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lunedì 28 novembre 2016

ADDIO FIDEL


Fidel Castro è morto e non possiamo non pensare a quello che ha significato  la Rivoluzione Cubana nella seconda parte del Novecento.
I suoi aspetti positivi , le conquiste nel campo dell'istruzione e della salute , la riforma agraria, il miglioramento complessivo della qualità della vita e la lotta contro la corruzione in tutti gli aspetti della vita sociale.
Accanto a questo, dovremo interrogarci anche sugli aspetti negativi : come quello della privazione della libertà per i dissenzienti , la mancanza della democrazia politica ed altri aspetti legati anche alla fase dura della guerra fredda e della lotta all'imperialismo.
In quegli anni, era opinione comune che la lotta di classe e la rivoluzione dovessero affermarsi proprio  attaccando i  punti deboli dell'Imperialismo nel mondo.
Era l'enunciazione del "Terzomondismo".
Cuba ne era l'esempio vivente e non solo Cuba. La sua presenza in America Latina e nel mondo  era la prova di una possibile alternativa a regimi che poco avevano di democratico e molto di asservimento agli interessi delle multinazionali  ed a quelli  di controllo economico/militare da parte del colosso americano.
Oggi è tutto diverso. Il muro di Berlino è finalmente caduto e con esso anche una concezione di divisione del mondo e d'inconciliabilità fra le classi sociali.
Certo, gli interessi  delle potenze nazionali sono sempre presenti; ma, la complessità degli schieramenti è più ampia. Il ruolo dello Stato nell'economia è poi un principio universalmente accettato, che permette  il possibile primato  del benessere della  collettività sociale  su quello dei gruppi d'interesse economici ed il perseguimento della lotta sociale con i mezzi della non violenza e del confronto.
Non tutto è chiarito, tuttavia, ed ancora oggi le difficoltà, legate ad una distribuzione ineguale della ricchezza e di una globalizzazione che spesso calpesta i diritti del lavoro, richiedono ancora una profonda riflessione sull'eredità e l'attualità dei valori socialisti e della storia del movimento operaio.
 Non dimentichiamo che, all'epoca, la scelta armata di Castro fu forse inevitabile per liberare un paese corrotto e sede della peggiore collusione con l'illegalità ( mafia) dei vicini USA . 
Lo stesso concetto di dittatura del proletariato, applicato a difesa della giovane rivoluzione osteggiata dall'embargo economico e politico dei paesi occidentali e schieratasi all'interno dell'universo sovietico per sopravvivere, può avere una giustificazione.
 Per noi giovani degli anni '60, la "Revolucion Cubana" ed i suoi combattenti erano comunque degli eroi .

Giovani  che si battevano  per ideali che condividevamo di giustizia e dignità umana e non lo dimentichiamo, pur coscienti delle contraddizioni che nel corso degli anni hanno attraversato Cuba.


giovedì 17 novembre 2016

Un piano nazionale del lavoro


Noi non siamo per il reddito di cittadinanza.
Noi siamo per il lavoro sociale dove il disoccupato di lunga  durata ed il migrante possano ritrovare insieme una dignità personale  e l’integrazione sociale attraverso il lavoro.
Un lavoro che gli permetta di abbandonare lo stato di marginalità e di ricatto dalle mille insidie di un mercato del lavoro illegale , precario che alimenta di fatto la criminalità  di cui poi ipocritamente ci lagniamo.
La nostra tradizione culturale progressista non è quella di credere ciecamente nella capacità autonoma di risoluzione dei problemi attraverso le leggi del mercato. Al contrario,  sia la lezione del New Deal americano, che la tradizione socialdemocratica , popolare  e socialista hanno sempre rimarcato la necessità dell’intervento dello  Stato per correggere e sanare le problematiche e l’emarginazione creata dal libero mercato .
Non possiamo fare finta di niente e continuare ad aspettare che le cose si risolvano da sole  perché ne saremo travolti, consegnando l’Italia alle forze di destra e reazionarie:
Il problema della sicurezza è importante e sta insieme a quello della disoccupazione di lunga durata e dell’immigrazione.
La prima risposta urgente deve essere attuata con il lavoro organizzato  ed il controllo  del territorio da parte dello Stato.
Si formino  campi di lavoro sociali  per costruire  alloggi popolari e di prima accoglienza, mense , asili.
Si ritornino a lavorare le campagne abbandonate  e tutti i terreni demaniali creando poi una grande impresa di distribuzione pubblica dei prodotti agricoli realizzati .
Si costruiscano grandi centrali fotovoltaiche   nel mezzogiorno  come quella recentemente realizzata, grazie anche a finanziamenti europei, in Marocco.
S’impieghino le persone , si crei il lavoro dal nulla  perché solo da esso proviene la possibilità di una convivenza sociale.
Si crei  contemporaneamente una grande anagrafe pubblica e nazionale del lavoro che si adoperi per trovare una collocazione nel mercato del lavoro per queste persone,  momentaneamente occupate  nei lavori sociali.
La remunerazione del lavoro  sociale  può essere, ad esempio, quella  della prestazione in natura del vitto e alloggio in campi comuni, più un’indennità mensile di duecento euro; oppure , in sostituzione, l’erogazione di complessivi seicento euro .
Per i migranti questo può rappresentare anche il percorso per l'ottenimento della cittadinanza italiana .Dopo tre anni di lavoro sociale ed il giuramento sulla carta costituzionale è giusto che possano diventare cittadini italiani. 
Tutto questo può comportare, a regime, una spesa  di almeno  ca. 30MM annui, ma è necessaria.
Dove recuperare queste risorse? :
1)    utilizzo totale di tutti i fondi comunitari europei per l’Italia
2)    introduzione di un aumento della progressività fiscale sui redditi elevati a partire dai 50.000 euro lordi con ad esempio un aumento dal 43% al 48% da 50.000 fino a 75.000. dal 48%  al 53% da 75.000 fino a 100.000, dal 58% sino al 63%  da 100.000 fino a 200.000 , al 75% oltre 200.000.
3)    incremento della tassazione  sulle transazioni finanziarie.
4)    Tassazione del 75% sugli utili  delle istituzioni finanziarie ed assicurative  relativi alle  operazioni di  derivati.
5) Tassazione patrimoniale progressiva sui patrimoni mobiliari superiori a 100.000 euro  e separatamente su quelli  immobiliari superiori a 1.000.000 di euro.
6)    Riqualificazione della spesa pubblica
7)    Reintroduzione di una tassazione sulla successione ereditaria oltre i 100.000 euro

