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martedì 24 novembre 2015

Verso una Patria Europea

 

 

 

Siamo di fronte a d un periodo importante di cambiamento ed il segno delle scelte di oggi sarà determinante per il nostro futuro.

L'Europa non ha saputo reagire con un progetto unitario  alla crisi economica, poi alla migrazione di massa in corso ed oggi agli attacchi terroristici.

La costruzione europea può fermarsi qui ed essere più capace di vincoli che di opportunità o può, invece,  andare avanti ed essere capace di fare un passo ulteriore.

E' probabile che questo non sia nei desideri di tutti i paesi membri, ma sarebbe importante che si formasse un primo nucleo capace d'iniziare un processo di unità federale, chiedendo insieme ai mercati delle risorse a debito per affrontare l'emergenza della disoccupazione e dell'immigrazione, attuando importanti investimenti pubblici comuni nei settori di punta della green economy, energia, servizi avanzati ecc. e per realizzare una difesa comune.

 La BCE sta portando avanti un programma d'immissione di ca. 1.600 miliardi di euro entro il 2016 nel sistema europeo aumentando contemporaneamente la liquidità e calmierando il costo del denaro ed il valore dell'euro.

Mi chiedo cosa sarebbe successo se, invece, questi 1600 miliardi fossero stati investiti in Europa per investimenti  pubblici , centralmemte coordinati fra i singoli Stati,   in sinergia con i privati per avviare o potenziare attività di servizio, produzione e ricerca di alto livello e dare immediatamente occupazione e lavoro, anche in deroga alle legislazioni nazionali, a disoccupati e migranti.

La stessa formazione del fondo di sviluppo e d'investimento europeo in Africa ha una dotazione modesta (ca. 3,5 miliardi) da attuare in un certo numero di anni (ca. 10).

Niente a confronto di quanto potrebbe essere necessario per dare un segnale forte a quelle popolazioni e per sostenere paesi come la Tunisia e l'Egitto che contrastano il terrorismo che cerca inutilmente d'intimidirli.

Recentemente, anche Romano Prodi segnalava poi la necessità di un coordinamento fra i servizi e le polizie europee sul piano dell'antiterrorismo e la necessità che si attui una politica comune, anche militare, di risposta.

La possibile estensione  del conflitto  con il terrorismo  oltre alla Siria e l'Irak anche alla Libia , o ad altri territori africani  impongono una maggiore presenza  comune  dell'Europa in ambito internazionale. Una presenza che non veda  i singoli stati europei muoversi  autonomamente ricercando di volta in volta le alleanze più utili.

La sensazione è che non si possa mantenere o accontentarsi, in Europa, della situazione attuale.

Bisogna fare dei passi importanti verso un'unità federale, rispettosa delle autonomie dei singoli Stati nazionali e della loro cultura, ma, nello stesso tempo, capace di fondare una Costituzione comune ed una politica economica, fiscale e di difesa unitaria, che si accompagnino a quanto è già stato costruito sul piano monetario.

Dobbiamo verificare subito la possibilità di percorrere questa strada e con chi.

Gli impegni presenti sono di tale portata da esigere una dimensione che supera quella nazionale e rappresentano forse l'occasione propizia per avviare questo processo.

Bisognerebbe almeno provarci.

 

 

 

