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mercoledì 30 settembre 2015

Migrazione e lavoro-Intervista al Senatore Pietro Ichino

 

 

 

 

 

In quest'intervista abbiamo cercato di affrontare, insieme al Senatore Ichino, alcuni problemi connessi al rapporto fra migrazione e lavoro. Ne riportiamo qui di seguito il contenuto:

 

D. Stiamo assistendo ad un'ondata migratoria senza precedenti verso i paesi europei, che potrebbe portare a forti tensioni sia sui temi dell'integrazione culturale e dei comportamenti sociali sia sull'organizzazione del lavoro.

Pensa che allo stato attuale sia possibile immaginare che i migranti, accolti nei centri d'accoglienza e identificazione, fino a quando non avranno una destinazione certa o un inserimento lavorativo nel mercato, possano prestare obbligatoriamente, in cambio dell'assistenza, un lavoro elementare di servizio pubblico ad esempio nell'edilizia popolare, nei servizi di pulizia e manutenzione o nell'assistenza?

 

R. Questo è fattibile a condizione che si risolvano due problemi delicati sul piano politico-sindacale e uno difficile sul piano operativo. Il primo è quello di evitare che un'iniziativa di questo genere possa assumere la sostanza, o anche solo l'aspetto, di un'organizzazione di lavoro coatto, che sarebbe oltretutto vietato da uno dei principi fondamentali dell'O.I.L. Quando una persona arriva in condizioni di bisogno gravissime, il confine tra lavoro accettato liberamente e lavoro coatto può diventare evanescente. Il secondo problema è quello di ammettere nel nostro ordinamento una categoria di lavoratori privi di cittadinanza UE, i quali per il lavoro che svolgono vengono retribuiti in parte in natura (alloggio e vitto) e comunque in misura inferiore, a parità di contenuto, rispetto ai minimi tabellari previsti dai contratti collettivi: a ben vedere, la questione ha molto in comune con quella dell'istituzione di un salario orario minimo, che dovrebbe necessariamente collocarsi nettamente al di sotto dei minimi tabellari dei contratti nazionali, e proprio per questo è fortemente avversato dai sindacati. Per risolvere questo problema si potrebbe pensare ad una norma speciale europea che regoli i rapporti di lavoro in questione anche in deroga agli ordinamenti nazionali.

 

D. E il terzo problema?

 

R. Il problema pratico è quello di dotare il nostro Paese di una struttura pubblica capace di organizzare il "lavoro degli immigrati per gli immigrati", ed eventualmente anche quello di utilità generale, e gestirlo in modo pulito ed efficiente. L'esperienza degli appalti romani aventi a oggetto i servizi agli immigrati non costituisce, ahimè, un precedente incoraggiante: il che potrebbe suggerire di affidare a un'agenzia di emanazione diretta della UE l'organizzazione e la gestione di questi "cantieri". Sei anni fa ho anche sostenuto (v. Un traghetto per Lampedusa) che dovremmo pensare ad aprire cantieri di questo genere negli stessi Paesi di origine degli immigrati, invitandoli a tornare lì, pagati da noi secondo tariffe ottime per quei luoghi ma pochissimo costose rispetto alle nostre correnti, per aiutare i rispettivi Paesi a risollevarsi. Certo, però, questo non è pensabile nei casi di guerra civile come quella che sta devastando la Siria.

 

D. Non potrebbe essere proprio questa l'occasione per la prima grande operazione europea di emissione di eurobond comuni, con la creazione di un debito europeo garantito in ultima istanza dalla BCE, finalizzati al finanziamento di queste strutture nei paesi di accoglienza e di una politica comune d'investimento nei paesi africani?

 

R. Sì, certo. E questo è un motivo ulteriore per pensare a un impegno diretto della UE non solo nella regolazione ma anche nella gestione dei "cantieri". Proprio un impegno diretto di questo genere, però, che uscirebbe del tutto dagli schemi fin qui praticati, potrebbe costituire una difficoltà in più per far passare un programma di questa entità e complessità. Ciò non significa affatto che non dobbiamo coltivare questa ambizione, e magari farcene proprio noi italiani promotori in Europa.

