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lunedì 5 dicembre 2016

Un NO non basta



L'esito del Referendum Costituzionale ha sancito una schiacciante vittoria del NO con ca. il 60% dei votanti. Buono anche il  livello di partecipazione  , intorno al 68%, ben superiore a quanto si era registrato nelle precedenti consultazioni referendarie . D'altra parte il tema era di grande rilevanza e tanta  la voglia di esprimersi  da parte della popolazione.
Le successive  immediate dimissioni del Governo  pongono adesso il problema della gestione di una fase transitoria, necessaria per l'approvazione della legge finanziaria e per la  modifica della legge elettorale, prima di procedere a nuove elezioni , richieste dalla maggioranza delle forze politiche del fronte del NO.
Quella che, tuttavia, non può essere archiviata con il NO è l'esperienza, seppur breve, del Governo Renzi ed il ruolo di rinnovamento  che ha rivestito sia  all'interno del complessivo panorama politico nazionale, sia all'interno del PD.
Oggi , il risultato elettorale  pone,  al contrario, il compito di accelerare ed approfondire il processo riformatore del nostro Paese,  toccando i punti che  non sono stati opportunamente e sufficientemente affrontati sia sul terreno delle condizioni per il recupero della competitività produttiva sia su quello dei necessari interventi sociali  nei confronti della disoccupazione di lunga durata , dell'aumento delle disuguaglianze e della gestione degli effetti della globalizzazione. ( gestione dell'emergenza migrazione ed ammortizzatori sociali per i settori  produttivi  colpiti  ) . 
Come ormai si sta ragionando  in tutto il mondo , il  confronto fra destra e  sinistra  è quello fra  protezionismo e difesa nazionalistica  contro  la rivendicazione della possibilità di un uso della globalizzazione  che consenta  uno sviluppo reciproco integrato e rispettoso del'ambiente e dei diritti del lavoro. 
Non possiamo chiudere gli occhi di fronte ai problemi vissuti dai cittadini del nostro paese, specie dei quartieri più popolari:insicurezza, mancanza di lavoro,  difficoltà di rapporto con gli immigrati, impoverimento , disservizi della macchina statale, complessivo aumento delle disuguaglianze. Quello che non possiamo condividere è la risposta populista e protezionista;mentre, invece,  rivendichiamo la possibilità del movimento progressista  d'intraprendere una strada originale ,efficace e riformatrice per la risoluzione di questi problemi.
Diventa inevitabile pertanto un confronto serrato di posizioni già a partire  dal prossimo Congresso del PD, i cui risultati condizioneranno tutto il panorama politico italiano. 
Ci sono alcune questioni che in quella sede dovranno essere ampiamente discusse prima di definire la parte organizzativa ed eleggere il nuovo segretario. 
Innanzitutto , oltre alle necessarie riforme strutturali della macchina dello Stato e l'opportuna semplificazione legislativa,  si dovrà  considerare la possibilità di un intervento nuovo diretto dello Stato  per la realizzazione di un Piano Nazionale del Lavoro.Un intervento che permetta di gestire insieme il fenomeno immigrazione e  la disoccupazione italiana di lunga durata. Al contrario di una logica puramente assistenziale e di sussidio  che espone poi le persone ad un contemporaneo  ingresso in un mercato del lavoro illegale e marginale  , l'inserimento di queste risorse produttive all'interno di una piano nazionale del lavoro ( con la creazione di squadre di lavoratori impegnate sia nella costruzione di alloggi popolari e di strutture sociali  sia nella messa in sicurezza del territorio  o nel recupero produttivo di aree agricole del demanio pubblico ecc ecc.) potrebbe costituire un percorso d'integrazione sociale.Colmerebbe, inoltre, il vuoto  prodotto dall'abolizione dell'art 18  restituendo al lavoratore la continuità  della  sua condizione di lavoratore pur all'interno di una mobilità d'impiego. L'integrazione al lavoro dei migranti, arrivati legalmente o illegalmente nel nostro paese, potrebbe poi essere il veicolo più opportuno per una loro reale integrazione ed il successivo ottenimento della cittadinanza.
Questa potrebbe essere , ad esempio , concessa, dopo tre anni di lavoro   all'interno delle squadre organizzate dallo Stato e dopo aver giurato sulla nostra Carta Costituzionale.
Un altro intervento, su cui è necessario procedere, è quello della riduzione del cuneo fiscale sul lavoro a carico delle imprese . In questo caso, è necessario prevederne il passaggio  a carico della fiscalità generale. Questo è un passo urgente, da realizzare, per assicurare una immediata ripresa competitiva del sistema italia  sul CLUP che negli ultimi vent'anni ha visto aumentare il divario rispetto alle principali economie occidentali. 
Un terzo importante intervento potrebbe essere  quello di un consistente rilancio dell'investimento pubblico in infrastrutture , energia , ricerca e innovazione, aumento della redditività del patrimonio artistico e naturalistico ecc
Ultimo intervento è quello di capire come sostenere o quali ammortizzatori sociali possono essere avviati nei confronti di attività e settori produttivi  messi in ginocchio dalla globalizzazione dei mercati.Si può anche pensare ad una eventuale nazionalizzazione di alcuni settori che pur non essendo più convenienti come attività libere nel mercato rivestono comunque un interesse nazionale.
Tutti punti elencati pongono per la loro realizzazione la necessità di discutere in maniera precisa sull'entità delle risorse finanziarie necessarie e sulle modalità  per ottenerle.
Dobbiamo una volta per tutte sfatare la leggenda che il recupero della sovranità monetaria , con l'uscita dall'euro, possa essere l'unico modo per risolvere la situazione. Tutte le forze populiste che lo chiedono  evidenziano i limiti della politica comune europea, i vincoli posti al nostro paese ecc ecc. Quello che non ci dicono è che comunque la stabilità monetaria sta garantendo  un basso costo del denaro  una stabilità del potere d'acquisto dei salari e del reddito fisso , una tutela del risparmio, la capacità di contenere i costi energetici e dei semilavorati.  Cosa succederebbe per l'Italia in un regime di cambi liberi? E ' abbastanza facile immaginare una pesante svalutazione della nostra lira ed una ripresa importante dell'inflazione . E' vero che potremmo agire maggiormente con l'indebitamento pubblico e che le produzioni nazionali verrebbero  avvantaggiate,  ma è probabile che dovremmo  trasferire sui prezzi delle merci  nazionali il maggior costo dell'energia e dei semilavorati. Senza adeguate riforme strutturali ed investimenti adeguati in ricerca ed innovazione  perderemmo comunque importanti posizioni  all'interno della divisione internazionale del lavoro .Senza adeguate misure  contro la disuguaglianza  , questa non potrà che aumentare.
Non è tutto oro quello che luce e non è questa l'unica strada percorribile . 
Possiamo, al contrario, muoverci  forzando leggermente i parametri finanziari richiesti dall'Europa  e chiedendo finanziamenti maggiori sul mercato dei capitali, per avviare progetti d'investimento pubblico con un adeguato ritorno reddituale.
Si può investire nella realizzazione di centrali fotovoltaiche, documentando opportunamente la destinazione  di una parte degli utili al rimborso dei finanziamenti necessari alla realizzazione dell'impianto .Allo stesso modo si può procedere  per ogni altro investimento. Si possono fare delle emissioni  di debito pubblico  dedicate  di cui sono documentati i termini del rimborso. Credo che i mercati possano vedere con interesse emissioni di questo tipo, pur se immediatamente comporteranno  un'aumento del complessivo debito pubblico. 
Le risorse invece necessarie per la riduzione del cuneo fiscale ed il Piano nazionale del lavoro dovrebbero  essere ottenute  prevedendo :  
1)    utilizzo totale di tutti i fondi comunitari europei per l’Italia 
2)    introduzione di un aumento della progressività fiscale sui redditi elevati a partire dai 50.000 euro lordi con ad esempio un aumento dal 43% al 48% da 50.000 fino a 75.000. dal 48%  al 53% da 75.000 fino a 100.000, dal 58% sino al 63%  da 100.000 fino a 200.000 , al 75% oltre 200.000.
3)    incremento della tassazione  sulle transazioni finanziarie.
4)   Tassazione del 75% sugli utili  delle istituzioni finanziarie ed assicurative  relativi alle  operazioni di  derivati.
5) Tassazione patrimoniale progressiva sui patrimoni mobiliari e separatamente su quelli  immobiliari superiori a 1.000.000 di euro.
6)  Riqualificazione della spesa pubblica
7)  Reintroduzione di una tassazione progressiva sulla successione ereditaria
Le proposte della sinistra non possono  non prendere in considerazione  la ripresa economica del nostro paese , il suo ammodernamento,  l'intervento nei confronti del lavoro, il rapporto con i paesi circostanti del Mediterraneo e la nostra collocazione europea.
Il NO al referendum Costituzionale può essere visto come l'espressione di una richiesta di attenzione da parte di persone che si sentono escluse da una politica lontana e dimentica delle loro esigenze di vita;paradossalmente, proprio nei confronti di una proposta che cercava di rendere più efficiente e ,quindi in realtà, più attento,  il sistema Istituzionale italiano.
La sfida è lanciata !
 Il prossimo Congresso del PD può essere il momento in cui raccoglierla e rilanciare un progetto che dia a tutti speranza ed una possibilità reale di partecipazione alla vita sociale ed economica del nostro Paese.

