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martedì 3 febbraio 2015

FAR RIPARTIRE GLI INVESTIMENTI


 
Dopo l'affermazione di Syriza in Grecia, la crescita sensibile di "Podemos" in Spagna, la forza del movimento guidato dalla signora Le Pen in Francia e lo stesso  vigore della Lega Nord e del M5S in Italia, è importante chiedersi quali siano le motivazioni ed i problemi che in qualche modo questi gruppi politici riescono ad interpretare. La globalizzazione e la crisi socio economica del 2008 hanno posto al centro dell'attenzione, ma questa volta nel centro del mondo sviluppato, i problemi della distribuzione ineguale delle ricchezze e della richiesta di maggiore democrazia partecipativa. Rimane sullo sfondo di tutto questo la necessità di uno sviluppo rispettoso della natura e dell'ambiente che credo sia ormai generalmente condiviso anche se tra mille ritardi e resistenze.
 
Queste tensioni forti e diffuse si orientano poi spesso contro la costruzione europea, responsabile di non sapere coniugare la paura della cattiva gestione finanziaria d'alcuni paesi membri con la dovuta capacità di generare crescita e sviluppo in tutta l'area. Questo mette spesso in secondo piano le stesse differenze interne di visione, se, addirittura, in Grecia prevale la discriminante nazionalistica, nella scelta delle alleanze della coalizione governativa, (necessità di ricontrattare le condizioni del rapporto con l'Europa) rispetto a quella fra destra e sinistra.Accanto a questo, vi è una forte tensione contro la casta politica, indicata come responsabile, non solo di una cattiva e corrotta gestione della cosa pubblica, ma anche di essere asservita a poteri extranazionali (la troika).
In sostanza, sembra che la tensione contro la distribuzione ineguale delle ricchezze ed il desiderio di democrazia si saldino in una critica nazionalistica del rapporto con le altre nazioni ed, in questo caso specifico, dei rapporti con l'Europa.Questa è considerata corresponsabile, in qualche modo, sia di una gestione autoritaria della democrazia che di un impoverimento e di un allargamento delle differenze fra gli stati membri...
Riflettendo ancora sulla natura dei vari movimenti popolari, che sostanzialmente prendono le distanze dall'euro e che si rivolgono apertamente contro la classe politica che ha gestito i trattati e le politiche nazionali fino ad oggi, si può notare come un altro elemento comune sia quello della sfiducia nella capacità di rilanciare lo sviluppo e l'occupazione seguendo le regole del Fiscal Compact.
E' come se le popolazioni, all'interno della situazione di crisi economica e sociale del continente, invocassero una grande operazione di mobilitazione generale delle risorse europee paragonabile a quella messa in atto dal New Deal americano negli anni '30. Una mobilitazione di risorse pubbliche federali che, di fronte al fermo degli investimenti e dei consumi privati, rimettesse in moto l'economia e l'occupazione.
Tutto questo avrebbe avuto bisogno della capacità straordinaria dei governi dell'Europa di procedere insieme per il superamento della crisi. In particolare, quelli dell'area Euro. In realtà questo non è avvenuto. Anzi, l'incapacità di costruire nel tempo un'organizzazione politica più forte, fra chi ha adottato la moneta unica, ha messo nello stesso calderone Governi e Stati con esigenze diverse. Abbiamo visto come molti paesi, a cominciare dall'Inghilterra, hanno preso le distanze rispetto ad una maggiore entità dell'impegno comunitario. In sostanza, alla fine non vi è stata una politica economica comune, una spesa federale forte capace di rilanciare l'economia e l'occupazione dell'area.
Ogni paese si sta muovendo sostanzialmente da solo nella ricerca di una strada per la crescita. Quasi tutti, comunque, si sono imbattuti nella difficoltà di operare in linea con le regole finanziarie comunemente fissate. L'eccedenza dell'entità del deficit rispetto al PIL è stata subito attuata proprio da Germania e Francia per intervenire in sostegno del proprio sistema bancario e non hanno subito (in considerazione della gravità della crisi in corso) alcuna sanzione. Molti altri paesi, compreso il nostro, si trovano abbondantemente al di sopra dei limiti del rapporto debito/PIL. Si erano accettati, all'interno dell'area Euro, Paesi con una pesante situazione finanziaria di partenza, come la Grecia, senza avere strumenti adeguati per la gestione del rischio fallimento  e ,nel momento in cui questo si è verificato, si è dovuti intervenire nel modo che abbiamo conosciuto, sostanzialmente forse non replicabile in altre situazioni più consistenti,nonostante la formazione del Fondo salva stati. . E' stata la BCE a farsi carico, in questi anni, della carenza progettuale del disegno europeo con operazioni sempre più importanti di cui l'ultima in corso di QE.
I paesi con maggiori difficoltà di bilancio, non potendo godere di una politica di New Deal comunitaria, si trovano fra l'incudine ed il martello. Fra la difficoltà ad espandere ulteriormente il proprio debito ( per finanziare una spesa pubblica espansiva capace di sostituire la mancanza dell'investimento privato e rilanciare crescita ed occupazione), per il timore di essere puniti severamente dai mercati, oltre che dalle sanzioni europee, ed invece attuare una politica d'austerità di bilancio, con immediate ripercussioni negative sulla domanda e sulla crescita, agendo esclusivamente sulle riforme strutturali e sulla svalutazione interna del lavoro per riprendere condizioni di competitività che, nel medio periodo, dovrebbero porre le condizioni per la ripresa economica.