 

 

Mi sembra che sia condivisibile ipotizzare un impegno diretto della UE sia per l'apertura di cantieri di sviluppo nei territori d'origine dei migranti (invitandoli a prestar lì il loro lavoro) sia per l'organizzazione gestione e controllo dei cantieri nei paesi europei. D'altronde, si parla già di un ruolo di sorveglianza e di coinvolgimento di funzionari UE nei centri d'identificazione. Utilizzare personale della pubblica amministrazione dei diversi paesi membri distaccandolo, allo scopo, sotto la Direzione EU non dovrebbe essere problematico e costituirebbe l'embrione di una struttura EU decentrata.

Quello che mi sembra ulteriormente importante è l'accenno, da Lei fatto, a una normativa speciale europea che regoli questi rapporti di lavoro atipici, in deroga agli ordinamenti nazionali.

 Inevitabilmente, tuttavia, sorgono alcune domande:

a)         Ritiene che la remunerazione di questo tipo di lavoro pubblico debba essere stabilita in maniera paritaria su tutto il territorio europeo o piuttosto debba essere articolata all'interno di un range che tenga conto delle differenze salariali esistenti fra i diversi paesi?

 

R. Va detto, innanzitutto, che della remunerazione fa parte, in questo caso, anche alloggio, vitto e scuola di lingua: tutte prestazioni che hanno un valore d'uso analogo in qualsiasi parte del continente, ma possono avere un prezzo, in termini monetari, molto diverso sulle coste del Mare Ionio e su quelle del Mar Baltico. Lo stesso criterio deve valere per la parte di remunerazione che invece viene corrisposta in denaro: il suo valore deve essere stabilito non in termini nominali, ma di potere reale d'acquisto; il che implica necessariamente forti differenze degli importi nominali, a secondo della latitudine e della longitudine.

 

b)         Considerando che le dimensioni di questa immigrazione hanno un carattere epocale, costituendo un esercito industriale di riserva d'enormi proporzioni su tutto il territorio europeo, con la conseguenza di una possibile generale svalutazione interna del fattore lavoro, non ritiene sia importante collegare direttamente la remunerazione di questi lavori atipici con il valore del salario minimo, concordandone l'entità e/o l'oscillazione fra i diversi paesi europei?

 

R. Tutto è molto discutibile. Ma in via di prima approssimazione sarei contrario a un approccio di questo genere. Proprio perché è indispensabile che questa operazione non sia vissuta dai lavoratori indigeni attuali e potenziali come un attentato ai loro interessi. Per questo, è necessario che i cantieri si caratterizzino in modo molto netto come luoghi in cui il lavoro ha un carattere emergenziale, è prioritariamente al servizio delle comunità degli stessi immigrati che lo svolgono, non genera un utile di impresa e può per questo essere esentato dall'applicazione degli standard del lavoro ordinario.

 

c)         Non sarebbe, a questo punto, utile superare concettualmente la separazione fra il concetto di reddito di cittadinanza e indennità di disoccupazione per creare un unico ammortizzatore sociale di sostegno sia nei confronti degli inoccupati, sia dei marginali sia dei disoccupati di lunga durata, legandone l'erogazione alla prestazione di un lavoro di servizio pubblico e la remunerazione al livello del salario minimo?

 

R. Anche su questo punto sono portato a dissentire. È bene che queste tre cose restino nettamente distinte: il trattamento di disoccupazione (in Italia, la nuova ASpI), che ha natura assicurativa, con conseguente correlazione stretta fra entità della retribuzione goduta, contribuzione e indennità in caso di perdita del lavoro; il reddito minimo di inserimento, che deve avere natura assistenziale universale, e deve essere erogato a tutti i cittadini UE residenti che si trovino in situazione di povertà, prescinde totalmente nella sua entità dalle retribuzioni percepite dal beneficiario in precedenza, ed è fortemente condizionato alla piena cooperazione del beneficiario per il proprio reinserimento nel tessuto produttivo e per l'inserimento scolastico dei figli quando ce ne sono; infine il trattamento emergenziale dei profughi e rifugiati, che è una misura di pronto soccorso rivolta a non cittadini UE. Nel tracciare queste linee di definizione e separazione non ho alcuna certezza: può essere benissimo che mi faccia velo un eccesso di attaccamento a schemi vecchi. La discussione serve anche a superarli, quando di questo si tratta.

