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mercoledì 20 dicembre 2017

CRISI BANCARIA E VIGILANZA


All'interno del dibattito politico  è  frequente  riscontrare   la convinzione dell'esistenza di un nesso fra le difficoltà vissute dal sistema bancario italiano e la qualità del  sistema di vigilanza esercitato dalla Banca d'Italia e dalla Consob. Si avvertono spesso dei dubbi sulla qualità di questa sorveglianza che, a detta di molti, potrebbe avere inciso sull'andamento del settore. 
Quello che non mi sembra del tutto chiaro è  su quali aspetti si concentrino tali critiche: 
a) sui parametri di capitalizzazione?
 Mi sembra che su questo punto vi sia stata sempre un'attenta sorveglianza.
 Se poi parliamo ,invece, del ritardo con cui si è proceduto alla ricapitalizzazione delle banche dichiarate in difficoltà, molto è legato anche alla loro struttura proprietaria di cui certo non si può incolpare la Banca d'Italia. Per anni , al contrario, la presenza delle Fondazioni e dell'associazionismo locale nel capitale di molte banche è stato rivendicato come elemento di pregio del nostro sistema Italia, identificando in queste situazioni una garanzia  del loro carattere  popolare e democratico.
 Sappiamo tutti che invece popolare in Italia significa  spesso politico/partitico e locale fa riferimento a padronati e poteri non sempre illuminati . Quanto questo sia stato un freno al processo di un'adeguata capitalizzazione  delle banche è abbastanza evidente. Per lo più  è stato dettato dalla preoccupazione di perderne il controllo, ma non credo che questo sia un problema risolvibile con una migliore sorveglianza. E' stata più volte segnalata l'urgenza di una maggiore capitalizzazione; ma , detto questo , sono state  le forze del mercato , gli investitori, i possibili altri gruppi interessati ad acquisirne il controllo  che hanno deciso o decideranno ( per i casi in corso),in ultima analisi,  l'esito del problema.  
b) sulla quantità e qualità dei rischi assunti? 
Sull'aspetto quantità e qualità vi sono le regole di Basilea che vengono accuratamente seguite e i rischi sono costantemente monitorati. La qualità dei rischi è tra l'altro, secondo le regole di Basilea, essenziale per la determinazione del capitale necessario a presidio .- Una delle più gravi problematiche presenti in Italia per il recupero crediti è invece l'estrema lentezza del sistema giudiziario. Questo rende i tempi così lunghi da diventare, nei momenti di crisi, un problema enorme per l'equilibrio finanziario delle Banche . Le garanzie reali che fronteggiano i crediti in sofferenza sono spesso adeguate, ma di difficile recupero.-
 La crisi economica italiana è stata fra le più gravi all'interno della grande recessione iniziata nel 2008.Era naturale che le sofferenze siano state elevate ed il sistema bancario italiano ne sia uscito male.Quello che va sottolineato, tuttavia, è che la prima crisi finanziaria detonata negli USA ha avuto minori conseguenze immediate sul sistema bancario italiano rispetto agli altri paesi per il minor coinvolgimento in alcuni prodotti finanziari derivati. E' stato dopo , con le conseguenze della  crisi del debito pubblico e con la crisi economica delle aziende e le sofferenze rivenienti, che il sistema bancario italiano ha sofferto maggiormente.
c) sul costo del personale?
 Il sistema bancario è stato fra i primi a mettere in piedi un piano esuberi di concerto con le organizzazioni sindacali all'inizio degli anni 2000. Vi era anche la precisa visione strategica che i margini da intermediazione erano troppo bassi e si dovevano potenziare i margini da servizi . In particolare commissioni sulla consulenza finanziaria, titoli ecc. .Il personale veniva spostato il più possibile verso queste mansioni. C'è da dire ancora che la scarsa attitudine del risparmiatore italiano ad utilizzare il digitale e il web portava alla necessità di un ampia dislocazione territoriale, con un aggravio di costi rispetto al sistema bancario di altri paesi. Solo adesso, si pone con forza la necessità di una ristrutturazione, con una riduzione drastica degli sportelli e la riduzione complessiva del personale.
d) Adeguatezza del profilo di rischio dell'investitore nei confronti delle operazioni effettuate?