Non m’interessa definire il carattere ideologico di queste misure né di avviare un dibattito teorico sulla loro possibile coerenza con il modello di sistema sociale inerente .
Bisogna partire subito  con un programma articolato che prenda spunto da quanto detto se vogliamo evitare conseguenze peggiori per la nostra convivenza civile ed il rapporto con le popolazioni dell’area del Mediterraneo.
Per quanto riguarda poi l’approccio al problema immigrazione non possiamo illuderci di affrontarlo solo in questo modo. E’ necessario un intervento economico nelle aree di provenienza  insieme agli altri paesi europei interessati anche se non si raggiunge un accordo in sede istituzionale europea.Sono necessari accordi con i paesi di provenienza anche  per la regolazione del fenomeno in maniera legale e per l’eventuale rimpatrio quando fosse  ritenuto necessario.

Sviluppiamo il dibattito su queste proposte all’interno del PD e nel sociale. Recuperiamo l’iniziativa , diamo un progetto forte al nostro Paese partendo dagli ultimi.


sabato 12 novembre 2016

La vittoria di Trump e la risposta della sinistra



La vittoria di Trump alle elezioni presidenziali americane può essere vista come una risposta organica da destra ai cambiamenti ed alle problematiche che le nostre società si trovano ad affrontare come conseguenza di un aumento delle disuguaglianze e di un’estesa ed importante globalizzazione, che ha comportato un’ampia liberalizzazione del movimento delle merci, dei capitali, del lavoro e quindi delle persone.
E’ anche, tuttavia, la sconfitta di una parte dominante della sinistra che non è riuscita  a coniugare lo sviluppo e la crescita economica con un adeguato sostegno e gestione delle paure e delle sofferenze degli esclusi , dei marginali e di tutti coloro che subiscono il peso del cambiamento.

