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venerdì 13 dicembre 2013

L'IMPRESA :PRODUTTRICE DI VALORE

 

Quando, moltissimi anni fa, una massa enorme di servi della gleba e contadini poveri si riversò nelle strade delle città, costituendo quell'esercito industriale di riserva che fu una delle basi necessarie per il successivo sviluppo della realtà commerciale ed industriale della nuova società, tutti gli studiosi non potevano non notare come l'unica ricchezza posseduta fosse la propria capacità di lavoro.

Queste persone, staccate dall'originario tessuto produttivo, staccate anche dalla comunità in cui erano cresciute, erano prive d'identità e di un rapporto organico con la società. Erano una vera e propria merce. Le stesse condizioni di lavoro ricalcavano, nella città, l'assoluta padronanza della vita delle persone che vi era stata nelle campagne. Nei nuovi tempi, rispetto al passato, queste persone erano libere: si, ma solo di  prestare la propria opera senza nessuna condizione, garanzia, diritto.

Chi poteva utilizzare questa merce? Chi ne aveva interesse?

Una nuova classe di persone che   disponeva di capitali e poteva avviare commerci, produzioni, servizi. Una classe di persone dinamiche ed intraprendenti che non sopportava più il blocco sociale della nobiltà che aveva la proprietà delle terre e di tutto quello che nasceva o cresceva sulle stesse, comprese le persone.

 No, nelle città questa gente voleva essere libera di produrre commerciare e decidere sulla propria vita e disponeva dei capitali per attrarre la forza lavoro, farla uscire dal dominio della nobiltà, all'interno della terra, e utilizzarla come libera merce lavoro. Come non vedere nella prestazione lavorativa, massificata e senza diritti, la completa alienazione dell'uomo?  Come non capire, altresì, che solo il suo lavoro costituiva, all'interno del processo di produzione del valore, quel di più, il plusvalore, che permetteva la realizzazione del profitto? Come non legare alla distribuzione ineguale del profitto il concetto di sfruttamento ? come non far discendere da tutto questo la necessaria lotta di classe per liberare l'uomo lavoratore da questa condizione e permettergli di ridiventare persona?

La storia dei secoli scorsi è la storia di questa emancipazione ;ma, anche, di una profonda trasformazione dei ruoli sociali, dei processi produttivi, del ruolo dello Stato.

La proprietà dei capitali non è più immediatamente la stessa dei mezzi di produzione e meno che mai, nelle moderne Public Company o nelle grandi aziende, coincide con il personale adibito alla gestione e organizzazione dell'impresa. Il settore creditizio è il grande mediatore fra risparmio ed investimento.Migliaia di professionalità valutano e seguono i progetti delle imprese ed il loro andamento sul mercato.

I processi produttivi si sono complicati e così anche il lavoro è diventato sempre più portatore di professionalità, trasformandosi da pura merce in risorsa umana. La tecnologia non è più esterna all'azienda. Spesso al suo interno ampi settori di ricerca e sviluppo si occupano dell'innovazione tecnologica. Quasi tutte le attività sono ormai organizzate e non frutto del genio del singolo.

Tutto questo per affermare che oggi la combinazione dei diversi fattori di produzione si realizza unicamente in un luogo di sintesi che è l'impresa. E' questo il nuovo soggetto sociale. In esso si combinano armonicamente i fattori produttivi: capitale, lavoro, conoscenza,grazie all'azione di persone che, nei diversi ruoli, contribuiscono al successo dei progetti e delle attività Troviamo gli imprenditori accanto ai managers dei diversi settori aziendali, accanto al personale inquadrato ognuno in base al proprio percorso professionale, accanto anche all'organizzazione sindacale e questa enorme macchina deve riuscire a fare in modo che i fattori produttivi a lei affidati siano combinati nel modo migliore e più produttivo.E' credo esperienza comune capire che, in questa   realtà, è interesse della stesa impresa che anche l'ultimo lavoratore si senta parte di un percorso comune e ritenga possibile ed utile la sua crescita professionale. In cosa consiste quindi il processo di produzione di valore? E' forse appannaggio di una sola categoria di persone o è invece il risultato dell'opera sinergica dell'impresa?  E se condividiamo tutto questo ha ancora senso parlare di sfruttamento, d'alienazione e di lotta di classe?

Ne possiamo parlare ancora se il processo dell'impresa è improntato all'ineguaglianza, al malaffare, alla corruzione. Il profitto a questo punto, pur presente, non può rappresentare l'unico strumento valido per valutare la capacità e l'efficienza di un'impresa. E' necessario valutare i suoi comportamenti sociali, la sua organizzazione interna, la politica di valorizzazione del personale, la politica retributiva ecc. Ricordiamoci sempre che le imprese del malaffare hanno utili e profitti spaventosi realizzati grazie all'uso sistematico della violenza sulle persone e sulle cose.

In che senso dunque può intervenire lo Stato?

Come garante dell'armonia dell'utilizzo delle risorse nel rispetto dei diritti e delle regole stabilite dalla comunità con le sue leggi.Lo Stato pertanto si fa garante non solo del rispetto dei diritti dei lavoratori e della corretta utilizzazione dei fattori produttivi ma anche dell'impatto che l'impresa ha sulla società di cui fa parte. Impatto ambientale e sociale complessivo.

Tutte le attività devono essere libere purché, come recita l'art. 41 della Costituzione, siano svolte all'interno dell'interesse pubblico.

Lo Stato può limitarsi a fare da regolatore del mercato per evitare fenomeni di monopolio, oligopolio e mantenerne quindi le condizioni il più possibile vicine alla concorrenza perfetta? No, questa condizione è necessaria ma non sufficiente. Lo Stato ha anche il compito d'individuare, dopo aver raccolto la richiesta politica dei cittadini, tutte quelle attività svolte in oltraggio alla persona umana ed alla sua dignità e proibirle sia in termini di metodologia del lavoro che come tipologia di produzione o servizio. Lo Stato, inoltre, se deve poi lasciare piena libertà al mercato, rinunciando ad una programmazione impositiva delle attività, può agire con lo strumento degli incentivi e disincentivi. In alcuni casi operando o programmando direttamente su tutti quei settori che sono individuati come " Beni o servizi comuni". Non ritengo che lo Stato debba in questi casi avocare a se tutte le attività, queste possono essere svolte anche da privati. L'importante è che la programmazione e gli obiettivi del settore siano stabiliti dallo Stato e siano vincolanti per tutti gli attori. Parliamo pertanto di un'economia libera, ma sottoposta all'interesse della società cui appartiene. Un economia sociale che utilizza lo strumento del mercato e se del caso anche quello dell'azione pubblica.

Lo Stato ha quindi la funzione di trasmettere gli obiettivi complessivi che l'insieme dei cittadini, grazie all'espressione politica, comunicano ai propri governanti. Obiettivi di sviluppo armonico della società e delle condizioni di vita delle persone, nel rispetto della dignità e libertà del singolo.

