidio nazionale.

 

Questa nuova metodologia deve essere coniugata da un lato con le undici aree tematiche individuate dall'Unione Europea (1. - Rafforzare la ricerca, lo sviluppo tecnologico e l'innovazione, 2.- Migliorare l'accesso alle tecnologie dell'informazione 3- Promuovere la competitività delle piccole e medie imprese, il settore agricolo e il settore della pesca e dell'acquicoltura 4- Sostenere la transizione verso un'economia a basse emissioni di carbonio 5- Promuovere l'adattamento al cambiamento climatico, prevenzione e la gestione dei rischi 6 - Tutelare l'ambiente e l'uso efficiente delle risorse 7- Promuovere sistemi di trasporto sostenibili e eliminare le strozzature delle principali infrastrutture di rete 8- Promuovere l'occupazione e sostenere la mobilità dei lavoratori 9- Promuovere l'inclusione sociale e combattere la povertà 10- Investire nelle competenze, nell'istruzione e nell'apprendimento permanente 11- Rafforzare la capacità istituzionale e promuovere un'amministrazione pubblica efficiente) e dall'altro con le tre opzioni strategiche individuate nell'ambito del lavoro straordinario di rilancio del programma 2007-2013 e dal Piano Azione Coesione e suggerite dal dibattito europeo e nazionale. Tali opzioni riguardano: Mezzogiorno, Città, Aree interne. In particolare per il Mezzogiorno, nell'ambito delle programmazione delle risorse, è indispensabile tenere conto dei due deficit che caratterizzano l'area in modo diffuso: a) un deficit di cittadinanza, che va dalla sicurezza personale, alla legalità, all'istruzione ecc. b)- un deficit di attività produttiva privata, di tipo industriale", stante ad indicare non tanto il settore ma il metodo di produzione organizzato e a forte contenuto innovativo, che può dare risposte alla necessità di aumento dell'occupazione.

 

Sulla base di queste importanti premesse il documento procede quindi in modo sistematico nell'applicazione della metodologia proposta per ogni piano d'intervento, definendo pertanto gli obiettivi, i loro indicatori di misurazione, i tempi di realizzazione, le azioni da intraprendere ecc ecc..

Sembra un metodo di lavoro proficuo e che invita ad esprimersi nel merito delle problematiche e delle misure proposte per realizzare, in tempi ragionati e verificabili, le migliori soluzioni possibili.  Forse, se c'è un appunto che può essere sollevato, nell'intento di migliorare ulteriormente l'approccio, è quello di tentare di sintetizzare ulteriormente i piani d'intervento ed, al loro interno, gli obiettivi prefissati, per cercare di non disperdere troppo l'efficacia delle risorse utilizzate. I fondi a disposizione sono sicuramente non trascurabili; ma, la loro efficacia sarebbe ancora maggiore se si riuscisse a concentrarne l'utilizzo su pochi ed importanti piani d'intervento, sintetizzando al loro interno le undici aree tematiche europee. 

 

 

 

 

 

sabato 2 febbraio 2013

Banche e sistema delle imprese

 

 

Una delle principali condizioni necessarie per il rilancio della crescita del nostro sistema economico è costituita da un più facile accesso al credito da parte delle imprese, ad un costo sostenibile.

E' invece diffusa la sensazione del progressivo irrigidimento del settore bancario nei confronti della disponibilità alla concessione dei finanziamenti se non addirittura al mantenimento di quelli in essere. Si ha, infatti, l'esperienza di un progressivo orientamento alla riduzione del profilo del rischio realizzabile sia attraverso l'ottenimento di maggiori garanzie sia con lo spostamento dei finanziamenti verso le forme auto-liquidabili.

D'altra parte, la stessa affidabilità delle imprese si è progressivamente deteriorata. Non solo assistiamo ad una generale riduzione del volume dei ricavi; ma, peggiorano anche gli indici di redditività e gli indicatori dell'equilibrio finanziario interno.

Secondo dati forniti dalla Banca d'Italia, il margine operativo lordo (MOL) in rapporto al valore aggiunto è sceso mediamente al 32,2 per cento. La minore   redditività lorda fa sì che dopo avere sostenuto i costi interni e finanziari, solo una minima parte delle imprese riesca,   nel 2012, a conseguire un risultato positivo. Si riduce pertanto, in maniera forte, la capacità d'autofinanziamento del sistema imprenditoriale. In questo quadro negativo, gli unici segnali di miglioramento sono arrivati   dalla ripresa degli ordinativi legati alla domanda estera.

Alla minore disponibilità del sistema bancario a concedere finanziamenti, per motivi legati al proprio equilibrio patrimoniale, si è aggiunta una riduzione della domanda di finanziamenti delle imprese, a causa dell'indebolimento complessivo dell'attività economica. Il risultato è stato una riduzione complessiva del volume dei prestiti bancari erogati.

