Pagine

domenica 27 febbraio 2011

MARE NOSTRUM

 

 

Nello spazio di pochi mesi il panorama dell'assetto istituzionale  dei popoli che si affacciano  sul Mediterraneo è radicalmente cambiato.

Prima la Tunisia, poi l'Egitto ed adesso la Libia hanno visto scendere in piazza milioni di persone  che,  in nome della libertà di espressione ,della lotta ai privilegi ed alla corruzione, hanno destabilizzato e provocato la caduta dei regimi di questi paesi.

Quali saranno i cambiamenti? Quali le linee guida dei nuovi governi? Quali i rapporti con l'Europa ed il mondo occidentale?

La preoccupazione è naturalmente alta . Questi paesi sono tra i maggiori produttori di petrolio mondiali e l'Egitto gestisce il canale di Suez che mette in rapporto il mar Mediterraneo con il Mar Rosso permettendo il contatto diretto fra l'Europa e l'Asia.La destabilizzazione può far decidere ad una larga parte della popolazione di cercare una valvola di fuga nell'emigrazione verso la vicina Europa con i problemi d'integrazione conseguenti. In ogni caso, viene ridisegnato il ruolo di questi popoli nello scacchiere mondiale, viene ridisegnato il loro rapporto con l'Europa ed inevitabilmente anche con il resto del Mondo.

L'Europa, in questi anni, ha un po' vissuto di  rendita. Ha lasciato all'Italia un ruolo prioritario nella relazione con la Libia ed in parte anche con la Tunisia, e non ha appoggiato con la dovuta forza i progetti messi in cantiere  come ad esempio quello proposto dalla Francia per il rilancio del Mediterraneo.

Amche i rapporti con la Turchia  ( paese che in piena crisi economica internazionale sta crescendo ad un ritmo di ca il 10%) sono in una fase di sostanziale stallo e la sua entrata nella comunità europea  è costantemente rimandata.

 L'ultima crisi finanziaria della Grecia , pur affrontata con prontezza , non ha prodotto quella crescita politica europea da tanti auspicata per consentire al nostro continente di muoversi con una voce sola sul palcoscenico internazionale.

E' proprio questa relativa debolezza europea,  in un momento di nuova centralità dell'area del Mediterraneo, che chiama in causa l'ingresso diretto di nuovi protagonisti.

E' sotto gli occhi di tutti il ruolo centrale degli Stati Uniti d'America e del suo presidente Obama all'interno dell'attuale crisi della Libia. Dalla loro iniziativa è venuta la parola definitiva di condanna e disconoscimetno del governo di Tripoli di Gheddafi. Da loro è partito il sostanziale appoggio per la formazione, prevista di ora in ora, del nuovo governo  libico di Bengasi. Dal loro stimolo è maturata la decisione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

Ma già prima , con il suo discorso al Cairo, Obama aveva saputo parlare con autorevolezza e capacità di prospettiva, da leader dell'Occidente, a tutto il mondo arabo ed in particolare ai giovani senza che si  potessero trovare interventi paragonabili da parte di nessun esponente dell'Europa politica.

Gli Stati Uniti non sono tuttavia  i soli a guardare al Mediterraneo; anche la Cina, ed i suoi interessi, guardano con attenzione a quest'area. E' noto il recente intervento sostanzioso della Cina nella sottoscrizione di titoli di Stato in scadenza  della Repubblica Greca. E' nota ancora la sua fame di energia ,di petrolio e di gas naturale. E' nota la sua presenza   come modello carismatico di sviluppo nell'area africana.

Tutto questo fa pensare che l'interesse sul Mediterraneo delle due principali potenze economiche e politiche mondiali si farà più forte , accompagnando la incerta presenza europea.

Per il nostro Paese  questo rappresenta solo un'opportunità. Certamente i processi di cambiamento in atto ci riguarderanno direttamente  a causa della nostra posizione geografica di estrema vicinanza a queste popolazioni e a causa degli intensi scambi commerciali esistenti.Sarà importante saper trovare le strade per un ulteriore miglioramento dei rapporti che consenta una possibilità di sviluppo reciproco.Sarà importante rispettare adeguatamente le scelte autonome, la politica e le scelte culturali di queste popolazioni pretendendo al tempo stessso altrettanto rispetto.

Ritengo questa una questione  da non sottovalutare. Rischieremmo di perdere considerazione , affari ed opportunità.

Possiamo e dobbiamo incrementare gli scambi commerciali ma anche quelli culturali.