Per quello che mi risulta, in seguito alla Direttiva dell'Unione europea 2004/39/CE ( conosciuta come MIFID)recepita in Italia con il d.lgs 17 settembre 2007, n. 164. tutte le banche da quel momento hanno suddiviso la clientela per capacità e propensione al rischio facendo sottoscrivere adegata modulistica contenente i risultati di un'apposita intervista approfondita. In occasione della vendita di prodotti particolarmente rischiosi fanno sottoscrivere apposita informativa . Ho motivo di ritenere che da un punto di vista formale non vi sia molto da eccepire. Bisognerebbe entrare nel merito di diverse operazioni ma, una volta accertata, la comunicazione della rischiosità e l'accettazione della stessa da parte del cliente è difficile andare oltre. Siamo comunque in presenza di attività libere se non diversamente normate. E' necessara una motivata sentenza giudiziaria per poter parlare di eventuale truffa. 
Molti profilano un possibile conflitto d'interesse nei confronti della vendita dei propri titoli di credito alla clientela. In questo particolare caso stiamo parlando della proposta di ottenere un finanziamento per la propria attività. E' ovvio che una Banca lo chieda per se. Mi sembra assurdo impedirlo.
 A chi lo dovrebbe offrire se non alle persone con cui entra in contatto e che sono ovviamente i suoi clienti? Chi si sognerebbe di offrire i titoli della concorrenza ? 
E' come se il settore vendite della FCA vendesse ai propri clienti le auto della Renault.
 E' inevitabile che quando una Banca va in crisi siano i risparmiatori a soffrire. Non stiamo parlando dei piccoli depositanti perchè esiste una salvaguardia comune di tutela sui depositi  sino a 100.000 euro.
 L'attenzione si sposta pertanto sugli investitori di obbligazioni subordinate. In questo caso, come ogni titolare di obbligazioni emesse da azienda in difficoltà è difficile il recupero del proprio credito. Sia essa la FCA o la Banca Tal dei tali. Se il mercato dei titoli viene sospeso, siamo già di fronte al dramma del risparmiatore.
 In quale caso si può decidere di sostenere il suo credito con la fiscalità generale ( aiuto dello Stato)?
 Perché si dovrebbe tutelare un risparmiatore di un particolare settore e non di un altro? Certo, se vi è stata una truffa ed una sentenza che lo prova, va rimborsato da chi lo ha truffato; ma, qui si parla d'altro.
 Probabilmente è una questione di opportunità. Quale?
 Forse, quella di tutelare comunque il risparmiatore che orienta i suoi risparmi verso il finanziamento del sistema bancario?
C'è ovviamente una forzatura. La tutela già esiste per i depositanti sino a 100.000 euro .
Perché garantire a cura dello Stato  anche i titolari di obbligazioni e  non anche gli azionisti?
E' una questione di pura opportunità e non credo che si possa andare avanti ponendola come una questione di principio, su cui pochi sarebbero d'accordo.
 Anche nel caso della valutazione positiva dell'opportunità, mi sembra che ci troviamo davanti ad una scelta discutibile. Avrei preferito il salvataggio della Banca attraverso meccanismi da valutare e, a quel punto, la possibilità per il titolare di obbligazioni di ritornare in possesso del proprio credito in base ai tempi del risanamento finanziario della Banca in oggetto; magari, frazionandone il rimborso nel tempo.
Purtroppo quello che sembra assente nel dibattito su questo argomento è la preoccupazione per le possibili conseguenze sulla fiducia del risparmiatore.
Cosa pensate che passi nella mente di un risparmiatore in un momento come questo?
A mio parere, l'insicurezza.
