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giovedì 27 febbraio 2014

Svalutazione interna e crisi economica

Non si può negare che l'Italia abbia un problema di competitività del suo sistema economico.

In questo momento di relativa stagnazione, vi è un relativo equilibrio della bilancia commerciale, che risulta addirittura positiva; tuttavia, tutti fanno notare che permangono almeno due problemi:

a)      le nostre quote di mercato in alcune aree estere si riducono

b)      la flessione della domanda interna ha ridotto il livello delle importazioni . Cosa succederebbe in caso di ripresa?  Siamo cioè in grado, internamente, di essere competitivi rispetto ai prodotti d'importazione?

 

Da dove nasce questo problema? Cosa ci pone in relativa difficoltà, nel rapporto qualità prezzo, rispetto ai nostri concorrenti?

Su quali settori questo accadde?

 

Se andiamo a vedere i dati della nostra bilancia commerciale ci accorgiamo che uno degli aspetti più significativi è quello rappresentato dalla crisi del settore automobilistico e dalla dipendenza assoluta dall'estero per tutto quello che riguarda i prodotti e i consumi del mondo digitale , telefonia, computers ecc. ecc. Siamo quasi assenti nel settore elettrodomestici (molte delocalizzazioni) mentre i punti forza sono nel farmaceutico, macchinari , il cosiddetto made in Italy e nel settore alimentare .

Perché ci siamo fatti sfuggire questa realtà nel corso degli anni?

Come è avvenuto il crollo del percorso dell'Olivetti? Come è successo che abbiamo assistito così tranquillamente alla perdita quasi totale della produzione auto?

Che stiamo facendo per recuperare su tutto questo? Che stiamo facendo per ridurre complessivamente il costo energetico.? Cosa per rivedere il costo fiscale gravante sulle aziende? Cosa per alleggerire i costi burocratici ?

 

Siamo certi che la soluzione risieda nella svalutazione interna del costo del lavoro ?

Abbiamo un problema innanzi tutto di struttura del nostro settore produttivo che ci può portare rapidamente verso una meridionalizzazione del nostro Paese con produzioni a più basso valore aggiunto e più alta intensità di lavoro . In questo caso è certo che la maggiore competitività si ottiene con la riduzione del costo del lavoro; ma, forse, siamo ancora in tempo per non smobilizzare del tutto la nostra struttura produttiva e recuperare settori centrali. La questione Fiat deve essere discussa dal nostro Governo e contemporaneamente bisogna trovare delle soluzioni immediate per gli stabilimenti italiani abbandonati (Termini Imerese ecce).Il ministero dello sviluppo economico ci dovrebbe dire su quali settori dovremmo recuperare e come muoverci.

 

Se passiamo poi ad un'analisi dei costi aziendali, che determinano, alla fine, la competitività delle nostre aziende sul mercato, ci accorgiamo che si dovrà, certo, discutere del costo del lavoro; ma, che questo è già affrontato in maniera molto diversa in Italia a seconda dei settori e dei territori. La precarizzazione del lavoro giovanile ha notevolmente abbassato i costi nel settore dei servizi e commerciale in molte situazioni . Nel mezzogiorno molte attività sussistono grazie all'evasione fiscale e contributiva.

Ecco perché modificare e semplificare la normativa è una questione di sostanza . Accanto ad essa, tuttavia, il problema centrale è comprendere quali sono le questioni che stanno indebolendo la composizione produttiva del nostro Paese in alcuni settori chiave.

Se poi osserviamo la struttura dei bilanci ed il controllo di gestione di moltissime imprese possiamo vedere come una delle principali preoccupazioni sia costituita dalla debolezza finanziaria , dai costi energetici e dall'imposizione fiscale.

Oltre al costo del personale, la vera debolezza competitiva sta in questi aspetti, che impediscono qualsiasi progetto di sviluppo e d'investimento .

Il problema della capitalizzazione , della fiscalità e della debolezza finanziaria si ricorrono in un circolo devastante.

