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domenica 26 settembre 2010

UN PATTO DEL LAVORO PER LA CRESCITA ECONOMICA E CIVILE DEL NOSTRO PAESE

 

 

E' giunto il momento che, di fronte allo sfascio mostrato dalla politica  e della perdita dei valori, di rispetto e convivenza della società civile, le forze produttive di questo Paese si assumano la responsabilità di un grande patto  per la crescita economica e civile  attorno a cui coalizzare tutte le forze politiche, culturali e sociali disponibili a questo progetto.

Le associazioni di categoria ed i leaders di un settore produttivo Italiano, che presenta ancora al proprio interno elementi d'avanguardia, insieme alle tre principali confederazioni sindacali, ricche di una storia importante del movimento operaio, hanno il dovere e la possibilità di trovare  i punti d'accordo su di un patto del lavoro che consenta ad ognuna delle sue componenti di trovare motivi di soddisfazione e di speranza

Il mondo dell'impresa deve poter trovare un terreno fecondo dove  sia possibile utilizzare nel modo migliore i fattori produttivi capitale e lavoro , con l'elasticità e la flessibilità necessarie.

Per fare ciò  questo settore deve essere protetto da tutte le sacche di arretratezza e di parassitismo presenti in Italia

Dobbiamo poterci liberare del peso funesto dell'evasione contributiva e fiscale che costituisce un fattore di sottosviluppo e di concorrenza sleale.Dobbiamo liberarci delle forme di monopolio più o meno evidenti presenti soprattutto nel settore dell'informazione e dei media. Dobbiamo liberarci dal peso corruttivo della politica che alimenta collusione , corruzione e non consente lo sviluppo della meritocrazia.Dobbiamo liberarci dal malaffare che avvelena intere zone  territoriali dal punto di vista economico e civile e sta diventando, oltre che una spinta verso il sottosviluppo, un attore di profonda turbativa dell'economia con attività sostanzialmente negative per la libera concorrenza. Dobbiamo ridurre il peso della rendita e renderla meno conveniente rispetto all'investimento produttivo.

Bisogna  che la produttività del lavoro abbia un'impennata  grazie ad una legislazione e ad una organizzazione del lavoro moderna  e condivisa con le tre organizzazioni sindacali e le forze politiche che saranno disponibili a questo progetto.

L'impresa deve poter disporre di capitali per produrre e pertanto di un sistema bancario e di stimoli governativi all'altezza.

Fino ad oggi il sistema bancario italiano è stato sicuramente in grado di seguire le imprese e nel pieno della crisi economico finanziaria  i cordoni del credito non si sono chiusi. Grazie anche ad operazioni di stimolo e di garanzia messe in atto dal governo con l'accordo dell'ABI ( Fondo Garanzia PMI, Programma impresa Italia, riscadenzatura del debito  a MLT per le PMI in difficoltà finanziaria ecc) si è potuto attenuare la sofferenza del momento economico; ma, non possiamo rischiare che le recenti manovre sul principale gruppo bancario Italiano : Unicredit possano significare un privilegio per alcune aree ( quelle sostenute dalla Lega Nord) o per alcuni imprenditori ( gruppo Mediaset  e altri imprenditori vicini all'asse Mediobanca/Generali)

Bisogna garantire maggiori mezzi finanziari per le imprese  con una politica fiscale che privilegi  il lavoro ( imprese e lavoratori) rispetto alle rendite finanziarie ed ai redditi elevati ( fiscalità progressiva oltre 150.00 euro) con una riduzione dei costi della politica ( dimezzare il numero dei parlamentari e ridurre i loro stipendi, ridurre del 50% almeno le auto blu, eliminare le provinvce ecc) e con la lotta all'evasione fiscale.

L'impresa deve poter disporre   tuttavia anche di una possibilità di utilizzo del fattore lavoro che stia al passo coi tempi e ne permetta un' allocazione elastica verso i settori che offrono maggiori opportunità all'interno del mercato globale.

E' necessario pertanto porsi il problema, con l'accordo delle forze sindacali, di liberarci dalla rigidità del lavoro offrendo la necessaria flessibilità a patto che il ricollocamento dei lavoratori avvenga senza se e senza ma  e con l'assunzione di responsabilità di tutti: imprese e collettività ( Lo Stato).

 Bisogna che sia data all'impresa pubblica e privata la possibilità del licenziamento economico ma altresì che venga  garantito al lavoratore in esubero e/o licenziato un percorso di reinserimento.

E' valida l'ipotesi della costituzione di un contratto di ricollocamento  in cui il lavoratore venga assunto da agenzie pubbliche /private  con lo scopo di dargli una formazione aggiuntiva e seguirlo nel reinserimento lavorativo . Questo progetto  descritto dal Prof Ichino nel programma Flexsecurity  prevede che per i successivi tre anni le imprese che hanno messo in esubero il lavoratore  contribuiscano al suo ricollocamento  erogandogli la contribuzione che aveva al momento del licenziamento nella misura del 90% per il primo anno, dell'80% per il secondo anno e del 70% per il terzo anno.

