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domenica 30 ottobre 2016

Un'opportunità di lavoro per tutti

 

 

 

 

 

 

La risposta ai fenomeni della migrazione e della disoccupazione di massa, nuove piaghe delle nostre società, non può che essere l'utilizzo di queste risorse da parte dell'Amministrazione dello Stato in grandi progetti che utilizzino queste persone per produrre ricchezza.

Un investimento sul futuro che deve  e può essere ripagato dai frutti del lavoro.

Penso a progetti riguardanti l'edilizia popolare e le infrastrutture, comprese le grandi centrali fotovoltaicche come quella recentemente realizzata in Marocco, il ripopolamento delle campagne e la messa in produzione di terreni demaniali incolti, l'assistenza, l'ulteriore messa a profitto delle ricchezze culturali ed artistiche del nostro Paese ecc. ecc.

Nell'ipotesi della produzione su terreni demaniali sarebbe utile  ad esempio l'accentramento di tutta la distribuzione commerciale in un'unica azienda pubblica.

Oggi, in mancanza di una forte iniziativa pubblica in tal senso, assistiamo all'aumento della marginalità e dell'illegalità.

Sono questi i modi attraverso cui, oggi, il libero mercato  riesce a mala pena ad affrontare  questi fenomeni mostrando evidenti segnali d'inadeguatezza.

Il peso di tutto questo incombe sulla nostra vita sociale, sulla nostra sicurezza, sulla qualità della nostra vita e di quella delle giovani generazioni.

Diventa inoltre un possibile onere anche per le attività produttive  sane, che operano spesso in un regime di concorrenza sleale (evasione fiscale, irregolarità sul lavoro ecc) e sotto pressioni e violenze illegali diffuse.

In qualche modo, tutto questo distoglie risorse indirizzandole  verso un mercato marginale ed illegale di cui non controlliamo la direzione ed il senso e che si può sviluppare ulteriormente in maniera abnorme. 

Le risorse  per avviare questi progetti possono trovarsi  sia grazie a possibili sinergie con il capitale privato, sia attingendo  ai fondi strutturali e sociali europei, sia con una riorganizzazione dell'attuale spesa pubblica.

Possiamo ancora ottenere fondi specifici dall'Europa per gestire l'accoglienza dei migranti, destinandoli a questo scopo.  

In ultimo, è possibile considerare l'aumento ad hoc delle entrate fiscali con un maggior ricorso alla progressività sui redditi elevati, sulle transazioni finanziarie, sui patrimoni immobiliari e mobiliari.

I tempi attuali sono estremamente difficili e viviamo nel segno di un profondo cambiamento epocale.Stiamo assistendo alla ricerca di nuovi equilibri di potere internazionali. Gli effetti della crisi finanziaria del 2007 non sono ancora finiti e molti studiosi intravedono i pericoli di un ristagno economico mondiale. Vaste aree del mondo e larghi strati della popolazione, anche all'interno dei paesi dell'Occidente, chiedono una maggiore attenzione e migliori condizioni di vita. Abbiamo il dovere di effettuare delle scelte ecologiche importanti e di definire linee di sviluppo compatibili e rispettose dell'ambiente in cui viviamo. Le ideologie e le fedi che sono stati i punti di riferimento nel nostro passato hanno bisogno di essere ristudiate e guardate con occhi nuovi per riuscire a comprendere la realtà che ci circonda in pieno cambiamento ed agire in maniera conseguente ed adeguata.

 