Può quindi una comunità non affrontare l'altro tema centrale riconosciuto nella carta costuttuzionale? Può cioè accettare l'inosservanza del diritto al lavoro? Può permettere che questo diritto sia compromesso dalle fasi congiunturali o dall'evoluzione negativa dell'economia? Avremo diritto al lavoro solo in condizioni d'abbondanza? E in quelle di povertà? Il lavoro sarà un lusso di pochi ,come si cantava nelle canzoni popolari operaie del primo Novecento ? O tutto quello che c'è va intanto distribuito il più possibile? Nessuno può ritenere che il lavoro sia una condizione non sempre possibile. E' vero il contrario il lavoro è l'unica condizione che DEVE essere sempre possibile, al di fuori delle evoluzioni economiche di una società. In questo caso, grazie alla redistribuzione fiscale e al credito debbono essere assicurate condizioni minime di lavoro per tutti. Più che un reddito di cittadinanza, un reddito minimo di lavoro. Lo Stato deve agire come datore di lavoro d'ultima istanza nei confronti della disoccupazione di lunga durata per cui non si sono realizzate le condizioni per l'inserimento, con ammortizzatori sociali legati ad una prestazione lavorativa di base che dia almeno la possibilità di vivere e con alloggi popolari che consentano di avere un tetto per tutti. Su questi punti e sulle politiche sociali vi  è stata una relativa superiorità dei regimi socialisti.In un periodo di profonda crisi come questo l'attività minima può essere proprio quella edilizia: la costruzione di case popolari, di nuove carceri e di centri d'accoglienza per gli immigrati   realizzate da disoccupati, carcerati ed immigrati. Ognuno di questi con un diritto di prelazione sull'assegnazione di quello che ha contribuito a costruire.

Oggi la rendita immobiliare e finanziaria  ottengono una fetta troppo grande del PIL ed in qualche modo rendono più difficoltosa la vita di chi lavora. Una riduzione degli affitti  del 30/ 40%   consentirebbe a molti giovani lavoratori precari di tentare una vita autonoma e di provare a farsi una famiglia. Una seria concorrenza da parte di un'agenzia dello Stato a cui i  proprietari di appartamenti  potessero conferire i propri immobili per l'affitto, accettando  un reddito più basso in cambio della sicurezza del fitto e della piena disponibilità del bene, in caso di bisogno, sarebbe possibile e produrrebbe un effetto " calmiere"sul mercato. La stesa agenzia potrebbe utilizzare la manodopera di cui parlavo prima per avviare un importante piano di case popolari sul territorio o per ristrutturare allo  scopo parte del  patrimonio immobiliare pubblico.

Anche il settore finanziario deve essere maggiormente tassato su tutte le operazioni speculative, Si deve estendere anche in Europa e in Italia  il tentativo di riforma  che il progetto Volker sta realizando negli USA con la separazione dell'attività  d'investimento da quelle  commerciali e di erogazione del credito. Si deve dare respiro a tutti i titolari di operazioni di debito a mlt ristrutturando il capitale residuo  su tempi  significativamente più lunghi, predisponendo  un provvedimento  in tal senso  e riducendo il più possibile il tetto  massimo degli "spreads" applicabili  sui tassi di riferimento.

Per concludere   desidero sottolineare  come  l'economia e l'organizzazione sociale moderna  vedano nella sinergia fra impresa e Comunità –Stato  il circolo virtuoso per lo sviluppo.Altrettanto importante è la nostra collocazione internazionale.Siamo di fronte ad una società globalizzata e non possiamo  rinunciare all'unica possibilità che abbiamo oggi d'incidere in qualche modo, grazie all'appartenenza alla Comunità Europea. E' importante che si stabiliscano delle regole di reciprocità all'interno delle Nazioni, che si prendano opportuni accordi sulle regole dei commerci, sul rispetto dell'ambiente, sui diritti della persona e del lavoro per evitare  danni comuni e la concorrenza sleale.  Solo in una dimensione europea oggi possiamo sperare di avere una presenza   efficace nel mondo.

 

 

 

 

mercoledì 11 dicembre 2013

Con sudore e lacrime

Un nuovo corso per il PD, e speriamo anche per il nostro paese, inizia dal risultato delle primarie dell'otto dicembre 2013.

Dopo un anno d'attesa, Matteo Renzi conquista la carica di Segretario del più grande partito progressista italiano, con oltre il 67% dei voti ed un forte distacco rispetto ai suoi concorrenti: Cuperlo e Civati.

Il primo discorso del nuovo Segretario ha avuto i toni della determinatezza e della voglia di un cambiamento radicale, espressi con la forza di una giovane generazione che chiede di poter scrivere una propria pagina di storia.

Subito, un rinnovamento istituzionale e della politica che permetta il risparmio di un miliardo d'euro. L'abolizione del Senato, di metà dei parlamentari e delle Province. Subito, la riforma della legge elettorale. Subito, ancora, una riforma degli ammortizzatori sociali che consenta, finalmente, una tutela generalizzata per tutti coloro che rimarranno senza lavoro, insieme con un percorso di reinserimento. Subito, una sburocratizzazione della macchina statale, delle regole del lavoro ed un'ulteriore riduzione del cuneo fiscale che rendano una vita più facile per chi voglia fare impresa ed attirino maggiori investimenti dall'estero.

Sembra un quadro radicalmente nuovo della nostra politica, caratterizzata, da sempre, dal mantenimento di rapporti di forza alla fine paralizzanti e contrari ad ogni cambiamento.La situazione è grave e lo dimostra la presenza, proprio in questi giorni, di una diffusa e pesante protesta che un rinnovato movimento dei Forconi " rimpolpato" da altre associazioni, gruppi e categorie, sta portando in tutto il territorio italiano. I toni e le azioni di questi movimenti risultano pesanti per la vita dei cittadini e inutilmente radicali; come se, distruggere tutto o chiedere l'occupazione delle istituzioni (da parte di chi? E veramente a questo punto con quale legittimazione!) avesse una qualche possibile utilità sia per chi protesta che per il resto della popolazione.

Pesanti sembrano in questi giorni gli atteggiamenti di un'opposizione che, da Grillo a Berlusconi, civetta irresponsabilmente, per proprio calcolo, con certi atteggiamenti estremistici, antistituzionali ed antieuropeisti.

Quanto dovremo dolercene!?!

La strada del cambiamento realizzata attraverso la responsabilità, la partecipazione ed il duro lavoro, prospettata da Renzi ai suoi elettori ed al Paese, è certamente meno affascinante; ma, come sempre, non ci sono scorciatoie.

L'Italia ha bisogno di rialzare la testa, di ritrovare la strada della crescita, di riscoprire le proprie eccellenze ed offrire alle nuove generazioni la speranza di un futuro basato sulla dignità del lavoro, del merito e della persona.

Tutto questo non accadrà senza sforzo; ma, con sudore e lacrime.