 Bisognerà tuttavia aggiungere a questo progetto due integrazioni importanti:

1)      Costituzione preventiva di un fondo di salvaguardia a carico delle imprese e dei lavoratori  che consenta di intervenire  nel caso in cui le imprese  non possano pagare l'onere previsto essendo andate in default.

2)      Nel caso in cui il lavoratore dopo i tre anni di contratto di ricollocamento non sia ancora riuscito a trovare un'occupazione deve essere previsto il suo passaggio ad una struttura di lavoro pubblico a salario minimo garantito.

3)      Tali strutture di lavoro pubblico devono essere la base del sistema economico del lavoro per intervenire in tutte le situazioni in cui il mercato non riesce a soddisfare l'offerta di lavoro. Non possiamo più permetterci la piaga sociale diffusa di persone costrette alla marginalità. Se è vero che il pensiero socialista/comunista  è ormai totalmente obsoleto è tuttavia necessario che i tempi moderni e sfidanti in cui viviamo si pongano il problema rivoluzionario, già presente nella nostra Costituzione, di non lasciare nessuno senza lavoro, di non lasciare nessuno ai margini della società, di dare a tutti una possibilità di inserimento. E' comprensibile l'obiezione che tutto questo comporti una spesa per lo Stato e la collettività che può essere insostenibile  ma io rispondo che si tratta solo di priorità : quando c'è un malato in casa si evita di spendere anche in vestiti per pagare le medicine.

Tutti noi  dobbiamo farci carico di questi problemi . Bisognerà forse che i ceti medio alti       paghino di più la scuola, la salute,i servizi?.. si può fare …si deve fare.

E' necessario che i costi della politica si dimezzino? Si può fare   ..si deve fare

E' necessario che gli evasori fiscali, i corrotti e i delinquenti vadano in galera?   si può fare… si deve fare .

 

Ma cosa deve dare in cambio l'impresa al lavoratore? Il mondo delle imprese deve eliminare l'uso anomalo e abnorme dei contratti di lavoro precario accettando la riduzione e la modifica degli stessi ( introduzione del contratto unico d'ingresso Nerozzi con un solo anno di prova) riducendo il periodo di apprendistato a un anno e  accettando  forti disincentivi al loro utilizzo.

Il lavoro precario deve costare di più.

Bisogna inoltre che siano garantiti adeguati parametri di crescita delle retribuzioni generali dei lavoratrori di pari passo con l'aumento della produttività.

Bisogna che vi siano maggiori sgravi fiscali e contributivi sul lavoro e l'esenzione per tutti gli stipendi fino a mille euro mensili.

 Bisogna porre in atto una seria politica ed un impegno nei confronti della sicurezza del lavoro..

Il sindacato da parte sua si deve dichiarare disponibile a trovare un accordo   con le imprese e le forze politiche perché sia definito il tema della rappresentanza e la clausola di tregua successiva alla sottoscrizione dei contratti. Bisogna inoltre stabilire quali deroghe sono possibili al contratto nazionale e fino a che punto sia consentita la derogabilità stessa.

Per aumentare la produttività, abbiamo bisogno che l'Italia investa  nel fattore conoscenza. Vanno reperite tutte le risorse possibili  anche a scapito di settori come il restante della pubblica amministrazione ( con una profonda razionalizzazione ) ed armamenti e con una politica fiscale che penalizzi le rendite, introduca un'aliquota progressiva  sui redditi superiori a 150.000 euro annui e che inoltre richieda un maggiore contributo rispetto all'utilizzo dei servizi pubblici ( con maggiori oneri a carico dei ceti medio /alti)

Non è solo questione di costi , non si può ritenere che il problema della scuola sia costituito dalla sistemazione del personale precario. Bisogna pretendere  che vi sia un piano di sviluppo concordato sull'istruzione e la ricerca da parte delle forze del patto del lavoro.E' necessario che le migliori professionalità ridisegnino il percorso e i contenuti della formazione da un lato semplificandolo e dall'altro omogeneizzandolo( troppi indirizzi universitari , troppe materie  ..l'università dura mediamente troppo) ed elevandolo nella qualità.

Le forze del lavoro stabiliscano insieme un patto per la crescita economica e civile di questo paese .

 Bisogna essere ambiziosi e realisti ma tutti sappiamo che con la buona volontà, l'onesta. la concordia, il lavoro e lo spirito di sacrificio nessun obiettivo è impossibile.

 

mercoledì 22 settembre 2010

LA QUESTIONE UNICREDIT

 

Con un solo grande colpo di mano gli avversari storici e quelli nuovi si sono alla fine liberati della scomoda presenza di Alessandro Profumo alla guida del Gruppo Unicredit.

Per capire il bisogno di effettuare questa mossa , bisogna cercare di comprendere quale sia stato l'interesse dei principali protagonisti e quali caratteristiche del manager fossero considerate ormai insopportabili.

