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giovedì 5 maggio 2016

La migrazione è un problema di tutti i paesi dell'Eurozona

 

Nonostante le proposte contenute nel Migration Compact dal Governo italiano e le parole pronunciate dal Papa a Lesbo, il modo di procedere dei governi europei non sembra in grado di affrontare con apertura ed equilibrio il problema dei rapporti con il fenomeno complesso del riassetto dell'area dell'Africa settentrionale e del Medio oriente e la conseguente eccezionale ondata migratoria ¨.

Pur dopo gli accordi con la Turchia, continuiamo ad osservare il disagio delle popolazioni in Grecia ed è probabile che molto presto il fenomeno interesserà il nostro paese, con un afflusso dei migranti molto superiore al passato.

 Ma già la paura di essere coinvolti serpeggia in Europa e aumentano i controlli alle frontiere.

Quello che, tuttavia, appare evidente è l'inadeguatezza del modo di gestire la situazione, scaricando il problema sui paesi di confine. D'altra parte, è anche giusto affermare che, a loro volta, questi paesi non possono pensare di sottrarsi da ogni responsabilità, cercando di favorire il passaggio dei migranti verso i paesi del Nord Europa.

Il gioco è rotto!  Nonostante i trattati in essere, la gestione dei flussi migratori non può essere un problema solo dei paesi di confine e non può essere affrontato discutendo di eventuali risorse da mettere a disposizione degli stessi per la gestione del problema solo sul loro territorio.

 La rilevanza del fenomeno migrazione, al contrario, comporta la necessità di una risposta comune che preveda il reperimento di risorse  specifiche per  finanziare:

-centri di prima accoglienza e lavoro su tutto il territorio europeo con specifica normativa comune  europea in deroga a quella dei singoli paesi (ad esempio in tema di legislazione del lavoro ecc);

- organizzazione di centri europei per l'impiego specifici per i migranti;

-sorveglianza dei confini europei con la creazione di una forza militare comune ed accordi con i paesi di provenienza per i rimpatri;

-investimenti comuni nelle zone geografiche di provenienza; 

Personalmente,   ritengo che la portata del fenomeno sia tale da mettere in discussione il mercato del lavoro europeo, la tipologia delle produzioni nell'eurozona  e le relazioni  commerciali e politiche con i paesi di provenienza.-

Non possiamo pertanto limitarci ad affrontare esclusivamente il problema della prima accoglienza o di una possibile ripartizione fra i paesi membri, senza valutare la permanenza del fenomeno, la necessaria integrazione di queste persone e l'importanza di fare in modo che quest'afflusso di persone diventi una grande  risorsa umana.

Non possiamo pensare, cioè, che questa massa enorme di persone possa essere considerata un problema umanitario da mantenere comunque in perenne stato di emergenza, lontano dalla nostra realtà sociale. Siamo di fronte ad un fenomeno che cambia i termini non  solo della nostra esistenza culturale, ma anche del nostro sistema sociale, economico e lavorativo.

L'Eurozona ha la possibilità di utilizzare in maniera proficua ed efficace  questo enorme esercito di riserva di manodopera per creare ricchezza  ed un miglioramento generale delle condizioni di vita dei suoi cittadini ? 

Pensiamo al contrario di porre una barriera per arrestare il fenomeno in quanto riteniamo di non avere la possibilità di utilizzare queste risorse?? Quali potrebbero essere le conseguenze ?

L'Eurozona può limitarsi, pertanto,  a gestire la questione sul suo territorio o sarà indispensabile investire  congiuntamente importanti risorse in maniera programmata nei paesi di provenienza? Quali investimenti  potrebbero essere effettuati ed in quali settori ?

Quali cambiamenti delle regole del mercato del lavoro dovranno essere attuate per consentire un progressivo inserimento dei migranti senza disperdere i diritti e le conquiste dei lavoratori europei? Sarà necessario stabilire delle prime regole europee comuni, in deroga alle diverse legislazioni nazionali sul  lavoro,  per il primo periodo d'inserimento ? 

E' possibile gestire il problema dei migranti senza farsi carico contemporaneamente  ed insieme almeno degli inoccupati europei?

La mia impressione è che, tuttavia, la classe dirigente europea sia molto lontana da una prospettiva del genere : Si dimostra impreparata e divisa. Pensa di gestire tutto a livello nazionale o scaricando la questione sulla Turchia di turno: Niente di più illusorio! Dobbiamo iniziare una profonda lotta politica in Europa per far affermare una classe dirigente diversa che sia favorevole a queste misure.

martedì 3 maggio 2016

La decadenza,un'ipotesi drammatica del nostro futuro.

 

In un una recente intervista a Romano Prodi su"Il Corriere della Sera"del  22 aprile 2016, lo stesso  afferma tra l'altro:

"La Banca centrale ha capito il pericolo di una stagnazione prolungata e fa di tutto per evitarla.Ha evitato il disastro, ma ha esaurito le sue munizioni. Il pericolo della stagnazione è ancora di fronte a noi: se continuiamo con la distruzione della classe media e l'accumulazione della ricchezza nella classe più elevata, che non consuma, costruiamo la stagnazione secolare".