lunedì 28 novembre 2016

ADDIO FIDEL


Fidel Castro è morto e non possiamo non pensare a quello che ha significato  la Rivoluzione Cubana nella seconda parte del Novecento.
I suoi aspetti positivi , le conquiste nel campo dell'istruzione e della salute , la riforma agraria, il miglioramento complessivo della qualità della vita e la lotta contro la corruzione in tutti gli aspetti della vita sociale.
Accanto a questo, dovremo interrogarci anche sugli aspetti negativi : come quello della privazione della libertà per i dissenzienti , la mancanza della democrazia politica ed altri aspetti legati anche alla fase dura della guerra fredda e della lotta all'imperialismo.
In quegli anni, era opinione comune che la lotta di classe e la rivoluzione dovessero affermarsi proprio  attaccando i  punti deboli dell'Imperialismo nel mondo.
Era l'enunciazione del "Terzomondismo".
Cuba ne era l'esempio vivente e non solo Cuba. La sua presenza in America Latina e nel mondo  era la prova di una possibile alternativa a regimi che poco avevano di democratico e molto di asservimento agli interessi delle multinazionali  ed a quelli  di controllo economico/militare da parte del colosso americano.
Oggi è tutto diverso. Il muro di Berlino è finalmente caduto e con esso anche una concezione di divisione del mondo e d'inconciliabilità fra le classi sociali.
Certo, gli interessi  delle potenze nazionali sono sempre presenti; ma, la complessità degli schieramenti è più ampia. Il ruolo dello Stato nell'economia è poi un principio universalmente accettato, che permette  il possibile primato  del benessere della  collettività sociale  su quello dei gruppi d'interesse economici ed il perseguimento della lotta sociale con i mezzi della non violenza e del confronto.
Non tutto è chiarito, tuttavia, ed ancora oggi le difficoltà, legate ad una distribuzione ineguale della ricchezza e di una globalizzazione che spesso calpesta i diritti del lavoro, richiedono ancora una profonda riflessione sull'eredità e l'attualità dei valori socialisti e della storia del movimento operaio.
 Non dimentichiamo che, all'epoca, la scelta armata di Castro fu forse inevitabile per liberare un paese corrotto e sede della peggiore collusione con l'illegalità ( mafia) dei vicini USA . 
Lo stesso concetto di dittatura del proletariato, applicato a difesa della giovane rivoluzione osteggiata dall'embargo economico e politico dei paesi occidentali e schieratasi all'interno dell'universo sovietico per sopravvivere, può avere una giustificazione.
 Per noi giovani degli anni '60, la "Revolucion Cubana" ed i suoi combattenti erano comunque degli eroi .