 

Certamente l'onestà intellettuale e il richiamo a superare sempre, nel corso delle discussioni, il proprio originario punto di vista è un insegnamento di cui ringraziamo il Senatore Ichino insieme alla sua disponibilità.

Mi sembra che i punti presentati nelle domande della parte finale abbiano bisogno di ulteriori riflessioni comuni; ma, una questione su cui mi sembra, invece, vi sia un accordo è che sia auspicabile un intervento centrale europeo nel finanziamento ed organizzazione ( con una normativa europea in deroga a quella nazionale)   di cantieri di lavoro sia nei paesi europei sia in quelli di origine dei migranti. Allo stesso modo è forse possibile ipotizzare anche per il reddito minimo d'inserimento per tutti i cittadini UE( opportunamente diversificato per i singoli paesi)   un'azione centrale europea

 È una strada percorribile? Certamente non semplice ma di cui tutti insieme possiamo farci promotori.

 

 

 

 

 

 

 

 

giovedì 24 settembre 2015

Attualità del Glass-Steagall Act

 

 

 

Il Glass-Steagall Act fu la risposta del Congresso USA alla crisi finanziaria iniziata nel 1929 che, già all'inizio del 1933, aveva portato al fallimento numerose banche americane.

La prima misura fu quella d'istituire la Federal Deposit Insurance Corporation con lo scopo di garantire i depositi .

Oggi, invece, i depositi sono stati coinvolti nella crisi finanziaria di Cipro e le recenti Direttive Europee in materia hanno deciso che i depositi oltre i centomila euro possano essere oggetto di "attenzione" in caso di fallimento della banca presso di cui sono depositati.

Vale a dire che rischiano di essere utilizzati anch'essi per partecipare alla copertura delle perdite.

La seconda misura del Glass-Steagall Act  prevedeva l'introduzione di una netta separazione tra attività bancaria tradizionale e attività bancaria di investimento. Le due attività non potevano essere esercitate dallo stesso intermediario, portando così alla separazione tra banche commerciali e banche d'investimento. La motivazione di tale provvedimento era quella di evitare che il fallimento dell'intermediario comportasse  il fallimento della banca tradizionale, impedendo  che l'economia reale fosse direttamente esposta al pericolo di eventi negativi prettamente finanziari. Quello che invece è accaduto con la crisi finanziaria  del 2007 dove, per salvare il risparmio dei cittadini ed evitare quindi che le perdite delle banche d'investimento coinvolgessero le banche tradizionali, i governi dei diversi Stati sono stati costretti a porre in essere enormi salvataggi, destinando importanti risorse pubbliche allo scopo. Questo ha spostato il problema, a partire da quel momento, sulla sostenibilità dei debiti pubblici, che si erano dilatati, in molte situazioni, a causa di quegli interventi.

Nel dopoguerra, progressivamente, gran parte dei contenuti  del Glass-Steagall Act  furono abbandonati. Buona parte delle banche nazionalizzate  sono ridiventate  private. La divisione fra istituti di credito  a medio termine ed a breve è stata superata e nel  1999 il Congresso degli Stati Uniti, a maggioranza repubblicana, ha approvato una nuova legge bancaria promossa dal Rappresentante  Jim Leach, dal Senatore  Phil Gramm e promulgata il 12 novembre 1999 dal Presidente Bill Clinton con il nome di  Gramm –Leach –Biliey Act.

La nuova legge abrogava le disposizioni del Glass-Steagall Act del 1933 che prevedevano la separazione tra attività bancaria tradizionale e investment banking, senza alterare le disposizioni che riguardavano la FDIC.