Personalmente, condivido il concetto che alla radice del problema vi sia l'eccessiva concentrazione della ricchezza prodotta in poche mani. Questo peggioramento dell'ineguaglianza, a mio parere, porta ad un prevalere di una classe agiata che ha una minor propensione al consumo rispetto ai ceti più poveri e con una tendenza a preferire la rendita al lavoro produttivo. A loro volta,  le imprese, di fronte a questa contrazione della domanda  mondiale, tendono a ridurre gli investimenti e la richiesta di capitali al settore finanziario.

 Sicuramente, fino a quando la dilatazione del debito pubblico e privato ha consentito ai ceti medi dei paesi industrializzati di mantenere o addirittura migliorare il loro livello di vita, la domanda non ne ha risentito. Anche la spesa pubblica complessiva dei paesi industrializzati, finanziata in parte dai paesi emergenti, è stata funzionale. Il gioco è saltato quando l'indebitamento privato è stato eccessivo proprio nella capitale del mondo: gli USA. La crisi finanziaria del 2008 è stata la constatazione dell'eccessivo indebitamento delle famiglie.

In seguito alla crisi finanziaria  le disponibilità dei paesi emergenti si sono spesso orientate poi all'acquisizione delle dirette attività produttive occidentali, spogliando in parte  le nostre  risorse.  La delocalizzazione produttiva,  operata da molte multinazionali, ha fatto il resto e per  il capitale finanziario è stato utile investire nei paesi emergenti che assicuravano maggior ritorno dell'investimento con produzioni a basso costo che hanno invaso i mercati mondiali.

Oggi  colossi  come la Cina  cominciano  a guardare  con maggiore attenzione lo sviluppo della propria domanda interna e sono meno disponibili a finanziare il nostro debito.

Atri paesi  emergenti rallentano il passo e rischiano la fragilità a causa dell'eccessivo indebitamento finanziario delle proprie aziende nei confronti dei capitali esteri e per la crisi dei prezzi dei prodotti energetici di cui sono esporatori.

Nei paesi industrializzati le famiglie del ceto medio di certo non possono subire l'impoverimento progressivo, se si vuole ritornare a parlare di miglioramento delle condizioni generali di vita. Una quota maggiore della ricchezza sociale prodotta  o direttamente (con maggiore occupazione e/o aumento dei salari)  o indirettamente (tramite l'investimento pubblico) deve tornare  ai ceti popolari e medi se vogliamo far ripartire la crescita produttiva.

Personalmente sono quindi convinto che per combattere questa tendenza alla stagnazione si dovrebbero attuare due  interventi  :

a) ridurre la disuguaglianza, aumentando la quota di ricchezza prodotta da distribuire ai ceti popolari e medi;

b) potenziare gli investimenti pubblici  specialmente in quei settori che possono ulteriormente  modificare il livello di ricchezza sociale complessivo ma che immediatamente possono risultare non particolarmente convenienti. Un pò quello che nel passato è avvenuto con i grandi processi di elettrificazione, la ferrovia, le grandi conquiste sociali,  con la ricerca spaziale, con le autostrade informatiche ecc che hanno modificato la nostra vita e aumentato in maniera stabile la crescita economica.

Per attuare una adeguata redistribuzione delle ricchezze in tempi rapidi  è necessario prendere in seria considerazione la leva fiscale  per consentire da un lato un maggiore contributo sociale  dei redditi più elevati e in qualche modo scoraggiarne  la diffusione e la crescita. .

Politicamente può essere una misura impopolare, con forti controindicazioni per il consenso politico  dei partiti che porteranno avanti queste politiche; tuttavia, mi auguro di sbagliarmi, ma non vedo alternative.

Una parte dei paesi industrializzati, in particolar modo dell'area europea,  rischia per molti anni un avvitamento ed una possibile decadenza se non riesce a far riprendere  la propria domanda interna con una  migliore distribuzione dei redditi nei confronti dei ceti popolari e medi  e l'incremento della spesa pubblica:precondizione necessaria per una ripresa sostanziale degli investimenti produttivi, della ricerca ed innovazione.

Abbiamo bisogno di nuovi traguardi mondiali da conseguire insieme sia in campo tecnologico ed energetico, sia  per migliorare complessivamente  le condizioni di vita nostre e di tante popolazioni che vivono al disotto dei livelli di povertà.

 Mi sembra probabile, inoltre, che senza  misure forti in tal senso  andremo incontro ad un acuirsi delle tensioni popolari interne ed internazionali, proprio a causa delle difficoltà connesse all'arrestarsi del processo di crescita. Lo scoppio di una nuova conflittualità e una ridefinizione degli equilibri e dei pesi specifici fra le nazioni.

Uno dei territori interessati è alle nostre porte ed è l'area del Medio Oriente e del Nord Africa. La mia preoccupazione è che non si tratti solo di un riassetto degli equilibri interni ma che chiami in causa anche una ridefinizione dello scambio e del potere economico nei confronti del mondo occidentale,  a partire dalla vicina Europa.

 In tutto questo, mentre vedo una visione moderna e costruttiva della nuova sinistra (come quella del nuovo gruppo dirigente  del PD) mi sembra che sia assente una proposta articolata da parte dell'area progressista  più legata alla tradizione del movimento operaio. Questo, alla fine, rappresenta un elemento di debolezza