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domenica 10 novembre 2013

BCE e credito alle imprese

 

 

La recente misura, di riduzione del costo del denaro allo 0,25%, stabilita dalla Banca Centrale Europea   è stata vista con generale consenso da parte di tutti gli osservatori. E' il livello più basso, mai attuato in ambito europeo, e testimonia la volontà della BCE di tentare, in ogni modo, di dare una spinta alla crescita, spezzando le prospettive di una sostanziale stagnazione del sistema economico.

Dopo le precedenti manovre LTRO,   è possibile che questa misura sia preparativa di una nuova operazione che tenti di arrivare questa volta al finanziamento delle imprese.

Il sistema bancario, ed in special modo quello dei paesi del Sud Europa, ha, infatti, poco utilizzato le passate operazioni per allargare il credito alle imprese; utilizzandolo, al contrario, da una parte per intervenire in aiuto della collocazione del debito pubblico dei singoli Stati nazionali e dall'altro per tamponare i propri problemi d'immediata liquidità, riducendo il costo della provvista.

Il mercato interbancario è ancora  troppo condizionato dal rischio Paese ed il  Credit Default Swap  delle Banche  del Sud Europa  condiziona fortemente il loro costo della provvista.

L'alto livello di rischiosità dei finanziamenti, legato alla difficoltà generale del quadro economico, scoraggia poi l'erogazione del credito, con un ulteriore effetto depressivo sull'attività delle imprese

Tre problemi   si pongono quindi perché il sistema bancario  ritorni a svolgere un ruolo di grande polmone del credito e quindi della ripresa economica  dell'area:

 

1)    il prezzo della provvista;

2)     il problema della consistenza patrimoniale e dell'adeguato rapporto fra volume complessivo dei prestiti   e la riserva d'obbligo prevista sia dai criteri di Basilea che dall'EBA;

3)    rischiosità del prestito, all'interno di un  quadro di riferimento economico difficile, e obbligo di allargare i criteri di concessione (ad esempio anche in presenza di perdita  economica dell'esercizio precedente), tendendo conto dell'obiettivo del rafforzamento dell'equilibrio finanziario delle imprese

 

La possibile decisione di una nuova operazione di finanziamento della BCE al sistema bancario, a tassi ulteriormente ridotti  e finalizzato al prestito alle imprese,  può essere importante per aggirare il problema complessivo del costo della provvista;  ma; perché questo  costo ridotto possa arrivare sino al finanziamento dell'impresa e del consumo, è necessario che la Banca  possa  avere quei parametri patrimoniali che le consentano di operare.

Pensare di sottostare ai tempi di una progressiva patrimonializzazione, avrebbe dei tempi troppo lunghi per essere efficaci.

La strada alternativa può essere quella di combinare il prestito della BCE al sistema bancario a quello, ben maggiore,  nei confronti di un organismo europeo  in grado a suo volta di erogare direttamente il credito alle imprese: La Banca Europea degli Investimenti.

La stessa, oltre a ricevere direttamente un prestito  dalla BCE, dovrebbe a sua volta godere di un'adeguata ricapitalizzazione da parte del bilancio europeo  per consentirle di assumere i rischi d'insolvenza legati alla concessione del credito.

Prendendo ad esempio le modalità dell'ultima operatività della legge 488 in Italia, con le modifiche suggerite dall'allora ministro Tremonti, si potrebbe ipotizzare che, fatto cento l'ammontare complessivo del finanziamento da concedere ad un'impresa di un qualsiasi Paese europeo,  il 60% venga erogato direttamente dalla BEI, al tasso agevolato concesso dalla BCE più lo 0,25%, condizionato   all'erogazione d'ulteriore  finanziamento concesso in proprio dalla Banca a cui il cliente finale si è rivolto, per il rimanente 40%.

