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domenica 8 novembre 2015

Quel che Boeri dimentica

Mi dispiace leggere come il pur ancora giovane Presidente dell’INPS sottovaluti ed abbia già dimenticato le motivazioni ed i passi che condussero alla prima grande riforma del sistema previdenziale italiano:” La riforma Dini”.
Era il 1995 e l’allora primo ministro  aveva ben chiaro come la spesa pensionistica costituisse una delle principali voci ed oneri del bilancio dello Stato e che nel tempo il suo equilibrio sarebbe ulteriormente peggiorato in seguito al prevedibile allungamento dell’età biologica dei suoi fruitori.
Era dunque necessario intervenire. Ma come?
L’obiettivo più evidente e  logico era fare in modo che si raggiungesse un maggiore equilibrio fra i contributi versati dal lavoratore, nel corso della sua vita lavorativa, e le successive erogazioni pensionistiche ipotizzabili in base alla sua attesa di vita.
Non si poteva più mantenere solo l’obiettivo di assicurare al lavoratore una pensione netta molto vicina al valore del suo ultimo stipendio o reddito.
Diciamo meglio: per assicurare la compatibilità fra quell’obiettivo e la quadratura dei conti, bisognava fare in modo di uscire dal sistema retributivo e passare a quello contributivo.
Ma come?
Immaginiamo per un attimo di essere oggi ancora con una legislazione che prevedesse il calcolo della pensione con il sistema retributivo. Si potrebbe, in coscienza, spiegare al lavoratore che sta entrando in pensione, ad esempio con decorrenza 1 gennaio 2016, che l’importo della pensione che aveva previsto per tanti anni è improvvisamente cambiato? Che tutti gli impegni finanziari che ha assunto o che pensava di assumere sono diventati improvvisamente insostenibili?
No. Bisognerebbe dunque stabilire una decorrenza a partire dalla quale le cose cambiano.
Come si fa a stabilire una cosa del genere? Ci può essere un criterio qualsiasi che possa essere considerato giusto?
Ho i miei dubbi su questo; mentre, ritengo più probabile la percorribilità di una strada di compromesso.
Boeri, a distanza di  vent’anni, propone che il compromesso possa essere fondato sul livello economico del trattamento pensionistico. Ricalcolo o meglio dire, nel nostro esempio, applicazione con decorrenza immediata a partire da un certo importo. Peccato che Boeri dimentichi che non fu questo il compromesso scelto tanti anni fa con la legge Dini. Si scelse, invece, il criterio degli anni di anzianità contributiva e si decise che chi, ad una determinata data, non avesse ancora raggiunto un determinato numero di anni di versamenti contributivi non avrebbe più avuto il diritto al calcolo della pensione col sistema retributivo. Si individuò una fascia di mezzo che avrebbe avuto un sistema misto (parzialmente retributivo fino alla data in vigore e contributivo successivo) e chi invece da quel momento avrebbe avuto un calcolo solo col sistema contributivo. Il reale compromesso era funzionale a mantenere il diritto retrocedendo l’entrata in vigore del cambiamento in modo da permettere che vi fosse un periodo di tempo sufficiente( fino al momento dell’entrata in pensione) per porre in essere un piano personale di versamenti integrativi sufficienti a coprire l’eventuale minor introito finale.
L’introduzione dei fondi pensione integrativi, su base volontaria e con facilitazioni fiscali sui versamenti, rispondeva infatti a questa necessità ed, a partire da quel momento, il versamento di contributi è stato spesso oggetto di rivendicazioni sindacali per ottenere aumenti salariali dalle aziende, sotto quella forma.
Tutto questo, ineffabilmente, viene oggi dimenticato, pretendendo e sottolineando abilmente le motivazioni umanitarie che sono alla base della richiesta di revisione.
Forse che non  sia giusto sottolinearle?
 Al contrario, non solo è giusto ma va anche ampliata la categoria di persone interessate, perché:
-È importante che l’Italia abbia un sistema di sostegno sociale  rivolto non solo agli over 55, ma a tutte le persone inoccupate o disoccupate che superano i limiti temporali di assistenza previsti dall’ASPI per l’inserimento nel lavoro.
-È importante che con decorrenza immediata e per il futuro (ma non per il passato) vengano eliminati i privilegi dei dirigenti sindacali e dei titolari di vitalizi in conseguenza di precedente attività  politico istituzionale.
Probabilmente, allo scopo, non sono sufficienti i ca 4 MM di riordino delle voci di bilancio INPS, immaginate da Boeri. Se pensiamo  invece che, oltre ai pensionati d’oro,  collaborino a questo progetto tutti i percettori di reddito superiore ai 60.000 euro lordi ( invocati da Boeri per i pensionati), forse, possiamo arrivare agevolmente ad una cifra  intorno ai 10 MM annui.
Se poi aggiungiamo a questi i ca. 4MM  che, con la nuova legge di stabilità, sono invece destinati alla detassazione della prima casa, l’importo aumenta a quasi 14 MM . Se immaginiamo, come dice Boeri, un reddito di sussistenza di 500 euro mensili( pari a  ca. 6.000 euro annui), con i 14 MM di cui sopra si potrebbero assistere oltre 2,3 milioni di persone in attesa di reinserimento nel mondo del lavoro.
Ma, naturalmente, Boeri, nella sua dimenticanza, aveva probabilmente  però chiare tre cose:
1)    come ha costantemente sottolineato nel suo documento, l’eventuale tosatura dei pensionati d’oro riguarda solo poche migliaia di persone il cui malcontento, ( aggiungo io , in termini elettorali), è più che  sostenibile.
2)    Non si toccano invece tutti i ceti abbienti che percepiscono redditi complessivi superiori a 60.000 euro annui e che con un piccolo sacrificio dell’aumento progressivo dell’aliquota nella misura del 48% fra 60.000 e 100.000, del 53 % oltre 100.000 e fino a 200.000, del 58% fra 200.000 e 300.000 e del 65% oltre 300.0000 annui porterebbero nelle casse dello Stato, a sostegno di tutte le persone disoccupate ed in stato di povertà, ca. 10 MM di risorse aggiuntive. Tutto questo, permettendo di erogare nuovi assegni di disoccupazione, di 500 euro netti mensili, ad oltre 2,3 milioni di persone.
3)    Nessuna critica al Governo per aver privilegiato nei suoi programmi la detassazione della prima casa, con l’evidente vantaggio elettorale conseguente, invece di utilizzare l’importo di 3,5MM per ridurre il cuneo fiscale sul lavoro a carico delle imprese o per incrementare il sostegno alla disoccupazione di lunga durata. 

Forse questa chiarezza/ dimenticanza lo accomuna a tutte le persone, sinceramente progressiste, che percepiscono un reddito (non da pensione) superiore a 60.000 euro annui.






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