Questa nuova centralità dell'area del mediterraneo ed il volume di scambi e di interessi   determinati anche dalla nuova più importante presenza di Cina e Stati Uniti possono essere per il nostro Paese una occasione ulteriore di crescita e di sviluppo. che supera la semplice fase momentanea per darci l'opportunità  di un ruolo primario  in tutto il : Mare Nostrum.

sabato 26 febbraio 2011

La maggioranza ha sempre ragione?

 

 

No!. Spesso  la maggioranza anzi ha torto, come l'esperienza di ognuno di noi può testimoniare.

Ma non è questo il principio base della democrazia?  Non è il volere dei molti quello a cui i pochi si devono adeguare?Non è la volontà del popolo sovrana? Non è dalla maggioranza che si legittima il potere ?  Non è questo il principio base della cultura occidentale : per ogni uomo/donna ,un voto ?

Si …e certo.. ravvisarne i limiti non  mette in discussione il modello;  ma, ne cerca i problemi proprio per non metterlo in discussione. 

Se dunque è esperienza diffusa che nella maggior parte dei casi il comune sentire è sempre un passo indietro alla percezione della verità, se l'aristocrazia del pensiero, gli intellettuali sono spesso avanti nella ricerca delle soluzioni perché limitarne l'azione al rispetto della maggioranza?

Forse perché non abbiamo altro strumento per verificare la veridicità e l'esattezza delle loro proposte!?!

Se non  vogliamo entrare in una concezione teocratica   dove il potere politico e quello religioso trovano legittimità l'uno dall'alltro, dobbiamo accontentarci del criterio della maggioranza per trovare il sistema di validazione delle idee.

Gli intellettuali, ed in genere l'aristocrazia  e l'avanguardia, dovranno avere la pazienza di  diventare ,attaverso il dibattito pubblico, la lotta delle idee ecc., il lievito della maggioranza meno capace, meno pronta ,meno attiva della popolazione che valuterà e deciderà.

E' questo il grande senso ed il valore della democrazia!

L'importante, a questo punto, è che le regole del gioco della presentazione e della discussione delle idee  siano rispettate e siano soprattutto eque e giuste in modo da dare  a tutti pari opportunità di espressione per il bene della comunità che dovrà poter ascoltare , valutare e scegliere fra tutte le opinioni e le teorie equamente rappresentate.

Non si può pertanto  tacere l'importanza di combattere strenuamente  il monopolio dell'informazione  e la censura preventiva delle idee effettuata da tutte quelle forme oorganizzative che prevedono il controllo del vertice sulla base.

Nello Stato etico  e religioso dove il vertice è quello illuminato , quasi scelto dal Deus o comunque una tantum da un conclave dei più pii, il potere discende dall'alto e l'autorità non può essere sottomessa al controllo della maggioranza.

 L'autorità aristocratica giudica la maggioranza ritenendola sempre inadeguata e peccatrice nei confronti della élite a cui si sforza inutilmente di somigliare all'interno del percorso erto della virtù. Queste strutture non possono per loro natura essere democratiche nel modello organizzativo ma in alcuni casi possono esserlo nel contenuto della loro fede e della loro pratica. Avviene quella sostituzione fisica dell'aristocrazia, nei confronti della maggioranza rappresentata, che fu tipica  nell'esempio storico del partito comunista bolscevico. Preso il potere, la dittatuta del proletariato diventò la dittatuta del partito in quanto questo era l'unico in grado di portare avanti coscientemente le parole d'ordine e le esigenze del proletariato. Purtroppo la storia ci insegna che simili situazioni oscillano fra il massimo della virtù e della purezza ed il massimo della corruzione e del potere incontrollato.

La democrazia è sicuramente meno virtuosa, più lenta ma alla fine più capace di raggiungere un risultato medio soddisfacente specialmente quando riesce a frazionare i poteri  tra di loro evitando l'accentramento delle funzioni nelle stesse mani.

Ma, se torniamo al punto di partenza, quale garanzia abbiamo rispetto alle situazioni in cui la maggioranza  esce di senno?

Non è un problema di poco conto!

La prima risposta  sta nella tutela delle minoranze di qualunque specie esse siano. Vale a dire la maggioranza può pure prendere le decisioni ma le stesse non possono eliminare il diritto di esistere ed esprimersi delle minoranze.

In realtà questa è una delle applicazioni di uno dei diritti universali che le società codificano attraverso il processo legislativo  di cui la prima e più importante lex è la Costituzione .

E' la Costituzione  la norma fondamentale  che consente di sopportare lo strapotere della maggioranza e che tutela tutti i cittadini di fronte alla sua possibile furia ottusa.