Tale Banca agirebbe pertanto  come valutatore complessivo del cliente ma avrebbe a proprio carico solo  il rischio relativo alla  parte del finanziamento erogato. Potrebbe  utilizzare inoltre  il prestito messole a disposizione dalla BCE a tasso particolare.A fronte di tale utilizzo, la Banca  avrebbe  l'obbligo di applicare uno scarto a proprio favore compreso fra lo 0,50%. e il 2%, in base alla rischiosità del cliente

Dal punto di vista patrimoniale questo 40%, a rischio pieno della Banca, potrebbe essere ridotto ulteriormente con l'intervento  ad esempio di Fondi di garanzia messi a disposizione dai singoli Stati nazionali. Tale intervento ridurrebbe la necessità della riserva d'obbligo, in quanto il rischio coperto dal  suddetto Fondo di garanzia  verrebbe conteggiato a valore zero.

Ipotizzando ad esempio un intervento del 50% di un Fondo di  garanzia, il rischio a carico della Banca sul finanziamento, posto 100, che arriva all'impresa, sommando quello della BEI più quello della stessa Banca, sarebbe in realtà del 20%.

A fronte di questo ammontare, la riserva d'obbligo necessaria non supererebbe prudenzialmente in ogni caso il 15%.

In sostanza, l'impegno del patrimonio della banca  del singolo Stato nazionale, a fronte di un finanziamento complessivo per un'impresa pari a 100, sarebbe di ca. il 3%.

Presumibilmente l'impegno reale finanziario per il singolo Stato nazionale, a fronte del possibile rischio d'insolvenza dell'operazione garantita, potrebbe ammontare allo stesso 3%.

Se ipotizzassimo pertanto un operazione di complessivi mille miliardi  il peso sui diversi Stati nazionali dell'area euro ammonterebbe a complessivi ca. 30 miliardi.

Lo stesso potrebbe essere considerato in termini di patrimonializzazione per il sistema bancario;  mentre, il peso più grosso  andrebbe a carico della BEI. Anche in questo caso,  considerato un necessario incremento del patrimonio responsabile pari al 15%  del rischio a carico, l'intervento  a carico del bilancio comunitario sarebbe di  ca. 105 miliardi,  che porrebbero essere recuperati   attraverso un'adeguata rimodulazione  dei fondi stanziati. 

E' una strada possibile? Noi pensiamo di si,  Anche se non semplice e priva di difficoltà e di possibile resistenze. Soprattutto, consentirebbe all'intero quadro economico europeo di ritornare ad usufruire di una spinta propulsiva da parte del credito  per l'investimento, oggi paralizzato dai problemi suesposti.

La ripresa della domanda aggregata  sospinta in primo luogo dagl'investimenti produttivi e quindi dall'occupazione conseguente e dalla ripresa dei consumi  potrebbe spezzare il circolo vizioso in cui siamo entrati. Tutto ciò è realizzabile con l'impegno di tutti ed avrebbe  il pregio di non prescindere dall'assunzione del rischio e della responsabilità da parte d'ogni singolo attore del processo.

 

 

 

venerdì 1 novembre 2013

Alcune questioni del dibattito politico

 

 

Quando, in una qualsiasi situazione, la classe dirigente perde la sua autorevolezza, si crea, inevitabilmente, un vuoto di potere e di proposta. Spesso, non è che, a questo punto, all'interno della popolazione e nel dibattito politico si presentino solamente soluzioni ragionevoli, volte al superamento dei problemi comuni; al contrario, quello che accade spesso è la perdita del senso dell'appartenenza ad una stessa comunità e l'arroccamento in un corporativismo antagonista.

 L'un contro l'altro armati, con un atteggiamento sostanzialmente persecutorio.

Nessuna capacità di crescita a partire dall'individuazione e superamento dei limiti della comune organizzazione sociale; bensì, l'individuazione, di volta in volta, delle persone o delle situazioni responsabili del nostro malessere. In tutto questo, spesso vengono individuati problemi reali; ma, quello che tende ad essere disconosciuto è il patto sociale all'interno di cui muoversi. Non a caso, ogni giorno vediamo, da parti anche diverse e su posizioni contraddittorie, il continuo richiamo al cambiamento della Costituzione. Vale a dire del patto fondativo della nostra comunità. Le tavole della legge, direbbe Mosè agli adoratori del " vitello d'oro".-

In base a quale nuova immagine comunitaria, condivisa si dovrebbe procedere a questa modifica?