 

 

 

venerdì 6 dicembre 2013

Problemi e vantaggi della rivalutazione delle quote della Banca d'Italia


 
Il decreto legge, a firma del Ministro Saccomanni, di fine novembre avente per oggetto la rivalutazione delle quote di Banca d'Italia, nonostante abbia ricevuto il consenso da parte del Senato, sembra suscitare osservazioni e perplessità non solo da parte di vari commentatori nazionali ma anche in sede internazionale.
 Il 5 dicembre Mario Draghi, interpellato sull'argomento, ha risposto che "l'opinione della BCE non è ancora stata adottata". Il parere consultivo della BCE, necessario comunque per poter procedere, sembra si sia fermato di fronte alle osservazioni in merito preannunciate da una Banca Centrale Nazionale dell'Eurozona. Il dibattito appare particolarmente critico in Germania, dove si fa presente che l'operazione rappresenterebbe un artificio contabile, che consentirebbe alle Banche italiane di beneficiare di migliori indici patrimoniali in vista dell'esame che nei prossimi mesi la BCE farà sul sistema bancario europeo, prima di iniziare la sua nuova opera di vigilanza diretta.
Vediamo in cosa consiste l'operazione e quali sono i problemi presenti.
Il decreto legge prende spunto dalle indicazioni contenute nel documento "Un aggiornamento del valore delle quote di capitale della Banca d'Italia", redatto con l'ausilio del Comitato d'esperti formato dai professori Franco Gallo, Lucas Papademos e Andrea Sironi. Lo stesso, oltre a determinare il possibile valore di rivalutazione delle quote di capitale in ca. 7 miliardi, utilizzando a tal fine una parte delle riserve statutarie, si preoccupa di sottolineare come sia necessario preservare il modello della Banca, caratterizzato dalla proprietà privata del capitale, che consente alla stessa di mantenere la piena indipendenza da possibili pressioni politiche ed istituzionali. La sua struttura di "governance", inoltre, garantisce che, a loro volta, i detentori delle quote non abbiano la possibilità d'influire sulla politica pubblica della Banca.
Il documento tuttavia sottolinea la necessità che l'assetto azionario vada rivisto per tre motivi:
a)      perché i processi di concentrazione avvenuti negli ultimi anni hanno accresciuto la percentuale delle azioni detenute dai gruppi bancari più grandi
b)      per evitare l'applicazione della legge n.262 del 2005, mai attuata, che pone il trasferimento allo Stato della proprietà del capitale della Banca. "L'equilibrio che per anni ha assicurato l'indipendenza dell'Istituto, preservandone la capacità di resistere alle pressioni politiche, non va alterato"
c)      per modificare le norme che disciplinano la struttura proprietaria, al fine di chiarire che i partecipanti non hanno diritti economici sulla parte delle riserve della Banca riveniente dal signoraggio, poiché quest'ultimo deriva esclusivamente dall'esercizio di una funzione pubblica (l'emissione di banconote) attribuita per legge alla banca centrale.
Ogni ambiguità su tale questione va rimossa, definendo con chiarezza i diritti economici.
 
Questi punti sono stati ripresi e in parte fatti propri dal provvedimento a firma Saccomanni e riassunto nel comunicato del Consiglio dei ministri che dice:
"Al fine di assicurare alla Banca d'Italia un modello di governance che ne rafforzi l'autonomia e l'indipendenza, nel rispetto dei Trattati Europei, il decreto legge stabilisce nuove norme riguardanti il capitale e gli organi dell'istituto.
La Banca d'Italia viene quindi autorizzata ad aumentare il proprio capitale mediante utilizzo delle riserve statutarie sino ad euro 7,5 miliardi. La Banca potrà distribuire dividendi annuali per un importo non superiore al 6% del capitale.
Ciascun partecipante al capitale non potrà possedere - direttamente o indirettamente - una quota di capitale superiore al 5%. Per favorire il rispetto di tale limite, la Banca d'Italia potrà acquistare temporaneamente le quote di partecipazione in possesso d'altri soggetti.
Il decreto amplia il novero dei soggetti italiani ed europei che possono detenere quote del capitale della Banca d'Italia. I soggetti autorizzati saranno quindi: banche, fondazioni, assicurazioni, enti ed istituti di previdenza, inclusi fondi pensione.
Per effetto di questa modifica normativa, le banche potranno essere autorizzate ad includere le quote nel patrimonio di vigilanza, rafforzandone la base di capitale."
L'urgenza del provvedimento, che il Governo intende rendere operativo entro l'anno, ha un effetto duplice: da un lato contribuisce all'obiettivo di una maggiore patrimonializzazione del sistema bancario italiano e dall'altro produce una possibilità d'incasso fiscale immediato allo Stato d'importo rilevante (ca. 1 miliardo), tassando le plusvalenze realizzate dalla banche. Queste, dal canto loro, non avrebbero il vantaggio costituito solo dalla rivalutazione delle quote possedute; ma, otterrebbero nel tempo una maggiore remunerazione del capitale grazie a dividendi che potrebbero arrivare a ca. il 6% del patrimonio della banca e cioè ca. 420 milioni di euro. C'è poi la questione del limite del 5% al possesso di quote di proprietà del capitale della Banca.
Nell'allegato al documento succitato sono elencate le partecipazioni presenti alla data del 15 luglio da cui si evince che attualmente i seguenti istituti superano la quota del 5%: Banca Intesa che detiene il 30,30%, Unicredit il 22,10 %, Assicurazioni generali 6,30, Cassa Risparmio di Bologna (Gruppo Intesa) 6,20%. Per mantenere pertanto il tetto del 5% i suddetti istituti dovranno cedere le quote in eccedenza e qui viene in loro soccorso il decreto legge che prevede la possibilità per la Banca d'Italia di riacquistare provvisoriamente queste quote, provvedendo poi a piazzarle sul mercato.
E' anche per questo motivo che Saccomanni ha sottolineato più volte il nuovo carattere da " Public Company" assunto dalla Banca d'Italia, con quote cedibili e appetibili dal mercato grazie anche al loro rendimento. Da questa cessione il Gruppo Banca Intesa dovrebbe ricevere in prima battuta da Banca d'Italia qualcosa come ca. 2,2 miliardi; mentre, Unicredit ca. 1,2miliardi. Come avverrà il pagamento? S'iscriverà come rapporto di debito/credito in attesa del perfezionarsi della ricollocazione delle quote possedute a quel punto da banca d'Italia sul mercato?In ogni caso, fino a quel momento, non può non considerarsi un effetto negativo immediato sull'ammontare del debito pubblico. Rimane discutibile inoltre il fatto che a beneficiare particolarmente di un aumento di risorse saranno due dei maggiori gruppi bancari italiani a fronte di acquisti da parte dei loro concorrenti. Chi saranno poi gli acquirenti? Sarà possibile mantenere un carattere nazionale o almeno europeo dell'Istituto?
Si pongono inoltre immediatamente alcune altre osservazioni:
1)      A che serve mettere a rischio la nazionalità dell'Istituzione? Siamo certi che il carattere privato della proprietà escluda possibili rischi d'influenza sull'azione per esempio di vigilanza, anche se questo processo sta per essere accentrato dalla BCE ?
2)      Perché dare un tale livello di dividendi (sino a 420 milioni di euro) ai privati? Utili che sono connessi allo svolgimento di un'attività pubblica?
3) perché non si definiscono con chiarezza i valori della Banca e quelli in custodia?
 