domenica 8 novembre 2015

Quel che Boeri dimentica

Mi dispiace leggere come il pur ancora giovane Presidente dell’INPS sottovaluti ed abbia già dimenticato le motivazioni ed i passi che condussero alla prima grande riforma del sistema previdenziale italiano:” La riforma Dini”.
Era il 1995 e l’allora primo ministro  aveva ben chiaro come la spesa pensionistica costituisse una delle principali voci ed oneri del bilancio dello Stato e che nel tempo il suo equilibrio sarebbe ulteriormente peggiorato in seguito al prevedibile allungamento dell’età biologica dei suoi fruitori.
Era dunque necessario intervenire. Ma come?
L’obiettivo più evidente e  logico era fare in modo che si raggiungesse un maggiore equilibrio fra i contributi versati dal lavoratore, nel corso della sua vita lavorativa, e le successive erogazioni pensionistiche ipotizzabili in base alla sua attesa di vita.
Non si poteva più mantenere solo l’obiettivo di assicurare al lavoratore una pensione netta molto vicina al valore del suo ultimo stipendio o reddito.
Diciamo meglio: per assicurare la compatibilità fra quell’obiettivo e la quadratura dei conti, bisognava fare in modo di uscire dal sistema retributivo e passare a quello contributivo.
Ma come?
Immaginiamo per un attimo di essere oggi ancora con una legislazione che prevedesse il calcolo della pensione con il sistema retributivo. Si potrebbe, in coscienza, spiegare al lavoratore che sta entrando in pensione, ad esempio con decorrenza 1 gennaio 2016, che l’importo della pensione che aveva previsto per tanti anni è improvvisamente cambiato? Che tutti gli impegni finanziari che ha assunto o che pensava di assumere sono diventati improvvisamente insostenibili?
No. Bisognerebbe dunque stabilire una decorrenza a partire dalla quale le cose cambiano.
Come si fa a stabilire una cosa del genere? Ci può essere un criterio qualsiasi che possa essere considerato giusto?
Ho i miei dubbi su questo; mentre, ritengo più probabile la percorribilità di una strada di compromesso.
Boeri, a distanza di  vent’anni, propone che il compromesso possa essere fondato sul livello economico del trattamento pensionistico. Ricalcolo o meglio dire, nel nostro esempio, applicazione con decorrenza immediata a partire da un certo importo. Peccato che Boeri dimentichi che non fu questo il compromesso scelto tanti anni fa con la legge Dini. Si scelse, invece, il criterio degli anni di anzianità contributiva e si decise che chi, ad una determinata data, non avesse ancora raggiunto un determinato numero di anni di versamenti contributivi non avrebbe più avuto il diritto al calcolo della pensione col sistema retributivo. Si individuò una fascia di mezzo che avrebbe avuto un sistema misto (parzialmente retributivo fino alla data in vigore e contributivo successivo) e chi invece da quel momento avrebbe avuto un calcolo solo col sistema contributivo. Il reale compromesso era funzionale a mantenere il diritto retrocedendo l’entrata in vigore del cambiamento in modo da permettere che vi fosse un periodo di tempo sufficiente( fino al momento dell’entrata in pensione) per porre in essere un piano personale di versamenti integrativi sufficienti a coprire l’eventuale minor introito finale.
L’introduzione dei fondi pensione integrativi, su base volontaria e con facilitazioni fiscali sui versamenti, rispondeva infatti a questa necessità ed, a partire da quel momento, il versamento di contributi è stato spesso oggetto di rivendicazioni sindacali per ottenere aumenti salariali dalle aziende, sotto quella forma.
Tutto questo, ineffabilmente, viene oggi dimenticato, pretendendo e sottolineando abilmente le motivazioni umanitarie che sono alla base della richiesta di revisione.
Forse che non  sia giusto sottolinearle?
 Al contrario, non solo è giusto ma va anche ampliata la categoria di persone interessate, perché:
-È importante che l’Italia abbia un sistema di sostegno sociale  rivolto non solo agli over 55, ma a tutte le persone inoccupate o disoccupate che superano i limiti temporali di assistenza previsti dall’ASPI per l’inserimento nel lavoro.
-È importante che con decorrenza immediata e per il futuro (ma non per il passato) vengano eliminati i privilegi dei dirigenti sindacali e dei titolari di vitalizi in conseguenza di precedente attività  politico istituzionale.
Probabilmente, allo scopo, non sono sufficienti i ca 4 MM di riordino delle voci di bilancio INPS, immaginate da Boeri. Se pensiamo  invece che, oltre ai pensionati d’oro,  collaborino a questo progetto tutti i percettori di reddito superiore ai 60.000 euro lordi ( invocati da Boeri per i pensionati), forse, possiamo arrivare agevolmente ad una cifra  intorno ai 10 MM annui.
Se poi aggiungiamo a questi i ca. 4MM  che, con la nuova legge di stabilità, sono invece destinati alla detassazione della prima casa, l’importo aumenta a quasi 14 MM . Se immaginiamo, come dice Boeri, un reddito di sussistenza di 500 euro mensili( pari a  ca. 6.000 euro annui), con i 14 MM di cui sopra si potrebbero assistere oltre 2,3 milioni di persone in attesa di reinserimento nel mondo del lavoro.
Ma, naturalmente, Boeri, nella sua dimenticanza, aveva probabilmente  però chiare tre cose:
1)    come ha costantemente sottolineato nel suo documento, l’eventuale tosatura dei pensionati d’oro riguarda solo poche migliaia di persone il cui malcontento, ( aggiungo io , in termini elettorali), è più che  sostenibile.
2)    Non si toccano invece tutti i ceti abbienti che percepiscono redditi complessivi superiori a 60.000 euro annui e che con un piccolo sacrificio dell’aumento progressivo dell’aliquota nella misura del 48% fra 60.000 e 100.000, del 53 % oltre 100.000 e fino a 200.000, del 58% fra 200.000 e 300.000 e del 65% oltre 300.0000 annui porterebbero nelle casse dello Stato, a sostegno di tutte le persone disoccupate ed in stato di povertà, ca. 10 MM di risorse aggiuntive. Tutto questo, permettendo di erogare nuovi assegni di disoccupazione, di 500 euro netti mensili, ad oltre 2,3 milioni di persone.
3)    Nessuna critica al Governo per aver privilegiato nei suoi programmi la detassazione della prima casa, con l’evidente vantaggio elettorale conseguente, invece di utilizzare l’importo di 3,5MM per ridurre il cuneo fiscale sul lavoro a carico delle imprese o per incrementare il sostegno alla disoccupazione di lunga durata. 

Forse questa chiarezza/ dimenticanza lo accomuna a tutte le persone, sinceramente progressiste, che percepiscono un reddito (non da pensione) superiore a 60.000 euro annui.






domenica 25 ottobre 2015

Le trasformazioni sociali chiedono un mutamento culturale della politica

All'interno della nostra società occidentale i partiti tradizionali caratterizzati da una forte componente ideologica o religiosa sono entrati in crisi.

Molti ritengono che, in assenza di visioni globali del sociale e non esistendo più reali diversità tra un partito e l'altro, la politica tenda ad affidarsi maggiormente al personalismo ed i partiti si trasformino in veri e propri comitati elettorali.

In molti casi questo è vero; ma, ritengo sia interessante fare un passo indietro e cercare di ragionare sul modo in cui si sviluppano e crescono le aggregazioni politiche e ideali. Diciamo che, osservando il passato che ci ha preceduto, possiamo notare come l'evolversi della storia sia caratterizzato da continui momenti di cambiamento e di riorganizzazione sociale che danno luogo al mutamento dei comportamenti, dei valori aggreganti, delle stesse classi sociali.

