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sabato 22 dicembre 2012

La più bella del mondo

 

No, Benigni, non si riferisce a Gina Lollobrigida, che fu la protagonista del film di tanti anni fa: "La donna più bella del mondo"; ma, alla Costituzione della Repubblica Italiana. Già, la Repubblica! Una forma di Stato per noi oggi quasi ovvia; ma, che non lo era quando, alla fine della seconda guerra mondiale, i nostri padri dovettero sceglierla con il referendum popolare, che pose fine alla dinastia dei Savoia.

Era quella un'Italia orgogliosa di aver riscattato il proprio suolo dall'occupazione tedesca e che usciva da una dolorosa guerra civile. Nella mia infanzia e fino all'età adulta, in Sicilia, ho sempre provato un senso di privazione rispetto ad un pezzo di storia che non abbiamo vissuto. Lo sbarco alleato aveva già liberato, per prima, la Sicilia e, nelle nostre famiglie, non avevamo ricordo o traccia della " Resistenza " e della guerra partigiana che aveva toccato profondamente il Nord Italia.

Per tutti gli anni '50 e '60 le lotte Partigiane e la celebrazione del 25 aprile venivano vissute quasi in maniera distante, come se appartenessero ad un'altra realtà. Fu poi con le lotte studentesche ed operaie della fine degli anni '60 che, finalmente, si ebbe una profonda circolazione della cultura, delle idee, della tradizione storica della Resistenza e dei valori condivisi dei nostri padri costituenti.

 Cattolici, liberali, esponenti del partito d'azione, comunisti, socialisti tutti uniti da ideali comuni e dalla volontà di porre le basi solide della convivenza civile di un popolo nuovo in cui, finalmente, era il cittadino ad essere il protagonista, senza alcuna distinzione e pari di fronte alla legge.

Un bene prezioso per noi tutti la Costituzione. Un baluardo contro uno dei possibili inganni peggiori della democrazia: quello costituito dal potere senza limiti della maggioranza. Chi ci proteggerà altrimenti dal potere totalizzante della maggioranza? Chi ci assicurerà la libertà di dissentire? Chi tutelerà i diritti della persona? 

C'è stato consegnato, come ha giustamente sottolineato Benigni nel suo commento, un bene prezioso che contiene, nei dodici principi fondamentali, tutte le indicazioni per un vivere comune all'insegna del rispetto, dell'impegno e della solidarietà.

Personalmente, desideravo sottolineare un aspetto che mi sembra particolarmente caratterizzante: l'aver deciso di fondare sul concetto di "lavoro" la nostra Repubblica. Di riconoscerne a tutti i cittadini il diritto e di porre l'accento sulla necessità di promuovere "le condizioni che rendano effettivo questo diritto" come recita l'art.4. Il dettato costituzionale dice poi  qualcosa di ancora più importante e cioè che "Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società." Ha il "dovere", ci viene detto. In sostanza che non possiamo vivere il "lavoro" solo come un obbligo necessario per procurarci i mezzi per vivere. Non possiamo vivere il lavoro con fastidio, aspettando il momento della libertà costituito dalle ferie o dalla pensione. Non possiamo,   pertanto, assolutamente comportarci in modo assenteista, giustificandolo con un frainteso senso di estraneità causato dalla nostra condizione subordinata. No! Il principio Costituzionale ci chiede di partecipare con orgoglio e dedizione al lavoro, cogliendone l'aspetto del servizio, della partecipazione e della responsabilità. Sono tutte cose che oggi non sono per niente né ovvie né scontate. Valori che pongono le basi di un rispetto del lavoro. Qualunque tipo di lavoro e di qualsiasi livello. E' un messaggio che le nuove generazioni dovrebbero valutare attentamente perché le vecchie forse non lo hanno sempre fatto.

 

 

 

mercoledì 12 dicembre 2012

Equità, Populismo, Riformismo

All'interno del dibattito politico, in vista delle prossime elezioni politiche, si stanno affermando delle problematiche che se non considerate come aspetti di un'unica strategia di cambiamento rischiano di creare delle divisioni sbagliate.

La prima è rappresentata dall'esigenza d'equità che oggi si esprime soprattutto come richiesta di cittadinanza e d'inclusione da parte di milioni di persone che rischiano di essere espulse dal lavoro, non sanno quale sarà il loro futuro lavorativo, vivono in una condizione di precarietà e provvisorietà o sono del tutto senza lavoro.

In alcuni casi, come quello degli esodati non sanno addirittura se resteranno senza reddito e/o senza pensione. Accanto a loro, vi è una presenza numerosa e silenziosa di milioni di migranti lavoratori e marginali con problemi d'integrazione non indifferenti.

Come rispondere a questa richiesta?

Come costruire le occasioni di lavoro per queste persone? E' un problema solo d'equità o vi è anche un problema di crescita del nostro Paese?

In maniera opposta possiamo anche chiederci: è solo un problema di crescita o è anche un problema d'equità?

La specificità dell'equità è data ad esempio dalla diversità delle figure lavorative esistenti e dei diritti e delle garanzie ad esse connesse. E' tollerabile questa diversità fra impiego pubblico e privato? Fra precario e lavoratore a tempo indeterminato? Fra il lavoratore di un'impresa con meno di quindici dipendenti e una con più?

Un altro aspetto d'ineguaglianza è rappresentato dalla mancanza di un'adeguata progressività fiscale sui redditi che permette la convenienza di retribuzioni troppo superiori al salario operaio.

Un altro aspetto della mancanza d'equità è il minor peso della tassazione della rendita finanziaria rispetto a quella sul profitto del capitale investito in attività produttive e sul lavoro.

Ancora troviamo una sproporzione nella quota del reddito operaio dedicato all'affitto della casa.

Ancora non equa è la mancanza di valorizzazione del merito in tutti i settori sociali.

C'è tanto da fare e da portare avanti su questo piano e non credo che nessuno possa ragionevolmente opporsi ad una coalizione di sinistra che ne faccia un cavallo di battaglia.

Ma passiamo all'altra questione sollevata: è solo un problema d'equità? E' solo un'adeguata redistribuzione dei redditi e delle ricchezze quello che serve?

Siamo sicuri che la struttura economica della nostra società consenta una ripresa dello sviluppo trainato solo dal miglioramento delle condizioni d'eguaglianza?

Certo, queste sono indispensabili; ma, vi sono probabilmente altre questioni d'affrontare per consentire un adeguato sviluppo del nostro Paese.

Innanzi tutto: è necessaria la crescita economica per migliorare le condizioni complessive di vita oppure è sufficiente una semplice modifica delle modalità produttive per riassorbire la disoccupazione?

E' sufficiente modificare il nostro modello di sviluppo per ritrovare l'equilibrio sociale ed il benessere? Per molti la risposta è positiva. Per altri non è sufficiente.

La crescita della nostra economia è condizione necessaria per poter procedere alla soluzione delle diverse contraddizioni presenti nella nostra società. La crescita in particolare ci permetterebbe di riassorbire molto più velocemente la disoccupazione eccessiva presente e migliorare decisamente la struttura finanziaria del nostro Stato in termini reali. Quali sono i vincoli maggiori che impediscono la crescita?

Vi è sicuramente un problema di reperimento delle risorse da destinare agli investimenti.La pressione fiscale eccessiva, determinata dalla necessità di sostenere la spesa pubblica, sta riducendo il saggio del risparmio e di conseguenza l'investimento. In termini istituzionali assistiamo all'impoverimento patrimoniale delle banche ed alle difficoltà delle stesse sia di finanziare le imprese sia di farlo ad un costo ragionevole. E' per certi versi paradossale come l'intreccio della crisi del debito pubblico con quella del sistema bancario sia tale da costringere la BCE a fare gli interventi più importanti di liquidità proprio a sostegno del sistema bancario ma con la tacita intesa che lo stesso avrebbe utilizzato le disponibilità per sottoscrivere il debito pubblico del proprio paese. Oggi, pertanto, la crisi del debito pubblico diventa un elemento d'instabilità del sistema italiano perché indebolisce la capacità di risparmio, d'investimento privato e quindi di crescita e rende impossibile l'investimento pubblico per mancanza di risorse disponibili.