Forse si sarebbe dovuto affrontare il problema con maggiore tranquillità e senza la fretta di dover provvedere alla copertura immediata di provvedimenti promessi ( IMU?) o del livello del deficit pubblico.
 
 
 
 
 
 
 
 
 

domenica 10 novembre 2013

BCE e credito alle imprese

 

 

La recente misura, di riduzione del costo del denaro allo 0,25%, stabilita dalla Banca Centrale Europea   è stata vista con generale consenso da parte di tutti gli osservatori. E' il livello più basso, mai attuato in ambito europeo, e testimonia la volontà della BCE di tentare, in ogni modo, di dare una spinta alla crescita, spezzando le prospettive di una sostanziale stagnazione del sistema economico.

Dopo le precedenti manovre LTRO,   è possibile che questa misura sia preparativa di una nuova operazione che tenti di arrivare questa volta al finanziamento delle imprese.

Il sistema bancario, ed in special modo quello dei paesi del Sud Europa, ha, infatti, poco utilizzato le passate operazioni per allargare il credito alle imprese; utilizzandolo, al contrario, da una parte per intervenire in aiuto della collocazione del debito pubblico dei singoli Stati nazionali e dall'altro per tamponare i propri problemi d'immediata liquidità, riducendo il costo della provvista.

Il mercato interbancario è ancora  troppo condizionato dal rischio Paese ed il  Credit Default Swap  delle Banche  del Sud Europa  condiziona fortemente il loro costo della provvista.

L'alto livello di rischiosità dei finanziamenti, legato alla difficoltà generale del quadro economico, scoraggia poi l'erogazione del credito, con un ulteriore effetto depressivo sull'attività delle imprese

Tre problemi   si pongono quindi perché il sistema bancario  ritorni a svolgere un ruolo di grande polmone del credito e quindi della ripresa economica  dell'area:

 

1)    il prezzo della provvista;

2)     il problema della consistenza patrimoniale e dell'adeguato rapporto fra volume complessivo dei prestiti   e la riserva d'obbligo prevista sia dai criteri di Basilea che dall'EBA;

3)    rischiosità del prestito, all'interno di un  quadro di riferimento economico difficile, e obbligo di allargare i criteri di concessione (ad esempio anche in presenza di perdita  economica dell'esercizio precedente), tendendo conto dell'obiettivo del rafforzamento dell'equilibrio finanziario delle imprese

 

La possibile decisione di una nuova operazione di finanziamento della BCE al sistema bancario, a tassi ulteriormente ridotti  e finalizzato al prestito alle imprese,  può essere importante per aggirare il problema complessivo del costo della provvista;  ma; perché questo  costo ridotto possa arrivare sino al finanziamento dell'impresa e del consumo, è necessario che la Banca  possa  avere quei parametri patrimoniali che le consentano di operare.

Pensare di sottostare ai tempi di una progressiva patrimonializzazione, avrebbe dei tempi troppo lunghi per essere efficaci.

La strada alternativa può essere quella di combinare il prestito della BCE al sistema bancario a quello, ben maggiore,  nei confronti di un organismo europeo  in grado a suo volta di erogare direttamente il credito alle imprese: La Banca Europea degli Investimenti.

La stessa, oltre a ricevere direttamente un prestito  dalla BCE, dovrebbe a sua volta godere di un'adeguata ricapitalizzazione da parte del bilancio europeo  per consentirle di assumere i rischi d'insolvenza legati alla concessione del credito.

Prendendo ad esempio le modalità dell'ultima operatività della legge 488 in Italia, con le modifiche suggerite dall'allora ministro Tremonti, si potrebbe ipotizzare che, fatto cento l'ammontare complessivo del finanziamento da concedere ad un'impresa di un qualsiasi Paese europeo,  il 60% venga erogato direttamente dalla BEI, al tasso agevolato concesso dalla BCE più lo 0,25%, condizionato   all'erogazione d'ulteriore  finanziamento concesso in proprio dalla Banca a cui il cliente finale si è rivolto, per il rimanente 40%.

Tale Banca agirebbe pertanto  come valutatore complessivo del cliente ma avrebbe a proprio carico solo  il rischio relativo alla  parte del finanziamento erogato. Potrebbe  utilizzare inoltre  il prestito messole a disposizione dalla BCE a tasso particolare.A fronte di tale utilizzo, la Banca  avrebbe  l'obbligo di applicare uno scarto a proprio favore compreso fra lo 0,50%. e il 2%, in base alla rischiosità del cliente

Dal punto di vista patrimoniale questo 40%, a rischio pieno della Banca, potrebbe essere ridotto ulteriormente con l'intervento  ad esempio di Fondi di garanzia messi a disposizione dai singoli Stati nazionali. Tale intervento ridurrebbe la necessità della riserva d'obbligo, in quanto il rischio coperto dal  suddetto Fondo di garanzia  verrebbe conteggiato a valore zero.

Ipotizzando ad esempio un intervento del 50% di un Fondo di  garanzia, il rischio a carico della Banca sul finanziamento, posto 100, che arriva all'impresa, sommando quello della BEI più quello della stessa Banca, sarebbe in realtà del 20%.

A fronte di questo ammontare, la riserva d'obbligo necessaria non supererebbe prudenzialmente in ogni caso il 15%.

In sostanza, l'impegno del patrimonio della banca  del singolo Stato nazionale, a fronte di un finanziamento complessivo per un'impresa pari a 100, sarebbe di ca. il 3%.

Presumibilmente l'impegno reale finanziario per il singolo Stato nazionale, a fronte del possibile rischio d'insolvenza dell'operazione garantita, potrebbe ammontare allo stesso 3%.

Se ipotizzassimo pertanto un operazione di complessivi mille miliardi  il peso sui diversi Stati nazionali dell'area euro ammonterebbe a complessivi ca. 30 miliardi.

Lo stesso potrebbe essere considerato in termini di patrimonializzazione per il sistema bancario;  mentre, il peso più grosso  andrebbe a carico della BEI. Anche in questo caso,  considerato un necessario incremento del patrimonio responsabile pari al 15%  del rischio a carico, l'intervento  a carico del bilancio comunitario sarebbe di  ca. 105 miliardi,  che porrebbero essere recuperati   attraverso un'adeguata rimodulazione  dei fondi stanziati. 

E' una strada possibile? Noi pensiamo di si,  Anche se non semplice e priva di difficoltà e di possibile resistenze. Soprattutto, consentirebbe all'intero quadro economico europeo di ritornare ad usufruire di una spinta propulsiva da parte del credito  per l'investimento, oggi paralizzato dai problemi suesposti.