Partiamo da quest'ultimo aspetto: Alessandro Profumo ha sempre indirizzato le sue azioni ad un criterio  di efficienza e di dedizione al progetto di miglioramento e potenziamento del gruppo bancario Unicredit.

La sua "mission"  ha seguito forse l' etica dello spirito calvinista e di certo appartiene alla tradizione culturale europea della concezione del ruolo sociale ed etico dell'impresa dove l'incremento della sua ricchezza e dimensione sono viste come una opportunità  di crescita per i suoi partecipanti ( impiegati , dirigenti e clienti), per gli  azionisti e per il Paese a cui si riferisce.

La sua azione quindi, al di là della comprensibile valorizzazione personale, è sempre stata tesa alla valorizzazione delle risorse( capitale e lavoro) affidate alla sua gestione. Sta in questa motivazione culturale profonda la sua richiesta di indipendenza dalla politica e dalle ingerenze locali e/o particolari che lo hanno portato ad essere definito "mister arroganza".

Gli altri protagonisti della vicenda sono costituiti dai principali gruppi di azionisti di riferimento che sono attualmente:

-         il gruppo tedesco e fondi d'investimento internazionali ( con Allianz al 2,2%)  che detengono ca il 16%

-         Mediobanca ( che grazie all'ultima sottoscrizione di aumento dei capitale ha superato il 6,7%)

-         Il gruppo delle Fondazioni ( principalmente Verona, Torino e Roma, regione Sicilia e Banco di Sicilia) ca. 13%

-         Importanti privati come Maramotti, Pesenti, Ligresti ecc. con ca.  1,50%

-          Libici  7,4%

 

Molti di questi azionisti,per ragioni diverse, hanno avuto motivo di forte contrasto con Profumo  a partire da due questioni generali ch si sono sommate a quelle particolari di ciascuno:

1)      La paura che l'incremento dell'investimento libico potesse portare ad una diluizione delle quote possedute, diminuendone il peso specifico.

2)      Il fatto che in seguito alla crisi finanziaria e alle ulteriori recenti indicazioni scaturite da Basilea 3 si dovesse procedere ad un ulteriore rafforzamento del capitale della Banca con la necessità di sottoscrizione di capitale( in mancanza del quale si sarebbe sopportato un ulteriore ridimensionamento delle quote).

 

 Questa situazione è stata imputata alla gestione dell'ex A.D. specialmente per quanto riguarda l'attuale riduzione della capacità di reddito del Gruppo ed il peso nel bilancio passato delle minusvalenze rivenienti da titoli tossici ( compreso il fair value su operazioni di  derivati con  controparte e in alcune situazioni non più assistiti da contratti con la clientela).

Passato il momento della festa ( valorizzazione del  titolo, acquisizioni ed utili) la crisi globale ha portato ad una riduzione degli utili ed alla necessità della ricapitalizzazione della Banca. Gli azionisti si sono ritrovati quindi ,nel recente passato, nella condizione di dover subire una riduzione del valore del titolo,la mancata distribuzione dei dividendi e la richiesta di fornire capitali freschi.

 

 Per quanto riguarda le motivazioni particolari di ognuno di questi gruppi di azionisti  la saldatura dei contrasti è avvenuta grazie al recente aumento della presenza dei capitali libici nella Banca:

 

a)      I tedeschi ed i fondi d'investimento internazionali vicini si sono sentiti relegare in un ruolo più marginale nella governance della Banca.

b)      Il gruppo delle Fondazioni ha avuto un contraccolpo dalla decisione di Profumo di fondere le diverse attività italiane ( Corporate. Private. Retail) che presentavano ognuna una Direzione Generale a Verona, Roma e Torino e Milano in una grande Banca con unica Direzione Generale. Questo processo ha permesso di individuare ca. 4.500 esuberi per cui è in corso una trattativa con i sindacati del settore. Tutto questo ha comportato ancora una riduzione dei vantaggi per le città che ospitavano le Direzioni Generali e per le relative amministrazioni locali.

Il forte inserimento della Lega all'interno delle Fondazioni ha inoltre portato la stessa ha chiedere nel passato recente una maggiore incidenza sulle decisioni della Banca con l'intento di ottenere maggiori finanziamenti nei confronti della piccola e media impresa del territorio del Nord.

La maggiore presenza dei Libici e la possibile ulteriore richiesta di capitali conseguente A Basilea 3  potrebbe averli portati a ritenere compromesso il proprio peso politico all'interno della Banca  e considerare proprio Profumo il responsabile di questo processo-.

 D'altra parte  politicamente Profumo si è collocato apertamente all'interno di quel settore di borghesia illuminata che rimane in Italia distante dall'asse Lega/ Berlusconi – Profumo personalmente, così come Passera di Banca Intesa,  ha partecipato alle primarie per la scelta di Prodi come leader dell'Unione.

 La conquista di una grande Banca del Nord è stata una esigenza più volte  espressa da Bossi          ,    così come anche  la preoccupazione per l'ingresso libico che è stato il pretesto per             saldare il fronte dell'opposizione.