Le aziende sono sottocapitalizzate e ricorrono pertanto ad un apporto eccessivo dei finanziamenti terzi il cui costo incide fortemente sul risultato economico. Il costo del denaro ed il credit crunch in Italia sono poi completamente fuori mercato rispetto agli altri paesi forti europei . Questa è una delle principali condizioni di difficoltà delle aziende. Sul risultato economico gravano, inoltre, come macigni l'IRES e l'IRAP. Niente da dire sull'IRES che grava sull'utile economico delle aziende; ma, l'IRAP viene pagata anche se l'azienda non ha utili e indebolisce il capitale delle stesse, impoverendole.

L'imposta regionale sulle attività produttive, colpisce il valore della produzione netto cioè il reddito prodotto al lordo dei costi per il personale e degli oneri e dei proventi di natura finanziaria.E' un'imposta proporzionale al fatturato e non all'utile d'esercizio.In questo modo, le aziende non si ricapitalizzano e questo si traduce in scarsi investimenti. Moltissime aziende vanno in perdita per pagare l'IRAP.

L'IRAP andrebbe ridotta fortemente se non abolita ; tuttavia il 90% del gettito ottenuto viene attribuito alle Regioni per finanziare il Fondo sanitario nazionale e il 30% dell'intera spesa sanitaria italiana è finanziato dall'IRAP. Come sostituirla? 

Sarà sicuramente necessario chiedere un contributo maggiore ai redditi più elevati nella fruizione del servizio sanitario.

Il costo del denaro ed il credit crunch possono essere sicuramente migliorati con l'utilizzo del Fondo di garanzia per le PMI ma il suo potenziamento deve essere forte. Come fare?

Se poi guardiamo ai costi energetici, è conoscenza comune che sono superiori di ca. il 30% rispetto a quelli sostenuti dalle aziende dei nostri concorrenti . Cosa viene fatto su quest'aspetto?

La sensazione diffusa è che il vero problema di perdita della competitività Paese non risieda pertanto, principalmente, nel costo generale del lavoro, quanto nella necessaria migliore allocazione dei fattori di produzione , nello spostamento dell'imposizione fiscale dal lavoro e dall'impresa alla rendita e sulla progressività dei redditi, nella riduzione dei costi energetici, nella semplificazione burocratica.

Tornando infine sul salario reale : non siamo nella condizione di ridurre i salari nominali dei lavoratori che sono già bassi . Dobbiamo invece intervenire, con lo strumento fiscale, in maniera progressiva per recuperare risorse dai redditi elevati e dalle rendite a favore del lavoro, per ridurne il costo lordo. 

C'è poi da ottenere, a parità di costo del lavoro, un incremento significativo della produttività , utilizzando al meglio gli impianti , rivedendo le mansioni, specie nel settore pubblico, favorendo   la parte retributiva legata ai risultati ed obiettivi (anche con facilitazioni fiscali) e dando spazio alla contrattazione aziendale . Favorendo il reinvestimento degli utili in azienda con l'esenzione fiscale.

Non dimentichiamo, infine, che una riduzione significativa dello stock del debito pubblico è programmabile nel tempo con la valorizzazione, messa a reddito e vendita del patrimonio immobiliare e di diverse partecipazioni aziendali. Il risultato sarebbe una riduzione significativa degli interessi pagati   ogni anno con la possibilità di utilizzare le risorse rivenienti per nuovi investimenti.

Veniamo adesso sul piano europeo.

La paura dell'insostenibilità della moneta comune, a causa del rischio della possibile insostenibilità dei debiti pubblici di alcuni paesi, costringe il dibattito e le soluzioni prospettate in un vicolo cieco ,che indebolisce le potenzialità complessive del Continente. Questo, mette a rischio la sostenibilità dello stesso processo d'integrazione europea. Per sbloccare questa situazione di stallo sarebbe necessaria una politica di quantitative easing, adottata dalla BCE e riservata non al sostegno del debito degli stati quanto al finanziamento delle imprese. Uno stimolo per lo sviluppo dell'intera area economica europea trascinata da investimenti, con complessivo miglioramento della struttura produttiva europea e delle condizioni di vita generali . Se consideriamo i singoli Stati delle parti di un unico organismo possiamo pretendere il loro equilibrio finanziario solo se siamo in grado di guidare globalmente lo sviluppo complessivo a livello centrale . Se questo non accadrà il fallimento è segnato.