L'abrogazione ha permesso la costituzione di gruppi bancari che, al loro interno, permettono, seppur con alcune limitazioni, di esercitare sia l'attività bancaria tradizionale, sia l'attività di investment banking e assicurativa.

Questo processo si è affermato,  oltre che negli USA, in molti Paesi  ed, in breve tempo, tutto il sistema finanziario mondiale si è uniformato. Nuovi prodotti assicurativi e d'investimento sono diventati essenziali per i bilanci dei  più importanti gruppi bancari.

Ancora oggi, le operazioni su derivati costituiscono uno degli impegni in essere più importanti presenti nei  bilanci  di molte banche; inoltre, tutte le banche di credito ordinario continuano ad avere un'importante sezione di mutui e, tramite nuove operazioni di cartolarizzazione dei crediti in essere  sulle operazioni già effettuate, possono ottenere nuove disponibilità da investire in nuove erogazioni  a medio termine.

Sembra che adesso,  dopo il lungo silenzio europeo su questo tema pur  dopo le raccomandazioni  di Draghi quando era ai vertici del Financial Stability Board, il nuovo leader del Labour inglese, Corbyn  voglia riprendere la questione,  riproponendo nel suo programma  i  contenuti della legge Glass-Steagall.

Tra l'altro, il ministro dell'economia, designato da Corbyn per il suo Governo ombra, è  quel John McDonnell, economista  ed ex sindacalista, che, a suo tempo,  si oppose alla guerra in Irak  e che   sulla rivista  Labour Briefing (2012): si è dichiarato favorevole  ad  un "sistema Glass-Steagall in piena regola", per separare le banche ordinarie da quelle d'affari.

Non sembra che la questione in Italia sia stata presa sufficientemente  in considerazione,  né che si stiano facendo dei passi in questa direzione. Forse, riteniamo che il controllo esercitato dalla BCE sull'andamento  delle nostre istituzioni bancarie sia sufficiente?

Eppure, al di là del coinvolgimento dell'economia reale nell'eventuale scoppio di una crisi finanziaria, già la stessa possibilità che l'intermediario bancario agisca direttamente  come investitore può distogliere  risorse dagli impieghi direttamente produttivi per orientarli sulla rendita. Le nostre forze politiche di governo  dovrebbero  porre maggiore attenzione  a queste problematiche.

 

 

 

 

 

 

domenica 20 settembre 2015

La FED mantiene bassi i tassi



 La Fed ha rimandato il rialzo del tasso d'interesse.
 
 Le preocupazioni per l'evoluzione dell'economia mondiale, il costante apprezzamento del dollaro, le paure per l'insostenibilità del debito delle economie emergenti  frenate anche dalla diminuzione dei prezzi delle materie prime e non ultima la presenza di  segnali di possibile deflazione hanno consigliato di mantenere i tassi invariati.
 
L'inflazione, basandosi sull'indicatore  Pce ( personal consuption expanditure) si  fermerà quest'anno allo 0,4%, dallo 0,7% precentemente stimato, ma nel 2016 salirà all'1,7% (dall'1,8% indicato a giugno), nel 2017 all'1,9% (dal 2%) e nel 2018 dovrebbe infine centrare l'obiettivo del 2%.
 
In presenza di un quota stabile (se non in riduzione) del monte salari mondiale, che non da impulso ai consumi, vi è il serio pericolo  di una complessiva eccedenza della capacità produttiva.