In questo quadro diventa fondamentale riuscire a controllare questa variabile per poter dare fiato a tutto il sistema economico.

Su questo punto è interessante osservare la differenza fra le due posizioni principali che si fronteggiano: l'ipotesi cosiddetta populista e quella riformista.

Secondo l'ipotesi populista, sia la questione del debito pubblico sia quella dello "spread" sono dei falsi problemi e derivano dalla particolare situazione monetaria dell'euro e dalla politica restrittiva adottata in sede europea.

La mancata sovranità sulla nostra moneta ci rende dipendenti dal mercato che ne approfitta per fare pagare i propri prestiti ad un costo elevato piegandoci alla speculazione. Se la BCE agisse come prestatore d'ultima istanza e calmierasse il mercato impedendo l'acuirsi dello spread fra i titoli dei diversi paesi, il problema sarebbe risolto. La BCE dovrebbe inondare di liquidità il sistema europeo mentre la Governance europea si dovrebbe presentare sul mercato direttamente per finanziare sia il debito comune sia dei grandi progetti d'investimento.  In mancanza di tutto questo, l'euro costituisce una trappola perché pone i paesi membri nella possibilità teorica del fallimento, esponendoli pertanto alla speculazione e aumentando le differenze al loro interno, a causa dell'alto costo del denaro che penalizza proprio quelli più poveri. Uscendo dall'euro e svalutando la moneta di un 20-30% otterremmo un immediato miglioramento dei parametri finanziari, un impulso delle nostre esportazioni ed un sensibile miglioramento della bilancia commerciale e dei conti con l'estero. Consentendo poi alla Banca d'Italia (con apposita legge) la possibilità di acquistare i titoli del debito pubblico si eviterebbe la speculazione sul nostro debito, si sposterebbe il credito maggiormente sul mercato nazionale, e si abbasserebbe il relativo costo. La creazione di moneta inoltre, in presenza di una situazione di recessione e di non ottimale impiego dei fattori produttivi, permetterebbe di dedicare risorse agli investimenti, trainati dalle esportazioni, ed ottenere il riassorbimento della disoccupazione,   senza che tutto questo si tramuti immediatamente in tensioni inflazionistiche. Nelle diverse varianti, si possono pensare a progetti d'occupazione pubblica dei disoccupati e di spesa pubblica trainante gli investimenti oppure, al contrario, forte riduzione della tassazione   per fa riprendere l'investimento privato e ritorno al deficit finanziato dall'emissione di moneta.

Tutto questo non comporterebbe nessuna volontà effettiva di procedere a riforme del sistema paese per razionalizzarlo. Non avrebbe bisogno di procedere a nessuna lotta contro la corruzione. Manterrebbe anzi aumenterebbe i vecchi privilegi, impoverirebbe i ceti medi ma in compenso potrebbe far ripartire la crescita e favorire l'occupazione. Si tralasciano poi tutte le implicazioni e le tensioni di carattere internazionale connesse a questa scelta.

La strada riformista appare molto più difficile, perché cerca di conciliare problemi complessi quali:

a)      La continuazione di un progetto europeo ostacolato da mille tensioni nazionalistiche e dall'indebolimento della solidarietà e della capacità propulsiva della crescita comune;

b)      le carenze democratiche dei processi decisionali europei;

c)       la pesantezza del debito pubblico come ostacolo allo sviluppo;

d)      la necessaria riforma del sistema Paese per recuperare produttività ed equità ed il reperimento delle risorse finanziarie per gli investimenti.

La strada riformista guarda alla crescita come figlia di un processo di cambiamento virtuoso del paese che lo riporti a crescere all'interno di un'Europa unità e che, così facendo, riporti in equilibrio la sua struttura finanziaria e consegua l'obiettivo della piena occupazione.

Il controllo della spesa pubblica e del volume del debito sono punti centrali da risolvere con una politica di razionalizzazione, controllo ed eliminazione degli sprechi ma anche, in nome dell'equità, con una proposta di riduzione del volume complessivo del debito attraverso la dismissione del patrimonio pubblico.Sarebbe opportuno, inoltre, che questa misura fosse accoppiata da un'imposta patrimoniale che operasse sotto forma d'acquisto forzoso (con possesso per almeno cinque anni) delle quote sociali dell'azienda a cui verrebbe conferito e dato in gestione il patrimonio pubblico da dimettere.

Il Partito Democratico ha scelto la strada del riformismo coniugandola con un progetto d'equità.

Dal punto di vista delle alleanze sembra quindi naturale che la coalizione dei progressisti possa guardare dopo le elezioni con attenzione ad un Centro politico che ha in Mario Monti la sua figura di riferimento e si muove in un'ottica riformista.

Non entrando nelle problematiche e nelle proposte per portare avanti il cammino riformista nel suo complesso, è bene tuttavia sottolineare che questo possibile percorso non può sperare di risolvere i problemi italiani grazie ad un intervento decisivo da parte europea. Pur continuando a battersi perché questo avvenga, il Partito Democratico ed i componenti di una possibile futura alleanza di governo devono trovare nella strada delle riforme, nell'equità e nella razionalizzazione della spesa pubblica le risorse necessarie per consentire la ripresa degli investimenti, la crescita e il riassorbimento della disoccupazione.

Se riusciremo a sviluppare e credere in questo programma di lavoro penso   che, a nostra volta, riusciremo ad ispirare la stessa fiducia nell'elettorato e soprattutto nelle giovani generazioni.

 

 

 

venerdì 7 dicembre 2012

A volte ritornano

Che si può dire della decisione di Berlusconi di ritornare, in prima persona, a condurre il PDL o quella che sarà, in ogni caso, la sua continuazione? A volte ritornano.

Di certo, non se n'avvertiva la mancanza né in Italia né in Europa, se la notizia del suo ritorno ha portato ad un aumento immediato della febbre da " spread".

Ritornano di nuovo i sospetti che molte posizioni del suo partito siano dettate da interessi personali da salvaguardare e, di certo, l'immagine che si riflette all'interno del centro destra è quella, un po' avvizzita e un po' rifatta, del suo leader.

Lontani mille miglia da quella che fu propagandata come la missione del PDL e di Forza Italia: realizzare nel nostro Paese una grande rivoluzione liberale; il pericolo che serpeggia nelle dichiarazioni dello stesso Berlusconi, oltre che di alcune fra le personalità più in vista del suo partito, è che siamo piuttosto in presenza di una possibile deriva populista. Trovare un nuovo nemico cui addossare le responsabilità della difficile situazione in cui è stato portato il Paese nel corso dei vent'anni dalla sua discesa in campo, diventa adesso un " imperativo categorico". Chi meglio di un Europa, piegata agli interessi della Germania e dei paesi forti del Nord, può rappresentare meglio le fattezze di un nemico da combattere?

Come non utilizzare la politica dell'"austerità" per indicarla come la responsabile di tutti i mali e dell'avvitamento della nostra economia? Quale migliore occasione per far dimenticare la connivenza con l'arretratezza, la corruzione, il privilegio, l'attacco all'autorevolezza della magistratura, la necessità di dover procedere ad una riforma strutturale del nostro sistema economico per recuperare la competitività e la produttività perduta?

Il passo indietro di un anno fa per consentire un governo tecnico sostenuto da quasi tutto l'intero arco costituzionale è acqua passata, è superato.Il momento critico è alle spalle ed il governo Monti non ha saputo né assicurare misure d'equità, né riportato il Paese alla crescita.

E' questa la critica sulla base della quale il PDL sembra aver staccato la spina al governo ed aperto la campagna elettorale.

L'unica cosa che le forze politiche, durante quest'ultimo anno, avrebbero dovuto fare: la riforma elettorale, giace in Parlamento, vittima di stucchevoli distinguo fra le parti. Tutti sono più o meno convinti che, alla fine, il " Porcellum" è forse il sistema più conveniente. Di certo, per Berlusconi la possibilità di formulare la lista dei futuri candidati è un'arma che gli consente di controllare adeguatamente il suo partito. Anche gli ex di Alleanza Nazionale sanno bene che una possibile rottura con il capo, in questo momento, li porterebbe all'esclusione dal futuro Parlamento.