Giovani  che si battevano  per ideali che condividevamo di giustizia e dignità umana e non lo dimentichiamo, pur coscienti delle contraddizioni che nel corso degli anni hanno attraversato Cuba.


giovedì 17 novembre 2016

Un piano nazionale del lavoro


Noi non siamo per il reddito di cittadinanza.
Noi siamo per il lavoro sociale dove il disoccupato di lunga  durata ed il migrante possano ritrovare insieme una dignità personale  e l’integrazione sociale attraverso il lavoro.
Un lavoro che gli permetta di abbandonare lo stato di marginalità e di ricatto dalle mille insidie di un mercato del lavoro illegale , precario che alimenta di fatto la criminalità  di cui poi ipocritamente ci lagniamo.
La nostra tradizione culturale progressista non è quella di credere ciecamente nella capacità autonoma di risoluzione dei problemi attraverso le leggi del mercato. Al contrario,  sia la lezione del New Deal americano, che la tradizione socialdemocratica , popolare  e socialista hanno sempre rimarcato la necessità dell’intervento dello  Stato per correggere e sanare le problematiche e l’emarginazione creata dal libero mercato .
Non possiamo fare finta di niente e continuare ad aspettare che le cose si risolvano da sole  perché ne saremo travolti, consegnando l’Italia alle forze di destra e reazionarie:
Il problema della sicurezza è importante e sta insieme a quello della disoccupazione di lunga durata e dell’immigrazione.
La prima risposta urgente deve essere attuata con il lavoro organizzato  ed il controllo  del territorio da parte dello Stato.
Si formino  campi di lavoro sociali  per costruire  alloggi popolari e di prima accoglienza, mense , asili.
Si ritornino a lavorare le campagne abbandonate  e tutti i terreni demaniali creando poi una grande impresa di distribuzione pubblica dei prodotti agricoli realizzati .
Si costruiscano grandi centrali fotovoltaiche   nel mezzogiorno  come quella recentemente realizzata, grazie anche a finanziamenti europei, in Marocco.
S’impieghino le persone , si crei il lavoro dal nulla  perché solo da esso proviene la possibilità di una convivenza sociale.
Si crei  contemporaneamente una grande anagrafe pubblica e nazionale del lavoro che si adoperi per trovare una collocazione nel mercato del lavoro per queste persone,  momentaneamente occupate  nei lavori sociali.
La remunerazione del lavoro  sociale  può essere, ad esempio, quella  della prestazione in natura del vitto e alloggio in campi comuni, più un’indennità mensile di duecento euro; oppure , in sostituzione, l’erogazione di complessivi seicento euro .
Per i migranti questo può rappresentare anche il percorso per l'ottenimento della cittadinanza italiana .Dopo tre anni di lavoro sociale ed il giuramento sulla carta costituzionale è giusto che possano diventare cittadini italiani. 
Tutto questo può comportare, a regime, una spesa  di almeno  ca. 30MM annui, ma è necessaria.
Dove recuperare queste risorse? :
1)    utilizzo totale di tutti i fondi comunitari europei per l’Italia
2)    introduzione di un aumento della progressività fiscale sui redditi elevati a partire dai 50.000 euro lordi con ad esempio un aumento dal 43% al 48% da 50.000 fino a 75.000. dal 48%  al 53% da 75.000 fino a 100.000, dal 58% sino al 63%  da 100.000 fino a 200.000 , al 75% oltre 200.000.
3)    incremento della tassazione  sulle transazioni finanziarie.
4)    Tassazione del 75% sugli utili  delle istituzioni finanziarie ed assicurative  relativi alle  operazioni di  derivati.
5) Tassazione patrimoniale progressiva sui patrimoni mobiliari superiori a 100.000 euro  e separatamente su quelli  immobiliari superiori a 1.000.000 di euro.
6)    Riqualificazione della spesa pubblica
7)    Reintroduzione di una tassazione sulla successione ereditaria oltre i 100.000 euro

Non m’interessa definire il carattere ideologico di queste misure né di avviare un dibattito teorico sulla loro possibile coerenza con il modello di sistema sociale inerente .
Bisogna partire subito  con un programma articolato che prenda spunto da quanto detto se vogliamo evitare conseguenze peggiori per la nostra convivenza civile ed il rapporto con le popolazioni dell’area del Mediterraneo.
Per quanto riguarda poi l’approccio al problema immigrazione non possiamo illuderci di affrontarlo solo in questo modo. E’ necessario un intervento economico nelle aree di provenienza  insieme agli altri paesi europei interessati anche se non si raggiunge un accordo in sede istituzionale europea.Sono necessari accordi con i paesi di provenienza anche  per la regolazione del fenomeno in maniera legale e per l’eventuale rimpatrio quando fosse  ritenuto necessario.

Sviluppiamo il dibattito su queste proposte all’interno del PD e nel sociale. Recuperiamo l’iniziativa , diamo un progetto forte al nostro Paese partendo dagli ultimi.


sabato 12 novembre 2016

La vittoria di Trump e la risposta della sinistra



La vittoria di Trump alle elezioni presidenziali americane può essere vista come una risposta organica da destra ai cambiamenti ed alle problematiche che le nostre società si trovano ad affrontare come conseguenza di un aumento delle disuguaglianze e di un’estesa ed importante globalizzazione, che ha comportato un’ampia liberalizzazione del movimento delle merci, dei capitali, del lavoro e quindi delle persone.
E’ anche, tuttavia, la sconfitta di una parte dominante della sinistra che non è riuscita  a coniugare lo sviluppo e la crescita economica con un adeguato sostegno e gestione delle paure e delle sofferenze degli esclusi , dei marginali e di tutti coloro che subiscono il peso del cambiamento.