Ci sono momenti di passaggio e di cambiamento delle nostre società in cui si formano nuove aggregazioni fra le persone in base ad ideali e obiettivi comuni, che danno luogo a quelli che possiamo definire dei "movimenti". Movimenti che possono essere caratterizzati da obiettivi limitati o territorialmente definiti ma che possono invece essere sempre più complessi e totalizzanti.

Queste realtà sociali; "i movimenti" hanno spesso forme organizzative interne e processi di formazione della classe dirigente simili e particolari a prescindere dai periodi e dalle situazioni in cui nascono. . Peculiari della loro natura di " movimento"

Si da molto spazio alla partecipazione ed alla democrazia diretta, tentando di ridurre il più possibile la delega. Le strutture dirigenti sono abbastanza elastiche e soggette ad un continuo ricambio. La classe dirigente è formata generalmente dalle persone che riescono, in qualche modo, a sintetizzare le idee e gli obiettivi espressi dai componenti del movimento e si distinguono nella capacità di portarle avanti. Vi è la tendenza a mettere in comune le disponibilità economiche.Vi sono vincoli affettivi importanti fra i componenti del movimento, una sorta di fratellanza.

Quello che qualunque movimento è costretto, tuttavia, a fare, per continuare ad esistere, è confrontarsi con le Istituzioni esistenti e darsi analogamente un'organizzazione che gli consenta di mantenere le proprie istanze nel tempo. Quando, gradatamente, il movimento si trasforma in organizzazione comincia a cambiare anche la sua struttura interna. Si cristallizzano ruoli e comportamenti. E'probabile che in relazione anche ai nuovi obiettivi ideali e politici possa modificare radicalmente le modalità di reclutamento dei suoi componenti, i percorsi di formazione della classe dirigente, il rapporto con le istituzioni e con i cittadini cui fa riferimento. Diminuiscono i vincoli di fratellanza per dar posto a relazioni di carattere razionale e basate sulla necesssità e l'utilità.

Queste organizzazioni, successivamente, possono entrare in crisi profonde quando i loro ideali e la loro stessa cultura  fondativa vengono superate dai processi di trasformazione della società in cui operano. Quando non riescono, per la loro rigidità, a trasformarsi, seguendo ed assorbendo le nuove istanze sociali presenti. Quando si modifica anche la composizione del loro gruppo sociale o la classe di riferimento.

Per concludere questo breve excursus, la mia sensazione è che tanto maggiore è la rilevanza del "personalismo", tanto minore è la qualità, la complessità e l'elaborazione politica ed ideale del partito di cui fanno parte, oltre che la sua aderenza alla realtà che lo circonda.

 

Troppo presto la crisi delle ideologie ha fatto gridare alla fine dei partiti senza trovare adeguati sostituti. Non c'è dubbio che siamo in presenza di grandi cambiamenti ideali, culturali e sociali che richiedono un nuovo modo di guardare i problemi sociali ed una rimodulazione culturale.

Le sfide ed i problemi delle nostre società richiedono, tuttavia, lo steso impegno e la stessa mobilitazione dei tempi che ci hanno preceduto. I periodi di cambiamento sono di solito contrassegnati da una grande libertà ideale; ma, anche, da un grande disorientamento.

Mi trovo ad esempio ad osservare la solitudine culturale ed ideale in cui crescono generalmente le nuove generazioni. Salvo rari casi positivi, la maggior parte di loro non conosce più quel percorso sociale formativo che una volta era costituito dalle semplici forme sociali associative come poteva essere la parrocchia, la sezione giovanile del partito , le associazioni sportive ed altro in cui oltre ad essere luoghi d'incontro per i giovani si svolgeva anche un processo di confronto e di crescita culturale ed ideale.

Molti, partendo dalla realtà dei media e della rete, ritengono che il mondo dell'associazionismo e dei partiti sia sostanzialmente finito . Al suo posto, ritengono, prevalga il protagonismo personale, dimenticando la lezione weberiana del leader, che nasce e si sviluppa in un processo d'interpretazione e sintesi del gruppo di riferimento cui appartiene, oggi spesso più largo di quello immediatamente fisico (cfr internet e televisione) che lo circonda.

La formazione del leader è pertanto, a mio parere, figlia del gruppo di riferimento , delle motivazioni ed esigenze di questo e degli ideali e della cultura storica che utilizza per portarlo avanti. Fattori che inevitabilmente lo costringono a confrontarsi con le forme istituzionali ed organizzative esistenti storicamente. Solo se questo processo viene spezzato, si può parlare dell'affermarsi di processi di corruzione e di personalismi che non hanno niente a che vedere con il ruolo politico che si era promesso di assumere.

Noi stessi parliamo con fastidio del personale politico che sentiamo diverso dal passato e di cui avvertiamo la distanza personale ed ideale.

Sono sintomi forse di una crisi culturale e politica legata alla trasformazione delle nostre società? Questa è la mia impressione.

 

 

 

 

martedì 13 ottobre 2015

Onore a Khaled

di Laura Sgaravatto e Giuseppe Ardizzone

Palmira, nome greco dell'originale Tadmor (palma) in aramaico, si trova in un'oasi a 240 km a nord-est di Damasco e 200 km a sud-ovest del fiume Eufrate, soprannominata "Sposa del deserto", è stata per molto tempo incrocio di culture e punto di riferimento in quanto snodo commerciale di importanza strategica per viaggiatori, commercianti, mercanti che attraversavano il deserto siriaco-arabo seguendo la Via della Seta.

Per la sua unicità, bellezza, importanza dal punto di vista archeologico è stata dichiarata Patrimonio dell'umanità dall'UNESCO nel 1980 e dal 2013 è stata inserita nella lista dei patrimoni in pericolo.