Quello che , a mio avviso, lo preoccupa di più è il fatto che la sua sicurezza possa dipendere dalla qualità o meno di chi è preposto alla sorveglianza .Che  non vi siano, cioè, meccanismi automatici che in ogni caso , a prescindere dalla qualità delle persone , entrino in funzione per garantire il  suo credito. Il messaggio che passa dal Bail-in  sino alle vicende della Commissione parlamentare è invece che il risparmiatore, che incautamente ha più di 100.000 euro in una Banca, rischia di perderli e che ogni Banca   può finire in difficoltà grazie all'imperizia degli amministratori , degli organismi di vigilanza e della politica.
Possiamo permetterci il rischio di una tale incertezza per il risparmiatore?
La principale  funzione delle banche è l'intermediazione fra risparmio ed investimento. Mettere in pericolo questa funzione, alimentando la paura del depositante, è sbagliato.
In cosa consisterebbe una migliore vigilanza? Cosa bisogna fare per impedire che  una Banca  vada in crisi? Cosa bisogna fare quando una  Banca va in crisi?
Negli anni  trenta, durante la Grande Depressione, la risposta dei nostri padri e/o nonni fu quella,  in alcuni casi, della nazionalizzazione, della separazione delle banche d'investimento da quelle di credito ordinario e fra quelle  che operavano nel breve  e quelle che potevano operare nel medio e lungo termine.
Noi, moderni  e saccenti, abbiamo archiviato  tutto questo  ritenendolo superato e limitante. Addirittura, con le regole di Basilea,  abbiamo permesso uno  sconto relativo sulla capitalizzazione necessaria delle Banche  in base alla rischiosità o meno dei crediti concessi alla clientela. 
Non siamo intervenuti per disciplinare opportunamente meglio  le operazioni su derivati  e le cartolarizzazioni .
I tempi per il recupero del credito sono infiniti!
Ricordiamoci sempre che il volume dei possibili prestiti bancari è di molte volte superiore al proprio  capitale sociale . In realtà le banche prestano i soldi  ricevuti in deposito a vista e la fiducia del risparmiatore  è essenziale per il mantenimento del sistema. E' per questo motivo che gli Stati intervengono per salvare la banche e tutelare il risparmio. Coinvolgere i depositanti ( non gli investitori) nella crisi e/o nel pagamento del salvataggio di una banca è profondamente sbagliato.
Il problema non è ovviamente solo il Bail-in;  ma, pensare che  lo stesso, insieme ad una sorveglianza di qualità, sia risolutivo di ogni problema .
Le crisi purtroppo si verificano lo stesso  e sarebbe meglio pensare a come prevenirle  e come affrontarle quando si verificano, visto che il problema non può essere visto solo in chiave settoriale.
Ritorno  pertanto a chiedere:
a) le regole di  Basilea, comunemente accettate, ci garantiscono a sufficienza nei momenti di crisi?
b) Siamo certi che non vada considerata immediatamente in Italia una separazione fra Banche di credito ordinario e Banche d'investimento?
c) Va riconsiderata la separazione  fra banche di credito a breve e medio termine e regolamentare opportunamente la possibilità di  cartolarizzazione dei crediti? Ponendo ad esempio un limite all’utilizzo di questo strumento per la moltiplicazione del credito a fronte nel sistema?
d) non riteniamo necessaria un'adeguata regolamentazione dei prodotti derivati, ponendo dei  limiti d'importo in relazione all'operazione sottostante ed in ogni caso all’ammontare dei rischi complessivi da garantire? Non è il caso di porre un limite massimo allo spread applicato in ogni singola operazione e/o al  guadagno dell'intermediario finanziario?

e) Non riteniamo opportuno chiedere la revisione delle regole del Bail-in,  escludendo totalmente i depositanti,  per qualsiasi importo, dal coinvolgimento nel salvataggio delle banche?