Tutti insieme quindi cavalcando il sentimento popolare di protesta contro i sacrifici imposti dal governo, contro le tasse, contro la politica di austerità richiesta dall'Europa e forse anche contro la moneta unica, come dice già la Lega Nord (possibile alleato di coalizione) e come serpeggia in vari ambienti sia di destra sia antagonisti, che vedono nell'Euro la causa di tutti i mali che affliggono il nostro Paese.

Lo stesso Movimento Cinque Stelle sembra carezzare l'idea di cavalcare questa tigre. L'idea di affidare ad una bella svalutazione competitiva le sorti della nostra ripresa lusinga molti.Una bella svalutazione democratica che riduce il valore di tutti i redditi e dei risparmi in maniera equa e solidale; ma, che consente il recupero di una competitività importante per la produzione nazionale. Peccato che, quasi sicuramente, i benefici di questa misura sarebbero pagati con l'aumentato costo dell'energia e delle materie prime di cui siamo importatori per non parlare del possibile ulteriore aumento del costo del denaro necessario per il finanziamento del nostro sistema pubblico e privato.. La principale preoccupazione è che, inoltre, una soluzione di questo tipo rimandi ad un tempo futuro, troppo futuro, la decisione di procedere all'attuazione di tutte quelle riforme necessarie per eliminare le cause della perdita progressiva di competitività del nostro Paese. Dall'eccessivo peso della rendita rispetto alla produzione ed al lavoro, al peso intollerabile della corruzione e della malavita organizzata, all'eccessiva pesantezza burocratica che rende difficile l'operatività delle aziende, alla giustizia civile lenta e che rende non semplice la ricuperabilità del credito, al ritardo degli ultimi anni nel campo della ricerca ed innovazione, ad un sostanziale rallentamento degli investimenti produttivi con scarsa o nulla presenza di quelli esteri ecc..

Sarà credibile un centro destra antisistema che può spingersi fino ad accogliere al suo interno temi anticasta?

Come si rapporterà con la stessa un Movimento Cinque Stelle, il cui leader ha espresso più volte incertezza sull'utilità della moneta unica?  Il peso non indifferente raggiunto nei sondaggi da questo movimento gli addossa oggi una responsabilità politica importante. Da movimento di protesta contro la "casta", quello di Grillo ha oggi la responsabilità di diventare un gruppo politico capace di suggerire un progetto per il futuro del paese e quindi di scegliere l'area in cui collocarsi e le politiche sociali da privilegiare. Penso che nel futuro Parlamento, come già oggi all'interno della Regione Sicilia, pur con tutti i distinguo, questo movimento ha davanti a se la scelta di cavalcare una protesta fine a se stessa o invece quella di costruire, insieme alle forze progressiste, una nuova Italia.

Oggi le forze riunite nella coalizione che ha appena designato Pierluigi Bersani come suo leader, hanno un compito non indifferente. Portare il paese fuori dalla recessione ed assicurare una possibilità di lavoro ed un futuro ad intere giovani generazioni nel segno dell'equità e della meritocrazia. La coalizione dei progressisti farebbe bene a presentarsi in posizione autonoma alle prossime elezioni chiedendo ampia fiducia ai suoi elettori sul proprio programma. Ha ragione tuttavia Bersani a dichiararsi sempre disponibile, successivamente, a valutare senza nessuna pregiudiziale ogni possibilità di collaborazione, anche su iniziative specifiche o su progetti a scadenza, con le forze di centro che non accettano di adeguarsi o di sottomettersi alla deriva populistica.

L'obiettivo comune può essere quello di coniugare un necessario mantenimento degli impegni europei sulla stabilità con la capacità di operare le riforme necessarie per liberare le risorse umane, organizzative e monetarie utili per la crescita.

Trovare la copertura finanziaria per una quota aggiuntiva d'investimenti che consentano l'incremento e lo sviluppo della nostra struttura produttiva. Riuscire, allo stesso tempo, a porci come forza di riferimento dell'unità Europea e come polo di attrazione dello sviluppo del bacino del Mediterraneo sono poi i necessari corollari per un'adeguata collocazione internazionale. Il compito è arduo ma non impossibile. Bisognerà trovare le parole d'ordine che permettano ad ognuno di noi d'impegnarci nella costruzione di questo progetto, potendone ogni giorno verificare il risultato.

Buon lavoro.

 

 

venerdì 30 novembre 2012

Oltre le primarie, per una democrazia partecipativa

Lo svolgimento delle primarie del centro sinistra ed il travagliato annuncio di quelle del centro destra ha sicuramente vivacizzato il panorama politico italiano, coinvolgendo nella riflessione sui programmi e sulla figura dei diversi candidati milioni di cittadini elettori. E' stato pertanto un momento di democrazia importante che va all'interno del percorso di risanamento del distacco fra classe politica e cittadini. Ne è una prova sia l'elevato numero dei votanti, sia l'incremento a quasi il 34% delle intenzioni di voto espresse nei recenti sondaggi a favore del Partito Democratico.

Il successo dell'operazione ci spinge pertanto a continuare su questa strada, riflettendo sui possibili passi successivi da intraprendere.

Il terreno su cui operare è costituito da un lato dalla necessità di modificare in tempi brevi la legge elettorale, in modo da evitare di tornare a votare con quella attuale, e dall'altro di ritornare a discutere sul tema del " partito", che costituisce forse l'unico strumento riconosciuto di partecipazione attiva del cittadino alla proposta politica.

Sul terreno della riforma elettorale, non sfugge come il dibattito parlamentare stenti a trovare una soluzione che accontenti sia i fautori del sistema proporzionale, sia quelli che temono il verificarsi dell'ingovernabilità a causa dell'eccessivo frazionamento della rappresentanza. L'obiettivo dei primi è quello di non essere risucchiati nella voragine del bipolarismo, perdendo in tal modo la possibilità di fare da cuscinetto e da possibile arbitro fra i due schieramenti. La preoccupazione dei secondi è di non raggiungere i numeri sufficienti per governare con piena tranquillità a partire dal giorno successivo al responso elettorale. Su entrambi pesa il possibile successo del Movimento Cinque Stelle, che viene accreditato in tutti i sondaggi come il possibile secondo partito italiano con percentuali fra il 15 e il 18%.L'anomalia di questa possibile affermazione è che non si colloca all'interno dell'alternativa fra le principali forze in campo di destra o di sinistra, né si pone l'obiettivo di essere una forza di raccordo fra i due poli disponibile ad una possibile nuova maggioranza. Il Movimento si presenta invece con un carattere fortemente indipendente e rivendica una sostanziale estraneità rispetto alle possibili maggioranze, riservandosi il diritto di esaminare nel concreto le singole misure proposte dall'una e dall'altra parte e di avanzare autonomamente le proprie rivendicazioni. Il peso elettorale del Movimento di Grillo ed il numero dei possibili parlamentari rende pertanto complessa la governabilità del futuro Parlamento. Da qui ne viene, in qualche modo, la tentazione di predisporre una nuova legge elettorale che preveda un premio di maggioranza tale da consentire alla coalizione vincente un margine sufficiente di seggi. Il rischio, tuttavia, è che si ecceda nella concessione di questo premio, dando alla coalizione vincente la possibilità di governare anche se non ha ottenuto una percentuale sufficientemente elevata di suffragi.Tutti invece auspicano un ritorno alla possibilità di scelta dei candidati da parte degli elettori, qualunque sistema elettorale si decida di adottare.

La seconda grande preoccupazione, che è presente in chi ha a cuore il miglioramento della partecipazione democratica alla vita politica del paese, è costituito dal sistema dei partiti. Principalmente si avverte un'inadeguatezza del controllo e della trasparenza della loro gestione economica oltre che della democrazia della vita interna e della formazione della classe dirigente.