 

c)      Mediobanca è stata utilizzata come cavallo di Troia da Geronzi, in accordo con Berlusconi, per realizzare il proprio progetto di neutralizzare la presenza ostile di Profumo/Unicredit( tra i soci di maggioranza di Mediobanca) in una possibile operazione di integrazione/fusione fra Generali e Mediobanca che sposterebbe definitivamente  il controllo della finanza italiana sotto le ali di Geronzi e con un rapporto privilegiato con Berlusconi. Da parte sua Berlusconi avrebbe avuto in cambio un importante appoggio finanziario ( che Geronzi gli ha sempre accordato fin dai tempi in cui gestiva  Banca di Roma)e la neutralizzazione di un personaggio indipendente, fastidioso,legato all'area di sinistra e a capo della più grande Banca del paese.

 All'interno di Unicredit si salda così ancora di più l'alleanza fra Bossi e Berlusconi con la benedizione esterna , lontana e benevola del Col. Gheddafi.

Il rischio di questa operazione, come già avverte lo stesso Bossi, è  che questo egoismo localistico italiano abbia decapitato uno dei principali gruppi finanziari espressi dall'Italia rischiando di mandarlo nelle braccia dei capitali stranieri( con il trasferimento della governance, ad eccezione del mercato italiano, ai tedeschi)

Questo modo di gestire un gruppo  di tale importanza internazionale, reso grande anche dal lavoro e dalla dedizione di tutti coloro che ci lavorano, è indice della  modesta statura attuale  del nostro Paese,  in cui il massimo che si riesce a fare è quello di tentare di arraffare  il pezzo di torta rimasto, incapaci di prepararne una più grande  per tutti-

 Ancora una volta prevale la logica  di parte su quella dell'interesse generale del  Paese.

Giuseppe Ardizzone

 

lunedì 20 settembre 2010

VELTRONI ED IL BIPOLARISMO

 

 

In questi giorni, di fronte  ad un dibattito all'interno del  PD che somiglia molto ( anche se diversissimo)  a quello scoppiato nel PDL mi sono chiesto il perchè di questa sensazione di somiglianza. In ambedue i casi vi è la richiesta di un maggiore dibattito interno che può trovare le origini proprio nel modo particolare in cui i due partiti sono nati: troppo velocemente e con tante questioni solo rimandate. Questo è particolarmente vero nel nostro caso, Quanti all'interno del PD riconoscono di lottare per  un modello ideale di società che vada oltre quello proposto dalla tradizione socialista e  dei cattolici popolari?. Quali sono i suoi capisaldi? Troppo poco se ne è discusso; ma non solo nel PD, anche all'interno del dibattito culturale  del nostro Paese. Prodi è uscito dalla scena politica……e non è normale....Rutelli ( uno dei fondatori) ha lasciato il partito............ e non è normale....Veltroni dopo la sconfitta  ha lasciato tutto.................e non è normale .

Adesso che ritorna ha commesso mille errori e per me il più imperdonabile è che non abbia avuto  prima il coraggio di battersi per le sue idee. Tuttavia, anche nel suo intervento c'è un malessere reale  condiviso da più parti( elettori, simpatizzanti,  molti esponenti  del partito da Civati a Marino e Renzi ad altri ancora).

Questa incapacità di confronto fra le culture ha fatto si che invece di essere un patrimonio  questo aspetto diventasse una paralisi e lo vediamo su tutti i temi importanti. Il partito è troppo morbido ...non prende mai posizioni rivoluzionarie ( nel senso di posizioni  che richiedono un  profondo cambiamento dele situazioni) ............non riesce così a trascinare le coscienze.

Un altra questione è rappresentata dal fatto che i luoghi del partito stentano ad essere luoghi di confronto ideale e politico. I circoli territoriali non raccolgono, se non attorno ai problemi locali, le persone, i circoli tematici o d'ambiente non sono pubblicizzati e non sappiamo niente della loro attività ( mancanza d'informazione) . I circoli on line che rappresentano una bella occasione di crescita e di dibattito ( come stiamo sperimentando direttamente) non sono pubblicizzati e abbiamo dovuto scovarli nelle pieghe di internet. I forum tematici  che potrebbero essere delle fucine di lavoro o sono fermi o sono limitati agli addetti ai lavori ( concordo sul fatto che siano disciplinati ma senza renderli elitari). Il dibattito fra i leaders e le diverse posizioni non diventa vita del partito su cui sviluppare il dibattito ma resta  in formato mediale. Chi decide cosa e chi?

Problemi diversi ( dal PDL) ma simili derivanti dalla  mancanza di una vera e consolidata vita di partito e della presenza stimolante dei cosiddetti compagni di strada ( vecchia definizione degli intellettuali dell'area PCI).