Gli equilibri internazionali sono soggetti ad una fase di cambiamento importante che comporta il riassetto d’intere aree, non privo di forti tensioni militari e dalla ricomparsa del terrorismo.
All’interno delle nostre società, ci confrontiamo con movimenti migratori che richiedono un’integrazione culturale e lavorativa di queste persone ma che mettono in discussione a volte parte delle nostre convinzioni, della nostra cultura, le stesse conquiste sociali fin qui realizzate.
D’altra parte, l’incapacità di una loro gestione organizzata ed organica comporta un forte disagio sul lavoro e nei quartieri di residenza, specialmente per le persone meno abbienti, oltre che l’aumento di un utilizzo di queste energie e risorse umane in occupazioni ai limiti della marginalità e dell’illegalità.
La circolarità ed il movimento dei capitali verso il migliore rendimento hanno portato a grandi fenomeni di delocalizzazione delle produzioni che, se hanno avvantaggiato i paesi più poveri, hanno contemporaneamente rappresentato una perdita immediata di lavoro per le maestranze oggetto del trasferimento produttivo, in attesa di una loro non sempre facile ricollocazione nel mercato del lavoro.
La concorrenza di merci, che arrivano sui nostri mercati a prezzi molto più bassi di quelli delle produzioni locali, mette poi in ginocchio diversi settori produttivi e piccole aziende, costrette a chiudere o tentare una profonda ristrutturazione.
Chi paga in termini di preoccupazione per l’avvenire sono forse i ceti popolari e quel ceto medio che, fino agli anni ’60, aveva visto migliorare costantemente le prospettive di benessere.
I settori a tecnologia avanzata, il capitale finanziario, le professioni di grado più elevato hanno invece potuto utilizzare positivamente la realtà globalizzata, incrementando ulteriormente il proprio mercato di riferimento e ottenendo una maggiore remuneratività delle proprie prestazioni o delle proprie rendite di posizione o finanziarie.
In qualche modo, le conseguenze sono state diversificate sia sul piano della divisione internazionale del lavoro sia sul piano interno con un aumento delle disuguaglianze, del peso dei margini della finanza rispetto al capitale produttivo, con una crisi delle prospettive del futuro e della convivenza sociale.
 La forte disoccupazione, che ha tormentato gli anni della crisi finanziaria a partire dal 2007, la discontinuità e precarietà del rapporto di lavoro, il timore della prospettiva di una stagnazione secolare, l’aumento delle disuguaglianze sociali e della distribuzione della ricchezza, la difficoltà di rapporto e d’integrazione di masse enorme di migranti, rendono difficile l’assetto e lo sviluppo delle nostre società.
E’ questo il quadro all’interno di cui si colloca lo scontro fra le risposte della destra e della sinistra.
Mentre la destra accentua la dimensione nazionalistica e protettiva per cavalcare la paura del nuovo e del diverso, resa urgente dal malessere vissuto da parte della popolazione di fronte alle conseguenze negative di una mancata gestione dei processi, dall’altra una prospettiva di sinistra non può essere culturalmente subalterna ad un’impostazione puramente liberista ma deve ritrovare nella sua storia e in una capacità nuova d’elaborazione culturale una risposta convincente alla disperazione ed all’insofferenza delle persone.
L’importanza dell’azione pubblica, nei confronti della quale, a causa di anni di mala politica, di parassitismo e cattiva amministrazione, la gente ha sviluppato una reazione di sfiducia, va recuperata.
Va riconsiderato un ruolo equilibratore dello Stato recuperando il senso della solidarietà ed il primato della politica sull’economia, come espressione del bene complessivo della comunità.
Bisogna quindi, assolutamente, introdurre degli importanti ammortizzatori sociali che mitighino le conseguenze della globalizzazione, spostino risorse dalla finanza alla produzione nazionale, dalla rendita al lavoro, riducano le disuguaglianze, creino occasioni di crescita e di occupazione per tutti, diano un’indicazione condivisa sui criteri di uno sviluppo compatibile con l’ambiente in cui viviamo.
Il ruolo dell'intervento dello Stato nell'economia è di nuovo fondamentale come avvenne democraticamente nel New Deal e come sempre più esponenti progressisti cominciano a riscoprire.Da Sanders e Corbyn fino ad alcune dichiarazioni del sempre attento e lucido Romano Prodi ma anche di Enrico Rossi all’interno del PD o dello stesso Scalfari che nei suoi articoli auspica una maggiore progressività fiscale sui redditi elevati.
E' importante che l'iniziativa pubblica provveda a lanciare grandi progetti produttivi che impieghino direttamente disoccupati di lunga durata e migranti insieme per produrre ricchezza e servizi per tutti.
Non si tratta di ritornare ad invocare un Socialismo o addirittura un Comunismo al di fuori del tempo e con i limiti evidenti che la storia ci ha mostrato; ma di ritrovare il senso di solidarietà ed un ruolo di equilibrio dell’intervento dello Stato nell’economia, come espressione del bene comune, reinventando il nostro futuro.
Un ulteriore problema da considerare è come si possano realizzare ammortizzatori sociali verso quei settori produttivi che subiscono una concorrenza tale dall'estero da finire per soccombere; mentre, al contrario, possono essere ritenuti socialmente importanti o strategicamente rilevanti.
Da un lato è normale che alcune produzioni vengano dimesse perché non più convenienti; ma, dall'altro, alcune realtà vanno comunque mantenute per assicurare un equilibrio del sistema Italia. Tutto questo senza ricorrere alla guerra commerciale dei dazi, che è la risposta nazionalistica della destra; ma, neanche evitando il problema.
E possibile che una strada da seguire sia quella di porre a carico della collettività parte del danno.
In qualche caso nazionalizzando, in altri assumendo centralmente la distribuzione dei prodotti e, di fatto, socializzando parzialmente, con l’acquisto dai produttori a prezzo politico,   la possibile perdita economica di settori non più in grado di restare sul mercato ma di cui non possiamo fare a meno. Questo dovrebbe consentire di porre contemporaneamente in atto una politica di ristrutturazione e razionalizzazione di questi settori per permettere il loro graduale reinserimento autonomo nel mercato e la ricollocazione di tutte le risorse in esubero.
Il protezionismo ed il nazionalismo sono stati, già nella prima parte del novecento, delle risposte adottate in molti paesi alla crisi finanziaria del 1929 ed alla grande depressione economica successiva. La guerra commerciale che ne è seguita si è poi trasformata in confronto armato.
Tutto questo non è inevitabile; così come non è necessario che si risponda alla diversità con la paura e la condanna.
Possiamo provare a confrontarci e a sperimentare che spesso l’innovazione e le grandi civiltà nascono dall’incontro e dalla successiva rielaborazione delle diverse culture e tradizioni.