La prima questione prende spunto dalla cattiva gestione dei finanziamenti pubblici e dalla scarsa trasparenza della gestione delle proprietà amministrate sia direttamente che tramite fondazioni collegate. Diventa auspicabile, a tal proposito, quanto portato avanti dal Partito Democratico per la necessaria regolamentazione della forma giuridica dei partiti, comprendente la trasparenza dei bilanci ed il controllo sugli stessi.  Per quanto riguarda invece la partecipazione dei cittadini alla vita politica dei partiti si avverte una grande insoddisfazione che non riesce a tramutarsi nella acquisizione di strumenti idonei ad un cambiamento significativo.  La stessa spinta alla " rottamazione" della classe dirigente del Partito Democratico, condivisa anche da molti giovani di centro destra nei confronti dei leaders del proprio partito, rischia di non trovare adeguati strumenti che consentano una trasformazione effettiva della vita interna dei partiti. L'affermazione a tutti i livelli delle "correnti" e del "leaderismo" attorno alle figure più rappresentative, se da un lato costituisce un fenomeno d'aggregazione naturale, quando viene eletto a sistema di gestione e di ricambio, genera inconsapevolmente condizioni difficili per lo svolgimento di una reale vita democratica all'interno di un partito. Sono invece le forme organizzative di base, i Circoli, a dover essere potenziati, organizzati e coordinati in modo da poter partecipare al dibattito interno ed esprimere le loro idee ed i loro rappresentanti. Parlando del Partito Democratico, l'organizzazione dei circoli territoriali ed il percorso di rappresentanza che dagli stessi giunge, per vari livelli, fino all'assemblea nazionale è troppo legato ai problemi del territorio e viene gestito sempre in relazione all'affermazione di uomini che esprimono l'appartenenza ad una specifica "corrente". Non sono adeguatamente sviluppati invece né i Circoli tematici, legati ai settori di lavoro, né i circoli online che rappresentano una vera novità recepita dallo statuto del partito. L'utilizzo della rete permette il superamento delle difficoltà logistiche ed organizzative tipiche dell'attività fisica sul territorio e permette una partecipazione attiva del cittadino su temi di politica generale anche di carattere complesso. Valorizzare, oltre al percorso territoriale, anche un analogo percorso in Rete dei Circoli, con la realizzazione di un Coordinamento online aperto ai loro rappresentanti, costituirebbe una novità significativa. In un prima fase, sarebbe sufficiente anche creare un coordinamento, non eccessivamente formale, consentendo non solo ai circoli territoriali, online e tematici ma anche ad associazioni nate attorno a figure di prestigio del partito o che comunque fanno riferimento al PD di partecipare. Penso ad associazioni come "Prossima Italia" che si muove attorno a figure come Civati e la Serracchiani, a " Insieme per il PD" vicina  a Sandro Gozi, ad associazioni su base cittadina come " Città Democratica", a " Officine Democratiche " vicine a Renzi, ai circoli online del PD come "Libertà è Partecipazione", il Circolo PD online di Bologna, il Circolo " Communitas 2002", " Impegniamoci" e tutti gli altri. Doversi confrontare in uno stesso spazio insieme ai rappresentanti dei Circoli territoriali sarebbe una grande occasione di crescita e di espressione per tutti, oltre che di proposta ed iniziativa politica. La Direzione del partito potrebbe almeno facilitare il processo, dandone opportuna pubblicità con una pagina dedicata sul sito nazionale e permettendo l'accesso diretto all'Assemblea Nazionale ad un determinato numero di rappresentanti del Coordinamento.

Le possibilità di una nuova partecipazione politica sono sotto gli occhi di tutti. Dalla primavera araba, alla capacità di utilizzare la Rete per far conoscere la voce dei dissenzienti dei paesi totalitari, alla crescita di Movimenti come quello Cinque Stelle in Italia ecc. tutti pongono la domanda di modificare il rapporto dei cittadini con i partiti e le istituzioni verso una democrazia partecipativa.

 

 

 

sabato 24 novembre 2012

Crescita, Banche e Garanzia dello Stato

Una delle principali preoccupazioni che ostacolano la ripresa produttiva del nostro paese è data dalla difficoltà del reperimento delle risorse.

Pur in un momento in cui intravediamo una capacità delle nostre aziende esportatrici di essere ben vive e presenti nel mercato globale (come viene evidenziato dal ritorno all'attivo della nostra bilancia commerciale) l'alto costo del denaro e la difficoltà ad ottenerlo rendono difficili gli investimenti. Nella situazione italiana, oltre alla mancanza d'investimenti esteri   e del contenimento della spesa pubblica, ci troviamo ad affrontare anche una situazione del credito non soddisfacente.

Non che vi siano dubbi sulla solidità del nostro sistema bancario, (tanto che l'intervento delle ricapitalizzazioni pubbliche nel nostro paese è stato pari solo allo 0,2% del PIL e di molto inferiore a quanto è stato sostenuto da paesi come la Gran Bretagna, la Germania, la Francia ecc.) ma per la difficoltà di svolgere il ruolo proprio di assicurare un flusso adeguato di credito alle imprese.

Di certo, non è stata sufficiente l'immissione di liquidità da parte della BCE con l'operazione di prestito triennale all'uno per cento, che è stata utilizzata dalle banche contraenti quasi esclusivamente per sostenere i titoli pubblici italiani. Né si può considerare favorevole l'attuale situazione di mercato che induce alla prudenza per via dell'aumento significativo delle insolvenze. Anche la riduzione dei margini sui servizi e sull'intermediazione non consente di ottenere, attraverso una capitalizzazione degli utili non distribuiti, maggiori risorse a disposizione. Le indicazioni dell'EBA sulla necessità di un maggiore patrimonio responsabile vengono inoltre a cozzare con le minusvalenze patrimoniali realizzate sul corso dei titoli di stato in portafoglio. Siamo pertanto in una situazione in cui il sistema bancario sembra orientato verso una selezione prudenziale della clientela, una riduzione complessiva del profilo del rischio dei propri crediti ed un alto livello del costo del denaro, che si discosta dall'andamento dell'euribor e risulta condizionato sia dal rendimento dei titoli pubblici sia dal costo dell'approviggionamento all'interno del mercato interbancario.

Uno degli strumenti che in questo momento consentono alle imprese di poter alleggerire questo quadro, così privo d'opportunità, è rappresentato dall'intervento del Fondo di Garanzia per le PMI.

Lo strumento è stato istituito con la legge 662 del 1996 con l'obiettivo di sostenere lo sviluppo delle PMI, tramite la concessione di una garanzia pubblica a fronte di finanziamenti concessi dalle Banche, anche per investimenti all'estero. Secondo le indicazioni dello stesso Ministero dello Sviluppo economico" Il meccanismo di funzionamento del Fondo genera un importante effetto leva, in grado di agire da moltiplicatore delle risorse pubbliche, per cui risulta essere uno strumento di politica industriale efficace che presenta un rapporto costi/benefici superiore a qualsiasi altra agevolazione: con un euro di dotazione del Fondo, al sistema imprenditoriale arrivano 16 euro. È, inoltre, un fondo rotativo, che si alimenta autonomamente per effetto del graduale rimborso dei finanziamenti e in grado di garantire un numero elevato d'imprese.Essendo il tasso di default pari a circa il 2% del totale delle operazioni, la maggior parte dei fondi destinati alla copertura della garanzia rientrano e possono essere messi a disposizione d'altre imprese."

L'utilizzo del Fondo permette al sistema Bancario di ottenere sui finanziamenti concessi alle imprese, una garanzia d'ultima istanza dello Stato, normalmente sino al 60%.  che opera in caso d'inadempimento da parte del Fondo per tutti gli impegni assunti a titolo di garante, controgarante e cogarante, attivando il meccanismo della ponderazione zero che permette alle banche di ridurre l'importo degli accantonamenti a titolo di rischio.