E' del tutto evidente che il progetto di una nuova comunità, i cui valori fondanti siano comunemente condivisi, è totalmente assente e diventa pericoloso, oltre che fuorviante, pensare che, attraverso un'accelerazione del cambiamento costituzionale, si possano risolvere problemi come il rapporto fra cittadini ed Istituzioni o l'individuazione di nuovi principi di cittadinanza.

Il dibattito invece rischia di scivolare allegramente verso il superamento dello Stato di diritto e dei principi che garantiscono le minoranze; oltre che   tutti coloro che sono individuati come responsabili d'ogni problema dal delirio d'onnipotenza della maggioranza.

D'altra parte è tuttavia vero che i problemi del nostro paese si aggravano, l'azione del Governo appare indecisa ed insufficiente, condizionata com'è dalle diverse appartenenze.

Non si riesce a trovare l'accordo su quella che era stata indicata da Napolitano come una delle prime riforme d'attuare: quella elettorale. Riforma necessaria per garantire la governabilità e la scelta del personale politico da parte degli elettori. In assenza, il pericolo del ritorno alle urne è che questo avvenga riproponendo l'attuale situazione d'ingovernabilità e continui a concedere alla classe dirigente dei partiti la possibilità di scegliere i candidati, operando un forte condizionamento sugli stessi.

La riforma tarda a materializzarsi; ma, nel frattempo. di fronte alle difficoltà del Governo a trovare i mezzi finanziari per attuare politiche efficaci, il dibattito si sta indirizzando con larghi consensi da  più parti politiche verso due questioni che mi sembrano fuorvianti.:

a)      utilizzo della possibile dismissione del patrimonio pubblico per finanziare  le manovre economiche

b)       condanna delle pensioni " retributive" indicate come responsabili di una voragine nei conti dello Stato e proposta di una revisione della materia  anche col possibile superamento d'eccezioni d'incostituzionalità.

 

Sul primo punto, presente sia all'interno dell'azione del Governo che nelle dichiarazioni di diverse personalità politiche come Renzi, il dissenso nasce dall'utilizzare la riduzione di un'attività patrimoniale non per  abbattere contemporaneamente  il passivo e cioè il debito pubblico ma per fare cassa da utilizzare in conto economico. Questo è un principio finanziario utilizzabile solo nel caso in cui fosse presente un'eccedenza dell'attivo  immobilizzato rispetto al passivo consolidato. Non è il caso Italiano. In questo caso  l'utilizzo della dismissione del patrimonio pubblico  per fare cassa sarebbe un vero e proprio depauperamento. Il patrimonio pubblico va invece utilizzato per ridurre rapidamente il più possibile dello stock del debito ottenendo maggiori disponibilità economiche correnti grazie al risparmio sui relativi costi finanziari. Si può immaginare  una dismissione immediata, ad esempio, delle case popolari, dandole in opzione agli attuali occupanti  e facilitandoli con mutui della CDP con un  costo pari a quello della raccolta e data quarantennale.Si potrebbero utilizzare immobili, con caratteristiche compatibili,  per trasformarli in ulteriori alloggi da destinare alla vendita. Si potrebbero dare ampi poteri,  per la modifica della destinazione d'uso e la ristrutturazione, ad una società di gestione creata  con lo scopo di valorizzare e vendere il patrimonio pubblico, consentendo  l'ingresso azionario anche ai privati.