Ultima questione : la vocazione maggioritaria e/o il sistema delle alleanze. Si scontrano qui due concezioni  che non possono che richiamarsi alle legge elettorale desiderata ma soprattutto al tipo di Repubblica che auspichiamo. Siamo in mezzo ad un guado da cui bisogna uscire in un senso o nell'altro . un partito a vocazione maggioritaria non può che guardare al bipolarismo che a sua volta non può non volere un potere esecutivo eletto direttamente dal popolo ( presidenzialismo alla  francese, americana ecc) . Dall'altro lato l'ipotesi prevalente è quella tedesca che non ha bisogno del bipolarismo ma di pochi partiti presenti in Parlamento scelti su base proporzionale e che abbiano superato la soglia stabilita. Anche qui bisogna scegliere  e in fretta ma coinvolgendo la base del partito.

venerdì 17 settembre 2010

SINDACATO-CONTRATTAZIONE COLLETTIVA-CLAUSOLA DI TREGUA

Le recenti vicende di Pomigliano e della disdetta del contratto dei metalmeccanici  riportano al centro del dibattito del lavoro il tema della rappresentanza sindacale e della contrattazione collettiva- Chi può rappresentare i lavoratori di un'azienda e in che misura perchè gli accordi stipulati abbiano validità senza poter essere messi in discussione in qualsiasi momento da un'altra organizzazione? Oppure è indispensabile mantenere questa possibilità per garantire  il lavoratore?

Il dibattito è aspro e da più parti si invoca l'intervento del legislatore per porre dei paletti certi.E' poi  pericoloso per il lavoratore questo inarrestabile processo di migrazione dalla contrattazione collettiva a quella aziendale?' Quali sono i rischi ? quali le opportunità?

Mi sembra interessante proporre queste problematiche per cercare di far crescere il  dibattito su questi temi e sul rapporto del partito democratico con le tre maggiori organizzazioni sindacali.

Credo che una prima osservazione utile sia quella  di ricordare che la presenza del sindacato permette nei sistemi economici moderni la trasformazione del fattore produttivo lavoro da variabile dipendente dalle leggi del mercato a variabile indipendente che grazie alla volontà politica espressa dalle lotte dei lavoratori pone al sistema economico un punto di partenza non derogabile.

In sostanza, stabilendo un minimo non derogabile, viene posta una selezione naturale della convenienza produttiva.

Ha ragione il Prof.  Ichino a cogliere, in diversi suoi interventi, la presenza del lavoro nero o gestito dalla Camorra nell'area Campana come l' altra faccia della medaglia di un sistema di relazioni sindacali che non vuole vedere la realtà e non accetta deroghe, ma c'è un limite da stabilire per non diventare a nostra volta, legalmente e con la benedizione del sindacato, degli organizzatori del nuovo schiavismo.

 In poche parole il problema che ci occupa è stabilire i limiti della derogabilità.

Gli spazi di manovra possibili e convenienti perché un sistema economico/sociale tolleri la presenza di imprese ai margini degli accordi contrattuali nazionali.

Si possono immaginare deroghe settoriali, dimensionali e territoriali, ma non possiamo rinunciare a porre comunque dei limiti ragionati, politici e non affidati alle regole del mercato ma stabiliti grazie ad una vera e propria politica economica, oggetto di concertazione.

E' conseguente quindi porsi l'obiettivo urgente  di definire sul piano normativo la rappresentanza e le conseguenti clausole di tregua conseguenti agli accordi sottoscritti.

Chiarire queste questioni ci consente di spostare  poi il dibattito verso quello che deve essere il vero tema centrale : lo sviluppo del nostro sistema industriale con un forte investimento nell'innovazione e nella ricerca grazie a cui permetterci la conservazione del nostro livello attuale all'interno dei paesi più sviluppati-

martedì 7 settembre 2010

Fini a Mirabello

 

 

E' un discorso importante quello che in  mezzo ad un'emozione profonda è stato pronunciato da Fini a Mirabello.  Non è stato un colpo di teatro concesso alla platea! Ho l'impressione che la difficoltà del momento, la persecuzione al suo nucleo familiare, il calore del suo popolo lo abbia per un attimo commosso e rafforzato nelle  convinzioni.

Ha spesso detto che se un uomo non combatte per le sue idee  o queste non valgono molto  oppure è l'uomo che non vale niente. Fini in quel momento voleva dimostrare che non era presente nessuna delle due ipotesi.

A Mirabello ha sentito  la presenza della continuità con il suo passato, quello che lo portava fino alla sua designazione da parte di Almirante , continuità materializzatasi con la presenza fisica di Tremaglia.

Mirabello è stato per un giorno la capitale della politica italiana , il luogo a cui tutti hanno guardato per capire la situazione attuale e le sue possibili evoluzioni. La risposta di Fini  è stata quella della ricerca della chiarezza sia nei confronti dell'interpretazione di quello che è successo sia di quello che accadrà.

 Che cosa è accaduto? L' espulsione dal PDL come  atto illiberale di repressione della dialettica interna e della diversità.

Con la negazione del diritto di critica e di diversità di opinione  per  Fini viene codificata la fine del progetto  PDL. Un progetto di partito di cui rivendica la primogenitura, ma di cui amaramente prende atto della morte.