In poche parole il peso del finanziamento concesso non incide nel rapporto con il patrimonio responsabile della banca concedente, permettendole maggiore libertà operativa. Da questo ne scaturisce l'effetto leva aumentato anche grazie all'azione d'intermediazione rispetto al sistema bancario svolto dai Confidi. A fronte della controgaranzia statale, in alcuni casi i confidi aggiungono la loro garanzia permettendo la dilatazione del plafond concedibile. Anche adottando i criteri più prudenziali possibili rispetto a quanto affermato dagli esperti del Ministero dello Sviluppo Economico, l'effetto leva non potrà essere inferiore ad almeno dieci volte il plafond del Fondo, rifinanziato nel giugno di quest'anno sino  a due miliardi di euro.  Tale importo in considerazione della garanzia del 60% dei fidi concessi comporterebbe un possibile ammontare dei finanziamenti concessi  pari a ca. 3,4 miliardi. Trattandosi di Fondo rotativo, se a fronte di queste erogazioni considerassimo poi una possibilità d'insolvenza del 10% (superiore di cinque volte a quanto indicato dal Ministero ) potremmo ipotizzare di concedere finanziamenti pari ad almeno dieci volte il plafond a disposizione e quindi per lo meno di 20 miliardi di nuovi finanziamenti a fronte dei due miliardi di plafond del fondo di garanzia iniziale.

L'utilizzo del fondo   è particolarmente conveniente nel caso di:

a) soggetti beneficiari ubicati nei territori delle regioni del Mezzogiorno;

b) imprese femminili;

c) piccole imprese dell'indotto d'imprese in amministrazione straordinaria, relativamente alle operazioni di finanziamento di durata non inferiore a cinque anni, dirette alla rinegoziazione e al consolidamento dei debiti nei confronti del sistema bancario, nonché a fornire alle medesime imprese la liquidità necessaria per il regolare assolvimento degli obblighi tributari e contributivi.

In questi casi la garanzia può arrivare sino alla misura massima dell'ottanta percento dell'ammontare delle operazioni finanziarie, comunque finalizzate all'attività d'impresa.

E' abbastanza interessante inoltre la possibilità di ottenere un intervento sino al 60%   a garanzia d'operazioni d'acquisizione di partecipazioni di minoranza complessivamente fino a 50 milioni di euro di ammontare garantito. Le suddette partecipazioni garantite dal Fondo devono essere detenute per un periodo non inferiore a 24 mesi e non superiore a sette anni, pena la decadenza della garanzia.

La garanzia del Fondo può inoltre essere concessa sino al 70% delle operazioni di anticipazione finanziaria accordate  ai soggetti titolari di credito  nei confronti della Pubblica Amministrazione, senza la cessione dello stesso.

E' facile intuire come la destinazione di ulteriori risorse al potenziamento del Fondo, anche in presenza di un effetto leva più modesto di quello ipotizzato dal Ministero dello Sviluppo Economico, può avere un effetto di stimolo degli investimenti produttivi molto importante. Questo specie in considerazione dell'estrema frammentazione del mercato considerato, costituito da quel settore PMI ( con fatturato non superiore a 50 milioni di euro) che rappresenta l'ossatura del sistema produttivo italiano.Un aumento di dieci miliardi  potrebbe consentire la concessione di finanziamenti per almeno cento miliardi che avrebbero un effetto non trascurabile  sulla crescita del Paese e dell'occupazione.

 

 

 

 

sabato 17 novembre 2012

Un dollaro, un euro

L'Europa sta vivendo una fase di sofferenza sia economica che politica che coinvolge ormai tutti i paesi membri.  I principali segnali sono costituiti dall'entrata in stand by di tutte le economie, compresa quella tedesca, dall'acuirsi del divario fra gli Stati e dal malcontento complessivo dello stato d'animo delle popolazioni che, per diversi motivi, guardano ai propri partners con malcelato sospetto. La gente dei paesi più poveri intravede nelle politiche d'austerità richieste una sorta di disinteresse ed egoismo da parte dei paesi forti; quest'ultimi, invece, si sentono trascinati verso una perdita del benessere raggiunto, a causa delle spese eccessive di bilancio degli altri.

In questo quadro di riferimento, la governance europea non è ancora riuscita a completare il processo di costituzione di una sorveglianza bancaria centrale, affidata alla BCE e non ha ancora risolto i problemi che legano in un circolo vizioso il sistema bancario ed il debito pubblico degli stati più esposti, riducendo la forza di uno dei pilastri fondamentali della ripresa economica costituito dall'accesso più facile e meno costoso al credito bancario da parte delle imprese.

Pur non illudendoci sui tempi brevi di una possibile unione politica e dell'affermazione di una strategia europea che utilizzi il disavanzo comunitario per finanziare la ripresa economica e la lotta alla disoccupazione, è pur possibile, tuttavia, trovare dei fattori comuni di convenienza da perseguire, lasciando ampia autonomia politica ed economica ai diversi stati membri.

La prima necessità è, come già richiamato, procedere con urgenza al completamento della sorveglianza bancaria, alla ricapitalizzazione del sistema bancario ed, aggiungiamo con forza, alla regolazione del sistema finanziario con l'introduzione di limiti, regole e l'opportuna tassazione delle transazioni e degli utili rivenienti dai contratti su derivati. Quasi tutti gli elementi e le proposte per una regolamentazione delle attività finanziarie sono già patrimonio del dibattito in corso e formalizzate, per quanto riguarda le istituzioni europee, nel recente rapporto Liikanen. Ci preme, in questa sede, sottolineare l'importanza di adottare delle misure che consentano di recuperare risorse da questo settore sia con l'introduzione della Tobin Tax, con valori da concordare anche con quelle che ha in animo d'introdurre la presidenza democratica negli USA, sia con una tassazione nuova e secca sugli utili attualizzati realizzati con le operazioni su derivati. Queste ultime sono state una delle principali fonti di guadagno delle istituzioni finanziarie e la loro standardizzazione oltre che l'introduzione di una tassazione secca ad esempio del 30% sull'utile conseguito costituirebbe una misura  di riequilibrio del sistema.

Tali risorse non sarebbero inoltre da considerare trascurabili per il finanziamento di un piano europeo di lotta alla disoccupazione.

La seconda questione, la cui risoluzione diventa inevitabile per assicurare un futuro alla moneta unica, è data dalla presentazione unitaria davanti ai mercati per il finanziamento del debito.Una volta stabiliti i criteri del "fiscal compact" ed anche se la voce investimenti debba essere o meno considerata nella valutazione del debito pubblico d'ogni singolo Stato, diventa conseguente centralizzare la richiesta di finanziamento del fabbisogno complessivo sui mercati agendo come organismo centrale per poi rifinanziare i diversi Stati membri, secondo le loro occorrenze, applicando a ciascuno un tasso di finanziamento diverso all'interno di un ventaglio prestabilito di rapporto debito /PIL rispetto ad un rating comunemente condiviso. Tale misura consentirebbe da un lato una condivisione di responsabilità di fronte ai terzi finanziatori ma anche un atteggiamento di reciproca attenzione fra gli Stati. Manterrebbe inoltre la possibilità di una libertà d'azione delle politiche d'ogni singolo Stato all'interno di un ventaglio di valutazione predefinito.In questo senso si potrebbero alleggerire sia i vincoli del rapporto debito/Pil sia quelli sul deficit, stabilendo, invece, dei limiti negativi da non superare in ogni caso, previo inizio di un processo sanzionatorio. Un'altra grande opportunità, che consentirebbe un miglioramento generale delle condizioni di competitività dell'intera area rispetto al mercato globalizzato, potrebbe essere costituita dalla proposta di svalutazione della moneta unica in una misura di almeno il 20%. L'obiettivo di un dollaro uguale ad un euro potrebbe essere la soluzione più adatta sia per il reale equilibrio fra l'economia americana e quella europea sia per agganciarsi a quello che probabilmente sarà, nel prossimo futuro, il lento ma inesorabile percorso di moderata svalutazione del dollaro nei confronti dello yuan cinese.

Questa misura, richiesta ormai da diversi commentatori economici, potrebbe avere il merito di produrre vantaggi per tutta l'area, riconsolidandone l'appartenenza. Darebbe inoltre maggiore tempo alle economie dei paesi più deboli, che recupererebbero margini di competitività nei confronti dei mercati esterni all'area euro, per adottare tutte quelle riforme necessarie per recuperare gradatamente il divario interno esistente in Europa nei confronti delle economie trainanti.

Queste prime misure potrebbero aumentare la convenienza alla coesione, rinsaldare il senso di appartenenza e soprattutto potrebbero darci il tempo per valutare insieme l'opportunità di realizzare il progetto  della comunità politica europea.