Per quanto invece riguarda il secondo punto, c'è da dire che la scoperta dell'insostenibilità del sistema di pensioni retributivo non è una cosa odierna, ma rappresenta la motivazione  che sta alla base di tutte le modifiche di legge apportate, fino all'ultima realizzata da Elsa Fornero. Trattandosi di un terreno delicato e che coinvolge la vita e le aspettative di milioni di persone, il passaggio e la riforma sono state  graduali. Questa scelta è nata dal dovuto rispetto verso diritti consolidati e per il fatto di dover agire in corso d'opera  su persone che potevano aver preso impegni e programmato la propria vita sulla base di quanto era stato stabilito dalle leggi dello Stato. Il criterio seguito fu di prendere come base per il calcolo della pensione  l'anzianità contributiva maturata  alla data del 31/12/1995.
 Da quel momento, la pensione viene  calcolata con il sistema di calcolo contributivo per i lavoratori privi di anzianità al 31/12/1995 (e per coloro che esercitarono la facoltà di opzione al sistema di calcolo contributivo) mentre  viene calcolata con il sistema retributivo per tutti coloro che a quella data avevano maturato almeno 18 anni.Dal 1° gennaio 2012, anche a  questi ultimi lavoratori verrà applicato il sistema di calcolo contributivo sulla quota di pensione corrispondente alle anzianità contributive maturate a decorrere dal 1° gennaio 2012. La riforma Fornero, intervenendo anche  con lo spostamento  in avanti  nel tempo dei requisiti per l'entrata in pensione, ha permesso all'Italia di raggiungere una delle sostenibilità migliori del sistema pensionistico all'interno del quadro  europeo.

Quando nel dibattito pubblico,  da Renzi a Civati fino alla Meloni o ad altri esponenti di tutte le correnti politiche,  si critica il privilegio e l'anomalia del sistema pensionistico retributivo,  come se se ne capisse improvvisamente l'insostenibilità; mi sembra che si faccia un 'operazione almeno ritardata di qualche anno. Se si entra nel merito della spesa, è vero che esiste una differenza fra la somma dei contributi versati e i corrispettivi prevedibili che si andranno a corrispondere. E' vero ancora che tutto questo andrà inevitabilmente a carico della fiscalità generale . La questione è tuttavia  parte   delle problematiche presenti nel nostro quadro di riferimento come gli eccessivi costi della politica, la presenza di stipendi  dirigenziali che hanno raggiunto livelli eccessivi  rispetto  al salario operaio ecc ecc. Quello che tuttavia non è fattibile è ritenere di poter procedere senza tener presente la certezza del diritto . E' auspicabile una riqualificazione della spesa pubblica  verso il sostegno delle parti più deboli; ma, bisogna procedere in modo da tenere presente la vita delle persone , i loro impegni e le leggi che ne hanno regolato e ne regolano le attività.In questo senso  perché mai è meno onerosa per la comunità una pensione retributiva rispetto allo stipendio di un magistrato o di un senatore? Qualcuno di noi potrebbe mai desiderare la riduzione dello stipendio di un lavoratore a tempo indeterminato che ha raggiunto un'anzianità di lavoro significativa? No! Il metodo da seguire è diverso e si può realizzare  cristallizzando  la sua retribuzione  , riservandola "ad personam" e riducendo la retribuzione della mansione  a partire dai nuovi addetti .Allo stesso  tempo sarebbe  bene   imputare all'assegno ad personam tutti gli eventuali scatti di carriera e promozioni che si dovessero ottenere da quel momento in poi   fino alla concorrenza dell'importo usufruito. Il problema delle pensioni e degli stipendi d'oro non può poi essere risolto con provvedimenti limitati ad una sola categoria,  privi della necessaria eguaglianza di fronte alla legge , in flagranza di retroattività e sostanzialmente incostituzionali.

No! Semmai, l'unica strada possibile da seguire è quella di chiedere  a tutte le retribuzioni elevate un maggior sacrificio fiscale attraverso un'aumento della progressività dell'imposizione. Tutte le persone con un reddito elevato  comincino a pagare, per la parte eccedente i 75.000 euro, il 60% di aliquota  IRPEF. Il tutto, a parità del peso dell'imposizione fiscale complessiva sul PIL, permetterebbe un trasferimento di risorse di oltre sei mld a favore del lavoro e dell'impresa. In particolare, permetterebbe un'adeguata riduzione del cuneo fiscale per le aziende, aumentandone la competitività complessiva  e consentendo quindi di poter recuperare posizioni sia sul mercato estero che nazionale, facendo ripartire  gli investimenti e l'occupazione . Non è poco e soprattutto sarebbe realizzato all'insegna dell'equità.