La ripresa della domanda aggregata  sospinta in primo luogo dagl'investimenti produttivi e quindi dall'occupazione conseguente e dalla ripresa dei consumi  potrebbe spezzare il circolo vizioso in cui siamo entrati. Tutto ciò è realizzabile con l'impegno di tutti ed avrebbe  il pregio di non prescindere dall'assunzione del rischio e della responsabilità da parte d'ogni singolo attore del processo.

 

 

 

venerdì 1 novembre 2013

Alcune questioni del dibattito politico

 

 

Quando, in una qualsiasi situazione, la classe dirigente perde la sua autorevolezza, si crea, inevitabilmente, un vuoto di potere e di proposta. Spesso, non è che, a questo punto, all'interno della popolazione e nel dibattito politico si presentino solamente soluzioni ragionevoli, volte al superamento dei problemi comuni; al contrario, quello che accade spesso è la perdita del senso dell'appartenenza ad una stessa comunità e l'arroccamento in un corporativismo antagonista.

 L'un contro l'altro armati, con un atteggiamento sostanzialmente persecutorio.

Nessuna capacità di crescita a partire dall'individuazione e superamento dei limiti della comune organizzazione sociale; bensì, l'individuazione, di volta in volta, delle persone o delle situazioni responsabili del nostro malessere. In tutto questo, spesso vengono individuati problemi reali; ma, quello che tende ad essere disconosciuto è il patto sociale all'interno di cui muoversi. Non a caso, ogni giorno vediamo, da parti anche diverse e su posizioni contraddittorie, il continuo richiamo al cambiamento della Costituzione. Vale a dire del patto fondativo della nostra comunità. Le tavole della legge, direbbe Mosè agli adoratori del " vitello d'oro".-

In base a quale nuova immagine comunitaria, condivisa si dovrebbe procedere a questa modifica?

E' del tutto evidente che il progetto di una nuova comunità, i cui valori fondanti siano comunemente condivisi, è totalmente assente e diventa pericoloso, oltre che fuorviante, pensare che, attraverso un'accelerazione del cambiamento costituzionale, si possano risolvere problemi come il rapporto fra cittadini ed Istituzioni o l'individuazione di nuovi principi di cittadinanza.

Il dibattito invece rischia di scivolare allegramente verso il superamento dello Stato di diritto e dei principi che garantiscono le minoranze; oltre che   tutti coloro che sono individuati come responsabili d'ogni problema dal delirio d'onnipotenza della maggioranza.

D'altra parte è tuttavia vero che i problemi del nostro paese si aggravano, l'azione del Governo appare indecisa ed insufficiente, condizionata com'è dalle diverse appartenenze.

Non si riesce a trovare l'accordo su quella che era stata indicata da Napolitano come una delle prime riforme d'attuare: quella elettorale. Riforma necessaria per garantire la governabilità e la scelta del personale politico da parte degli elettori. In assenza, il pericolo del ritorno alle urne è che questo avvenga riproponendo l'attuale situazione d'ingovernabilità e continui a concedere alla classe dirigente dei partiti la possibilità di scegliere i candidati, operando un forte condizionamento sugli stessi.

La riforma tarda a materializzarsi; ma, nel frattempo. di fronte alle difficoltà del Governo a trovare i mezzi finanziari per attuare politiche efficaci, il dibattito si sta indirizzando con larghi consensi da  più parti politiche verso due questioni che mi sembrano fuorvianti.:

a)      utilizzo della possibile dismissione del patrimonio pubblico per finanziare  le manovre economiche

b)       condanna delle pensioni " retributive" indicate come responsabili di una voragine nei conti dello Stato e proposta di una revisione della materia  anche col possibile superamento d'eccezioni d'incostituzionalità.

 

Sul primo punto, presente sia all'interno dell'azione del Governo che nelle dichiarazioni di diverse personalità politiche come Renzi, il dissenso nasce dall'utilizzare la riduzione di un'attività patrimoniale non per  abbattere contemporaneamente  il passivo e cioè il debito pubblico ma per fare cassa da utilizzare in conto economico. Questo è un principio finanziario utilizzabile solo nel caso in cui fosse presente un'eccedenza dell'attivo  immobilizzato rispetto al passivo consolidato. Non è il caso Italiano. In questo caso  l'utilizzo della dismissione del patrimonio pubblico  per fare cassa sarebbe un vero e proprio depauperamento. Il patrimonio pubblico va invece utilizzato per ridurre rapidamente il più possibile dello stock del debito ottenendo maggiori disponibilità economiche correnti grazie al risparmio sui relativi costi finanziari. Si può immaginare  una dismissione immediata, ad esempio, delle case popolari, dandole in opzione agli attuali occupanti  e facilitandoli con mutui della CDP con un  costo pari a quello della raccolta e data quarantennale.Si potrebbero utilizzare immobili, con caratteristiche compatibili,  per trasformarli in ulteriori alloggi da destinare alla vendita. Si potrebbero dare ampi poteri,  per la modifica della destinazione d'uso e la ristrutturazione, ad una società di gestione creata  con lo scopo di valorizzare e vendere il patrimonio pubblico, consentendo  l'ingresso azionario anche ai privati.

Per quanto invece riguarda il secondo punto, c'è da dire che la scoperta dell'insostenibilità del sistema di pensioni retributivo non è una cosa odierna, ma rappresenta la motivazione  che sta alla base di tutte le modifiche di legge apportate, fino all'ultima realizzata da Elsa Fornero. Trattandosi di un terreno delicato e che coinvolge la vita e le aspettative di milioni di persone, il passaggio e la riforma sono state  graduali. Questa scelta è nata dal dovuto rispetto verso diritti consolidati e per il fatto di dover agire in corso d'opera  su persone che potevano aver preso impegni e programmato la propria vita sulla base di quanto era stato stabilito dalle leggi dello Stato. Il criterio seguito fu di prendere come base per il calcolo della pensione  l'anzianità contributiva maturata  alla data del 31/12/1995.
 Da quel momento, la pensione viene  calcolata con il sistema di calcolo contributivo per i lavoratori privi di anzianità al 31/12/1995 (e per coloro che esercitarono la facoltà di opzione al sistema di calcolo contributivo) mentre  viene calcolata con il sistema retributivo per tutti coloro che a quella data avevano maturato almeno 18 anni.Dal 1° gennaio 2012, anche a  questi ultimi lavoratori verrà applicato il sistema di calcolo contributivo sulla quota di pensione corrispondente alle anzianità contributive maturate a decorrere dal 1° gennaio 2012. La riforma Fornero, intervenendo anche  con lo spostamento  in avanti  nel tempo dei requisiti per l'entrata in pensione, ha permesso all'Italia di raggiungere una delle sostenibilità migliori del sistema pensionistico all'interno del quadro  europeo.