Se il PDL sembra aver tradito la sua progettualità questo non significa che le motivazioni da cui era sorto fossero sbagliate. Fini, anzi, rivendica il diritto di rifarsi non solo alla tradizione della Destra italiana ma anche a quella della recente esperienza di costituzione del PDL per portare avanti fuori dal terreno del partito, dove non è più possibile rientrare, un progetto di fondazione di una nuova destra di stile europeo ". Abbiamo diritto alla diversità sia sulle scelte interne al partito sia sulle scelte del Governo"a cui riconosce il merito di aver saputo contrastare con successo la crisi finanziaria. Ma con quali conseguenze, si domanda? Erano necessari dei tagli alla spesa pubblica ma era giusto procedere con tagli lineari,  che hanno mortificato le risorse destinate alle forze di polizia ed alla scuola? Possiamo sopportare i costi del federalismo senza chiederci quale e come sarà definito il costo standard dei servizi sociali? La nostra società, che prospera anche sulla collaborazione del lavoro degli immigrati, può permettersi il lusso di non integrarli, quando siamo in presenza di famiglie oneste e operose?

Se queste questioni sono state sollevate , aggiunge Fini, questo non è stato un continuo stillicidio di critiche bensì il tentativo di mettere al centro del dibattito del  PDL e del Governo dei problemi di enorme attualità.

E' vero, rientrare nel PDL non è più possibile; ma,  aggiunge Fini, c'è la piena disponibilità ad accettare i cinque punti d'iniziativa del governo su cui Berlusconi chiede un'immediata fiducia e procedere ad un patto di stabilità che consenta a questo governo di proseguire fino alla fine della legislatura a patto di poter discutere sule modalità concrete ed operative.

La proposta di Fini non si limita comunque esclusivamente  ad un patto di legislatura sui punti richiesti da Berlusconi  perché egli ritiene che il  carnet del Governo debba essere riempito dai temi dell'economia ed in particolare dagli obiettivi di crescita del Paese attraverso un  patto nuovo fra capitale e lavoro per incrementare la produttività delle nostre imprese e la loro competitività internazionale.

 E' necessario  inoltre il contemporaneo sostegno delle famiglie con il quoziente familiare.

 I giovani sono un problema enorme che affligge il Paese. In particolare è necessaria una politica di sostegno ai giovani realizzando  un patto tra le generazioni che consenta un loro inserimento  nella società ed adeguate prospettive di vita e di sicurezza.

In ultimo rivendica una diversità profonda che spiega le ragioni della urgenza della presa di distanza da Berlusconi. Il Garantismo  non può essere la ricerca dell'impunità permanente. Berlusconi ha diritto di governare ma bisogna trovare tutti insieme gli strumenti giuridici per consentirglielo senza  per questo ledere il principio della generalità della giustizia e senza attaccare le istituzioni della Repubblica. La magistratura è un caposaldo della vita istituzionale italiana anche se è possibile che vi siano alcuni magistrati  che operano sulla base della propria appartenenza politica. Dovere della classe politica è il rispetto delle Istituzioni e l'assunzione di un comportamento etico che sia di esempio per tutti.

E' necessaria  una stagione delle riforme che migliori il ruolo delle Istituzioni  eliminando gli sprechi,  migliorandone la funzionalità. Si modifichi la legge elettorale dando agli elettori la possibilità  di scegliere i propri rappresentanti..

Il 29 luglio è finito il PDL che avevamo pensato, dice Fini: Non si rientra si va avanti  per le proprie idee. Si va avanti per la ripresa dei valori del PDL senza ribaltoni e senza cambi di campo. D'accordo per i cinque punti  ma rivendicando il diritto di discutere e ragionare.

Fini, rivendicando le sue radici di destra,  progetta il futuro chiedendo alla politica il compito di indirizzo e di guida dell'interesse generale della società. Un richiamo forte alla responsabilità ed al merito senza di cui il declino è alle porte.

Rispetto delle regole come unica possibilità  per la politica  di trovare soluzioni anche condivise sui problemi sociali . Avversari politici e non nemici  con cui confrontarsi nell'interesse generale della nostra società.

Questo è il senso della proposta  politica di un gruppo che cerca spazio,  probabilmente insieme ad altre forze di centro, e rivendica un ruolo dirigente nella società (da destra).

Un discorso ampio e di larghe vedute con un senso di speranza e di futuro che non a caso è un termine che ricorre in tutte le fasi organizzative del gruppo di Fini ( Fondazione Fare futuro, Gruppo parlamentare Futuro e libertà). Sicuramente un discorso che apre, se non a delle precise alleanze, ad una fase della politica che si ponga l'obiettivo di effettuare delle grandi  trasformazioni della realtà italiana  e di  ripristinare dei comportamenti etici .

Le forze di opposizione sono avvisate : il nuovo soggetto politico, che si va prefigurando,  è degno d'attenzione.