La storia ci ha insegnato che era necessario porre dei paletti , dei limiti al potere costituito. Dapprima la necessità nacque di fronte al potere dei sovrani ma subito dopo, nel mezzo delle rivoluzioni popolari e borgehsi , i cittadini scrissero  la loro carta dei diritti fondamentali di fronte a cui ogni potere, anche quello democratico, deve fermarsi.

Fu scritto nella prima grande rivoluzione   del 1789 in Francia; dopo, in quella Americana . In tutte le società  moderne le Costituzioni democratiche stabiliscono i principi ispiratori del sistema legislativo e della convivenza civile delle collettività. Il vincolo stesso alla democrazia ed al potere quindi della maggioranza.

Può quindi la maggioranza sbagliare? Si ma c'è un limite al suo potere  e questo è sancito nella Costituzione.

In quella italiana il primo articolo recita: "L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione".

In un epoca in cui la tendenza alla massificazione dei comportamenti, attraverso l'utilizzo dei mezzi multimediali, e l'illusione del populismo esercitano una forte seduzione non dobbiamo mai dimenticare la lezione che i popoli hanno tramandato nella storia a loro stessi  obbligandoli a rispettare i limiti posti, attraverso le regole costituzionali, al possibile arbitrio della maggioranza.

.

 

 

lunedì 14 febbraio 2011

OGGI 13 febbraio 2011


 

Questa è una giornata importante che può far contare la presenza di un forte dissenso nel Paese, da incanalare in una proposta politica unitaria.

Dobbiamo ringraziare in primo luogo il movimento delle donne per averci dato questa opportunità di mobilitazione e di testimonianza.

Come  ha detto recentemente Umberto Eco nella manifestazione a Milano di " Libertà e Giustizia" :Noi siamo di quelli che dicono :NO!

Ma siamo anche quelli che cercano un terreno comune d'incontro fra le diverse posizioni politiche ed ideologiche per far rifiorire il nostro Paese.

Le parole d'ordine possono essere tre:

1) Un vero federalismo solidale con la conseguente riforma delle istituzioni( riduzione dei parlamentari, senato delle Regioni, abolizione province,possibile elezione diretta del capo dello stato, riforma elettorale ecc. ecc.)

2) Riforma del diritto del lavoro per assicurare la necessaria flessibilità alle imprese (con l'introduzione del contratto unico d'ingresso, le proposte di flex-security portate avanti dal Sen Ichino comprensive del, contratto di ricollocamento e del reddito di solidarietà attiva),combattere il precariato e l'instabilità delle nuove generazioni e consentire le condizioni strutturali della ripresa

3) controllo del debito e della spesa pubblica accompagnata da una nuova fiscalità a vantaggio della famiglia , della produzione e del lavoro

Il resto può essere affrontato e deciso successivamente dal nuovo governo perché la priorità è quella della definizione di un terreno di regole comuni su cui rifondare la nostra società.

E' il passaggio alla terza repubblica e vanno identificate le forze politiche e sociali che saranno in grado di assumerne la  direzione.

La gravità della situazione politica e di prospettiva anche economica del Paese inducono a ripensare alla necessità di riproporre l'idea mai veramente realizzata del  "Compromesso Storico" fra le forze politiche e sociali dell'impresa e quelle del lavoro, con la benedizione del Vaticano e dei gruppi di potere più illuminati. E' un tentativo che va fatto prima di ritenerlo impossibile o lavorarci addirittura contro.

Bisogna ricostituire l'unità sindacale, ritrovare un dialogo profondo con il mondo cattolico, cominciare a trovare dei momenti unitari di lotta sui punti sopraelencati con le forze politiche disponibili. I motivi di contrasto sono sempre presenti, ma bisogna passare dalla stagione del bipolarismo a quella del Compromesso per fondare la terza repubblica ed isolare gli ambienti più retrivi del paese ed il tentativo strisciante di regime.

UNITA'   UNITA'   UNITA'

 

lunedì 7 febbraio 2011

Una sfida per la crescita e l'occupazione

 

E' ormai evidente quanto sarà  complicato per un Governo, di qualunque colore politico,che dovrà reggere l'Italia nei prossimi anni, sperare di  ridurre la disoccupazione puntando su assunzioni di massa nel settore pubblico.

L'aumento della spesa pubblica conseguente sarebbe insostenibile!

Ci troviamo già adesso  a pagare in media  dai 70 agli 80 mld di euro l'anno per gli interessi  del nostro debito pubblico già arrivato al 120% del PIL ed in valore assoluto ad oltre 1.860 mld di euro.