Dal punto di vista dell'equilibrio delle aziende, il peggioramento della loro capacità finanziaria ha comportato anche un allungamento generale dei tempi di pagamento nel sistema, con conseguente aumento degli oneri finanziari   connessi al costo dei finanziamenti necessari a coprire i ritardati incassi. Anche il ritardo dei pagamenti dell'amministrazione pubblica ha acuito questa tendenza. L'incremento del costo del debito ha infine contribuito alla riduzione complessiva dei margini economici realizzati dalle imprese.

Le vicende, legate all'andamento dello spread dei titoli pubblici italiani rispetto a quelli tedeschi, hanno pesantemente influito sul costo dei finanziamenti alle imprese ed ai privati   e solo negli ultimi mesi stiamo assistendo ad un miglioramento complessivo della situazione. Sin dal 2010 le tensioni presenti sui titoli di stato hanno influito sulle condizioni della raccolta sui mercati delle Banche Italiane, con conseguente peggioramento dei costi dei finanziamenti per le imprese ed i privati. Il peggioramento dello spread si trasferisce nei mesi successivi in aumento dei tassi sui nuovi depositi a scadenza e sulle operazioni di pronti contro termine, oltre che sulle obbligazioni emesse dalle banche per finanziarsi. La trasmissione del peggioramento dello spread dei titoli pubblici sul costo dei finanziamenti bancari segue vari percorsi, quali l'esposizione diretta delle banche nei confronti del settore pubblico, l'utilizzo dei titoli pubblici come collaterale nei mercati della provvista all'ingrosso, il legame fra rating sovrano e rating bancari.

Il miglioramento, registratosi nell'ultimo periodo, del differenziale fra i titoli decennali italiani e quelli tedeschi   ha avuto ripercussioni positive anche sulla situazione patrimoniale del sistema bancario.  Il valore dei titoli pubblici italiani a medio e a lungo termine di proprietà delle banche è, infatti, attualmente superiore del 2,5 per cento rispetto a quello di settembre dello scorso anno, data di riferimento per determinare il buffer di capitale richiesto dall'European Banking Authority (EBA) al fine di fronteggiare le potenziali perdite sul portafoglio sovrano valutato al valore di mercato.

Nel frattempo, la maggior parte delle banche ha rafforzato la propria dotazione patrimoniale, sia con operazioni d'aumento di capitale, sia con una maggiore capacità d'autofinanziamento rispetto all'anno precedente, sia con la ricomposizione del proprio portafoglio verso attività con profilo di rischio più attenuato. A giugno del 2012 il patrimonio di migliore qualità dei 14 gruppi (core tier 1) aveva raggiunto, in media, il 10,2 per cento delle attività ponderate per il rischio (dall'8,8 del dicembre del 2011). I coefficienti relativi al patrimonio di base (tier 1 ratio) e complessivo (total capital ratio) erano pari, rispettivamente, al 10,8 e al 13,8 per cento.

Pur in presenza di un quadro di relativo miglioramento, la situazione rimane ancora tesa e il peggioramento del profilo di rischio delle imprese rappresenta un ulteriore deterrente verso l'aumento complessivo dell'erogazione dei finanziamenti. In questo quadro è stato oltremodo utile l'azione di sostegno realizzata dal Governo con il Fondo di garanzia per le PMI.  Nei primi sette mesi del 2012 le domande di finanziamento accolte dal Fondo sono state pari a 4,7 miliardi di euro con rilascio di garanzie relative per ca. 2,3 miliardi.

Un cambiamento del ruolo della Cassa Depositi e Prestiti   all'interno del sistema economico  italiano,  inteso come quello di un grande polmone finanziario teso al sostegno degli investimenti,  sarebbe  auspicabile.

In questa situazione generale, estremamente delicata, le recenti notizie legate alla vicenda Monte Paschi di Siena hanno ulteriormente concentrato l'attenzione su questo settore determinante per lo sviluppo economico del Paese. In particolare, le domande più inquietanti riguardano due aspetti: a) rapporto fra sistema bancario e sistema politico b) l'effetto sui bilanci societari delle operazioni su derivati.