 

 

 

venerdì 9 novembre 2012

Scenari di pace....scenari di tensione!

In questi giorni, si stanno decidendo gli indirizzi politici delle due principali potenze mondiali: USA e Cina. Negli Usa, Barak Obama è stato appena riconfermato Presidente; mentre, in Cina, si è aperto il diciottesimo congresso del Partito Comunista Cinese, con la relazione introduttiva del presidente Hu Jintao.

"Combattere la corruzione riformando il sistema politico con una maggiore partecipazione alle decisioni. Trasformare il sistema economico,puntando al raddoppio del PIL del Paese e del reddito medio della popolazione entro il 2020. Fornire a tutti i cittadini l'assistenza sanitaria.Accelerare la convertibilità dello yuan. Diventare una potenza marittima per difendere risolutamente i nostri diritti e interessi territoriali "sono le parole d'ordine, indicate dal leader cinese, che guideranno il suo paese nel prossimo futuro.

E' già evidente come tutto questo evidenzi come la Cina stia acquisendo la consapevolezza e la solidità della grande potenza mondiale, puntando sull'incremento della domanda interna ,  del livello di benessere dei suoi cittadini e dichiarandosi disposta a difendere militarmente e finanziariamente la propria posizione di forza nel mondo.

Di converso, il neo Presidente Obama si trova a gestire la ledership del mondo occidentale scalfita  da un aumento del debito ,che viaggia, tenendo presente oltre quello federale anche quello delle amministrazioni locali, intorno  al 125% del PIL, e da una mancata soddisfacente crescita dell'economia e dell'occupazione del proprio paese. Fino al 2008, prima dell'insorgere della crisi economico –finanziaria, lo sviluppo della domanda americana è stato sostanzialmente finanziato,  a livello reale, dall'espansione dell'indebitamento  privato  che tuttavia non è riuscito ad onorare i propri impegni. Tutti poi abbiamo potuto osservare come la catastrofe finanziaria dell'Occidente sia stata evitata grazie all'assunzione dei buchi di bilancio delle banche  da parte dello Stato Centrale e grazie all'intervento di diversi fondi sovrani esteri dalle finanze ben liquide.Lo stesso debito USA è per il 25% nelle mani della Cina. D'altra parte,  tutto questo fotografa,  come in un'istantanea, lo spostamento del peso economico  e della ricchezza, che progressivamente era già in corso negli ultimi decenni, dal mondo cosiddetto occidentale verso le nuove economie  in crescita.

La circolarità assicurata ai capitali ed alle merci ha permesso di abbattere alcune barriere protezionistiche migliorando gli scambi (spesso diseguali) e facilitando l'allocazione d'imprese e capitali là dove si creavano le migliori condizioni possibili di guadagno e d'attività: basso costo del lavoro, sicurezza e prevedibilità dei sistemi politici, infrastrutture, energia a basso costo, tecnologia. istruzione ecc ecc. Quando poi si passa  da un tipo di produzione fondata su grandi investimenti negli immobilizzi materiali a forme di produzione e servizi che contano maggiormente sulla risorsa umana e le immobilizzazioni immateriali, la capacità di superare le differenze e gli svantaggi fra le nazioni diventa molto più rapida.In questo senso, l'informatica, la rete hanno permesso la dislocazione di ampi settori di servizio delle multinazionali là dove vi era la possibilità di ottenere prestazioni di elevato livello professionale a basso costo. Basti pensare alla dislocazione della contabilità generale di diverse multinazionali nei paesi dell'est europeo da cui si gestiva la fatturazione di tutte le attività delle filiali europee. O ancora, l'utilizzazione di call center indiani per rispondere alle richieste dei clienti di società americane ecc eccTutti questi servizi per le imprese  nel mondo odierno possono essere gestite in maniera soddisfacente da tutte le nazioni che riescono a puntare su di un buon livello  del proprio sistema formativo. Se il lavoratore ha un basso costo ed una buona/elevata formazione diventa sicuramente attraente spostare alcune attività di servizio grazie anche alla capacità di comunicazione offerta dall'utilizzo della rete internet La dislocazione di diverse produzioni  in aree tradizionalmente meno sviluppate, favorite dai forti investimenti degli stati a favore della formazione di joint venture fra capitali interni ed esteri e  le facilitazioni fiscali sugli utili realizzati, hanno poi permesso anche la circolazione  delle tecnologie

Il progressivo saldo positivo delle bilance commerciali e dei pagamenti verso  queste nuove economie  ha progressivamente  cambiato i rapporti di benessere e di forza delle diverse popolazioni. Il mondo è sempre più globalizzato e i vantaggi competitivi  accumulati storicamente si vanno assottigliando. La competizione  continua ad essere legata in maniera importante al costo del lavoro ma  gradatamente i paesi emergenti sono in grado di competere anche  nel campo della elevata tecnologia e della  complessità del servizio prestato.

Il grande debito pubblico e privato,  accumulato in questi anni all'interno del mondo occidentale,  per non soffocare le ulteriori possibilità di sviluppo deve essere pertanto drasticamente ridotto sia nel costo che nel volume. Bisogna infatti considerare che sempre minori  risorse finanziarie reali potranno essere ottenute,  a sostegno di questa enorme dilatazione, da parte dei paesi emergenti ,che sposteranno gradualmente le risorse  verso il miglioramento del livello di vita delle proprie popolazioni. Diventa pertanto facile pensare  che  la strada quasi obbligata sarà quella di un contenimento dei valori assoluti del debito  e del ridimensionamento delle nostre spese, utilizzando,  a seconda del momento e della situazione,  sia la strada virtuosa  del "fiscal compact"  e del contenimento del deficit annuo, come è stato deciso nei paesi dell'eurozona, sia con una politica  monetaria accomodante,  come nei casi  americano inglese  e giapponese ,con una sostanziale monetizzazione  del debito ed una sua lenta svalutazione. E' possibile che una politica di questo tipo,  per gli Usa, porti inevitabilmente ad un  lento ma progressivo riallineamento del cambio con lo yuan che, del resto,  il mondo americano chiede da tempo. In questo senso,  se attuato gradualmente, corrisponderebbe in pieno alla nuova politica cinese,  centrata sul maggior livello di benessere della propria popolazione,. e permetterebbe una maggiore competitività delle merci americane. La nuova politica di potenza marittima cinese può portare, inoltre, ad uno spostamento dell'attenzione americana sul Pacifico, con un possibile disimpegno dall'area del Mediterraneo.Scenari di pace … scenari di tensione!

Nel Mediterraneo,  è il nostro paese, come avamposto dell'Europa, che può giocare nel futuro un ruolo importante. Guai ad assumere, nei prossimi anni, un atteggiamento difensivo e di chiusura rispetto a quella che sarà una gigantesca pressione delle popolazioni  che si affacciano su questo mare. Possiamo e dobbiamo riuscire invece  ad assumere un atteggiamento d'iniziativa  che porti ad uno sviluppo  dell'area basato sulla reciproca soddisfazione. Le regioni meridionali possono avere un ruolo particolarmente importante, all'interno di questo disegno,  costituendo il primo impatto  naturale. Utilizzando l'immenso esercito di manodopera presente in quelle aree, le riserve di energia   e le tecnologie occidentali, potremmo sicuramente  mettere in piedi delle collaborazioni di reciproca convenienza e sviluppare opportunamente i commerci ed il benessere dell'intera area.Da questo punto di vista, penso che il potenziamento, nel Meridione d'Italia,  delle infrastrutture per il trasporto delle  merci e delle persone sia essenziale,  ripensando anche in maniera attenta al progetto del ponte sullo stretto di Messina. Bisognerebbe valutare opportunamente se l'area possa godere in futuro di una deroga ai minimi salariali  contrattuali  in presenza della sperimentazione del contratto unico d'ingresso (D.L.Nerozzi) legato all'accettazione sperimentale del progetto Flexsecurity (D.L. Ichino). Puntando ad un mercato  così vasto  e su risorse competitive che potrebbero permettere elevati livelli di produttività bisognerebbe puntare  sia sul potenziamento delle attuali strutture dell'agricoltura e del turismo sia su nuove produzioni di elevata tecnologia Ad esempio il sito di Termini Imerese potrebbe essere quello eletto alla produzione in Italia dell'auto elettrica.L'abbattimento dei minimi contrattuali può sembrare  una proposta irragionevole  e lesiva dei diritti acquisiti; ma, se teniamo presente che l'applicazione dovrebbe essere riservata esclusivamente alle nuove assunzioni legate ai contratti a tempo indeterminato a garanzia progressiva   ed alle imprese disponibili alla sperimentazione del progetto flexsecurity,  l'ambito sarebbe più contenuto e sostenibile. D'altra parte  i nostri giovani oggi,  nella maggior parte dei casi, non godono neanche lontanamente dei minimi contrattuali, stretti fra una disoccupazione che nel Sud supera abbondantemente il 35% nazionale, il precariato  diffuso, il lavoro  nero e saltuario in cui la paga media è bassa e priva di contributi/diritti o ipotetici stage con rimborso spese irrisori.