martedì 5 dicembre 2017

CRESCITA E PROBLEMI DEL LAVORO



" La ripresa del processo di accumulazione del capitale ha fornito la spinta maggiore (+0,5 punti percentuali il contributo alla crescita degli investimenti) accompagnata da una espansione più contenuta dei consumi delle famiglie (+0,2 punti percentuali il contributo). La variazione delle scorte ha fornito un apporto negativo
(-0,5 punti percentuali) mentre il contributo della domanda estera netta è tornato ad essere positivo (+0,2 punti percentuali) a seguito dell’incremento sia delle importazioni di beni e servizi (+1,2%) sia delle esportazioni (+1,6%), in significativa accelerazione dopo il rallentamento nel secondo trimestre"(fonte: Nota mensile sull'andamento dell'economia italiana Novembre 2017 ISTAT)
I principali settori d'esportazione riguardano poi (Fonte: Ministero Sviluppo economico):
a) Macchine di impiego generale 23.685M(2014) 5,9% 23.524M(2015) 5,7% 22.922M(2016) 5,5% 14.903(gen-ago2016) 5,5% 15.829M(gen-ago2017) 5,4%
b)Altre macchine di impiego generale 21.513M ( 2014) 5,4%- 22.1118M(2015) 5,4% 22.829M(2016) 5,5% 14.773M (gen-ago2016) 5,4% 16.161M ( gen-ago2017) 5,5%
c) Autoveicoli 15.257M(2014) 3,8% 19.962(2015) 4,8% 21.278M(2016) 5,1% 13.457M(gen-ago2016) 4,9% 15.523M(genago2017) 5,3%
d) Medicinali e preparati farmaceutici 18.797M(2014)4,7% 17.597M(2015)4,3% 18.908M(2016) 4,5% 12.266M(gen-ago2016) 4,5% 14.035M(gen-ago 2017) 4,8%
e)Altre macchine per impieghi speciali 18.982M(2014) 4,8% 19.777M(2015) 4,8% 20.196M 4,8% 12.988(gen-ago2016) 4,8% 13.376M(gen-ago2017) 4,6%
 f)Articoli di abbigliamento, escluso l'abbigliamento in pelliccia 15.573M(2014) 3,9% 15.808M(2015) 3,8% 16.199M(2016) 3,9% 10.838M(gen-ago2016) 4,0% 11.249M(gen-ago 2017) 3,8%
g)Prodotti chimici di base, fertilizzanti e composti azotati,materie plastiche e gomma sintetica in forme primarie 13.234M(2014) 3,3% 13.567M(2015) 3,3% 13.339M(2016) 3,2% 8.723M(gen-ago2016) 3,2% 10.035M(gen-ago2017) 3,4%
h) Prodotti derivanti dalla raffinazione del petrolio 13.927M(2014) 3,5% 12.281M(2015) 3,0% 9.942M(2016) 2,4% 6.196M( gen-ago2016) 2,3% 8.647M(gen-ago2017) 3,0%
L'Italia mantiene  il suo aspetto manifatturiero anche se alcuni settori semi-artigianali ,come quello della lavorazione del cuoio , delle calzature e dei mobili non crescono se non addirittura diminuiscono . Assente anche fra i primi posti il settore alimentare. 
L'aumento significativo degli investimenti privati, credo   che evidenzi il successo dell'iniziativa del governo con il programma "Industria 4.0"; tuttavia, al momento, è l'incremento delle ore lavorate che consente alle imprese italiane di resistere e svilupparsi sui mercati.