In questa sede non vogliamo addentrarci nei risvolti di questa vicenda ma prenderne spunto per una riflessione sugli aspetti suesposti.  La prima questione riguarda il ruolo delle Fondazioni all'interno della gestione societaria delle Banche. Nel nostro sistema il loro ruolo è importante e ha sostituito la presenza diretta dello Stato nella proprietà delle principali banche italiane. Le Fondazioni dovevano idealmente rappresentare e garantire un ruolo sociale delle banche anche in regime privatistico. La presenza delle Fondazioni avrebbe assicurato, grazie al legame con il territorio, automaticamente questo risultato. Abbiamo visto come questa interpretazione abbia lasciato a desiderare e che, nei fatti, "la politica", tramite le istituzioni locali, si è impadronita delle Fondazioni e tramite esse ha fornito alle banche un personale manageriale sensibile alle esigenze dei gruppi politici di riferimento. In questa situazione, inoltre, si è in qualche modo lasciato a questi manager ed ai gruppi dirigenziali ampia delega operativa. E' evidente che qualcosa va cambiato. Sarebbe auspicabile che le Fondazioni riducessero ulteriormente la loro partecipazione nella proprietà delle Banche ed utilizzassero le proprie risorse a sostegno di possibili attività nel territorio. Il loro disimpegno darebbe spazio all'ingresso di nuovi capitali e nuovi soggetti italiani ed esteri all'interno del nostro sistema bancario, probabilmente rafforzandolo e sviluppando un maggior controllo interno sull'operatività della dirigenza operativa.La seconda questione, su cui vale la pena di soffermare maggiormente l'attenzione, è quella costituita dalla possibilità   che le banche di credito ordinario effettuino operazioni di carattere speculativo che possano mettere a repentaglio la propria solidità finanziaria e di conseguenza i risparmi dei depositanti e le attività della clientela. Non ci stancheremo mai di sottolineare come sia assolutamente necessario ripristinare quella separazione fra banche d'investimento e commerciali decisa, tanti anni fa, durante la "grande depressione".  Negli Stati Uniti questo è stato già fatto tramite la "Volker's rule". Nel Regno Unito è stata introdotta una separazione delle attività, anche se all'interno della stessa struttura giuridica, e la misura sembra poco efficace.Il resto dell'Europa  è in grave ritardo ed anzi la proposta della commissione Liikanen, che aveva raccomandato  la separazione tra attività di investimento e attività tradizionali, è stata ignorata. La maggiore obiezione alla separazione fra banche commerciali e d'investimento sembra essere quella che una siffatta operazione indebolirebbe il patrimonio responsabile delle banche commerciali riducendone la capacità di credito all'economia.Il rischio tuttavia è troppo forte per mantenere questa situazione e  piuttosto sarebbe  di gran lunga preferibile  che invece si ritornasse indietro sull'eccesso di prudenza  voluta dall'EBA  sul tema della valutazione dei titoli di Stato nell'attivo delle Banche. I titoli vanno indicati al loro valore nominale e non di mercato. La perdita si realizza solo nel momento della possibile vendita prima della scadenza e francamente una scelta di questo tipo sarebbe deprecabile vista la possibilità di metterli a garanzia dei prestiti ottenibili dalla BCE. Assumiamoci quindi il rischio del possibile default degli stati nazionali. E' un rischio che può essere affrontato insieme e su cui l'Europa nel suo complesso sta già dando ampie assicurazioni sia con la nascita del Fondo salva stati che con la disponibilità all'acquisto illimitato di titoli pubblici della BCE sul mercato secondario.  Le banche commerciali devono ritornare ad essere il tramite fra il risparmio ed il sistema produttivo. La loro solidità non può essere compromessa dalla compresenza di un'attività speculativa fine a se stessa e tesa unicamente all'arricchimento della  Banca. I rischi connessi a queste attività si sono moltiplicati con l'utilizzo delle operazioni di derivati che  hanno letteralmente moltiplicato i rischi ma anche le opportunità di guadagno. Il mondo dei derivati  ha invaso il mercato partendo dalla necessità di assicurare i rischi connessi al corso di un titolo, del cambio, del tasso  o sull'andamento di un indice; ma, staccandosi gradualmente dalle operazioni sottostanti, ha creato un mercato esclusivamente speculativo che si auto-sviluppa  perché non costituisce solo un'occasione di guadagno per il cliente ma anche per l'intermediario. Per mitigare questo eccesso strutturale ed il rischio sistemico connesso, sarebbe opportuno recepire le indicazioni suggerite   a suo tempo dal Financial Stability Board  che indicava la necessità di una standardizzazione dei prodotti derivati. Aggiungerei specificamente  la necessità  che queste operazioni  dovrebbero essere obbligatoriamente collegate ad un'operazione sottostante di propria pertinenza che si intende coprire. Il valore nozionale del derivato non dovrebbe inoltre poter superare quello dell'operazione sottostante che garantisce. Un altro aspetto da colpire è costituito dall'eccessiva remuneratività di queste operazioni per gli intermediari bancari. Sarebbe opportuno,  a tal fine, introdurre  una tassazione secca del 30% sugli utili attualizzati che le banche realizzano sui contratti derivati sottoscritti dalla clientela.