Gli equilibri internazionali sono soggetti ad una fase di cambiamento importante che comporta il riassetto d’intere aree, non privo di forti tensioni militari e dalla ricomparsa del terrorismo.
All’interno delle nostre società, ci confrontiamo con movimenti migratori che richiedono un’integrazione culturale e lavorativa di queste persone ma che mettono in discussione a volte parte delle nostre convinzioni, della nostra cultura, le stesse conquiste sociali fin qui realizzate.
D’altra parte, l’incapacità di una loro gestione organizzata ed organica comporta un forte disagio sul lavoro e nei quartieri di residenza, specialmente per le persone meno abbienti, oltre che l’aumento di un utilizzo di queste energie e risorse umane in occupazioni ai limiti della marginalità e dell’illegalità.
La circolarità ed il movimento dei capitali verso il migliore rendimento hanno portato a grandi fenomeni di delocalizzazione delle produzioni che, se hanno avvantaggiato i paesi più poveri, hanno contemporaneamente rappresentato una perdita immediata di lavoro per le maestranze oggetto del trasferimento produttivo, in attesa di una loro non sempre facile ricollocazione nel mercato del lavoro.
La concorrenza di merci, che arrivano sui nostri mercati a prezzi molto più bassi di quelli delle produzioni locali, mette poi in ginocchio diversi settori produttivi e piccole aziende, costrette a chiudere o tentare una profonda ristrutturazione.
Chi paga in termini di preoccupazione per l’avvenire sono forse i ceti popolari e quel ceto medio che, fino agli anni ’60, aveva visto migliorare costantemente le prospettive di benessere.
I settori a tecnologia avanzata, il capitale finanziario, le professioni di grado più elevato hanno invece potuto utilizzare positivamente la realtà globalizzata, incrementando ulteriormente il proprio mercato di riferimento e ottenendo una maggiore remuneratività delle proprie prestazioni o delle proprie rendite di posizione o finanziarie.
In qualche modo, le conseguenze sono state diversificate sia sul piano della divisione internazionale del lavoro sia sul piano interno con un aumento delle disuguaglianze, del peso dei margini della finanza rispetto al capitale produttivo, con una crisi delle prospettive del futuro e della convivenza sociale.
 La forte disoccupazione, che ha tormentato gli anni della crisi finanziaria a partire dal 2007, la discontinuità e precarietà del rapporto di lavoro, il timore della prospettiva di una stagnazione secolare, l’aumento delle disuguaglianze sociali e della distribuzione della ricchezza, la difficoltà di rapporto e d’integrazione di masse enorme di migranti, rendono difficile l’assetto e lo sviluppo delle nostre società.
E’ questo il quadro all’interno di cui si colloca lo scontro fra le risposte della destra e della sinistra.
Mentre la destra accentua la dimensione nazionalistica e protettiva per cavalcare la paura del nuovo e del diverso, resa urgente dal malessere vissuto da parte della popolazione di fronte alle conseguenze negative di una mancata gestione dei processi, dall’altra una prospettiva di sinistra non può essere culturalmente subalterna ad un’impostazione puramente liberista ma deve ritrovare nella sua storia e in una capacità nuova d’elaborazione culturale una risposta convincente alla disperazione ed all’insofferenza delle persone.
L’importanza dell’azione pubblica, nei confronti della quale, a causa di anni di mala politica, di parassitismo e cattiva amministrazione, la gente ha sviluppato una reazione di sfiducia, va recuperata.
Va riconsiderato un ruolo equilibratore dello Stato recuperando il senso della solidarietà ed il primato della politica sull’economia, come espressione del bene complessivo della comunità.
Bisogna quindi, assolutamente, introdurre degli importanti ammortizzatori sociali che mitighino le conseguenze della globalizzazione, spostino risorse dalla finanza alla produzione nazionale, dalla rendita al lavoro, riducano le disuguaglianze, creino occasioni di crescita e di occupazione per tutti, diano un’indicazione condivisa sui criteri di uno sviluppo compatibile con l’ambiente in cui viviamo.
Il ruolo dell'intervento dello Stato nell'economia è di nuovo fondamentale come avvenne democraticamente nel New Deal e come sempre più esponenti progressisti cominciano a riscoprire.Da Sanders e Corbyn fino ad alcune dichiarazioni del sempre attento e lucido Romano Prodi ma anche di Enrico Rossi all’interno del PD o dello stesso Scalfari che nei suoi articoli auspica una maggiore progressività fiscale sui redditi elevati.
E' importante che l'iniziativa pubblica provveda a lanciare grandi progetti produttivi che impieghino direttamente disoccupati di lunga durata e migranti insieme per produrre ricchezza e servizi per tutti.
Non si tratta di ritornare ad invocare un Socialismo o addirittura un Comunismo al di fuori del tempo e con i limiti evidenti che la storia ci ha mostrato; ma di ritrovare il senso di solidarietà ed un ruolo di equilibrio dell’intervento dello Stato nell’economia, come espressione del bene comune, reinventando il nostro futuro.
Un ulteriore problema da considerare è come si possano realizzare ammortizzatori sociali verso quei settori produttivi che subiscono una concorrenza tale dall'estero da finire per soccombere; mentre, al contrario, possono essere ritenuti socialmente importanti o strategicamente rilevanti.
Da un lato è normale che alcune produzioni vengano dimesse perché non più convenienti; ma, dall'altro, alcune realtà vanno comunque mantenute per assicurare un equilibrio del sistema Italia. Tutto questo senza ricorrere alla guerra commerciale dei dazi, che è la risposta nazionalistica della destra; ma, neanche evitando il problema.
E possibile che una strada da seguire sia quella di porre a carico della collettività parte del danno.
In qualche caso nazionalizzando, in altri assumendo centralmente la distribuzione dei prodotti e, di fatto, socializzando parzialmente, con l’acquisto dai produttori a prezzo politico,   la possibile perdita economica di settori non più in grado di restare sul mercato ma di cui non possiamo fare a meno. Questo dovrebbe consentire di porre contemporaneamente in atto una politica di ristrutturazione e razionalizzazione di questi settori per permettere il loro graduale reinserimento autonomo nel mercato e la ricollocazione di tutte le risorse in esubero.
Il protezionismo ed il nazionalismo sono stati, già nella prima parte del novecento, delle risposte adottate in molti paesi alla crisi finanziaria del 1929 ed alla grande depressione economica successiva. La guerra commerciale che ne è seguita si è poi trasformata in confronto armato.
Tutto questo non è inevitabile; così come non è necessario che si risponda alla diversità con la paura e la condanna.
Possiamo provare a confrontarci e a sperimentare che spesso l’innovazione e le grandi civiltà nascono dall’incontro e dalla successiva rielaborazione delle diverse culture e tradizioni.


domenica 30 ottobre 2016

Un'opportunità di lavoro per tutti

 

 

 

 

 

 

La risposta ai fenomeni della migrazione e della disoccupazione di massa, nuove piaghe delle nostre società, non può che essere l'utilizzo di queste risorse da parte dell'Amministrazione dello Stato in grandi progetti che utilizzino queste persone per produrre ricchezza.

Un investimento sul futuro che deve  e può essere ripagato dai frutti del lavoro.

Penso a progetti riguardanti l'edilizia popolare e le infrastrutture, comprese le grandi centrali fotovoltaicche come quella recentemente realizzata in Marocco, il ripopolamento delle campagne e la messa in produzione di terreni demaniali incolti, l'assistenza, l'ulteriore messa a profitto delle ricchezze culturali ed artistiche del nostro Paese ecc. ecc.

Nell'ipotesi della produzione su terreni demaniali sarebbe utile  ad esempio l'accentramento di tutta la distribuzione commerciale in un'unica azienda pubblica.

Oggi, in mancanza di una forte iniziativa pubblica in tal senso, assistiamo all'aumento della marginalità e dell'illegalità.

Sono questi i modi attraverso cui, oggi, il libero mercato  riesce a mala pena ad affrontare  questi fenomeni mostrando evidenti segnali d'inadeguatezza.