Il nostro obiettivo dovrebbe pertanto  mirare al pareggio di bilancio se non addirittura all'avanzo sperando in tal modo di ottenere dalla ripresa della crescita, un riequlibrio del rapporto proporzionale neì confronti del PIL con una riduzione dal 120% al 100%  nello spazio di  5/10 anni,

ipotizando una crescita media del 3%.

Se la spesa pubblica va pertanto contenuta  , ha ragione tuttavia chi si pone anche l'obiettivo di una sua ristrutturazione e revisione . Bisogna in sostanza passare da una politica dei tagli lineari ad una basata su di una attenta revisione delle spese di ogni settore cercando di eliminare tutte quelle realtà improduttive e le  sacche di privilegio. Tutte le risorse ricavabili sono  da destinare  a favore soprattutto del settore della formazione e della ricerca ed a rendere almeno possibile  un limitato turn over degli impiegati dello Stato con qualche possibilità di occupazione giovanile.

Certo, tutto questo non può dare risorse sufficienti . Bisognerà ripensare alla prestazioni dei servizi e del welfare magari concentrando le risorse su obiettivi primari e dedicati al sostegno in particolare dei ceti meno abbienti. Può essere opportuno anche spostare gli stanziamenti da alcuni grandi progetti di lenta realizzazione verso una miriade di piccoli interventi degli enti locali  che darebbero immediatamente lavoro alle imprese.

Bisognerà poi, in tempi di difficoltà come questi, chiedere un doveroso sacrificio a chi ha una posizione personale di privilegio e di ricchezza , e quindi di maggiore responsabilità sociale. Si può sicuramente ipotizzare un sensibile aumento delle aliquote IRPEF sui redditi superiori a 100.000 euro annui con scaglioni che aumentino al punto da rendere non convenienti per nessuno le remunerazioni faraoniche .Aumentare la tassazione indiretta sui consumi dei beni di lusso e  su tutto ciò che produce inquinamento ambientale. Si può aumentare almeno al 20% la tassazione sulle rendite finanziarie in modo che siano almeno al livello delle minime aliquote IRPEF. Si può e si deve riconsiderare l'introduzione di una tassa sui patrimoni oltre la soglia di 5 milioni di euro.

Si possono fare tecnicamente mille altre cose  che gli esperti  non mancheranno di proporre ed argomentare : Quello che mi interessa in questa sede è fare passare il principio che le parti ricche della popolazione ( non parlo quindi dei ceti medi) debbano contribuire in questa crisi con un diverso sacrificio rispetto agli altri.

Il secondo aspetto che intendo sollevare è la necessità che le risorse ottenute  dalla riforma fiscale siano utilizzate da un  lato per ridurre il peso fiscale gravante oggi sul mondo del lavoro e dall'altro a finanziare  la ricerca, condizione indispensabile per porre le basi di un reale aumento di produttività del nostro sistema economico.

L'auspicata crescita del PIL e l'aumento dell'occupazione non possono  venire che dall'allargamento del settore privato della nostra economia. Dallo svilluppo dell'impresa, delle professioni, dell'artigianato.E' importante che lo Stato  effettui un'azione di stimolo perché le attività si indirizzino verso i settori in cui  possiamo disporre di un vantaggio competitivo all'interno di un mondo sempre più globalizzato. E' importante rimuovere gli ostacoli allo sviluppo dell'impresa  ed alla diffusione dell'iniziativa  attuando il processo di semplificazione burocratica delle attività, la liberalizzazione effettiva delle professioni ed in genere del mercato ed in  ultimo  ma non per ultimo favorendo l'accesso al credito.

 

Credo che questa carta, se usata in maniera innovativa, possa essere vincente. Il nostro sistema bancario rappresenta uno dei punti di forza dell'impresa Italia  insieme alla miriade di piccole e medie imprese.

Il sistema bancario ha una ramificazione territoriale di competenze   che gli ha permesso in passato di assolvere a compiti importanti. Penso ad esempio a quando fu affidato alle Banche il compito del controllo valutario su tutte le transazioni commerciali e finanziarie per lottare la fuga dei capitali o la rilevante azione capillare nel contrasto al riciclaggio di denaro sporco.

Il ministro Tremonti utilizzò bene questa competenza quando ad un certo punto intervenne sulle modalità di svolgimento delle procedure per ottenere i finanziamenti a fronte della legge 488 obbligando le Banche a gestire la richiesta dei finanziamenti e subordinando l' erogazione dei finanziamenti agevolati della Cassa Depositi e Prestiti ad eguale finanziamento concesso a proprio riaschio dall'istituto Bancario. In tal modo, si costringeva la Banca a valutare attentamente il progetto del richiedente sia nell'interesse proprio che dello Stato con indubbi miglioramenti sulla qualità dell'erogazione.