Dalla "bellezza" delle immagini dei monumenti di Palmira si giunge all'attualità che lega il sito ad un tema doloroso e "orribile".
Orribile il tentativo della sua distruzione da parte dell'ISIS.
Orribile la decapitazione del suo maggiore studioso di fama mondiale, Khaled al-Asaad (1932-2015).
L'archeologo dal 1963 e per quarant'anni è stato direttore del museo e del sito di Palmira. Dal 2003 se ne occupava in qualità di consulente di Dipartimento dei Musei e delle Antichità e là si trovava al momento della sua occupazione da parte dei combattenti dell'ISIS. Consapevole del grave pericolo che correva non ha rinunciato fino all'ultimo a presidiare e mettere in salvo i reperti più preziosi di Palmira, rifiutandosi, secondo quanto riportato da "The Guardian", di fornire informazioni ai terroristi su dove fossero nascoste molte opere d'arte. Rapito a metà luglio e torturato, Asaad è stato ucciso il 18 agosto 2015 sulla piazza di fronte al Museo della città nuova di Palmira, Tadmor e il corpo decapitato è stato esposto al pubblico con appeso un cartello riportante scritto il nome della vittima con l'aggiunta "apostata e partigiano del regime sciita" del presidente Bashar al-Assad; sotto il nome, cinque capi d'imputazione:
"rappresentante della Siria nelle conferenze della blasfemia";
"direttore delle statue archeologiche di Palmira";
"ha visitato l'Iran partecipando alla festa per la vittoria della rivoluzione di Khomeini", fondatore della   Repubblica islamica iraniana di confessione sciita;
si leggono poi altre due accuse che riguardano "legami" della vittima con esponenti del regime di Damasco.
La distruzione dei monumenti, la decapitazione di Khaled e le sue motivazioni possono sembrare ai nostri occhi e alla nostra cultura inspiegabili, incomprensibili.
 Cosa può generare tanto odio?
Perché distruggere parti di un patrimonio comune dell'intera umanità?
Guarda caso (ma non è un caso) l'orribile ha bisogno di distruggere la bellezza per affermare la vittoria dell'odio sull'amore. La morte sulla vita.
La bellezza è la strada, la scorciatoia che la natura ha offerto al nostro cuore per superare la paura e, attraverso l'amore che suscita, arrivare al coraggio che ci fa amare la vita; ma, la paura, può portare a vedere in tutto, anche in noi stessi, un nemico che ci mette in pericolo.
L'angoscia insopportabile che questo ci fa provare, ci porta poi a desiderare di eliminarlo.
La vittoria della paura è la morte della vita.
Si può pensare che questo processo mentale riguardi solo poche persone: i terroristi, ma si può anche pensare che sia l'atteggiamento prevalente in ciascuno di noi, contro cui lottare strenuamente. La violenza è la risposta di chi non sa trovare altro modo per avere "ragione", è debolezza di chi non sa amare, di chi è vittima di una cultura che non apprezza il dissenso, la libertà di espressione.
La violenza distrugge l'umanità (popoli, il pianeta...) per questo dobbiamo trovare in noi la capacità di rinunciare ad essa, cercando di porre  rimedio alle ingiustizie in altro modo.
Ecco perché nel nostro cuore avevamo assegnato il Nobel a Khaled.
 Il premio per la pace 2015 è stato assegnato al Quartetto per il Dialogo in Tunisia  composto da  Wided Bouchamaoui, presidente del sindacato patronale Utica, Houcine Abassi, segretario generale del sindacato dei lavoratori, Abdessattar ben Moussa, presidente della lega dei diritti umani, Mohamed Fadhel Mahmoud, presidente dell'associazione degli avvocati (Reuters  )e  noi auguriamo loro di continuare nel processo di democratizzazione del loro Paese.



mercoledì 30 settembre 2015

Migrazione e lavoro-Intervista al Senatore Pietro Ichino

 

 

 

 

 

In quest'intervista abbiamo cercato di affrontare, insieme al Senatore Ichino, alcuni problemi connessi al rapporto fra migrazione e lavoro. Ne riportiamo qui di seguito il contenuto:

 

D. Stiamo assistendo ad un'ondata migratoria senza precedenti verso i paesi europei, che potrebbe portare a forti tensioni sia sui temi dell'integrazione culturale e dei comportamenti sociali sia sull'organizzazione del lavoro.

Pensa che allo stato attuale sia possibile immaginare che i migranti, accolti nei centri d'accoglienza e identificazione, fino a quando non avranno una destinazione certa o un inserimento lavorativo nel mercato, possano prestare obbligatoriamente, in cambio dell'assistenza, un lavoro elementare di servizio pubblico ad esempio nell'edilizia popolare, nei servizi di pulizia e manutenzione o nell'assistenza?

 

R. Questo è fattibile a condizione che si risolvano due problemi delicati sul piano politico-sindacale e uno difficile sul piano operativo. Il primo è quello di evitare che un'iniziativa di questo genere possa assumere la sostanza, o anche solo l'aspetto, di un'organizzazione di lavoro coatto, che sarebbe oltretutto vietato da uno dei principi fondamentali dell'O.I.L. Quando una persona arriva in condizioni di bisogno gravissime, il confine tra lavoro accettato liberamente e lavoro coatto può diventare evanescente. Il secondo problema è quello di ammettere nel nostro ordinamento una categoria di lavoratori privi di cittadinanza UE, i quali per il lavoro che svolgono vengono retribuiti in parte in natura (alloggio e vitto) e comunque in misura inferiore, a parità di contenuto, rispetto ai minimi tabellari previsti dai contratti collettivi: a ben vedere, la questione ha molto in comune con quella dell'istituzione di un salario orario minimo, che dovrebbe necessariamente collocarsi nettamente al di sotto dei minimi tabellari dei contratti nazionali, e proprio per questo è fortemente avversato dai sindacati. Per risolvere questo problema si potrebbe pensare ad una norma speciale europea che regoli i rapporti di lavoro in questione anche in deroga agli ordinamenti nazionali.