lunedì 14 settembre 2015

La vittoria di Corbyn ed i problemi comuni d'affrontare


La vittoria di Corbyn in Inghilterra allarga il fronte delle forze populiste in Europa?
E' un ritorno a vecchie posizioni intransigenti della sinistra?
Forse c'è dell'uno e dell'altro; ma, indubbiamente, alla base di quest'affermazione vi sono i problemi che la crisi del 2008 ha posto all'intero mondo politico di destra e di sinistra ed il senso di lontananza del cittadino nei confronti delle istituzioni politiche che lo rappresentano.
Sono problemi questi di cui non sembra si sia ancora trovata una soluzione che possa offrire uno sbocco teorico politico capace di offrirci una prospettiva per il governo del nostro futuro.
Accanto all'affermazione di Corbyn, proprio in questi giorni abbiamo letto il manifesto contro quest'Europa (firmato fra gli altri dall'ex ministro greco dell'economia Varoufakis, dal tedesco Oskar, ex ministro delle finanze tedesco e fondatore della Linke, dal deputato francesce Mèlenchon, già leader del Front de Gauche e dal nostro Fassina) che tenta di raccogliere il dissenso nei confronti della politica economica e degli stessi trattati che vengono visti come una trappola che impedisce lo sviluppo proprio dei paesi più poveri dell'Unione. Assistiamo ancora ai rivolgimenti del Medio oriente, che insieme alle difficoltà presenti nel continente africano spingono milioni di persone in un esodo epocale verso l'Europa.Vediamo ancora con quali difficoltà e dissensi interni l'Europa stessa sta affrontando quest'emergenza.
 Gli equilibri politici ed economici mondiali sono in riassetto e gli stessi paesi del BRICS vivono profonde difficoltà emblematicamente rappresentate dalla crsisi della bolla speculativa cinese e dai timori che, in questi giorni, vengono espressi sulle conseguenze che un rialzo dei tassi del dollaro americano potrebbero avere sulla generale sostenibilità dell'indebitamento complessivo dei paesi emergenti.
Ci portiamo dietro problemi vecchi e nuovi che incidono sulle caratteristiche della vita sociale ed economica delle nostre società e stanno determinando una forte preoccupazione ed insoddisfazione in larghi strati della popolazione.
In particolare, dal mio punto di vista, i più gravi mi sembrano essere:
1) crisi degli strumenti tradizionali della democrazia.E' un discorso che inizia già negli anni 60 e richiede una diversa partecipazione politica del cittadino che gli consenta di sentirsi partecipe e protagonista della realtà in cui vive. Belle parole, che tuttavia ancora oggi non si sono trasformate in un vero cambiamento delle regole della democrazia capace di soddisfarle. C'è una richiesta potente di partecipazione diretta del cittadino alle scelte politiche, che ha messo in crisi, in molte realtà nazionali, i partiti tradizionali e che si allarga sempre di più.
2) crisi dell'efficacia e validità dell'organizzazione dello Stato che richiede una profonda revisione del suo funzionamento. La destra politica, da oltre trent'anni,  ha fatto di questo problema il suo cavallo di battaglia, arrivando a proporre quasi un totale smantellamento delle funzioni pubbliche, costituenti. a suo dire, un onere economico gravoso per tutti i cittadini .
La sinistra socialdemocratica ne è stata in parte travolta ma grazie alle politiche innovative portate avanti da esponenti come Blair ed altri ha saputo trovare una via di maggiore efficienza e responsabilità del settore pubblico, spesso legata, tuttavia, ad ampie privatizzazioni d'interi settori. Teoricamente tutto questo ha portato ad una crisi di fiducia sulla capacità ed efficacia dell'azione pubblica diretta. Si è continuato a ritenere essenziale l'azione dello Stato come regolatore dell'economia; ma, sempre più spesso, si è negata l'utilità di una sua azione diretta.
Possiamo tuttavia negare il ruolo decisivo dello Stato nello sviluppo strategico di moltissimi settori di primaria importanza proprio nelle economie più aperte e libere come negli USA? Quello che è insopportabile è l'occupazione dell'amministrazione e delle partecipate statali da parte dei potentati politici . L'utilizzo sistematico delle risorse pubbliche per favorire imprese "amiche"   o l'ampliarsi del fenomeno della concussione e corruzione. La gestione delle attività pubbliche e del personale non meritocratica e non legata ad obiettivi trasparenti,verificabili e controllati.