 

 

 

 

sabato 27 ottobre 2012

Il ritorno di Berlusconi e la leadership della sinistra

Bossi in questi giorni aveva avvertito che, in considerazione dei suoi sospesi processuali, Berlusconi non si sarebbe mai ritirato dalla scena politica   e puntualmente, subito dopo la condanna a quattro anni per frode nell'ambito del processo sui diritti tv Mediaset, è ritornato sulla scena. E' vero, non smentisce l'intenzione di non candidarsi a premier; ma, nessuno pensi che il suo ciclo politico , iniziato nel 94 con la sua discesa in campo, sia finito. Nella conferenza stampa, tenuta sabato 27 c.m. a Villa Gernetto, Berlusconi attacca a testa bassa il Governo Monti, responsabile di eseguire le indicazioni di un'Europa, governata dalla signora Merkel, portando con la politica dell'austerità l'Italia dentro una spirale recessiva.

Berlusconi fa presente che il sistema istituzionale italiano è talmente disfunzionale e complesso a tal punto  da rendere il paese ingovernabile. Il percorso delle decisioni è troppo lungo e soggetto a mille impedimenti. Bisogna rapidamente procedere ad una riforma costituzionale che consenta al capo del governo di nominare e sfiduciare i propri ministri, procedere con rapidità nella predisposizione delle misure legislative, ridurre l'iter parlamentare con l'abolizione di una camera e la riduzione del numero dei parlamentari e modificando in ultimo la composizione della Corte Costituzionale definita di parte.

Il secondo attacco viene portato al sistema giudiziario la cui riforma sarà uno dei primi punti del suo programma politico e ribadisce la necessità di porre fine alle intercettazioni telefoniche che violano la privacy dei cittadini.

L'ultimo fiore all'occhiello è poi l'attacco frontale alla lotta all'evasione fiscale. Dalla critica ai sopraluoghi a sorpresa della guardia di finanza, a quella del redditometro, alla limitazione del contante, fino a giungere alla conclusione che è necessario  riorganizzare totalmente Equitalia.

In conclusione, basta con la politica dell'austerità, basta con l'aumento dell'imposizione fiscale, no all'IMU e puntiamo invece sul contenimento degli sprechi e della spesa pubblica.No alla subordinazione della nostra politica alle indicazioni dei paesi forti europei. Da qui il passo verso l'uscita dal fiscal compact e dalla moneta unica, cavalcando uno scontento ed un'animosità crescente  contro l'Europa, il passo è breve.

Le regole europee sono considerate, da una sempre più ampia platea di forze d'opposizione e da gruppi di giornalisti ed intellettuali, come una delle cause della perdurante crisi italiana. Regole viste più come l'espressione delle potenze dominanti che come interesse comune di una formazione unitaria. La lega di Maroni ha già preso chiaramente posizione a favore di un'uscita dall'euro o perlomeno per la necessità di risottoporre a referendum popolare la questione insieme alle regole del "fiscal compact". Alla stessa maniera sembra porsi il Movimento cinque stelle di Grillo.La destra di Storace è sicuramente a favore di un'uscita ma anche tante forze a sinistra sarebbero favorevoli ad una politica di quantitative easing che se non applicata dalla BCE venisse svolta almeno dalla Banca d'Italia in un'ipotesi di ritrovata sovranità sulla moneta. La questione non è, infatti, solo quella di uscire dall'euro, appostandoci su di un cambio più competitivo ma anche di rimettere in discussione le normative approvate nel 1981 di divieto alla Banca d'Italia di acquistare i titoli del debito pubblico Italiano. All'epoca, infatti, la piaga dell'esplosione del debito e l'inflazione a due cifre, che metteva in pericolo sia il valore dei risparmi che la capacità d'acquisto delle pensioni e dei salari, aveva portato a prendere quella decisione.

Oggi i seguaci della MMT propugnano l'idea di recuperare la sovranità monetaria e procedere con una politica espansiva monetaria che consenta di far fronte alle necessità di bilancio, al pagamento degli interessi sul debito ed alla stessa sottoscrizione della parte di debito che risultasse inevasa con l'allargamento del debito stesso ottoscritto dalla banca Centrale. Un debito tuttavia ampiamente svalutato al momento dell'uscita del nostro paese dalla moneta unica. La svalutazione per avere un significato dovrebbe essere di almeno il 30% e ciò significa che tutti i possessori dei titoli di stato sia italiani che stranieri si troverebbero ad avere una perdita del 30% sul valore dei propri investimenti. E' plausibile che nelle prossime aste si porrebbe la necessità di sostituire gran parte degli investitori delusi con un intervento della Banca d'Italia. Ciò potrebbe significare un'aumento importante della circolazione monetaria che unito alla svalutazione porterebbero rapidamente ad un aumento dei prezzi significativo tendente alle due cifre. C'è chi pensa che comunque queste misure porterebbero ad una crescita dell'economia reale importante al netto dell'inflazione grazie alla maggiore concorrenzialità dei nostri prodotti, nonostante il maggior costo dell'energia e delle materie prime. La bilancia commerciale tornata in positivo consentirebbe la ripresa dell'economia e conseguentemente dell'occupazione oltre alla realizzabilità di un piano di riduzione del debito pubblico. Tutto questo non è automatico. La perdita di competitività del nostro paese non è imputabile esclusivamente ad una moneta forte (che non ci ha aiutato) ma dalla mancata realizzazione di riforme strutturali che spostassero le risorse dalla rendita alla produttività, che ci sollevassero da una situazione di costi energetici ben più alti dei nostri competitors,dal mettere al primo posto gli investimenti in ricerca ed innovazione, che liberassero vaste aree del nostro territorio dal controllo delle mafie e del sottosviluppo. Tutti questi problemi rimangono sul tavolo e non saranno certo delle misure di quantitative easing a risolverle automaticamente. Rimane ancora la profonda ineguaglianza presente nella nostra società in cui il 10% delle famiglie più ricche detiene quasi il 50% della ricchezza, dove la disoccupazione giovanile ha superato il 30%, dove il costo della corruzione è valutato in 60 miliardi d'euro e quello dell'evasione fiscale in oltre 120 miliardi annui. Uscire dall'euro non risolve certo questi problemi anzi può facilitare tutti quei comportamenti che tendono a rimandarne nel tempo la soluzione. Possiamo far ripartire la crescita basandoci esclusivamente su di una competitività realizzata attraverso un costo dei salari dimezzati dalla svalutazione e su di un costo delle nostre merci più basso? Non dovremmo invece puntare soprattutto sulla qualità, sulla ricerca e sull'innovazione proteggendo contemporaneamente il potere d'acquisto dei nostri risparmi, dei salari e delle pensioni? Sull'omogeneità dello sviluppo, recuperando il divario dei settori e dei territori arretrati?

Mi sembra che questo possa essere il compito ed il progetto delle forze di una sinistra che si candida al governo.Una sinistra che vuole stare a pieno titolo all'interno del processo di formazione di un'Europa federale sollecitandone un miglioramento delle funzioni e della partecipazione democratica dei cittadini. Oggi si fa strada nella popolazione, grazie alla propaganda delle forze di destra e populiste, una visione che salda la protesta contro la corruzione della classe politica con quella della sfiducia verso le istituzioni e l'Europa considerate come le prime responsabili della crisi in cui viviamo.