Il peso di tutto questo incombe sulla nostra vita sociale, sulla nostra sicurezza, sulla qualità della nostra vita e di quella delle giovani generazioni.

Diventa inoltre un possibile onere anche per le attività produttive  sane, che operano spesso in un regime di concorrenza sleale (evasione fiscale, irregolarità sul lavoro ecc) e sotto pressioni e violenze illegali diffuse.

In qualche modo, tutto questo distoglie risorse indirizzandole  verso un mercato marginale ed illegale di cui non controlliamo la direzione ed il senso e che si può sviluppare ulteriormente in maniera abnorme. 

Le risorse  per avviare questi progetti possono trovarsi  sia grazie a possibili sinergie con il capitale privato, sia attingendo  ai fondi strutturali e sociali europei, sia con una riorganizzazione dell'attuale spesa pubblica.

Possiamo ancora ottenere fondi specifici dall'Europa per gestire l'accoglienza dei migranti, destinandoli a questo scopo.  

In ultimo, è possibile considerare l'aumento ad hoc delle entrate fiscali con un maggior ricorso alla progressività sui redditi elevati, sulle transazioni finanziarie, sui patrimoni immobiliari e mobiliari.

I tempi attuali sono estremamente difficili e viviamo nel segno di un profondo cambiamento epocale.Stiamo assistendo alla ricerca di nuovi equilibri di potere internazionali. Gli effetti della crisi finanziaria del 2007 non sono ancora finiti e molti studiosi intravedono i pericoli di un ristagno economico mondiale. Vaste aree del mondo e larghi strati della popolazione, anche all'interno dei paesi dell'Occidente, chiedono una maggiore attenzione e migliori condizioni di vita. Abbiamo il dovere di effettuare delle scelte ecologiche importanti e di definire linee di sviluppo compatibili e rispettose dell'ambiente in cui viviamo. Le ideologie e le fedi che sono stati i punti di riferimento nel nostro passato hanno bisogno di essere ristudiate e guardate con occhi nuovi per riuscire a comprendere la realtà che ci circonda in pieno cambiamento ed agire in maniera conseguente ed adeguata.

 

mercoledì 5 ottobre 2016

Il REFERENDUM SI VINCE SUL TEMA DELLA DEMOCRAZIA




Sono sempre più convinto che il Referendum Costituzionale sarà vinto sul tema della democrazia. E' questo, infatti, il tema che, di là dalla comprensione specifica dei singoli punti della riforma, preoccupa il cittadino comune. E' sulle sue paure che si fonda la scelta del No.
Il vero problema è che il cittadino, da troppi anni, sente un profondo distacco con la classe dirigente che lo rappresenta e decide per lui , influendo pesantemente sulla sua vita personale.
Sul referendum, pertanto, si è riversato, come un'onda, il peso dell'insoddisfazione e della paura rispetto al concetto di rappresentanza. Una profonda diffidenza nei confronti del processo di formazione della classe dirigente politica e del percorso di delega.
E' questo il punto centrale di cui non si parla e che chiama, invece, in causa il luogo principe, il veicolo della partecipazione politica nella nostra società: il sistema dei partiti ed il suo funzionamento.
Certo, sarebbe possibile scegliere direttamente i propri rappresentanti nelle istituzioni a partire dal proprio luogo di lavoro, come erano i soviet nei regimi comunisti. Si potrebbero utilizzare direttamente i sindacati e le varie associazioni di categoria per scegliere i propri rappresentanti. Immaginare, addirittura, la democrazia diretta o ancora liste civiche. Alla fine, tuttavia, il rapporto con la storia, con la cultura, le ideologie e i movimenti   fanno ancora preferire i partiti come portatori e luogo di sintesi, di formazione politica. Essi sono, pertanto, il luogo eletto della partecipazione alla vita politica di una società. Quello dove si forma e si verifica il valore della sua classe dirigente.
Quando la crisi nei confronti della "Casta" si fa così forte, come all'interno della società moderna, quando il cittadino si sente privato della possibilità reale di influire sulle scelte che condizioneranno la propria vita, allora si rischia una frattura pesante che può mettere in crisi la stessa democrazia.
Di questo, in realtà, si sta parlando mentre si affronta l'utilità del bicameralismo, del nuovo Senato, della riforma del titolo V e si tira sempre in mezzo la nuova legge elettorale.
Chi garantirà al cittadino che il partito di maggioranza non sia il dominio incontrastato del leader e del suo cerchio magico? Chi lo proteggerà   dall'utilizzo esclusivo del metodo della cooptazione per entrare all'interno della classe dirigente di un partito?
Il tema è dunque il reale funzionamento della democrazia all'interno del sistema dei partiti.
 Una democrazia che consenta la partecipazione del cittadino alla vita politica e all'elaborazione della linea del suo partito, con un procedimento che non sia solo dall'alto verso il basso, ma anche dal basso verso l'alto, per consentire l'emergere di nuovi problemi ed esigenze diffuse.
Una democrazia che non cada nella trappola del rifiuto della delega, ma comprenda che il cammino di formazione della classe politica avviene all'interno di un percorso di assunzione sempre maggiore di responsabilità e di servizio nei confronti degli altri.
Una democrazia che consenta la sostituibilità e la verifica dei dirigenti.
Il nostro Capo del Governo potrebbe dare una forte accelerazione su questo tema dichiarando apertamente, prima del voto referendario, l'intenzione di aprire un profondo dibattito sull'organizzazione e la democrazia interna al Partito Democratico come uno dei temi centrali d'affrontare nel Congresso da tenere all'inizio del prossimo anno.
Allo stesso tempo,   dichiarandosi già pronto a separare la carica di Capo del Governo da quella del partito, affidando ad un segretario provvisorio il compito traghettare il Congresso fino alla scelta del nuovo segretario.
Questo cambio di passo, proprio a partire dal partito che oggi regge il governo, potrebbe essere un segnale importante per i cittadini e chiarificatore di quello che è veramente il tema in gioco.


LE ALTERNATIVE IMPOSSIBILI

 

 

 

Siamo troppi in Europa per avviare una politica economica veramente di sviluppo e centralizzata.

In realtà, se osserviamo le scelte relative all'utilizzo dei fondi europei, vediamo che sono sostanzialmente insufficienti e che inoltre si rivolgono verso troppi paesi, in particolare dell'area ex Comecon.

Fu questa, a suo tempo, la grande iniziativa e lungimiranza che permise all'Europa di dare uno sbocco politico ed economico a quei paesi e consentire a tanti lavoratori di circolare liberamente nel territorio europeo.