"L’attuale fase di tonicità del mercato del lavoro è accompagnata dal forte incremento delle ore lavorate (+0,7% in T3 rispetto a T2). Conseguentemente si riduce la produttività del lavoro sia in termini di ore lavorate sia in termini di unità di lavoro ""( fonte: Nota mensile sull'andamento dell'economia italiana Novembre 2017 ISTAT)
E questo è l'altro problema che abbiamo davanti che va dalla precarizzazione al vero e proprio sfruttamento, in alcuni casi. Non potremo ricucire dei valori reali di convivenza sociale ed una cultura altrettanto valida, se non sapremo dare un'indicazione importante su questi temi. L'aumento della produttività ha bisogno degli investimenti tecnologici; ma, anche, di un utilizzo migliore della risorsa umana, della sua valorizzazione e della sua formazione (a tal proposito rimangono inascoltati da anni gli incitamenti di Romano Prodi verso un rilancio delle scuole tecniche)
Non si può rimandare ad esempio l'aumento significativo dell'ora di lavoro precario rispetto a quello stabilizzato.Bisogna inoltre ricominciare a parlare della sicurezza del lavoro e dei limiti al possibile sfruttamento.
 C'è poi una questione che, prima o poi, dovrà essere affrontata  in maniera chiara  ed è quella del volto italiano della "flexisecurity".
Questa ha dei limiti che sono molto pesanti:
a) il processo di tutela del lavoratore si limita all'ASPI ed ai contratti di ricollocamento e potenziamento degli uffici del lavoro in fase ancora d'implementazione. Deve essere affrontata e risolta la questione della disoccupazione di lunga durata, l'inattività e la difficoltà d'ingresso nel mercato del lavoro oltre che della conseguente marginalità. : Questa è una questione di cui l'intera società deve farsi carico.
b) L'applicazione del " Jobs Act" deve essere estesa quanto prima al mondo del lavoro pubblico. Questo è essenziale per modificarne radicalmente l'aspetto e migliorare l'utilizzo della risorsa lavoro. Accanto a questo va chiesta la possibilità di passaggio da un settore all'altro della Pubblica Amministrazione  con la necessaria graduazione rispetto all'anzianità di lavoro ed anche il possibile trasferimento territoriale: Non ultimo, va considerato anche il demansionamento, pur mantenendo la retribuzione percepita al momento, ma senza ulteriore accesso a scatti retributivi automatici . Allo stesso tempo, il sistema premiante e la retribuzione del settore pubblico vanno radicalmente modificati nel segno della meritocrazia  , dell'efficienza e dell' educazione complessiva del sistema pubblico Italiano a lavorare per obiettivi .
c) bisogna limitare la possibilità di utilizzo del lavoro precario come durata ed applicazione ed aumentare in maniera significativa il suo costo orario rispetto al lavoro continuativo: Devono essere inoltre totalmente equiparati gli aspetti di tutela e di contribuzione.


sabato 2 dicembre 2017

LE SCELTE NECESSARIE



Le varie proposte sulla gestione della spesa pubblica e sul tema fiscale  continuano  ad essere al centro del dibattito politico  perchè, in effetti,   stiamo parlando del tema centrale  di ogni proposta  politica e cioè delle   risorse necessarie e della loro disponibilità.
A tal proposito , vorrei sottoporvi una piccola riflessione ipotetica sui temi del deficit pubblico :
Facciamo l'ipotesi di avere una pressione fiscale complessiva che per comodità poniamo al 40% del PIL di ipotetici 1000MM. Avremmo un risultato di 400MM di entrate fiscali per lo Stato. Se il PIL aumentasse del 2% e cioè diventasse di 1.020MM il 40% relativo sarebbe di 408MM
Se vi fosse poi un deficit pari al 2% del PIl su 1000MM sarebbe di 20MM; mentre il 2% del nuovo PIl sarebbe di 20,4MM. In sostanza mantenendo la stessa percentuale di pressione fiscale sul PIl e la stessa percentale di deficit in presenza di una crescita del PIL del 2% per ogni 1.000MM si avebbero maggiori risorse per la spesa pubblica pari a 8,4 MM.
Se invece, in presenza di un aumento del PIL del 2%, si mantenesse sempre la stessa pressione fiscale del 40% ma si proponesse la riduzione del deficit di 0,8% sul PIL ,nella nuova situazione si porterebbe il deficit ad un ammontare di 12,20MM, con una riduzione in valore assoluto di ca 8 MM coperta dalle maggiori entrate fiscali .