Le resistenze ed i malumori verso l'adozione di un'importante politica di Quantitative Easing da parte della BCE nascono probabilmente dall'errore politico di presentare questa proposta legandola all'acquisto dei titoli di Stato dei paesi membri o a sostegno di una possibile operazione di mutualizzazione del debito degli stessi. Entrambe le ipotesi sono, non solo velleitarie, ma correttamente sentite come sbagliate da una parte consistente della popolazione europea. La solidarietà non può essere imposta e deve procedere gradualmente con un progetto d'integrazione comunemente accettato. E' necessario, comunque, mantenere ampi spazi alla forte diversità nazionale presente nell'area.

La critica alle possibili operazioni OMT, dichiarate da Draghi a sostegno dell'irreversibilità dell'Euro, ed il ricorso alla Corte Costituzionale tedesca da parte di molti cittadini di quel Paese, non sono comprensibili se non come dissenso nei confronti delle conseguenze di un possibile azzardo morale da parte degli Stati con problemi di debito. Costituiscono il rifiuto di una solidarietà forzata nei loro confronti, che, inevitabilmente, ricadrebbe sulle spalle dei cittadini dei paesi considerati più forti.

Fino a quando resteremo in questa logica non faremo un passo avanti verso uno sviluppo forte dell'area.

Il precedente interessante è costituito, invece, dall'operazione LTRO di 1000 miliardi, effettuata dalla BCE, nei confronti del sistema bancario, di prossima scadenza, che, tuttavia, nella forma in cui si è svolta, ha rappresentato un'ulteriore legame fra il debito degli stati ed il sistema bancario, senza che l'economia reale ne avesse un beneficio diretto. L'operazione, che si potrebbe invece porre in essere, è quella di un grande prestito verso il sistema delle imprese europee, con immissione di una liquidità di almeno 4.000 MM . Una forma di acquisto, da parte della BCE, del credito perfezionato dalle banche commerciali nazionali in sinergia con la BEI nei confronti del sistema delle imprese europee.

Questo intervento sarebbe preferibile per diversi motivi :

1)      perché non richiederebbe l'intervento delle finanze degli stati membri né la convinzione della bontà del progetto da parte degli investitori internazionali

2)      perché può essere stabilito un prezzo conveniente per il sistema delle imprese verso cui si dirige

3)      perché verrebbe legato alla realizzazione di un progetto di sviluppo europeo deciso e scadenzato con l'accordo dei paesi membri che ne potranno seguire la realizzazione. 

4)      Perché può essere realizzato pretendendo la cooperazione fra imprese dei diversi stati membri.

L'operazione non potrebbe essere criticata come portatrice d'irresponsabilità o di azzardo morale perché prevede il rimborso del prestito da parte delle aziende fruitrici .

Vede il sistema delle banche commerciali nazionali , interessato e vigile a valutare correttamente la bontà del richiedente e la sua capacità di rimborso perché a loro carico e rischio diretto verrebbe posto almeno il 30% dell'operazione di finanziamento.

Il rischio relativo al 70% dell'operazione a carico della BCE verrebbe tutelato dalle banche nazionali insieme al loro credito diretto e con le procedure di tutela legislative previste dai singoli ordinamenti giuridici. L'eventuale insolvenza possibile non avrebbe conseguenze infine sulla BCE per quanto riguarda la "sorte capitale" in quanto La Banca Centrale non avrebbe ottenuto risorse dagli investitori internazionali o dagli Stati membri ma  autonomamente , stampando moneta. La mancata restituzione manterrebbe pertanto quella quota di liquidità nel sistema . Quello che potrebbe ipotizzarsi  come un valore d'insolvenza prudenziale del 15% , pari a ca. 420 miliardi, si tradurrebbe pertanto in un permanere nel sistema di quella parte di liquidità con conseguenze  modeste in termini d'inflazione .