Quando nel dibattito pubblico,  da Renzi a Civati fino alla Meloni o ad altri esponenti di tutte le correnti politiche,  si critica il privilegio e l'anomalia del sistema pensionistico retributivo,  come se se ne capisse improvvisamente l'insostenibilità; mi sembra che si faccia un 'operazione almeno ritardata di qualche anno. Se si entra nel merito della spesa, è vero che esiste una differenza fra la somma dei contributi versati e i corrispettivi prevedibili che si andranno a corrispondere. E' vero ancora che tutto questo andrà inevitabilmente a carico della fiscalità generale . La questione è tuttavia  parte   delle problematiche presenti nel nostro quadro di riferimento come gli eccessivi costi della politica, la presenza di stipendi  dirigenziali che hanno raggiunto livelli eccessivi  rispetto  al salario operaio ecc ecc. Quello che tuttavia non è fattibile è ritenere di poter procedere senza tener presente la certezza del diritto . E' auspicabile una riqualificazione della spesa pubblica  verso il sostegno delle parti più deboli; ma, bisogna procedere in modo da tenere presente la vita delle persone , i loro impegni e le leggi che ne hanno regolato e ne regolano le attività.In questo senso  perché mai è meno onerosa per la comunità una pensione retributiva rispetto allo stipendio di un magistrato o di un senatore? Qualcuno di noi potrebbe mai desiderare la riduzione dello stipendio di un lavoratore a tempo indeterminato che ha raggiunto un'anzianità di lavoro significativa? No! Il metodo da seguire è diverso e si può realizzare  cristallizzando  la sua retribuzione  , riservandola "ad personam" e riducendo la retribuzione della mansione  a partire dai nuovi addetti .Allo stesso  tempo sarebbe  bene   imputare all'assegno ad personam tutti gli eventuali scatti di carriera e promozioni che si dovessero ottenere da quel momento in poi   fino alla concorrenza dell'importo usufruito. Il problema delle pensioni e degli stipendi d'oro non può poi essere risolto con provvedimenti limitati ad una sola categoria,  privi della necessaria eguaglianza di fronte alla legge , in flagranza di retroattività e sostanzialmente incostituzionali.

No! Semmai, l'unica strada possibile da seguire è quella di chiedere  a tutte le retribuzioni elevate un maggior sacrificio fiscale attraverso un'aumento della progressività dell'imposizione. Tutte le persone con un reddito elevato  comincino a pagare, per la parte eccedente i 75.000 euro, il 60% di aliquota  IRPEF. Il tutto, a parità del peso dell'imposizione fiscale complessiva sul PIL, permetterebbe un trasferimento di risorse di oltre sei mld a favore del lavoro e dell'impresa. In particolare, permetterebbe un'adeguata riduzione del cuneo fiscale per le aziende, aumentandone la competitività complessiva  e consentendo quindi di poter recuperare posizioni sia sul mercato estero che nazionale, facendo ripartire  gli investimenti e l'occupazione . Non è poco e soprattutto sarebbe realizzato all'insegna dell'equità.

 

martedì 15 ottobre 2013

Attualità e condizioni dello Stato imprenditore


Una ripresa consistente dell'economia italiana può fare a meno del ruolo decisivo, svolto in tutta la storia del Novecento, da parte dell'intervento pubblico?
Come non ricordare il ruolo svolto dall'IRI- Istituto per la Ricostruzione Industriale, nato nel 1933 per iniziativa di Benito Mussolini durante l'epoca fascista, sotto la guida d'Alberto Beneduce, nel salvataggio delle principali Banche Italiane e nel sostegno del nostro sistema industriale?
L'IRI diventò così proprietario di oltre il 20% dell'intero capitale azionario nazionale controllando quasi l'intera industria degli armamenti, larga parte dell'industria delle telecomunicazioni e della produzione d'energia elettrica (Edison fu poi ceduta ai privati nel 1937), una larga quota della siderurgia civile e del settore delle costruzioni navali e della navigazione.
Anche nel dopoguerra, l'IRI svolse un ruolo significativo.
Dapprima, sotto la spinta di Oscar Sinigaglia realizzò un importante piano di sviluppo dell'industria di base e delle infrastrutture, all'interno di una sinergia, una " divisione dei compiti" con il settore privato. Si realizzo quasi una forma di cooperazione fra capitale pubblico e privato che fu alla base anche di quello che fu chiamato il "miracolo economico italiano". Molte aziende del gruppo avevano una composizione sociale mista con capitale pubblico e privato; inoltre, si utilizzo massicciamente il prestito obbligazionario a medio lungo termine ampiamente sottoscritto dai risparmiatori.
Fu solo successivamente che, con l'avvento alla guida dell'Istituto del democristiano Giuseppe Petrilli, che ne fu Presidente dal 1960 al 1979, fu teorizzato un ruolo dell'impresa e dell'investimento pubblico più legato agli obiettivi di finalità sociale generale, anche quando questi si presentavano come non economici e generatori di cosiddetti " oneri impropri".
Questo discostarsi da un criterio di "economicità" della gestione dell'impresa pubblica ebbe sicuramente l'effetto di consentire il salvataggio di realtà industriali in difficoltà, d'intervenire nelle zone sottosviluppate del paese e di contrastare i fenomeni di disoccupazione, accrescendo geometricamente l'occupazione pubblica. I dipendenti IRI superarono nel 1980 le 550.000 unità. Gli oneri impropri insieme alle congiunture economiche sfavorevoli, connesse alle crisi petrolifere, aumentarono tuttavia a dismisura l'indebitamento complessivo dell'IRI, che fu infine sostenuto con il debito dello Stato Centrale. La gestione antieconomica portò gli azionisti privati a ritirarsi progressivamente dalle aziende partecipate e tutto questo aprì poi la porta all'epoca delle privatizzazioni con la conseguente liquidazione dell'ente e di quell'esperienza.
C'è da chiedersi quindi se il criterio dell'"economicità" della gestione dell'impresa pubblica non sia, al contrario, una delle condizioni essenziali perché l'intervento dello Stato, come imprenditore, possa continuare a svolgere quel ruolo propulsivo necessario nei grandi passaggi epocali dello sviluppo economico di una nazione ed in tutte le situazioni in cui siamo alla presenza di un'inadeguatezza se non addirittura di una situazione di " fallimento" del mercato e dell'iniziativa privata.
Aveva ragione forse il grande economista liberale Luigi Einaudi ad affermare che: "L'impresa pubblica, se non sia informata a criteri economici, tende al tipo dell'ospizio di carità".
Una gestione dell'impresa pubblica e dell'intervento dello Stato volta ad assorbire imprese decotte, a sostenere occupazione improduttiva, strutturalmente squilibrata dal punto di vista finanziario e occupata dai managers vicini ai potenti politici di turno non è per niente inevitabile.Esiste un'altra strada ed è quella indicata dai primi anni della gestione IRI e dalla figura di E.Mattei all'ENI .
 