 

D. E il terzo problema?

 

R. Il problema pratico è quello di dotare il nostro Paese di una struttura pubblica capace di organizzare il "lavoro degli immigrati per gli immigrati", ed eventualmente anche quello di utilità generale, e gestirlo in modo pulito ed efficiente. L'esperienza degli appalti romani aventi a oggetto i servizi agli immigrati non costituisce, ahimè, un precedente incoraggiante: il che potrebbe suggerire di affidare a un'agenzia di emanazione diretta della UE l'organizzazione e la gestione di questi "cantieri". Sei anni fa ho anche sostenuto (v. Un traghetto per Lampedusa) che dovremmo pensare ad aprire cantieri di questo genere negli stessi Paesi di origine degli immigrati, invitandoli a tornare lì, pagati da noi secondo tariffe ottime per quei luoghi ma pochissimo costose rispetto alle nostre correnti, per aiutare i rispettivi Paesi a risollevarsi. Certo, però, questo non è pensabile nei casi di guerra civile come quella che sta devastando la Siria.

 

D. Non potrebbe essere proprio questa l'occasione per la prima grande operazione europea di emissione di eurobond comuni, con la creazione di un debito europeo garantito in ultima istanza dalla BCE, finalizzati al finanziamento di queste strutture nei paesi di accoglienza e di una politica comune d'investimento nei paesi africani?

 

R. Sì, certo. E questo è un motivo ulteriore per pensare a un impegno diretto della UE non solo nella regolazione ma anche nella gestione dei "cantieri". Proprio un impegno diretto di questo genere, però, che uscirebbe del tutto dagli schemi fin qui praticati, potrebbe costituire una difficoltà in più per far passare un programma di questa entità e complessità. Ciò non significa affatto che non dobbiamo coltivare questa ambizione, e magari farcene proprio noi italiani promotori in Europa.

 

 

Mi sembra che sia condivisibile ipotizzare un impegno diretto della UE sia per l'apertura di cantieri di sviluppo nei territori d'origine dei migranti (invitandoli a prestar lì il loro lavoro) sia per l'organizzazione gestione e controllo dei cantieri nei paesi europei. D'altronde, si parla già di un ruolo di sorveglianza e di coinvolgimento di funzionari UE nei centri d'identificazione. Utilizzare personale della pubblica amministrazione dei diversi paesi membri distaccandolo, allo scopo, sotto la Direzione EU non dovrebbe essere problematico e costituirebbe l'embrione di una struttura EU decentrata.

Quello che mi sembra ulteriormente importante è l'accenno, da Lei fatto, a una normativa speciale europea che regoli questi rapporti di lavoro atipici, in deroga agli ordinamenti nazionali.

 Inevitabilmente, tuttavia, sorgono alcune domande:

a)         Ritiene che la remunerazione di questo tipo di lavoro pubblico debba essere stabilita in maniera paritaria su tutto il territorio europeo o piuttosto debba essere articolata all'interno di un range che tenga conto delle differenze salariali esistenti fra i diversi paesi?

 

R. Va detto, innanzitutto, che della remunerazione fa parte, in questo caso, anche alloggio, vitto e scuola di lingua: tutte prestazioni che hanno un valore d'uso analogo in qualsiasi parte del continente, ma possono avere un prezzo, in termini monetari, molto diverso sulle coste del Mare Ionio e su quelle del Mar Baltico. Lo stesso criterio deve valere per la parte di remunerazione che invece viene corrisposta in denaro: il suo valore deve essere stabilito non in termini nominali, ma di potere reale d'acquisto; il che implica necessariamente forti differenze degli importi nominali, a secondo della latitudine e della longitudine.

 

b)         Considerando che le dimensioni di questa immigrazione hanno un carattere epocale, costituendo un esercito industriale di riserva d'enormi proporzioni su tutto il territorio europeo, con la conseguenza di una possibile generale svalutazione interna del fattore lavoro, non ritiene sia importante collegare direttamente la remunerazione di questi lavori atipici con il valore del salario minimo, concordandone l'entità e/o l'oscillazione fra i diversi paesi europei?

 

R. Tutto è molto discutibile. Ma in via di prima approssimazione sarei contrario a un approccio di questo genere. Proprio perché è indispensabile che questa operazione non sia vissuta dai lavoratori indigeni attuali e potenziali come un attentato ai loro interessi. Per questo, è necessario che i cantieri si caratterizzino in modo molto netto come luoghi in cui il lavoro ha un carattere emergenziale, è prioritariamente al servizio delle comunità degli stessi immigrati che lo svolgono, non genera un utile di impresa e può per questo essere esentato dall'applicazione degli standard del lavoro ordinario.

 

c)         Non sarebbe, a questo punto, utile superare concettualmente la separazione fra il concetto di reddito di cittadinanza e indennità di disoccupazione per creare un unico ammortizzatore sociale di sostegno sia nei confronti degli inoccupati, sia dei marginali sia dei disoccupati di lunga durata, legandone l'erogazione alla prestazione di un lavoro di servizio pubblico e la remunerazione al livello del salario minimo?