L'unico minor utile per gli stati membri ,che si potrebbe verificare, è il mancato introito degli interessi relativi alle insolvenze che tuttavia sarebbero ampiamente compensati dalla plusvalenza determinata dagli interessi percepiti sull'intera operazione.Interessi che non sarebbero stati prodotti in assenza dell'operazione stessa.

Un partito, come il PSE, che sostiene posizioni, in sede europea, come quella dell'utilizzo della Tobin tax per finanziare lo sviluppo dell'area; a maggior ragione, dovrebbe apertamente sostenere una politica di quantitative easing della BCE, separata dal sostegno del debito dei singoli Stati nazionali, ed invece rivolta alla realizzazione di una crescita dell'intera economia europea , secondo un progetto condiviso, grazie alla mobilitazione del sistema delle imprese e delle banche commerciali   di tutti i paesi membri.

Tutto questo permetterebbe anche di affrontare il problema dello squilibrio  fra le economie dei paesi membri non riducendo la soluzione alla sola  competitività sul costo del lavoro,  attraverso meccanismi  di svalutazione interna.

La competitività rimane aperta ed il desiderio di migliorare  le condizioni di ogni Paese possono costituire  uno stimolo reciproco  per la modernizzazione e l'attuazione di riforme strutturali volte a migliorarne la competitività. Sarebbe tuttavia importante stabilire delle regole minime di convivenza europea  per fare in modo che la concorrenza, specie sul costo del lavoro, non sia eccessiva e non diventi fonte di povertà , disoccupazione e disperazione per milioni di cittadini . Un livello salariale minimo europeo potrebbe essere la prima condizione di base generale  che un partito come il PSE dovrebbe porre nel proprio programma politico per le prossime elezioni, come elemento qualificante di una visione diversa dello sviluppo dl Continente.

La recente adesione del PD al  PSE  ed il "semestre italiano" possono essere l'occasione per portare avanti con forza questi temi e trasformare le attuali difficoltà  di convivenza nell'opportunità di un cambiamento che porti l'Europa verso traguardi più ambiziosi.

Il futuro è nelle nostre mani!

 

 

 

sabato 15 febbraio 2014

Quantitative Easing per il finanziamento delle imprese europee



Fra pochi mesi saremo chiamati all'appuntamento con le elezioni europee; ma, già oggi, in tutta l'Europa, i livelli di scetticismo e di sospetto sono elevatissimi. Le liste di euroscettici e di persone che porranno la richiesta di una revisione delle politiche europee e dei trattati sono enormi, pur presentando al loro interno, spesso, motivazioni differenti. Rispetto ad una valutazione razionale delle proposte, prevale la prevenzione e la sfiducia. Non si entra più nel merito delle questioni; ma, ci si affida più a quello che non si dice, ma si avverte. si sente. Sta per arrivare anche il semestre italiano con M. Renzi molto probabilmente Presidente del Consiglio. Nel frattempo, tutti i paesi dell'eurozona con debito pubblico superiore al 60% del PIL dovranno iniziare un piano di ridimensionamento ventennale di questo rapporto, in un momento in cui l'intera area europea non sembra essere uscita, in maniera sostanziale, fuori dal " Rallentamento " dell'economia, Quasi tutti i paesi sono coinvolti, compresa la Francia e la Germania.
 