Anche l'impresa pubblica deve sottostare ai criteri di economicità, come qualsiasi altra impresa. Bisogna avere un piano progettuale realizzabile, un Business Plan accuratamente predisposto, seguito e modificato opportunamente in relazione alle difficoltà incontrate.Una gestione finanziaria altrettanto attenta, equilibrata e sostenibile.
Abbiamo ancora delle importanti imprese pubbliche che vanno rafforzate e seguite con la dovuta attenzione. Non è certo operando la loro privatizzazione che si risolvono i problemi della nostra economia. Al contrario, anzi in alcuni casi, senza l'opportuna liberalizzazione del settore, si mantiene una situazione di mercato squilibrata ed alla fine negativa.
Una delle maggiori responsabilità della cattiva politica è che non solo ha occupato lo Stato e le sue partecipazioni; ma, ha consentito ed incoraggiato una sinergia poco "corretta" con l'imprenditoria privata ", privandola del coraggio necessario e dell'attenzione assidua che nasce dal mettere in gioco i propri capitali e le proprie prospettive in una visione di mercato competitiva.
In alcuni casi, godendo di una situazione protetta, il vero business è stato quello di speculare sulla plusvalenza fra l'acquisizione e la cessione delle quote sociali.
In conclusione, mi sembra sempre più evidente che il criterio di economicità e la progettazione imprenditoriale siano ancora più essenziali per ogni impresa, specie nel settore d'intervento pubblico, così come sono necessari tutti i vari controlli durante il percorso del piano industriale.
Come realizzarlo, in considerazione del pericolo della continua intromissione della politica in tutte le aziende pubbliche?
E' questo il vero problema: la separazione assoluta dei managers dai politici, la capacità di attrarre il merito, quella di realizzare una struttura delle retribuzioni e delle carriere legata esclusivamente ai risultati economici delle imprese. Con quali tetti e limiti? Chi dovrà sedere nei consigli di amministrazione, chi dovrà avallare o valutare le scelte dei managers ed i risultati aziendali? All'interno di quale piano complessivo? Bisognerà ritornare ad una progettazione almeno decennale dell'intervento pubblico all'interno di cui dovrebbe trovare coerenza il singolo Business Plan aziendale?
Ma se si riuscisse ad operare in tal senso, quale sarebbe la necessità di operare con l'intervento dello Stato e dell'impresa pubblica, se alla fine  quasi niente la distinguerebbe da quella privata? Perché quindi non operare  solo con delle opportune facilitazioni ed incentivi, per far conseguire al mercato e all'imprenditoria privata  gli obiettivi strategici nazionali?
Vi sono probabilmente almeno una serie di motivazioni che ci consentono di ritenere utile l'intervento diretto dello Stato come imprenditore:
1) la possibilità di operare investimenti con tempi di ritorno lunghi e quindi complessivamente meno attraenti per un privato.
2) la possibilità che, proprio per questo motivo, l'intervento sia orientato verso settori molto avanzati e su cui sono necessari importanti interventi infrastrutturali (dalla dimensione finanziaria elevata e dal carattere generale. Ad esempio quello che fu il ruolo dello Stato Federale USA nel settore  aerospaziale e successivamente nella realizzazione delle cosiddette " autostrade" informatiche)
3)la necessità di operare all'interno di una situazione di precedente fallimento di mercato cercando di rimuoverne le problematiche.
4) la necessità di recuperare gap su settori importanti dell'economia mondiale ma che richiedono interventi talmente massicci che forse solo una rete d'imprenditori privati ( chi li organizzerebbe?) avrebbe la possibilità di realizzare ma che sicuramente è nelle possibilità del settore pubblico.
5) la possibilità di rimettere in piedi realtà in evidente difficoltà di mercato  che si ritengono recuperabili ed utili in una politica di sviluppo nazionale complessiva.
Vi sono pertanto sufficienti ragioni per  non privare l'azione politica del Governo dalla possibilità dell'utilizzo dell'intervento pubblico dello Stato come imprenditore. L'importante è che si realizzino le condizioni di economicità della sua gestione.
 
 
 