 La mancanza, nel frattempo, di una politica redistributiva, della lotta senza quartiere all'illegalità e lo sviluppo della partecipazione democratica possono creare le premesse per una crisi di fiducia verso la classe politica e verso le istituzioni europee che sono alla base di questi nuovi movimenti politici. Elemento comune è la richiesta di una speranza di cambiamento. Di poter percorrere immediatamente un progetto di sviluppo e di ripresa che porti subito ad una maggiore occupazione per tutti.
Malgrado i limiti dei trattati e della politica comune europea tuttavia l'ambito migliore in cui è consigliabile tentare una politica di bilancio espansiva è proprio restare nell'area euro.
Questo sia per l'azione di calmiere dei mercati che a partire da marzo verrà operata dalla BCE con acquisti mensili nell'ordine di 60MM dei titoli pubblici degli stati membri, sia per i meccanismi del Fondo salva Stati comunque presenti.
Non è invece immaginabile, nel breve periodo, una diversa azione più incisiva della politica economica federale europea. Il problema va comunque posto come possibilità e impegno per un cambiamento radicale della progettualità europea.
Possiamo e dobbiamo fare da soli. Quello di cui dobbiamo approfittare con urgenza è della particolare e favorevole situazione di mercato che si è venuta a creare grazie a questi elementi:
1) drastica riduzione del prezzo del petrolio
2) abbondanza di liquidità nel mercato finanziario grazie all'attuazione di politiche espansive delle principali Banche centrali mondiali cui si aggiunge l'ultima operazione di QE deliberata dalla BCE
3) debolezza del cambio dell'euro che facilita le nostre esportazioni e rende meno appetibili i prodotti d'importazione.
In questa situazione è bene intervenire subito per ottenere una sostanziosa ripresa degli investimenti pubblici e privati.
Uno dei cardini della ripartenza è riposto in un ruolo attivo del sistema bancario. Questo, specie nei paesi del Sud Europa, ha preso a carico, nei propri bilanci, una buona fetta del debito pubblico ed inoltre ha subito la difficoltà connessa ad un'elevata percentuale d'insolvenza dei crediti concessi. Tutto questo, unito alla necessità di una maggiore capitalizzazione,  ha frenato la capacità di credito.
La BCE è già intervenuta, per cercare di sbloccare la situazione, con l'operazione TLTRO di prestito alle Banche finalizzato, questa volta, alle imprese e ai privati.
Tale operazione, in Italia, è ancora sostanzialmente ferma; nonostante, siano già stati prenotati dalle principali Banche ca. 49MM. Come ulteriore supporto, la BCE ha quindi deciso di far partire un'operazione di QE per l'acquisto diretto di titoli pubblici, nell'ordine di ca. 60MM mensili. Questo dovrebbe permettere alla Banche, in particolare, di alleggerire la consistenza dei titoli pubblici in portafoglio, realizzando anche, probabilmente, una possibile plusvalenza rispetto al prezzo di acquisto storico. ( plusvalenza che potrebbe migliorarne la capitalizzazione)
 In ogni caso, è auspicabile che questo sia sufficiente per far ripartire la domanda aggregata e gli investimenti privati. In sostegno di questo processo, tuttavia, sarebbe auspicabile un'azione decisa da parte dello Stato. Da più parti, anche politicamente diverse ( parlo ad esempio di una proposta fatta da Bersani e anche da Passera) viene auspicato un importante potenziamento del Fondo di Garanzia, oggi con risorse modeste di alcuni miliardi.- Se si avesse il coraggio e la possibilità di utilizzare, tutte le risorse europee destinate al nostro Paese fino al 2020,compreso il relativo cofinanziamento statale già previsto nella programmazione, adattandone opportunamente le procedure, si potrebbe portare il Fondo di Garanzia ad una dotazione di ca 60/70 MM di risorse gestibili a sostegno del 50/60% di finanziamenti concessi dal sistema bancario su investimenti privati valutabili complessivamente nelll'ordine di ca 140/150MM. La rapidità dell'operazione sarebbe decisiva ed affidarne l'operatività alla capillarità nei confronti della clientela ed alla capacità di valutazione del sistema bancario potrebbe essere una garanzia di successo. L'intervento statale avrebbe effetto sia sulla disponibilità ad affrontare il possibile rischio insolvenza sia sul problema della ridotta capitalizzazione.E' sperabile anche che, sull'onda di un'operazione di questo genere, le Banche riuscissero ad utilizzare maggiormente e direttamente la liquidità riveniente dall'operazione TLTRO e QE della BCE.
Insieme a questa operazione, attuabile senza nessuna deroga all'attuale programmazione finanziaria, è tuttavia necessario immaginare la necessità di sfruttare questo momento per andare un pò oltre i margini del rapporto deficit/Pil e porre in atto investimenti pubblici diretti nell'ordine di almeno ulteriori 100MM. Ritengo che tutto questo potrebbe in qualche modo essere sopportabile da parte dei mercati ,soprattutto se si riuscissero a porre in atto dei "project financing" capaci, quindi, di evidenziare e documentare il ritorno economico dell'investimento. in un preciso numero di anni.
Se poi si avesse anche la capacità di spiegare la possibilità di un'operazione di dismissione organizzata ( patrimoniale straordinaria finanziata dalla CDP) per analogo o superiore importo del patrimonio pubblico il cui ricavato fosse destinato alla contestuale riduzione del debito, non ci sarebbero  dubbi sul successo dell'operazione
Non si ritiene necessario   sviluppare matematicamente  il moltiplicatore di ca. 250MM d'investimenti sul PIL, perché  sembra evidente l'effetto positivo sulla crescita.  Il fattore rapidità è essenziale.