 

R. Anche su questo punto sono portato a dissentire. È bene che queste tre cose restino nettamente distinte: il trattamento di disoccupazione (in Italia, la nuova ASpI), che ha natura assicurativa, con conseguente correlazione stretta fra entità della retribuzione goduta, contribuzione e indennità in caso di perdita del lavoro; il reddito minimo di inserimento, che deve avere natura assistenziale universale, e deve essere erogato a tutti i cittadini UE residenti che si trovino in situazione di povertà, prescinde totalmente nella sua entità dalle retribuzioni percepite dal beneficiario in precedenza, ed è fortemente condizionato alla piena cooperazione del beneficiario per il proprio reinserimento nel tessuto produttivo e per l'inserimento scolastico dei figli quando ce ne sono; infine il trattamento emergenziale dei profughi e rifugiati, che è una misura di pronto soccorso rivolta a non cittadini UE. Nel tracciare queste linee di definizione e separazione non ho alcuna certezza: può essere benissimo che mi faccia velo un eccesso di attaccamento a schemi vecchi. La discussione serve anche a superarli, quando di questo si tratta.

 

Certamente l'onestà intellettuale e il richiamo a superare sempre, nel corso delle discussioni, il proprio originario punto di vista è un insegnamento di cui ringraziamo il Senatore Ichino insieme alla sua disponibilità.

Mi sembra che i punti presentati nelle domande della parte finale abbiano bisogno di ulteriori riflessioni comuni; ma, una questione su cui mi sembra, invece, vi sia un accordo è che sia auspicabile un intervento centrale europeo nel finanziamento ed organizzazione ( con una normativa europea in deroga a quella nazionale)   di cantieri di lavoro sia nei paesi europei sia in quelli di origine dei migranti. Allo stesso modo è forse possibile ipotizzare anche per il reddito minimo d'inserimento per tutti i cittadini UE( opportunamente diversificato per i singoli paesi)   un'azione centrale europea

 È una strada percorribile? Certamente non semplice ma di cui tutti insieme possiamo farci promotori.

 

 

 

 

 

 

 

 

giovedì 24 settembre 2015

Attualità del Glass-Steagall Act

 

 

 

Il Glass-Steagall Act fu la risposta del Congresso USA alla crisi finanziaria iniziata nel 1929 che, già all'inizio del 1933, aveva portato al fallimento numerose banche americane.

La prima misura fu quella d'istituire la Federal Deposit Insurance Corporation con lo scopo di garantire i depositi .

Oggi, invece, i depositi sono stati coinvolti nella crisi finanziaria di Cipro e le recenti Direttive Europee in materia hanno deciso che i depositi oltre i centomila euro possano essere oggetto di "attenzione" in caso di fallimento della banca presso di cui sono depositati.

Vale a dire che rischiano di essere utilizzati anch'essi per partecipare alla copertura delle perdite.

La seconda misura del Glass-Steagall Act  prevedeva l'introduzione di una netta separazione tra attività bancaria tradizionale e attività bancaria di investimento. Le due attività non potevano essere esercitate dallo stesso intermediario, portando così alla separazione tra banche commerciali e banche d'investimento. La motivazione di tale provvedimento era quella di evitare che il fallimento dell'intermediario comportasse  il fallimento della banca tradizionale, impedendo  che l'economia reale fosse direttamente esposta al pericolo di eventi negativi prettamente finanziari. Quello che invece è accaduto con la crisi finanziaria  del 2007 dove, per salvare il risparmio dei cittadini ed evitare quindi che le perdite delle banche d'investimento coinvolgessero le banche tradizionali, i governi dei diversi Stati sono stati costretti a porre in essere enormi salvataggi, destinando importanti risorse pubbliche allo scopo. Questo ha spostato il problema, a partire da quel momento, sulla sostenibilità dei debiti pubblici, che si erano dilatati, in molte situazioni, a causa di quegli interventi.

Nel dopoguerra, progressivamente, gran parte dei contenuti  del Glass-Steagall Act  furono abbandonati. Buona parte delle banche nazionalizzate  sono ridiventate  private. La divisione fra istituti di credito  a medio termine ed a breve è stata superata e nel  1999 il Congresso degli Stati Uniti, a maggioranza repubblicana, ha approvato una nuova legge bancaria promossa dal Rappresentante  Jim Leach, dal Senatore  Phil Gramm e promulgata il 12 novembre 1999 dal Presidente Bill Clinton con il nome di  Gramm –Leach –Biliey Act.

La nuova legge abrogava le disposizioni del Glass-Steagall Act del 1933 che prevedevano la separazione tra attività bancaria tradizionale e investment banking, senza alterare le disposizioni che riguardavano la FDIC.

L'abrogazione ha permesso la costituzione di gruppi bancari che, al loro interno, permettono, seppur con alcune limitazioni, di esercitare sia l'attività bancaria tradizionale, sia l'attività di investment banking e assicurativa.

Questo processo si è affermato,  oltre che negli USA, in molti Paesi  ed, in breve tempo, tutto il sistema finanziario mondiale si è uniformato. Nuovi prodotti assicurativi e d'investimento sono diventati essenziali per i bilanci dei  più importanti gruppi bancari.

Ancora oggi, le operazioni su derivati costituiscono uno degli impegni in essere più importanti presenti nei  bilanci  di molte banche; inoltre, tutte le banche di credito ordinario continuano ad avere un'importante sezione di mutui e, tramite nuove operazioni di cartolarizzazione dei crediti in essere  sulle operazioni già effettuate, possono ottenere nuove disponibilità da investire in nuove erogazioni  a medio termine.