Anche la costituzione del Fondo di garanzia per le  PMI ( piccole e medie imprese)  intervenendo con garanzia statale  mediamente sino al 50% ( in alcuni casi al 60% e  nei riguardi dell'impresa a conduzione femminile sino anche all'80%) del finanziamento richiesto è uno degli strumenti che ha permesso a molte aziende di sottrarsi alla eccessiva  attenzione ( stretta creditizia?) con cui il sistema bancario opera in questa fase economica. E' uno dei casi in cui permettendo tra l'altro anche ai Confidi di porsi in mezzo fra la garanzia statale e le Banche  i soldi messi a disposizione dallo Stato a favore delle imprese si sono moltiplicati.

Nei prossimi  anni  questo strumento , opportunamene potenziato come dotazione ed allargato oltre che all'artigianato ( come è stato già fatto) anche alla libera professione  e con incremento della granzia a carico dello Stato sino all'80% nel caso di start up, di imprese giovanili e/o femminili potrebbe rappresentare un importante strumento per la crescita.

Bisogna pensare inoltre  che l'investimento dello Stato   andrebbe tarato come  peso sul rischio possibile di default dell'impresa garantita. Facciamo l'esempio di una garanzia all'80% per imprese giovanili  che coprisse  100.000 imprese per un importo medio di 100.000 euro.La parte dell'80% garantito ammonterebbe  a  8 mld di euro,  mentre 2mld di euro resterebbero a carico del sistema bancario, che comunque, avendo questo rischio, agirebbe con la dovuta cautela nell'esame delle richieste.Il rischio effettivo di default, quindi di possibile spesa effettiva per lo Stato, sarebbe invece ben minore; infatti, anche ipotizzando un default delle attività del 30%( percentuale  assolutamente esagerata) la spesa effettuiva sarebbe di 2,4 mld di euro. In termini di occupazione giovanile con una spesa dello Stato possibile di 2,4mld effettivi si potrebbero realizzare almeno ca nuovi 200.000 posti di lavoro ( 2 in media per ogni nuova impresa).Considerando che il numero totale di disoccupati ammonta a ca 2,1M di lavoratori vi sarebbe una conseguente riduzione di ca il 9% della disoccupazione ed in particolare di quella giovanile .. 

Questo criterio e questo esempio adattati alle varie situazioni d'impresa potrebbe rappresentare uno degli strumenti per incentivare la crescita del nostro paese anche in termini di nuova occupazione.

Rimane comunque la necessità di mantenere alta l'attenzione sui nostri grandi campioni nazionali, a cominciare dalla Fiat ( la cui testa va mantenuta in Italia), che hanno il compito di qualificare il nostro sistema economico complessivo  e che grazie alla dimensione  sono in grado di concorrere adeguatamente in alcuni importanti settori di attività.

Abbiamo parlato di semplificazione dell'attività d'impresa, di ricerca , di liberalizzaione del mercato e di accesso al credito come condizioni adatte a favorire la ripresa della nostra crescita economica  e quindi di migliorare le possibilità di nuova occupazione. E' importante tuttavia cogliere l'opportunità perché questo avvenga all'interno di un quadro diverso .del diritto del lavoro.Un quadro che consenta al sistema di disporre della necessaria flessibilità per spostare verso i settori più produttivi la risorsa lavoro ma nello stesso tempo consentire al lavoratore di mantenere le garanzie  ed i diritti necessari a vivere degnamente la sua cittadinanza. 

La proposta per un nuovo diritto unico del lavoro  avanzata dal PD  che  si articola  secondo i concetti della  flex-security europea; l'universalità dei diritti fondamentali di cittadinanza, in particolare il welfare orientato a promuovere il benessere di tutto il nucleo famigliare, cercano di affrontare e risolvere queste questioni non dimenticando di proporre misure volte a scoraggiare l'uso del lavoro precario ( facendolo costare più di quello ordinario) e pensando ad un contratto unico d'ingresso a garanzie progressive.

La risorsa lavoro sia intellettuale che fisica è il patrimonio di ogni società  ed in particolare è l'elemento fondativo della nostra Repubblica. La lotta alla disoccupazione e la crescita sono gli obiettivi primari di ogni società per dare una soddisfacente prospettiva di vita ai propri componenti ed in special modo alle future generazioni ed è con questi problemi che dovrà misurarsi  chiunque si candida a dirigere la cosa pubblica.