mercoledì 5 ottobre 2016

Il REFERENDUM SI VINCE SUL TEMA DELLA DEMOCRAZIA




Sono sempre più convinto che il Referendum Costituzionale sarà vinto sul tema della democrazia. E' questo, infatti, il tema che, di là dalla comprensione specifica dei singoli punti della riforma, preoccupa il cittadino comune. E' sulle sue paure che si fonda la scelta del No.
Il vero problema è che il cittadino, da troppi anni, sente un profondo distacco con la classe dirigente che lo rappresenta e decide per lui , influendo pesantemente sulla sua vita personale.
Sul referendum, pertanto, si è riversato, come un'onda, il peso dell'insoddisfazione e della paura rispetto al concetto di rappresentanza. Una profonda diffidenza nei confronti del processo di formazione della classe dirigente politica e del percorso di delega.
E' questo il punto centrale di cui non si parla e che chiama, invece, in causa il luogo principe, il veicolo della partecipazione politica nella nostra società: il sistema dei partiti ed il suo funzionamento.
Certo, sarebbe possibile scegliere direttamente i propri rappresentanti nelle istituzioni a partire dal proprio luogo di lavoro, come erano i soviet nei regimi comunisti. Si potrebbero utilizzare direttamente i sindacati e le varie associazioni di categoria per scegliere i propri rappresentanti. Immaginare, addirittura, la democrazia diretta o ancora liste civiche. Alla fine, tuttavia, il rapporto con la storia, con la cultura, le ideologie e i movimenti   fanno ancora preferire i partiti come portatori e luogo di sintesi, di formazione politica. Essi sono, pertanto, il luogo eletto della partecipazione alla vita politica di una società. Quello dove si forma e si verifica il valore della sua classe dirigente.
Quando la crisi nei confronti della "Casta" si fa così forte, come all'interno della società moderna, quando il cittadino si sente privato della possibilità reale di influire sulle scelte che condizioneranno la propria vita, allora si rischia una frattura pesante che può mettere in crisi la stessa democrazia.
Di questo, in realtà, si sta parlando mentre si affronta l'utilità del bicameralismo, del nuovo Senato, della riforma del titolo V e si tira sempre in mezzo la nuova legge elettorale.
Chi garantirà al cittadino che il partito di maggioranza non sia il dominio incontrastato del leader e del suo cerchio magico? Chi lo proteggerà   dall'utilizzo esclusivo del metodo della cooptazione per entrare all'interno della classe dirigente di un partito?
Il tema è dunque il reale funzionamento della democrazia all'interno del sistema dei partiti.
 Una democrazia che consenta la partecipazione del cittadino alla vita politica e all'elaborazione della linea del suo partito, con un procedimento che non sia solo dall'alto verso il basso, ma anche dal basso verso l'alto, per consentire l'emergere di nuovi problemi ed esigenze diffuse.
Una democrazia che non cada nella trappola del rifiuto della delega, ma comprenda che il cammino di formazione della classe politica avviene all'interno di un percorso di assunzione sempre maggiore di responsabilità e di servizio nei confronti degli altri.
Una democrazia che consenta la sostituibilità e la verifica dei dirigenti.
Il nostro Capo del Governo potrebbe dare una forte accelerazione su questo tema dichiarando apertamente, prima del voto referendario, l'intenzione di aprire un profondo dibattito sull'organizzazione e la democrazia interna al Partito Democratico come uno dei temi centrali d'affrontare nel Congresso da tenere all'inizio del prossimo anno.
Allo stesso tempo,   dichiarandosi già pronto a separare la carica di Capo del Governo da quella del partito, affidando ad un segretario provvisorio il compito traghettare il Congresso fino alla scelta del nuovo segretario.
Questo cambio di passo, proprio a partire dal partito che oggi regge il governo, potrebbe essere un segnale importante per i cittadini e chiarificatore di quello che è veramente il tema in gioco.


LE ALTERNATIVE IMPOSSIBILI

 

 

 

Siamo troppi in Europa per avviare una politica economica veramente di sviluppo e centralizzata.

In realtà, se osserviamo le scelte relative all'utilizzo dei fondi europei, vediamo che sono sostanzialmente insufficienti e che inoltre si rivolgono verso troppi paesi, in particolare dell'area ex Comecon.

Fu questa, a suo tempo, la grande iniziativa e lungimiranza che permise all'Europa di dare uno sbocco politico ed economico a quei paesi e consentire a tanti lavoratori di circolare liberamente nel territorio europeo.

Non dimentichiamo, inoltre, le delocalizzazioni di tante imprese proprio in quei paesi.

Fare entrare tutti nell'area euro, oltre che nel mercato comune, ha di fatto significato la rinuncia ad un passo avanti verso l'unità politica ed economica.

Non credo che riusciremo più a perseguire questa strada.

Adesso è chiaro che questi paesi vedono come aperti concorrenti quelli nostri vicini del Medio Oriente e Nord Africa e sanno benissimo che degli investimenti destinati allo sviluppo di quell'area possono comportare una distrazione di risorse europee nei loro confronti.

E' anche vero che l'integrazione dei paesi balcanici ha rappresentato un grande periodo di crescita per l'Europa di cui hanno beneficiato tutti ed in particolare la Germania.

Si potrebbe ipotizzare un restringimento dell'area euro, accoppiata ad una maggiore integrazione politica, ma credo che ormai sia fantascienza .

In questo momento, mi sembra che ogni paese debba in primo luogo tentare una redistribuzione delle ricchezze al proprio interno. Operare sulla strada della razionalizzazione e modernizzazione e tentare di ottenere fiducia dai mercati dei capitali internazionali sia da solo sia con progetti che possono coinvolgere altri paesi specificandone con esattezza e dettaglio il ritorno e la validità dell'investimento.

Ritengo che il Fiscal Compact vada contestato ed alla fine non rinnovato operando anche la soppressione del recepimento nella nostra Costituzione del pareggio di bilancio.

Ciò comporterebbe presto o tardi  la rinuncia all'euro; ma , non è nostra convenienza porre la questione ed, anzi, sarà bene che sia posta insieme ai paesi più forti ed eventualmente con una gestione unitaria del problema

Quello che si può invece fare è rafforzare l'alleanza per la difesa comune dell'area e per gli accordi commerciali e d'investimento con i paesi terzi.