Possono la paura, il sospetto decidere del nostro futuro? No, la paura deve servire, come sempre, ad avvertirci dei rischi per consentirci di superarli.
Parliamo di questo e cerchiamo di capire quali sono le principali ipotesi in campo:
a) Una prima ipotesi si muove verso un'unità politica, fiscale ed economica europea che superi i nazionalismi, metta in comune i debiti pregressi e avvii una fase di sviluppo espansiva del continente, con un ruolo della BCE simile a quello della FED. Contemporaneamente, viene richiesta la revisione dei trattati (specialmente il Fiscal Compact) ed almeno il mancato conteggio degli investimenti all'interno del deficit di bilancio, con un rifiuto totale delle politiche d'austerità. In quest'ambito sembra riconducibile anche la lista Tsipras, recentemente proposta anche in Italia  da un gruppo d'intellettuali  e che sta gradualmente raccogliendo l'adesione di sempre più persone.
b) Ci sono poi molte posizioni euroscettiche che ritengono ormai insostenibile l'utilizzo di una moneta comune e che, pur comprendendo tutte le possibili conseguenze negative, ritengono inevitabile la fine dell'eurozona. C'è chi ritiene improcrastinabile, a questo punto, un'uscita unilaterale; c'è chi ritiene, invece, più opportuno predisporre un piano morbido e concordato per la sua fine.
c) Altre posizioni interlocutorie, si diversificano per la  volontà di non liquidare l'esperienza della moneta unica. Richiedono delle politiche interne pubbliche più virtuose grazie ad una stagione importante di riforme strutturali, volte a consentire la migliore allocazione possibile dei fattori produttivi. Sul piano europeo, prendono atto della necessità di procedere sul cammino dell'unità senza prescindere dalle forti diversità d'interessi nazionali. Ritengono inevitabile limitare quindi il ruolo della redistribuzione di risorse nell'area; ma, auspicano  una politica economica comune di sviluppo.
d) La posizione attuale prevalente,  sia nelle istituzioni europee che in molti  governi, richiede che i paesi finanziariamente ed economicamente più deboli facciano i " compiti a casa", rientrino nei paletti rigidi del "fiscal compact", non assistiti da un piano di sviluppo importante a livello europeo che traini l'intera area fuori della crisi, ed operino un'adeguata svalutazione interna che li renda più competitivi in relazione al proprio livello di produttività.
All'interno dell'ipotesi C,  é possibile  pensare ad operazioni che realizzino una corretta sinergia fra gli interessi di tutti gli Stati membri ed uno sviluppo adeguato dell'intera area.
Abbiamo già avuto un importante precedente nell'operazione LTRO, messa in piedi dalla BCE sotto forma di  prestito a lungo termine nei confronti del sistema bancario. Il punto positivo è stato costituito dall'immissione di liquidità nel sistema; l'aspetto negativo è stato quello della destinazione dei fondi diretti, quasi totalmente, verso l'acquisto, da parte delle Banche, dei titoli di Stato dei rispettivi Paesi ..
L'operazione che si potrebbe invece porre in essere  è  quella di un  grande prestito verso il sistema delle imprese europee, con immissione di una liquidità di almeno 4.000 MM fornita  dalla BCE. Una forma d'anticipazione o sconto del credito perfezionato dalle banche commerciali nazionali in sinergia con la BEI nei confronti del sistema delle imprese europee.
Quali potrebbero essere le caratteristiche dell'operazione da considerare?
a) obiettivi e direttive
b) modalità
c) rischio a carico
Per quanto riguarda gli obiettivi essi dovrebbero perseguire quelli già prefissati nel piano programmatico EUROPA 2020 puntando sul risultato di uno sviluppo importante sia del PIL europeo, della produttività complessiva, del piano energetico, che della maggiore integrazione possibile fra gli Stati e le classi sociali. Il Governo Europeo ha già stanziato 900 MM per raggiungere questi obiettivi in sette anni. Penso che oggi sia dovuta una forte accelerazione ed un cambiamento d'approccio metodologico.Mettere in campo 4000 miliardi per l'intera area, con la condizione di riservarne la metà alle zone meno sviluppate, pretendendo, inoltre, che ogni finanziamento preveda che l'impresa richiedente proceda ad un aumento delle risorse umane utilizzate in maniera stabile