Non dimentichiamo, inoltre, le delocalizzazioni di tante imprese proprio in quei paesi.

Fare entrare tutti nell'area euro, oltre che nel mercato comune, ha di fatto significato la rinuncia ad un passo avanti verso l'unità politica ed economica.

Non credo che riusciremo più a perseguire questa strada.

Adesso è chiaro che questi paesi vedono come aperti concorrenti quelli nostri vicini del Medio Oriente e Nord Africa e sanno benissimo che degli investimenti destinati allo sviluppo di quell'area possono comportare una distrazione di risorse europee nei loro confronti.

E' anche vero che l'integrazione dei paesi balcanici ha rappresentato un grande periodo di crescita per l'Europa di cui hanno beneficiato tutti ed in particolare la Germania.

Si potrebbe ipotizzare un restringimento dell'area euro, accoppiata ad una maggiore integrazione politica, ma credo che ormai sia fantascienza .

In questo momento, mi sembra che ogni paese debba in primo luogo tentare una redistribuzione delle ricchezze al proprio interno. Operare sulla strada della razionalizzazione e modernizzazione e tentare di ottenere fiducia dai mercati dei capitali internazionali sia da solo sia con progetti che possono coinvolgere altri paesi specificandone con esattezza e dettaglio il ritorno e la validità dell'investimento.

Ritengo che il Fiscal Compact vada contestato ed alla fine non rinnovato operando anche la soppressione del recepimento nella nostra Costituzione del pareggio di bilancio.

Ciò comporterebbe presto o tardi  la rinuncia all'euro; ma , non è nostra convenienza porre la questione ed, anzi, sarà bene che sia posta insieme ai paesi più forti ed eventualmente con una gestione unitaria del problema

Quello che si può invece fare è rafforzare l'alleanza per la difesa comune dell'area e per gli accordi commerciali e d'investimento con i paesi terzi. 

martedì 20 settembre 2016

LA POLITICA SULL'IMMIGRAZIONE DOPO BRATISLAVA







Uno dei punti dolenti dell'incontro europeo a Bratislava è stato quello  relativo  alla realizzazione di una  politica europea nei confronti della migrazione.
 Eppure l'accordo con la Turchia era stato una mossa in questa direzione che poteva lasciar immaginare una maggiore capacità comune di affrontare il problema !
Guardando la questione dalla parte italiana , mi sembra ineccepibile  ad esempio affermare  che se l'Europa ha una frontiera esterna ,  le nostre coste sono "frontiera esterna" europea, e pertanto  gli immigrati  che sbarcano da noi , sono immigrati che sbarcano in  Europa.
Dopo una prima registrazione  mi sembrerebbe  pertanto doveroso  accettare  che:
1) se sono profughi aventi diritto di asilo, debbano essere loro  ad indicare in quale posto dell'Europa vogliano vivere;
2) se non hanno diritto, bisognerà pensare a rimpatriarli,  e pertanto dovrebbe essere logico  pretendere che sia la U.E. a negoziare, con il suo peso e la sua autorità, gli accordi con i paesi di origine e/o con paesi amici disponibili  ed anche a sostenere le spese dei rimpatri."
Aggiungo ancora che anche i centri di prima  accoglienza  nei diversi paesi  europei  dovrebbero essere finanziati da  fondi europei e che l'inserimento nel mercato del lavoro  dovrebbe essere in ambito   europeo..Vi dovrebbe poi essere  l'immediata destinazione delle persone che utilizzano il centro  in lavori socialmente utili e/o in primi lavori d'ingresso nel mondo del lavoro a condizioni particolari stabilite in sede europea in deroga alle legislazioni nazionali del lavoro ( zero cuneo fiscale, orario ridotto di lavoro ad es 30 ore settimanali , stipendio di ca 450 euro mensili  che costituisce un incasso per il centro di accoglienza ecc);. Si potrebbe ipotizzare un anno di tempo  dopo il quale in caso di mancato inserimento stabile a tempo pieno  nel mercato del lavoro dovrebbe considerarsi il rimpatrio.
Accanto a questo penso sia indispensabile  l'avvio di una azione diplomatica europea  che ottenga da un lato l'impegno e la disponibilità dei paesi aderenti al rimpatrio dei migranti che non riusciremo ad integrare e dall'altro l'impegno  europeo per la realizzazione d'investimenti produttivi in joint venture con i governi e le imprese locali e/o  non, che realizzino occasioni di lavoro in questi paesi.ed un risvolto economico utile per tutti I Primi paesi oggetto dell'intervento potrebbero  essere la Tunisia , l'Egitto, L'Algeria . Il Marocco ,l'Iraq  il Libano ecc chiedendo opportune reciprocità  e garanzie per la gestione complessiva di  eventuali rimpatri. E' possibile immaginare un primo  utilizzo delle persone  nei settori, dell'agricoltura, della pesca, dell'energia. Si dovrebbe immaginare un grande processo d'investimento e cooperazione che veda partecipi e protagonisti i paesi disponibili e amici. L'investimento nella risorsa lavoro potrebbe essere per i primi anni a carico dell'Europa e così anche l'anticipo finanziario per la realizzazione degli investimenti produttivi  mentre i ricavi dovrebbero essere divisi fra il paese ospitante e l'Europa in modo da realizzare una vera e propria joint venture che realizzi nuovi insediamenti produttivi che nel tempo ripaghino l'investimento iniziale, trasformino parte degli assistiti in lavoratori pienamente integrati ed assicurino inoltre una  successiva corrente di profitto.
La spesa per gli investimenti produttivi dovrebbe essere totalmente rimborsata sia per la parte  capitale sia interessi grazie al ritorno dell'investimento.
Se poi, a giudizio e su iniziativa dei Paesi ospitanti, si volessero coinvolgere gli imprenditori privati di quei paesi e non solo sarebbe importante immaginare un loro coinvolgimento diretto nel capitale di rischio ed un esame dello stesso da parte delle banche locali con la concessione anche di rischi in proprio.
,Dato 100 l'investimento complessivo, 20 dovrebbe essere coperto dalle risorse proprie dell'imprenditore, 30 da finanziamento a rischio pieno  della Banca locale e 50 erogato dalle risorse finanziarie europee. Ovviamente il piano di rimborso dovrebbe prevedere rate unitarie comprensive della quota relativa alla Banca locale ed europea.   In tal modo fatto ad esempio 100 il volume delle risorse europee impiegate avremmo un investimento complessivo di 200
 Rispetto a quanto descritto dovrebbe fare eccezione un piano d'investimento per la realizzazione nell'intera area di almeno 30 impianti fotovoltaici della dimensione di quello appena realizzato in Marocco della potenza di cpl 580Mw:
Si parla di una spesa complessiva di 300MM  di euro il cui ritorno può avvenire nello spazio di dieci anni. Successivamente al rimborso dell'investimento iniziale  i ricavi degli impianti dovrebbero essere divisi al 50% fra la nazione ospitante e l'Europa così come la destinazione energetica.
Ripeto che  tutti  gli investimenti  sopra descritti dovrebbero essere preceduti da un vero e proprio accordo con i paesi amici attraverso di cui gli stessi dovrebbero impegnarsi a loro volta ad accettare i rimpatri e gestire i migranti nel loro territorio.

