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venerdì 27 gennaio 2012

Ribellismo e modernizzazione

 

Accade spesso di vedere ceti e settori sociali, che per anni hanno sopportato un sistema corrotto ed ingiusto, rivoltarsi improvvisamente contro processi di modernizzazione che in qualche modo rompono gli equilibri preesistenti.

Spesso questi movimenti sono guidati da ceti politici legati proprio a quella struttura di potere messa in discussione dal processo di cambiamento.

Non è raro poi vedere questi fenomeni travalicare, con proposte radicali e ribelliste, i confini della convivenza civile, in nome di un malessere reale, profondamente avvertito, ma di cui non si intravede alcuna soluzione razionale.

Potrebbe essere la Vandea o la controrivoluzione tentata della " guardia bianca" contro la giovane Repubblica Socialista Sovietica o ancora i cortei delle donne del popolo cileno che sbattevano le pentole vuote contro la politica di Allende o Reggio Calabria in rivolta o ancora il malessere della Sicilia attuale e le proteste forti di alcune categorie professionali a testimoniare la sempre possibile terribile saldatura fra esponenti dei poteri messi in discussione dalle politiche di modernizzazione e le masse popolari che vivono impotenti il senso improvviso del loro disagio e della propria disperazione.

Il camionista che non riesce a sopravvivere, a causa dei costi esorbitanti e delle difficoltà finanziarie, non finge certo il suo disagio; così come non finge il contadino, i cui prodotti sono sbattuti fuori da un mercato pieno di merci d'importazione a più basso costo.

Tutto questo sconta la mancanza di processi di ristrutturazione e modernizzazione mai avvenuti grazie ad una politica arretrata di assistenza protezionistica basata spesso sulla rendita anziché sullo sviluppo della produttività.

Il privilegio e l'illegalità diffusa, governata da centri di potere fra i più conservatori possibili, tuttavia funzionavano e facevano dimenticare, nella comune sopravvivenza, il peso della miseria e dell'arretratezza.

Quando la pentola viene scoperchiata, tutto va per l'aria e non c'è più come sopravvivere.

E' in questo che si salda la ribellione delle Professioni, insieme a quella degli autotrasportatori, dei tassisti, dei contadini e pescatori siciliani ecc

La responsabilità politica di chi opera il cambiamento è la sostenibilità e la praticabilità dei processi di modernizzazione. Oggi, tuttavia, il cambiamento ci è imposto da una situazione internazionale pesante che ci trova impreparati. Nasce pertanto dall'emergenza ma non ha trovato, all'interno del nostro paese, la lenta maturazione socio/economica, culturale e politica necessarie a supportarlo; né, una classe dirigente estesa nella società capace di guidare la gente in questo processo.

E' facile pertanto che ogni singolo settore si senta minacciato della propria sopravvivenza senza individuare un'alternativa complessiva e credibile a cui riferirsi.

In queste situazioni, da non sottovalutare, i rischi per la convivenza civile sono altissimi.

Il ribellismo e la violenza sono spesso le soluzioni apparentemente più semplici per ripianare un torto reale o presunto subito e quasi tutti in Italia ritengono di essere vittime di un qualsiasi sopruso.

La vera partita politica può giocarsi, sul fronte interno e su quello europeo, nella capacità di portare avanti un progetto di modernizzazione basato sulla crescita delle opportunità e di una maggiore eguaglianza che riesca ad essere vincente rispetto all'ipotesi ribellista e reazionaria di cancellare tutto, combattendo l'un contro l'altro alla ricerca del privilegio perduto.