Sembra che adesso,  dopo il lungo silenzio europeo su questo tema pur  dopo le raccomandazioni  di Draghi quando era ai vertici del Financial Stability Board, il nuovo leader del Labour inglese, Corbyn  voglia riprendere la questione,  riproponendo nel suo programma  i  contenuti della legge Glass-Steagall.

Tra l'altro, il ministro dell'economia, designato da Corbyn per il suo Governo ombra, è  quel John McDonnell, economista  ed ex sindacalista, che, a suo tempo,  si oppose alla guerra in Irak  e che   sulla rivista  Labour Briefing (2012): si è dichiarato favorevole  ad  un "sistema Glass-Steagall in piena regola", per separare le banche ordinarie da quelle d'affari.

Non sembra che la questione in Italia sia stata presa sufficientemente  in considerazione,  né che si stiano facendo dei passi in questa direzione. Forse, riteniamo che il controllo esercitato dalla BCE sull'andamento  delle nostre istituzioni bancarie sia sufficiente?

Eppure, al di là del coinvolgimento dell'economia reale nell'eventuale scoppio di una crisi finanziaria, già la stessa possibilità che l'intermediario bancario agisca direttamente  come investitore può distogliere  risorse dagli impieghi direttamente produttivi per orientarli sulla rendita. Le nostre forze politiche di governo  dovrebbero  porre maggiore attenzione  a queste problematiche.

 

 

 

 

 

 

domenica 20 settembre 2015

La FED mantiene bassi i tassi



 La Fed ha rimandato il rialzo del tasso d'interesse.
 
 Le preocupazioni per l'evoluzione dell'economia mondiale, il costante apprezzamento del dollaro, le paure per l'insostenibilità del debito delle economie emergenti  frenate anche dalla diminuzione dei prezzi delle materie prime e non ultima la presenza di  segnali di possibile deflazione hanno consigliato di mantenere i tassi invariati.
 
L'inflazione, basandosi sull'indicatore  Pce ( personal consuption expanditure) si  fermerà quest'anno allo 0,4%, dallo 0,7% precentemente stimato, ma nel 2016 salirà all'1,7% (dall'1,8% indicato a giugno), nel 2017 all'1,9% (dal 2%) e nel 2018 dovrebbe infine centrare l'obiettivo del 2%.
 
In presenza di un quota stabile (se non in riduzione) del monte salari mondiale, che non da impulso ai consumi, vi è il serio pericolo  di una complessiva eccedenza della capacità produttiva.