Sul punto delle modalità, penso ad un modello che veda nell'utilizzo della rete europea delle banche commerciali il motore del processo. Posto 100 il progetto per cui viene richiesto il finanziamento da un'impresa, all'interno della progettualità europea, l'istruttoria dovrebbe essere a carico della banca commerciale in rapporto, che dovrà valutare la validità del progetto e la capacità di rimborso. A proprio rischio la banca dovrebbe concedere il 30% del finanziamento richiesto all'interno dell'80% finanziabile del progetto; mentre, il rimanente 70% dovrebbe essere concesso dalla BEI, che si ritroverebbe a fare da capofila di una rete commerciale vastissima e capillare ( che avrà dato una prima valutazione del rischio sufficientemente obiettiva, considerando il fatto che rischia in  proprio su di una parte dell'operazione).L'intero finanziamento verrebbe poi anticipato dalla BCE, ( ottenendo a garanzia la cessione del credito nei confronti dell'impresa richiedente), come prestito alla BEI ed alle banche commerciali.Il costo del prestito concesso dalla BCE potrebbe essere non superiore allo 0,75% -1%. La parte finanziata dalla BEI non dovrebbe superare il 2% mentre la parte concessa  delle banche commerciali dovrebbe tenere conto del rischio a carico e quindi con condizioni   a tassi di mercato.
 E', di fatto, un'operazione di Quantitative Easing. Una forzatura è presente  nella tipologia del credito ceduto ( che non è costituito da titoli di stato ma dal credito che nasce dai contratti di finanziamento alle imprese) che fronteggia il prestito. All'interno di questo quadro operativo  nulla vieterebbe ulteriori interventi grazie ad accordi con fondi di Private Equity o possibili Prestiti Obbligazionari per permettere ad investitori privati di partecipare a questa grande operazione.
Dal punto di vista della gestione del rischio diciamo che quello da coprire è il rischio d’insolvenza, che prudenzialmente dovrebbe essere ipotizzato intorno al 15% del plafond accordato dalla BCE pari al 70% dei 4.000 MM ipotizzati e cioè 420 MM d’euro. Tale rischio  può essere coperto dalla stessa BCE  monetizzandolo.In realtà il mancato rimborso  non costitirebbe altro che il mantenimento di quella quota marginale di liquidità immessa nel sistema. Non si potrebbe imputare alla BCE né di svolgere un’operazione che tenda a favorire una parte degli stati membri rispetto ad altri né di uscire fuori dai suoi compiti, con questa immissione di liquidità , quando la situazione attuale è caratterizzata da un livello medio d’inflazione ben al di sotto del limite del 2% posto come obiettivo da perseguire e controllare. Tra l’altro trattandosi di un’operazione che prevde il suo rimborso nel tempo sfugge totalmente ad una possibile accusa di “ azzardo morale
Dal punto di vista della gestione del rischio diciamo che quello da coprire è il rischio d’insolvenza, che prudenzialmente dovrebbe essere ipotizzato intorno al 15% del plafond accordato dalla BCE pari al 70% dei 4.000 MM ipotizzati e cioè 420 MM d’euro. Tale rischio  può essere coperto dalla stessa BCE  monetizzandolo.In realtà il mancato rimborso  non costitirebbe altro che il mantenimento di quella quota marginale di liquidità immessa nel sistema. Non si potrebbe imputare alla BCE né di svolgere un’operazione che tenda a favorire una parte degli stati membri rispetto ad altri né di uscire fuori dai suoi compiti, con questa immissione di liquidità , quando la situazione attuale è caratterizzata da un livello medio d’inflazione ben al di sotto del limite del 2% posto come obiettivo da perseguire e controllare. Tra l’altro trattandosi di un’operazione che prevde il suo rimborso nel tempo sfugge totalmente ad una possibile accusa di “ azzardo morale".
Quali potrebbero essere i tempi di fattibilità e d'operatività di un operazione di questo tipo?
In presenza di una forte volontà politica condivisa, il tutto potrebbe funzionare nello spazio di pochi mesi. Non c'è nessun bisogno di mettere in comune il debito, né di modificare dei trattati.Non comporta nessun sforzo finanziario e nessun trasferimento di fondi fra i  Paesi membri. Permetterebbe  di premiare le eccellenze presenti in tutto il territorio europeo per raggiungere gli obiettivi d'Europa 2020 e far ripartire un forte processo di crescita dell'occupazione e dell'economia dell'area. Si tratterebbe, comunque, di un prestito rimborsabile e non a fondo perduto.
Il sospetto e la paura reciproca fra gli stati membri stanno paralizzando l'area. Dobbiamo uscire dalla gestione nazionale e puntare sul credito commerciale e la capacità dell'impresa. Porre tutte le imprese europee nelle condizioni di partecipare alla realizzazione del programma 2020 (magari con qualche accentuazione su alcuni punti) di là dal territorio d'appartenenza, sollecitando la collaborazione  fra imprese di più Stati membri..
Per ogni singolo Stato nazionale diventa  ancora più urgente la necessità di migliorare il più possibile la propria capacità d'utilizzo dei fattori di produzione, le economie esterne ed i servizi ed infrastrutture offerte nel suo territorio.
Certo, un Europa di questo tipo, che non vuole abdicare al suo ruolo di protagonista nel mondo, presto o tardi dovrà riuscire a porre in essere un adeguamento dei fattori produttivi d'ogni impresa europea al di là dal territorio in cui si trova ad operare. Dovrà avere una comune forza federale ed una voce unica  nel mondo; ma, il cammino è ancora lungo.
 