Questa ipotesi di lavoro  potrebbe essere valida anche se, paradossalmente,  vi fossero solo pochi paesi ( Italia , Grecia , ecc)  ad ospitare nel loro territorio i centri di accoglienza  ed in prima battuta vi fosse una distribuzione ineguale delle presenze : E' ancora accettabile ma solo per il primo anno se dopo è garantito il rimpatrio di chi non ha trovato un lavoro continuativo nell'intero mercato europeo: Se comunque i fondi europei hanno coperto le spese , se è stata fatta una politica comune di presidio delle frontiere e di acordo con i paesi  del Nord Africa e Medio Oriente per lo sviluppo dell'area ed i rimpatri.
Se neanche questo verrà fatto e verremo lasciati da soli al nostro destino allora dovranno essere riviste molte cose compresa la modalità della nostra partecipazione europea. In ogni caso dovremo gestire  i flussi dei migranti con modalità simili ma a nostro carico e dovremo tentare accordi  diretti con i paesi del Nord Africa e Medio Oriente che si dichiareranno disponibili .
Vi sarà un grosso problema  di natura finanziaria che si sommerà a quanto è già necessario per il rilancio del nostro  sviluppo ed il sostegno alla nostra disoccupazione e dovremo tentare di ricorrere al mercato con l'emissione di  bond specifici.
Riusciremo a questo punto a non peggiorare ulteriormente i nostri parametri finanziari e rimanere nei parametri del Fiscal Compact? Riusciremo in ogni caso ad avere un piano di lavoro credibile e vincente che riesca a convincere i mercati a darci fiducia?
Personalmente non lo ritengo possibile se non grazie ad una contemporanea  grande redistribuzione interna delle ricchezze, che unita ad una grande modernizzazione e semplificazione della nostra società, alla fine riesca a e spostare  le risorse verso il lavoro.

mercoledì 14 settembre 2016

RESPONSABILITA’, LAVORO, SOLIDARIETA’

















La forza e la gravità della crisi economico/finanziaria, che dal 2007-2008 ha progressivamente ridotto il livello di vita dei paesi occidentali, ha colpito in modo particolarmente grave il nostro Paese che, da tempo, presenta problemi di crescita della sua economia.


Nel corso di questi ultimi anni, il quadro strutturale è peggiorato. Abbiamo perso la nazionalità di molte imprese prestigiose, altre hanno preferito trasferire la loro sede sociale e fiscale altrove, altre hanno delocalizzato i propri stabilimenti.
Abbiamo perso posizioni nel confronto fra i livelli di produttività dei principali paesi nostri concorrenti. Il nostro CLUP viaggia con un divario di ca. il 20% rispetto a quello dei paesi più avanzati dell'area europea ed il cuneo fiscale sul lavoro a carico delle nostre aziende è particolarmente gravoso. Non meno pesante appare il livello degli investimenti dedicati all'innovazione che è sensibilmente più basso di quello dei nostri principali partners internazionali.
Tutto questo comporta, per i più deboli, il peggioramento delle opportunità di lavoro e delle condizioni di vita. L'allargarsi del fenomeno della disoccupazione e della povertà. Oltre quattromilioni e mezzo di cittadini italiani ha un reddito al di sotto della soglia della povertà e la disoccupazione si mantiene ancora su livelli molto elevati.
Se a questo, aggiungiamo la pressione migratoria, che ancora per molti anni probabilmente graverà sul nostro paese, ci rendiamo conto di come sia necessario tentare un grande sforzo di solidarietà collettiva per superare questo difficile momento.
Mi sembra che le strade da battere non possano che essere quelle della responsabilità, del lavoro, della solidarietà.
Per quanto riguarda il primo aspetto penso che sia chi ricopre il più basso livello lavorativo che il più elevato ed, in sostanza, ogni cittadino di questo Paese dovrebbe sentire, in prima persona, la responsabilità di rendersi utile per superare questo difficile momento.
Come, in altri tempi, suggeriva J.F Kennedy in un suo famoso discorso non chiediamoci cosa l'Italia e lo Stato possono fare per noi; ma, piuttosto, quello che "Noi" possiamo fare per la comunità cui apparteniamo. Come possiamo rendere migliore ed efficiente il nostro lavoro , la nostra presenza sociale, il nostro rapporto con gli altri. Come possiamo evitare di fermarci a dire che una questione non è di nostra competenza ma provare, comunque, a risolverla insieme agli altri, coinvolgendo chi ne ha la responsabilità. Provare, insieme agli altri cittadini, a migliorare il livello culturale ed il diffuso senso civico del nostro Paese.
Vogliamo e ci sentiamo in grado di assumere questa responsabilità?
 Almeno, proviamoci!

La seconda questione è il lavoro.