Si può fare altro ? Strategicamente , privatizzare è l'unico modo per rendere efficiente , meritocratica e funzionale la macchina dello Stato?
Ad esempio, Corbyn , di fronte all'insoddisfazione dei cittadini sul funzionamento d'alcuni settori,come quello delle ferrovie, ne propone la rinazionalizzazione .
E' sbagliato  o c'è da rifletterci?
3) tutti abbiamo visto gli effetti combinati che una nuova liberalizzazione della finanza, a partire dagli anni 80, insieme all'aumento dell'ineguaglianza nella distribuzione delle ricchezze hanno creato nel nostro sistema economico. In particolare, quando l'aumento delle  ricchezze, dovuto non solo a quelle accumulate nel tempo ma anche ad un'abnorme disparità di redditi , si concentra in una parte sempre minore della popolazione , diventa quasi inevitabile l'espandersi del capitalismo finanziario rispetto a quello produttivo .Quando le strutture destinate all'intermediazione fra risparmio ed investimento cominciano a destinare il risparmio raccolto verso il puro investimento finanziario , succede semplicemente che una quota sempre maggiore delle ricchezze prodotte siano destinate alla rendita gravando come onere sulle attività produttive.La concentrazione delle ricchezze  ed il peggioramento delle condizioni di vita dei lavoratori  causano una riduzione complessiva della loro capacità di consumo,con conseguenze negative  sulla stessa capacità di crescita del sistema economico ed il senso  dello sviluppo.
4) si sono permesse attività finanziarie eccessivamente rischiose e squilibrate che hanno ulteriormente accresciuto la massa finanziaria del sistema gravando eccessivamente sulle attività produttive ed aumentando la rischiosità del credito ( utilizzo incontrollato  ed eccessivo  delle operazioni su derivati ,  cartolarizzazioni utilizzate per un ripetuto aumento  della capacità di credito, facilità nella concessione di mutui aumentandone sempre più il valore  percentuale rispetto a quello  delle garanzie,dilatazione  del credito al consumo ecc .)
5) ci rendiamo conto che prima ancora di decidere se adottare politiche di bilancio espansive o d'austerità, legate più che altro alle condizioni del mercato ed istituzionali , i problemi a monte riguardano la necessità di rivedere il rapporto fra le attività economiche e le esigenze della comunità cui si riferiscono. Questo è in sostanza  il significato del primato della politica sull'economia.
Tutto questo  riguarda mon solo il senso dello sviluppo ma anche l'equità dello stesso . Bisogna entrare nel merito della qualità del credito e del debito privato e sull'attività delle istituzioni finanziarie, ritornando alla separazione fra banche d'investimento e quelle  di raccolta del risparmio e concessione del credito . Questo perché il rischio di fallimento non venga scaricato sullo Stato o sul risparmiatore ed inoltre  per evitare che masse ingenti di risparmio vengano collocate in investimenti finanziari diretti  che possono alimentare bolle speculative ed una remunerazione gravosa a scapito delle attività produttive. Allo stesso modo non si può evitare una politica fiscale che abbia un effetto redistributivo delle ricchezze e che sia inoltre in grado di scoraggiare retribuzioni eccessive. Questo, a maggior regione, proprio  dove non è adottabile una politica di quantitative easing nazionale ( non disponendo della sovranità monetaria) orientata all'investimento produttivo ed ai consumi sociali che in qualche modo, realizzando una maggiore inflazione, penalizzi la rendita ed indirizzi le ricchezze verso il mondo produttivo : Rimane in questo caso affidato alla capacità organizzativa dei lavoratori il compito di riappropriarsi di parte delle ricchezze realizzate , in ragione dell'aumento della produttività .
Il nostro Paese deve certamente , con un ritardo di oltre vent'anni, rivedere il funzionamento della macchina dello Stato, come comprese Blair; ma, deve anche affrontare i problemi che la crisi finanziaria del 2008 ha reso evidenti in tutte le società occidentali.
Di certo, il dibattito teorico e politico presente all'interno del mondo della sinistra in Italia non può seguire , acriticamente , come un nuovo profeta, le indicazioni di Jeremy Corbyn che, specie in politica estera, sono molto legate alla particolare collocazione britannica .
Allo stesso modo, sarebbe sbagliato sottovalutare le problematiche sottostanti alla sua recente affermazione nelle primarie del Labour . e le tensioni presenti nel panorama europeo.