 

sabato 8 febbraio 2014

Un Fondo per il lavoro

 

 

La forza e la gravità della crisi economica, che dilania il nostro paese, rende urgente una riflessione strategica su quella che è la sua principale conseguenza: il peggioramento generale delle condizioni di vita e soprattutto l'allargarsi del fenomeno della disoccupazione.

E' questo il male maggiore per una nazione! La mancanza del lavoro è forse una delle peggiori punizioni che un cittadino debba sopportare. Non a caso, la nostra Costituzione recita fra i suoi principi fondamentali la caratteristica di essere fondata sul lavoro. Al di là della constatazione della durezza e fatica connesse all'attività lavorativa, pure il lavoro è trasformazione della materia, esplicazione della creatività, servizio per la società, produzione di ricchezza. Guardandola dal punto di vista individuale è l'attività primaria che consente ad ognuno di noi di godere della propria realizzazione all'interno del consesso civile.

Nonostante tutti i problemi legati alla prestazione lavorativa, questa è la condizione di base da cui partire alla ricerca di un reale miglioramento sia della propria mansione sia delle condizioni lavorative attinenti.In questo momento, così difficile, porre al centro dell'iniziativa politica il lavoro è pertanto un dovere imprescindibile. Reperire le risorse, per mettere in piedi delle misure volte a favorirlo, altrettanto necessario.

Uno strumento utile per affrontare risolutamente il problema potrebbe essere quello della creazione di un fondo specifico nazionale per il lavoro, dedicato da un lato a porre a carico della fiscalità generale una parte consistente degli oneri contributivi e fiscali sul lavoro e dall'altro con il compito di alimentare il processo di sussidio alla disoccupazione, anche di lunga durata, e della ricollocazione all'interno del mercato del lavoro.

Si pensa ad un fondo specifico che possa essere gestito anche all'interno dell'organizzazione complessiva INPS; ma, con gestione separata e risorse ben individuate alimentate da flussi costanti nel tempo.

Oltre a quanto viene già destinato allo scopo, si possono individuare due flussi principali aggiuntivi di risorse:

1)      Il primo riveniente da una tassazione specifica dello 0,20% sulle ricchezze finanziarie detenute dalla famiglie italiane. Secondo i dati forniti dalla Banca d'Italia le ricchezze finanziarie al 2012 ammontano, al netto delle passività, a ca. 2.775 miliardi di euro. Una tassazione aggiuntiva dello 0,20% (pari ad esempio a ca. 200 euro su di un montante di 100.000 euro) darebbe risorse per ca. 5,5 miliardi d'euro annui, con cui si potrebbero finanziare ca. 650.000 disoccupati di lungo periodo, dopo i due anni previsti dall'ASPI, con un reddito mensile di 700 euro, legato al vincolo della prestazione di servizio civile/lavoro di base insieme alla continuazione di un percorso orientato alla ricollocazione lavorativa. La comunità  potrebbe disporre in tal modo di una forza lavoro elastica ed utilizzabile a basso costo per tutte quelle occorrenze di emergenza o di intervento che si rendessero necessarie: dall'edilizia popolare, all'intervento ambientale ecc ecc. Nello stesso tempo il lavoratore, in attesa della sua ricollocazione definitiva, avrebbe un minimo reddito ed un ruolo sociale attivo.

2)      Il secondo riveniente dall'aumento dell'imposizione fiscale progressiva per i redditi superiori a 70.000 euro annui. Tali risorse dovrebbero essere totalmente recepite dal Fondo e dedicate alla riduzione degli oneri contributivi e fiscali sul lavoro sostenuti dalle imprese.Questo secondo flusso di risorse dovrebbe consentire un incasso annuo di ca. 9 miliardi di euro annui.

Basandoci sui dati IRPEF 2010, sappiamo che l'1,79% dei contribuenti, pari   n. 553.059, dichiaravano un reddito compreso fra 70.000 a 100.000 con il 9,56 % imposta totale pari a 14,2 MM su.redditi complessivi di 38,7 MM. L'1,09 %,  pari a n. 336.779, disponeva di un reddito  da  100.000 a 200.000,  per il 10,20 % sull'imposta totale,  pari  15,23MM, e  redditi complessivi di almeno  33,7 MM. Lo 0,15%  pari  n. 46 .345 con redditi  da  200.000 a 300.000  per 2,74 % imposta totale  pari a 4,09MM con redditi complessivi per 9,2 MM. Lo 0,10 %  pari a  n. 30897  con reddito   superiore a 300.000      per 4,70 % imposta  totale., pari a 7,02MM con redditi complessivi per  9,2 miliardi.

Riepilogando,  ca. 967.080 persone presentavano redditi  superiori a 70.000 euro  con un imposta totale a carico di ca. 40,54 MM. Ipotizzando il passaggio dell'imposizione fiscale progressiva dal 43% attuale  al 48% per i redditi compresi fra 70.000 e 100.000, al 53% per i redditi compresi fra 100.000 e 200.000 euro, al 58% per i redditi compresi fra i 200.000 e i 300.000 ed al 63% per quelli superiori a 300.000 è possibile ipotizzare un maggiore introito annuale di ca. 9 MM.

A tutto questo andrebbe aggiunta una riconsiderazione generale dello strumento della cassa integrazione che, spesso, nella sua versione " straordinaria" ed "in deroga", continua ad assistere aziende ormai entrate in una crisi, spesso senza ritorno, e continua a legare ad esse la sorte del lavoratore. In alternativa, sarebbe meglio destinare queste risorse per allargare l'utilizzo e le disponibilità  dell'attuale ASPI.

La creazione di un fondo specifico del lavoro può costituire un'esperienza strategica per la nostra società. Un passo avanti verso la costruzione di un nuovo modello di welfare  più aderente  alla situazione attuale  che ci permetterebbe di migliorare sia la competitività delle nostre imprese, riducendone il costo del lavoro, sia la  tutela del lavoratore nel suo percorso individuale di ricollocazione  nel mercato del lavoro verso il suo impiego più produttivo. Non riteniamo che, grazie alla capillarità dell'intervento, lo stesso possa avere conseguenze  negative sulla nostra economia; anzi, lo spostamento di risorse verso i ceti umili in preda alla disoccupazione,  il lavoro e l'impresa dovrebbero favorire sia la competitività delle nostre aziende sia il consumo (in considerazione dell'elevata propensione allo stesso da parte dei redditi  più bassi)  ponendo quindi condizioni favorevoli per lo sviluppo della domanda globale e del nostro sistema economico.