E' facile programmare, pertanto, in presenza di un costante aumento annuo del PIL un progressivo azzeramento del deficit iniziale e l'inizio della riduzione dello stock del debito e della sua incidenza sul PIl . Tutto questo ipotizzando un mantenimento in valore assoluto della spesa pubblica nel tempo previsto dal progetto di riduzione del deficit e dell'incidenza del debito complesivo sul PIL. Successivamente, ogni aumento del PIl porterebbe alla posibilità di un aumento della spesa pubblica. 
E' evidente che all'interno di questa ipotesi di lavoro, un'azione politica importante ci costringerebbe a rivedere l'attuale suddivisione della spesa pubblica e/o delle entrate fiscali . Alla luce di quanto detto, un aumento ad esempio della progressività sui redditi elevati ed altre misure fiscali sui patrimoni elevati . sulle successioni ecc. potrebbero  consentire degli sgravi sul cuneo fiscale gravante sulle imprese , sui salari più bassi ecc.o consentire nuovi ammortizzatori sociali per la disoccupazione 
Se invece optiamo per un aumento dell'attuale deficit avremo sicuramente maggiori entrate e mezzi per un aumento immediato della spesa pubblica molto superiore. Tutto questo però a scapito  dei parametri finanziari complessivi fino a quando non si deciderà di ridurre progressivamente sia il deficit che il debito.
Sulla base di quanto esposto, desideravo pertanto  sottolineare alcuni punti :
a) Non sembra sostenibile l'ipotesi che il mantenimento di un deficit all'interno dei parametri del 2,9% porti automaticamente alla riduzione dell'incidenza del debito sul PIL; anzi, fino a quando il PIl crescerà con un incremento pari o minore del 2,9% su base annua, il rapporto peggiorerà. Il miglioramento si verificherà solo se il PIl aumenterà in misura maggiore del 2,9 % su base annua.
b) a parità di pressione fiscale sul PIL è importante cambiare radicalmente il peso atttribuito ai diversi settori e redditi. In sostanza, sarebbe utile introdurre una maggiore progressività sui redditi elevati che ci permetta di ridurre sostanzialmente il cuneo fiscale sul lavoro, ridando maggiore competitività alle nostre imprese.Allo stesso tempo, altre misure sui patrimoni elevati ,sulle successioni , sul web , ecc. potrebbero consentire ulteriori sgravi sul lavoro. Anche un maggiore contributo sui servizi  pubblici per i redditi più elevati potrebbe consentire una riduzione della spesa a carico dei redditi più bassi 
c) Sarebbe importantissimo modificare radicalmente la qualità della spesa pubblica mettendo al primo posto adeguati ammortizzatori sociali per la disoccupazione di lunga durata ed i contratti di ricollocamento, legati alla proposta di un piano nazionale del lavoro.Ritorna importante mettere al primo posto i servizi sociali a favore dei più bisognosi : Dal reddito d'inclusione , alle case popolari ecc ecc. Bisogna far ripartire  dei grandi investimenti  pubblici ,in sinergia con i privati , capaci di dare un indirizzo allo sviluppo economico del nostro paese.
 Molte spese andrebbero sacrificate a favore di queste? E' possibile e doveroso.
Allo stesso modo anche diversi settori della Pubblica Amministrazione ormai in possibile soprannumero di personale ,grazie all'utilizzo degli strumenti informatici, dovrebbero essere ridimensionati a favore di altri .
Diventa essenziale inoltre una gestione meritocratica e motivazionale delle retribuzioni tale da scoraggiare ed emarginare i comportamenti di disaffezione e di assenteismo: Francamente gli aumenti a pioggia previsti nell'ultimo rinnovo contrattuale del settore pubblico sembra del tutto ingiustificato anche in considerazione del fermo dell'inflazione di questi anni.