 

Roma, 7 settembre 2010

 

Giuseppe Ardizzone

 

lunedì 6 settembre 2010

Una nuova fiscalità per la crescita

 

 

 

UNA NUOVA FISCALITA' PER LA CRESCITA

 

 

L'autunno ci riporta la ripresa del dibattito politico ed in primo luogo  la constatazione che se la crisi economica è per lo meno tamponata  e vi sono, a detta dei principali banchieri  mondiali Bernanke e Trichet , segnali diffusi di ripresa è anche vero che la stessa cammina a diverse velocità all'interno degli stessi Paesi Europei e appare  complicata  dalla contestuale presenza di problemi di occupazione.

Il presidente di confidustria Emma Marcegaglia  lamenta il ritardo della nostra economia e una politica di governo che si è mostrata troppo episodica e priva di un disegno di sviluppo complessivo. Per ripartire è necessario, afferma, un nuovo patto sociale con l'obiettivo di aumentare i salari insieme ad una  maggiore produttività delle aziende e con la  riduzione delle tasse su imprese e lavoratori.

 "La pressione fiscale per chi paga le tasse - ha detto Marcegaglia - è troppo alta, soprattutto su imprese e lavoratori".

D'altra parte che sia necessario non limitarsi ad una politica di stabilità , indispensabile data  la situazione del nostro debito pubblico, ma  che sia venuto il tempo di programmare   la crescita è un obiettivo indispensabile  dettatoci anche dalla stessa Europa.

In questi giorni infatti  è previsto la riunione  dell'Ecofin che ha l'obiettivo  di stimolare i vari membri  a mettere in atto una politica economica comune le cui linee fondamentali sono individuabili con due sigle"SCP" e "NRP"  dove la prima sta per  " Stability  and convergence program"  ed è stata adottata anche dal nostro  Governo con le recenti manovre finanziarie  mentre la seconda " National Reform Program" , vale a dire  una politica nazionale di riforme che sviluppi la capacità competitiva del Paese, ci vede ancora in una fase di  impostazione.

Su quali temi il ministro Tremonti ed il Governo intendono  muoversi? Lo ha dichiarato in una recente intervista  a Repubblica lo stesso Ministro Tremonti. "Sulla competitività abbiamo messo a fuoco alcuni punti essenziali. Indicativamente, per ora sono otto: la competizione con i giganti; il costo delle regole; il Sud; il nucleare; il rapporto capitale-lavoro; il fisco; il federalismo fiscale; il capitale umano, cioè ricerca scientifica e istruzione tecnica."

Se finora tuttavia la  dichiarazione  di inesistenti margini di manovra  , da tutti condivisa, non ha permesso di  affrontare seriamente questi problemi oggi sembra che la volontà di ragionare sulla riforma  fiscale apra il dibattito su dove e come reperire le fonti necessarie. Lo stesso Tremonti nella citata intervista  afferma che bisogna " allargare e semplificare la base imponibile, ridurre le aliquote, concentrare il "favor" fiscale su tre voci essenziali: famiglia, lavoro, ricerca " .

 D'altra parte lo stesso Presidente del Consiglio annuncia  che alla riapertura delle Camere il suo governo chiederà la fiducia al Parlamento su cinque punti programmatici in cui attuare le riforme fra cui al primo posto c'è proprio la   riforma tributaria e il federalismo fiscale.

Se fino ad oggi pertanto si è cercato di recuperare risorse dal taglio della  spesa dello Stato e dalla lotta all'evasione fiscale ( operazione che quest'anno ha permesso il recupero di ca 9 mld) oggi si pone  il problema di percorrere una terza strada  quella di recuperare risorse da una modifica  del sistema tributario. Tuttavia al di là delle generiche affermazioni della volontà di agevolazione nei confronti delle famiglie , del lavoro e delle imprese sarà importante capire chi pagherà di più e come.

Da parte nostra, credo che il PD  non possa che ribadire la necessità del trasferimento  del carico fiscale dalle fasce deboli a quelle più ricche e dal reddito al patrimonio.

E' necessario riprendere con forza il discorso della tassazione della rendita finanziaria ( già operato in paesi come la Gran Bretagna con un incremento dal 18% al 28%) e adottare una imposta progressiva sul reddito che modifichi in maniera significativa le aliquote sui redditi superiori ai 150.000 euro annui.

Riguardo alla tassazione  finanziaria non mi stancherò di suggerire, in leggera polemica  con la posizione ufficiale del PD , che  bisognerebbe .

1)      aumentare l'aliquota su ogni tipo di rendita finanziaria  dall'attuale 12,50% al 20% compresi i titoli di stato ( questi ultimi esclusi dalla proposta del PD)

2)      mantenere l'aliquota sui depositi bancari al 27% ( il PD afferma  che anche su questo tipo di deposito l'aliquota debba essere portata al 20%)  .

Questo passaggio è importante  perché consentirebbe  ad un paese che è ancora fra i dieci più ricchi del mondo di fare un esame di coscienza e recuperare le risorse necessarie per il suo sviluppo. Si avrà il coraggio di toccare  queste sacche di privilegio? Sarà comunque importante indicare che esiste questa possibilità per trovare le risorse necessarie alla ripresa  e che scelte diverse non possono che essere dettate da interessi di parte.