Ridare fiducia e speranza alla gente su questi punti è forse un'impresa titanica. Pur all'interno di differenze profonde bisogna che i principali candidati alle primarie della coalizione di sinistra si rendano conto della posta in gioco. E' da mantenere pertanto la massima unità e rispetto pur nel confronto leale delle posizioni. Il dibattito che si pone all'interno della sinistra è altrettanto importante per il futuro del nostro Paese. Innanzitutto bisognerebbe sgombrare il campo da qualsiasi dubbio residuo sul progetto europeo pur ritenendolo migliorabile. In secondo luogo è bene che si evidenzi ampiamente il confronto fra le posizioni di una sinistra liberale che punta molto sulle opportunità e quelle di una sinistra più tradizionale che cerca il mantenimento dei diritti acquisiti. Più si darà agli elettori la possibilità di esprimersi su questo dibattito meglio sarà per tutti. L'ultima questione che vorrei sollevare è quella del salario di cittadinanza. Questa misura è invocata da più parti con modalità diverse. Lo chiede Grillo ma anche Vendola ed era presente nel programma del PD  ma oggi ci sembra che sia stato messo da parte.Mi sembra che la questione non sia da poco in questo momento. Qualsiasi proposta di liberalizzazione e di flessibilità del lavoro e la situazione di crisi occupazionale presente che si preannuncia di lungo periodo non possono essere affrontate senza l'adozione di strumenti eccezionali  e credo che il salario di cittadinanza sia tra questi. Mi sembra importante una riflessione in proposito all'interno della  coalizione di sinistra perché questo diventi un punto comune centrale per tutti i candidati.

 

 

venerdì 19 ottobre 2012

Un Rating Europeo

Il percorso europeo, oggi, nel migliore dei casi, si ferma ad una visione che non va oltre l'obiettivo del coordinamento della politica dei vari stati nazionali.Non è presente ancora una visione capace di portare alla formazione di una nazione europea che si ponga in maniera unitaria nei confronti del mondo che la circonda e capace, al suo interno, di avere degli obiettivi di maggiore integrazione e solidarietà.Da molti viene sottolineata la presenza sempre più diffusa nei diversi Stati di atteggiamenti di perplessità se non addirittura di sfiducia o avversione verso una maggiore integrazione europea e risorgono dappertutto spinte nazionalistiche.La preoccupazione sulla possibilità dell'inasprirsi dei conflitti è giusta e seria. Lo vediamo anche all'interno degli stessi stati nazionali fra diverse aree dello stesso Paese D'altra parte, la storia c'insegna che spesso le forme unitarie fra nazioni sono nate in seguito ad occupazioni militari e conflitti. Lo stesso percorso degli Stati Uniti d'America è passato attraverso una dolorosa guerra fra gli Stati del Nord e del Sud.E' necessario pertanto procedere con prudenza e gradualità.
Il primo passo è certamente quello di realizzare l'unione bancaria; ma, bisogna cominciare a ragionare in modo diverso anche sulla gestione del debito pubblico degli Stati che aderiscono all'area Euro, per porre le premesse per una collaborazione e una pace duratura.Una volta create delle regole chiare ed utili per tutti, si saranno poste le condizioni per procedere successivamente verso un'unione politica, che preservi le diverse nazionalità superandole, tuttavia, in un progetto comune. Il ruolo principale, per la realizzazione di un progetto politico così ambizioso, spetterà ai partiti ed ai sindacati che dovranno svilupparsi verso forme organizzative sopranazionali, con un'unica classe dirigente che operi a quel livello.Un'organizzazione federale degli stessi consentirà inoltre di rimanere legati alle diverse esigenze nazionali.Se questa è una possibile idea per il futuro, veniamo ad affrontare quello che ci preoccupa oggi: la gestione del debito dei vari paesi membri. Per il momento, l'unica forma di stabilizzazione dei tassi è affidata all'ESM, che ha anche il compito di procedere all'aiuto ed al salvataggio di quei paesi che lo richiedono. Una delle importanti prerogative dello stesso è il principio che possa procedere all'emissione di obbligazioni nei confronti del mercato.La BCE invece, oltre ad avere il compito del controllo sull'intero sistema bancario europeo, dovrà mantenere l'attenzione sulla difesa della moneta e sul contenimento dei fenomeni inflativi dell'area.E' certo che queste misure costituiscono già un passo avanti rispetto alla situazione precedente, ma non sono ancora sufficienti. La vera riforma potrebbe esser costituita dalla presentazione di un soggetto unico, di fronte ai mercati (ad esempio l'ESM), per il soddisfacimento dell'intero fabbisogno del debito pubblico dell'area Euro, determinato in ossequio a regole comunemente condivise di vincolo di bilancio. Successivamente, lo stesso organismo potrebbe, a sua volta, finanziare internamente il debito pubblico dei paesi membri ad un tasso differenziato in base all'applicazione di un rating.Il rating potrebbe essere costruito in base a quattro criteri patrimoniali:

a) Rapporto debito /PIL:

b) Rapporto fra debito / patrimonio pubblico;

c) Rispetto del pareggio di bilancio;


d) Andamento del PIL,al netto dell'inflazione.

 

Una costruzione attenta ed adeguata di questo rating dovrebbe prevedere dei valori positivi e dei valori negativi tali da costituire un ventaglio di spreads positivi e negativi (a somma zero) rispetto ai tassi di collocamento del debito complessivo sul mercato dei capitali a cura dell'ESM. Il ventaglio di variazione dello spread non dovrebbe comunque superare l'attuale fotografia della variabilità presente nell'area euro fra i diversi paesi.Accanto a questa misura, dovrebbe essere prevista la possibilità di poter accogliere una richiesta di finanziamento ad hoc (in deroga al fiscal compact) su determinati progetti motivati ed approvati dai parlamenti nazionali e ratificati dalle istituzioni europee (con gli organismi designati all'uopo).Allo stesso modo,dovrebbe essere possibile al governo europeo, (previa ratifica del parlamento europeo) chiedere, oltre che agli stati membri, direttamente ai mercati mezzi per il finanziamento di progetti gestiti centralmente e direttamente. Ad esempio, progetti, come la TAV, potrebbero essere gestiti, finanziati e realizzati, in un futuro, direttamente dalla struttura centrale, sotto la cui direzione dovrebbero operare i diversi settori nazionali.La stessa BCE dovrebbe essere autorizzata, dietro espressa volontà della maggioranza dei due terzi dei paesi membri, a poter procedere eccezionalmente all'acquisto diretto delle obbligazioni dell'ESM, in una politica di quantitative easing.Una riforma così profonda della finanza europea permetterebbe il pieno controllo e la sicurezza della moneta, oltre che la riduzione di un'eccessiva dipendenza dai movimenti speculativi, mantenendo tuttavia l'indipendenza operativa dei singoli stati membri, all'interno di precise regole di comportamento unitario.Sulla base di questa ritrovata sicurezza della gestione del mercato comune e del debito vi sarebbero tutte le precondizioni necessarie per sviluppare un percorso politico più ambizioso.La formazione di uno Stato europeo federale , dotato di una propria costituzione un presidente eletto a suffragio universale e capo del governo,una forza armata europea e la creazione di un a struttura amministrativa federale con un corpo centrale e dei decentramenti nazionali. Queste non sono cose realizzabili in pochi anni ; ma, costituirebbero la continuazione e realizzazione di quel grande sogno di pace e collaborazione fra i popoli europei che spinse statisti del calibro di De Gasperi , Adenauer ed altri a sognare l'Europa mentre era ancora presente nella mente il ricordo di tutta l'atrocità del secondo conflitto mondiale. Questo progetto ha appena ricevuto la consacrazione del premio Nobel per la pace e su di noi tutti pesa la responsabilità di non lasciarlo cadere.All'interno di questo percorso il nostro Paese dovrà affrontare le scelte virtuose del risanamento, delle riforme strutturali e della crescita come premessa per un superamento della crisi occupazionale.