lunedì 14 settembre 2015

La vittoria di Corbyn ed i problemi comuni d'affrontare


La vittoria di Corbyn in Inghilterra allarga il fronte delle forze populiste in Europa?
E' un ritorno a vecchie posizioni intransigenti della sinistra?
Forse c'è dell'uno e dell'altro; ma, indubbiamente, alla base di quest'affermazione vi sono i problemi che la crisi del 2008 ha posto all'intero mondo politico di destra e di sinistra ed il senso di lontananza del cittadino nei confronti delle istituzioni politiche che lo rappresentano.
Sono problemi questi di cui non sembra si sia ancora trovata una soluzione che possa offrire uno sbocco teorico politico capace di offrirci una prospettiva per il governo del nostro futuro.
Accanto all'affermazione di Corbyn, proprio in questi giorni abbiamo letto il manifesto contro quest'Europa (firmato fra gli altri dall'ex ministro greco dell'economia Varoufakis, dal tedesco Oskar, ex ministro delle finanze tedesco e fondatore della Linke, dal deputato francesce Mèlenchon, già leader del Front de Gauche e dal nostro Fassina) che tenta di raccogliere il dissenso nei confronti della politica economica e degli stessi trattati che vengono visti come una trappola che impedisce lo sviluppo proprio dei paesi più poveri dell'Unione. Assistiamo ancora ai rivolgimenti del Medio oriente, che insieme alle difficoltà presenti nel continente africano spingono milioni di persone in un esodo epocale verso l'Europa.Vediamo ancora con quali difficoltà e dissensi interni l'Europa stessa sta affrontando quest'emergenza.
 Gli equilibri politici ed economici mondiali sono in riassetto e gli stessi paesi del BRICS vivono profonde difficoltà emblematicamente rappresentate dalla crsisi della bolla speculativa cinese e dai timori che, in questi giorni, vengono espressi sulle conseguenze che un rialzo dei tassi del dollaro americano potrebbero avere sulla generale sostenibilità dell'indebitamento complessivo dei paesi emergenti.
Ci portiamo dietro problemi vecchi e nuovi che incidono sulle caratteristiche della vita sociale ed economica delle nostre società e stanno determinando una forte preoccupazione ed insoddisfazione in larghi strati della popolazione.
In particolare, dal mio punto di vista, i più gravi mi sembrano essere:
1) crisi degli strumenti tradizionali della democrazia.E' un discorso che inizia già negli anni 60 e richiede una diversa partecipazione politica del cittadino che gli consenta di sentirsi partecipe e protagonista della realtà in cui vive. Belle parole, che tuttavia ancora oggi non si sono trasformate in un vero cambiamento delle regole della democrazia capace di soddisfarle. C'è una richiesta potente di partecipazione diretta del cittadino alle scelte politiche, che ha messo in crisi, in molte realtà nazionali, i partiti tradizionali e che si allarga sempre di più.
2) crisi dell'efficacia e validità dell'organizzazione dello Stato che richiede una profonda revisione del suo funzionamento. La destra politica, da oltre trent'anni,  ha fatto di questo problema il suo cavallo di battaglia, arrivando a proporre quasi un totale smantellamento delle funzioni pubbliche, costituenti. a suo dire, un onere economico gravoso per tutti i cittadini .
La sinistra socialdemocratica ne è stata in parte travolta ma grazie alle politiche innovative portate avanti da esponenti come Blair ed altri ha saputo trovare una via di maggiore efficienza e responsabilità del settore pubblico, spesso legata, tuttavia, ad ampie privatizzazioni d'interi settori. Teoricamente tutto questo ha portato ad una crisi di fiducia sulla capacità ed efficacia dell'azione pubblica diretta. Si è continuato a ritenere essenziale l'azione dello Stato come regolatore dell'economia; ma, sempre più spesso, si è negata l'utilità di una sua azione diretta.
Possiamo tuttavia negare il ruolo decisivo dello Stato nello sviluppo strategico di moltissimi settori di primaria importanza proprio nelle economie più aperte e libere come negli USA? Quello che è insopportabile è l'occupazione dell'amministrazione e delle partecipate statali da parte dei potentati politici . L'utilizzo sistematico delle risorse pubbliche per favorire imprese "amiche"   o l'ampliarsi del fenomeno della concussione e corruzione. La gestione delle attività pubbliche e del personale non meritocratica e non legata ad obiettivi trasparenti,verificabili e controllati.
Si può fare altro ? Strategicamente , privatizzare è l'unico modo per rendere efficiente , meritocratica e funzionale la macchina dello Stato?
Ad esempio, Corbyn , di fronte all'insoddisfazione dei cittadini sul funzionamento d'alcuni settori,come quello delle ferrovie, ne propone la rinazionalizzazione .
E' sbagliato  o c'è da rifletterci?
3) tutti abbiamo visto gli effetti combinati che una nuova liberalizzazione della finanza, a partire dagli anni 80, insieme all'aumento dell'ineguaglianza nella distribuzione delle ricchezze hanno creato nel nostro sistema economico. In particolare, quando l'aumento delle  ricchezze, dovuto non solo a quelle accumulate nel tempo ma anche ad un'abnorme disparità di redditi , si concentra in una parte sempre minore della popolazione , diventa quasi inevitabile l'espandersi del capitalismo finanziario rispetto a quello produttivo .Quando le strutture destinate all'intermediazione fra risparmio ed investimento cominciano a destinare il risparmio raccolto verso il puro investimento finanziario , succede semplicemente che una quota sempre maggiore delle ricchezze prodotte siano destinate alla rendita gravando come onere sulle attività produttive.La concentrazione delle ricchezze  ed il peggioramento delle condizioni di vita dei lavoratori  causano una riduzione complessiva della loro capacità di consumo,con conseguenze negative  sulla stessa capacità di crescita del sistema economico ed il senso  dello sviluppo.
4) si sono permesse attività finanziarie eccessivamente rischiose e squilibrate che hanno ulteriormente accresciuto la massa finanziaria del sistema gravando eccessivamente sulle attività produttive ed aumentando la rischiosità del credito ( utilizzo incontrollato  ed eccessivo  delle operazioni su derivati ,  cartolarizzazioni utilizzate per un ripetuto aumento  della capacità di credito, facilità nella concessione di mutui aumentandone sempre più il valore  percentuale rispetto a quello  delle garanzie,dilatazione  del credito al consumo ecc .)
5) ci rendiamo conto che prima ancora di decidere se adottare politiche di bilancio espansive o d'austerità, legate più che altro alle condizioni del mercato ed istituzionali , i problemi a monte riguardano la necessità di rivedere il rapporto fra le attività economiche e le esigenze della comunità cui si riferiscono. Questo è in sostanza  il significato del primato della politica sull'economia.
Tutto questo  riguarda mon solo il senso dello sviluppo ma anche l'equità dello stesso . Bisogna entrare nel merito della qualità del credito e del debito privato e sull'attività delle istituzioni finanziarie, ritornando alla separazione fra banche d'investimento e quelle  di raccolta del risparmio e concessione del credito . Questo perché il rischio di fallimento non venga scaricato sullo Stato o sul risparmiatore ed inoltre  per evitare che masse ingenti di risparmio vengano collocate in investimenti finanziari diretti  che possono alimentare bolle speculative ed una remunerazione gravosa a scapito delle attività produttive. Allo stesso modo non si può evitare una politica fiscale che abbia un effetto redistributivo delle ricchezze e che sia inoltre in grado di scoraggiare retribuzioni eccessive. Questo, a maggior regione, proprio  dove non è adottabile una politica di quantitative easing nazionale ( non disponendo della sovranità monetaria) orientata all'investimento produttivo ed ai consumi sociali che in qualche modo, realizzando una maggiore inflazione, penalizzi la rendita ed indirizzi le ricchezze verso il mondo produttivo : Rimane in questo caso affidato alla capacità organizzativa dei lavoratori il compito di riappropriarsi di parte delle ricchezze realizzate , in ragione dell'aumento della produttività .
Il nostro Paese deve certamente , con un ritardo di oltre vent'anni, rivedere il funzionamento della macchina dello Stato, come comprese Blair; ma, deve anche affrontare i problemi che la crisi finanziaria del 2008 ha reso evidenti in tutte le società occidentali.
Di certo, il dibattito teorico e politico presente all'interno del mondo della sinistra in Italia non può seguire , acriticamente , come un nuovo profeta, le indicazioni di Jeremy Corbyn che, specie in politica estera, sono molto legate alla particolare collocazione britannica .
Allo stesso modo, sarebbe sbagliato sottovalutare le problematiche sottostanti alla sua recente affermazione nelle primarie del Labour . e le tensioni presenti nel panorama europeo.