 

Roma,  5 /9/2010                                                                                    Giuseppe Ardizzone

mercoledì 1 settembre 2010

Il col. Gheddafi e la laicità dell'Occidente

 

L'Europa dell'Illuminismo ci ha lasciato in eredità una delle cose più belle che oggi abbiamo a disposizione: un terreno di rispetto dove confrontarsi apertamente con chi pensa o crede in maniera diversa.

Tutti insieme alla ricerca della verità …….in questo… non nemici, ma fratelli.

Non ho bisogno di odiare chi la pensa diversamente o chi crede in cose diverse da quelle in cui credo; anzi, tutto questo mi incuriosisce   e mi porta  a cercare un dialogo per arrivare ad un passo ulteriore dove trovare una nuova unità di pensiero o di fede. Il cammino è infinito come infinità è la verità.

Non ho trovato questo sentire nelle espressioni pubbliche del colonnello Gheddafi, all'interno del suo ultimo viaggio in Italia; anzi, le sue affermazioni e la sua ricerca di proselitismo organizzato   mi hanno dato la sensazione di una rivendicazione del  primato della religione islamica,  con una totale noncuranza delle nostre tradizioni culturali. Anche quando si permette di dire che la condizione femminile nei paese arabi è migliore di quella di cui la dona gode in Occidente  gli risponderei: certo.. formalmente…a patto che non si permetta di uscire fuori dai canoni prestabiliti da altri  per la sua esistenza. Qual è il suo peso politico , economico, culturale e sociale? Che posto c'è in Libia per la non osservanza, la diversità, l'opposizione, il cambiamento?,  D'altra parte, basta osservare la limitazione della libertà religiosa presente in Libia per avvalorare questa tesi. Non mi sembra tuttavia che la risposta adeguata sia ancora una volta quella della lotta al relativismo proveniente da qualche parte dei settori cattolici. Essi continuano ad affermare che la possibilità di esprimersi in maniera così assoluta da parte  del colonnello Gheddafi sia stata possibile  solo perché la nostra  realtà è permeata dal relativismo . A loro modo di vedere , questo modo di essere  non ci fa insorgere al sentire  messe in discussione le radici cristiane della nostra civiltà. Ad esempio ci dicono che se un discorso del genere fosse stato fatto da un cristiano in Medio Oriente  vi sarebbe stata una forte ondata di protesta e di sollevazione popolare. Ma questo non è un bell'esempio. Noi non vogliamo avere quell'atteggiamento! Noi vogliamo mantenere il primato della ragione e del rispetto della diversità di pensiero e di religione come tratto distintivo e superiore della civiltà occidentale. Il primato della laicità sull'atteggiamento confessionale. La laicità non è un valore che può essere messo in discussione nella società occidentale moderna. A chi accusa di relativismo i nostri  tempi, sottintendendo la mancanza di valori certi, si può agevolmente rispondere che queste sono le nostre certezze: che nessuno mai ci costringa  ad avere una credenza che non condividiamo , che le Istituzioni della  vita pubblica e politica non sposino  per sé alcuna filosofia e/o religione , che le leggi dello Stato , frutto di un processo democratico , abbiano  diritto di precedenza su ogni altra autorità.

Anche per chi si professa Cristiano  è preferibile pensare di dare a Dio quel che è di Dio e di dare a Cesare quel che è di Cesare.

E' tanto più importante la difesa di questi principi in un mondo dove all'orizzonte  si intravede il pericolo di un conflitto  di religioni più che di una guerra fra  classi sociali  e/o ideologie. Tutti  sappiamo , guardandoci indietro, come la guerra tra religioni  sia stata molto più dura ed intransigente di qualunque altra perché nulla è più Vero di Dio. Chi può opporsi alla fede ed alla verità rivelata?

Questo modo di vivere la religione come proselitismo intollerante , come supremazia su tutte le altre fedi e ideologie non è ricerca della verità ma diventa ricerca del potere come rassicurazione di sé: eliminare ogni diversità possibile che potrebbe inserire il dubbio  all'interno delle nostre certezze. Ma cos'è la fede senza incertezza, senza ricerca , senza rispetto dell'altro : è fanatismo. La ricerca del potere come rassicurazione di se e come controllo porta inevitabilmente alla riduzione delle garanzie democratiche . alla ricerca del consenso come unanimità, alla supremazia  della religione e dei suoi interpreti sulle leggi dello Stato se non addirittura alla formazione dello Stato  Religioso ( come ad esempio in Iran).

Il terreno della laicità è il terreno che può permettere al contrario il contatto ed il confronto fra popoli con credenze e caratteristiche diverse come sono quelli che si affacciano sul Mediterraneo. Il Progresso  e la Civiltà non possono nascere dalla reciproca incomprensione ed oppressione ma dal reciproco rispetto e dalla volontà di collaborazione.

 

 

 

Roma 31 Agosto 2010

 

 

Giuseppe Ardizzone