Dobbiamo favorire tutte le occasioni che consentano di dare lavoro.
Dobbiamo tentare di comprendere la lezione tedesca contenuta nella riforma Hartz e pretendere che chiunque goda di un sussidio sociale sia disponibile a prestare un lavoro socialmente utile offerto dallo Stato e non possa rifiutare qualunque offerta di lavoro privato anche se di qualifica inferiore alla sua professionalità. Allo stesso tempo dobbiamo tentare di combattere la trappola del mini-job impedendo che si cristallizzi in una situazione definitiva e porti progressivamente all'emarginazione. Probabilmente si dovrà prevedere un periodo massimo oltre il quale il lavoratore possa acquisire una specie di diritto di prelazione nel mercato del lavoro; ad esempio, sotto forma di vantaggio fiscale per l'impresa che lo assume, paragonabile a quello che ha permesso il passaggio a tempo indeterminato di molti contratti di lavoro precari, recentemente in Italia.
Dobbiamo completare la riforma della Pubblica Amministrazione consentendo:
a)      il demansionamento 
b)      la possibilità di trasferimento fra un settore e l'altro
c)      la possibilità del trasferimento territoriale
d)      l'equiparazione al settore privato per quanto riguarda la possibilità di licenziamento definendo in questo caso i parametri necessari, le  modalità. ed indennità
e)      una riforma della struttura del salario individuale legandone una parte (il 25% ?) alla produttività personale
Questo per permetterne una ristrutturazione complessiva nel segno della maggiore produttività ed efficienza.
Dobbiamo dedicare risorse alla riduzione del cuneo fiscale sul lavoro a carico delle imprese. E' questo il modo più rapido per recuperare in tempi brevi maggiori livelli di produttività senza intaccare  il potere d'acquisto dei salari operai.
Dobbiamo aumentare le risorse dedicate alla disoccupazione, in particolare di lunga durata.
Lo Jobs Act, recentemente approvato, è nato nello spirito di consentire la flessibilità e la mobilità del lavoro verso il suo impiego maggiormente produttivo; ma, tutto questo non deve essere pagato personalmente dal singolo lavoratore, il quale ha il diritto di essere adeguatamente sostenuto dall'intera società.
Diventa evidente pertanto una riqualificazione produttiva di tutto il sistema Italia, sia privato che pubblico orientato verso una maggiore produttività e verso una maggiore solidarietà verso chi deve reinserirsi nel lavoro, desidera entrare nel mercato per la prima volta o appartiene a strati della popolazione ancora più svantaggiati come le donne, gli anziani.  Una spesa pubblica orientata il più possibile alla produttività ed alla realizzazione d'economie esterne per le imprese e la solidarietà verso i più deboli, con un possibile sacrificio dei più forti a contribuire maggiormente per il godimento dei servizi pubblici.
Abbiamo bisogno di nuove risorse pubbliche  da destinare allo scopo e parte di quelle attuali devono essere utilizzate  in modo diverso.
Le maggiori risorse pubbliche possono venire dallo sfruttamento e valorizzazione del patrimonio artistico, culturale e paesaggistico. Possono venire dalla migliore utilizzazione del personale. Possono venire da una diversa allocazione della spesa verso servizi che possano avere degli introiti diretti. Possono ottenersi attraverso un aumento delle tariffe dei servizi a carico dei più abbienti. Possono venire anche da un maggiore contributo di solidarietà da parte delle famiglie più ricche.

La solidarietà:
Si possono individuare due flussi principali aggiuntivi di risorse:
Il primo riveniente da una tassazione specifica dello 0,20% sulle ricchezze finanziarie detenute dalla famiglie italiane.
Secondo i dati forniti dalla Banca d'Italia, le ricchezze finanziarie delle  famiglie italiane  al 2014 nel Supplemento al bollettino statistico- Nuova serie –Anno XXIV –16 dicembre 2015- n. 69

        Nella  Tavola uno ,il totale delle  attività finanziarie  del 2014 delle famiglie italiane  è pari a  3897,2 MM  dont  crediti commerciali 102,5MM, partecipazioni in soc. persone 211,9  MM prestiti dei soci alle cooperative  15,6MM,riserve tecniche assicurazione 803,8. Se proviamo a depurare il dato da questi ultime attività indicate,  pari a cpl. 1133,8MM , abbiamo un importo di  2763,4MM.  Lo 0,20%  sarebbe  pari a  5,5MM . Stiamo parlando di una tassazione di 2000 euro su attività finanziarie di 1.000.000 d'euro .

Il secondo flusso di solidarietà potrebbe essere riveniente dall'aumento dell'imposizione fiscale progressiva per i redditi superiori a 70.000 euro annui.
Nello studio sui dati IRPEF 2014  elaborati dal Ministero delle Finanze ed economia
http://www1.finanze.gov.it/finanze2/analisi_stat/v_4_0_0/contenuti/analisi_dati_2014_irpef.pdf?d=  si legge che :"I soggetti che dichiarano un'imposta netta Irpef sono 30,7 milioni (il 76% del totale contribuenti) e dichiarano un'imposta netta pari a 151,2 miliardi di euro per un valore pro capite di 4.920 euro; circa 10 milioni di soggetti hanno imposta netta pari a zero. Si tratta, ad esempio, di contribuenti con livelli reddituali compresi nelle fasce di esonero oppure di contribuenti che fanno valere detrazioni tali da azzerare l'imposta lorda. Analizzando la distribuzione dell'imposta per classi di reddito complessivo si evidenzia che i contribuenti con redditi fino a 35.000 euro (85% del totale contribuenti con imposta netta) dichiarano il 47% dell'imposta netta totale, mentre il restante 53% dell'imposta netta totale è dichiarata dai contribuenti con redditi superiori a 35.000 euro (15% del totale dei contribuenti). I soggetti con un reddito complessivo maggiore di 300.000 euro dichiarano il 4,9% dell'imposta totale "
In valore assoluto, l'imposta  dichiarata da questo solo gruppo di reddito (oltre € 300.000) è pari a  7,40 MM . Oggi, a questi redditi viene applicata un'aliquota del 43% mentre, se provassimo ad applicarne una del 75%, si avrebbero risorse aggiuntive per 5,5MM d'euro.Se diversamente si volessero invece incrementare progressivamente le aliquote marginali a partire dai redditi superiori a € 70.000, probabilmente, si potrebbe ottenere un risultato anche superiore, senza arrivare ad un'aliquota del 75% per i redditi oltre i 300.000 euro, restando sufficiente una fino al 65%.

Comprendo che parlare di maggiore imposizione fiscale e di solidarietà, in un momento in cui da ogni parte si richiede una riduzione del carico fiscale, possa sembrare impopolare ed addirittura improvvido. In realtà, la maggiore solidarietà è richiesta ai più abbienti e non è strettamente connessa ad un incremento complessivo del carico fiscale rispetto al PIL. Si possono prevedere delle riduzioni su altri segmenti (come ad esempio io stesso suggerisco per quanto riguarda il cuneo fiscale a carico delle imprese).Si possono prevedere delle riduzioni sulle fasce deboli di reddito grazie ad una lotta più serrata all'evasione fiscale. Si possono pensare a delle riduzioni dovute all'incremento delle entrate dello Stato rivenienti dalle prestazioni di servizi, tariffe o sfruttamento del patrimonio artistico ecc.