giovedì 3 ottobre 2013

Idee per il Congresso PD


Il prossimo Congresso del Partito Democratico avverrà in un momento decisivo della storia del nostro Paese in cui tutti dobiamo misurarci con i problemi connessi ad un mondo che sta rivedendo al suo interno la divisione internazionale del lavoro , il rapporto fra lavoro e capitale , fra produzione e finanza e che si sta misurando anche sui concetti generali di eguaglianza , di libertà ,di rispetto dell'ambiente e dei diritti della persona .
Lo stesso sistema di welfare ed il ruolo attivo dello Stato nell'economia sono stati oggetto di profondi ripensamenti relativamente  alla loro sostenibilità  e validità. Spesso,  negli  ultimi anni si è progressivamente  affermata nel mondo  una risposta  a questi problemi di tipo neoliberista tendente ad ottenere una riduzione del welfare , dei  vincoli e dei controlli sulle attività e della stessa macchina dello Stato .
Queste argomentazioni non sono state solo l'espressione dell'interesse di lobbies potenti ma in qualche modo hanno ottenuto anche un determinante appoggio popolare su cui dovremmo tutti riflettere. Troppo spesso la presenza dello Stato è apparsa troppo farraginosa , burocratica e concentrata sulla tutela dei privilegi dei suoi appartenenti. Troppo spesso l'occupazione della macchina statale da parte della politica ha fatto vedere lo Stato come uno strumento di potere sui cittadini e non, al contario, come uno strumento di tutela degli stessi. Tutto ciò è naturalmente eccessivo e non fa giustizia dell'immensa utilità ed azione positiva svolta; truttavia, fa capire su quale malcontento si sia diffuso il concetto di richiesta di riduzione del peso dello Stato all'interno della società. .
Tutto questo inoltre assume connotati drammatici quando il peso dell'imposizione fiscale rischia di distogliere risorse necessarie e fondamentali per lo sviluppo della libera iniziativa e quando una significativa parte di questa imposizione viene utilizzata per il pagamento del servizio del debito. pubblico.
Il PD si trova pertanto nella necessità di dare delle risposte significative su questo ordine di problemi di carattere interno ma anche di collocazione del nostro paese in un mondo in un sempre più rapido cambiamento.
La crisi economico –finanziaria mondiale è stata tremenda e ci ha costretto a rivedere i nostri modelli di vita e di comportamento. La crisi ci ha insegnato che se si vogliono migliorare le condizioni generali del mondo in cui viviamo , non possiamo accettare supinamente le caratteristiche con cui si è realizzato lo sviluppo economico mondiale degli ultimi anni. Alcuni modi di vita. i rapporti di ricchezza fra le nazioni , il rapporto con l'ambiente, le priorità ed i bisogni. vanno cambiati . Alcune cose vanno valorizzate ed altre ridotte  per realizzare la "crescita felice" del mondo che ci circonda in un equilibrio migliore e con un ruolo da protagonista per il nostro Paese.
Non possiamo che ripartire dai  valori fondamentali : " Eguaglianza e dignità della persona, compreso il suo diritto al mantenimento di un welfare che assicuri alcuni beni fondamentali di civiltà e di tutela minima del cittadino quali la salute, la casa, la giustizia, l'istruzione, il lavoro.
Per consentire la ralizzazione di questi obiettivi lo Stato e la politica devono favorire in ogni modo lo sviluppo dell'impresa e del lavoro assicurando il realizzarsi della libera iniziativa , delle pari opportunità , del merito e rimuovendo opportunamente i limiti che situazioni di monopolio,di ricchezza familiare, di lobbies e corporazioni o di delinquenza organizzata possono frapporre. Con la stessa determinazione tuttava vanno riaffermati i principi generali di solidarietà, di riduzione delle ineguaglianze ed il valore fondativo di qualsiasi comunità : che  " nessuno resti escluso".
Il PD deve altresì ribadire con forza una vocazione nazionale che guardi all'istruzione permanente, ricerca, ambiente, difesa del territorio, valorizzazione dei beni culturali, rilancio del turismo.
Particolare attenzione deve essere rivolta ad un programma pluriennale di sviluppo della ricerca ed innovazione (in collaborazione fra strutture pubbliche e private), che permetta una strategica ripresa di competitività delle imprese italiane
Dobbiamo inoltre porci con determinazione e fermezza all'interno di un movimento europeo dei partiti progressisti per realizzare l'affermarsi di pari condizioni di lavoro,d'investimento e di cittadinanza su tutto il territorio europeo in un'ottica di superamento delle differenze nazionali.. .
All'interno di questa prospettiva strategica il PD deve lanciare al Paese un messaggio chiaro di cambiamento sulla base del quale chiedere la possibilità e la responsabilità di governo:
a) lotta senza quartiere alla criminalità organizzata e ad ogni forma di corruzione . All'interno di questo punto va portata avanti una riforma della giustizia che miri al ragiungimento dell'obiettivo della maggiore rapidità ed efficacia. Va considerato inoltre la possibilità di un inasprimento delle pene e di maggiori poteri alle forze dell'ordine oltre ad un maggiore coordinamento fra le stesse.
b) forte progressività dell'imposizione fiscale sui redditi con l'introduzione di diversi scaglioni oltre i 75.000 euro e riforma della tassazione sulle rendite finanziarie all'interno di un sostanziale mantenimento inalterato della complessiva  incidenza fiscale sul PIL In un momento in cui la necessità di risorse per il paese si fa urgente bisogna che il peso della contribuzione ricada su chi ha maggiori possibilità.E' da considerare anche un inasprimento dei costi di utilizzo delle strutture pubbliche oltre determinati livelli di reddito. Relativamente alla tassazione delle rendite va considerata una distinzione fra i proventi da rendita immobiliare e da investimenti in attività direttamente produttive da quelli relativi a plusvalenza finanziaria e interessi su depositi e prestiti.In particolare va prestata maggiore  attenzione alla tassazione sui profitti derivanti da operazioni speculative (ad esempio una tassazione secca sugli utili attualizzati ottenuti dalle istituzioni finanziarie su operazioni su derivati, plusvalenze su operazioni di borsa prive del sottostante, ecc. ecc.) Siamo contrari alla soppressione dell'imposta patrimoniale oggi esistente ( IMU) ma semmai siamo favorevoli all'allargamento di una possibile detrazione per la prima casa. Riguardo all'aumento dell'IVA potrebbe essere realizzata una riarticolazione dei  pesi al suo interno
c) utilizzo di tutte le risorse per abbattere il cuneo fiscale sul lavoro, estendere le misure a favore delle assunzioni a tempo indeterminato dei giovani estendendone l'età fino a 40 anni e recuperare condizioni di competitività immediata per le imprese Ci esprimiamo favorevolmente per l'introduzione del contratto unico d'ingresso a garanzia progressiva( Boeri-Garibaldi) ,per la riforma e semplificazione del diritto del lavoro ( cfr progetto di legge a firma Ichino ed altri) e per l'introduzione di un salario di cittadinanza a favore dei disoccupati di lunga durata , scaduti i termini temporali previsti per l'ASPI: Il salario andrebbe erogato previo impegno dei beneficiari a seguire i percorsi di formazione proposti dalle apposite strutture per l'impiego, a svolgere eventuali lavori di pubblica utilità e a non rifiutare eventuali proposte di lavoro pena decadenza dal trattamento .Il finanziamento del salario di cittadinanza e delle struture dell'impiego non va considerato esclusivamente a carico dello Stato ma anche di apposito fondo costituito pareteticamente da imprese e lavoratori.
d) riforme strutturali e liberalizzazioni a costo zero ( semplificazione burocratica ecc.)
e) programma di valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico e sua programmata dismissione da destinare all'abbattimento del debito.
f) immediata riforma della legge elettorale per ridare ai cittadini la scelta del personale politico . In tale campo va riconfermto il principio della separatezza di tale riforma da quella di una revisione delle forme istituzionali . Effettiva sovranità popolare che implica una legge elettorale in cui valga solo il voto del cittadino e in cui ogni voto abbia eguale peso. In tal senso, non gli sbarramenti e i premi, ma il collegio uninominale a doppio turno conciliano la vera libertà di voto con la possibilità di chiare maggioranze e con l'alternanza.
g) Ulteriore rifinanziamento del Fondo di garanzia per le PMI  e rimozione degli ostacoli e delle problematiche connesse alla ricapitalizzazione del nostro sistema bancario compreso il ridimensionamento del ruolo e potere delle Fondazioni Bancarie.Realizzazione diretta  da parte dello Stato  con una rete d'imprese e d'investitori nazionali ed esteri dieci progetti pilota ( anche in forma di project financing) volti a creare occupazione ed intervenire nei settori ritenuti strategici della nostra economia.
RIFONDAZIONE ORGANIZZATIVA DEL PARTITO
In un momento così difficile della storia italiana occorrono scelte nette e riforme radicali che facciano uscire il nostro Paese dal declino economico, morale e civile in cui è caduto e consentano di superare la frattura creatasi tra i partiti e la società civile, che non si sente più adeguatamente rappresentata.
All'interno di questo processo, riteniamo che il Partito Democratico possa e debba svolgere un ruolo decisivo, rivedendo e rielaborando la propria funzione, stimolando la partecipazione del cittadino alla vita politica e democratizzando la vita interna del partito.
Crediamo nella mobilitazione cognitiva non come ennesima formula elegante ma come ispirazione che metta in moto nella realtà dei circoli l'intelligenza collettiva oggi compressa e dispersa.Pensiamo ad una nuova struttura del partito fondata su una maggiore partecipazione degli iscritti e con la opportuna valorizzazione del web come base di garanzia per la democraticità del processo di leadership e comunque per il controllo sul suo programma.
Nei confronti della società civile deve essere chiaro che il partito non cerca il monopolio dell'espressione e dei canali di partecipazione del cittadino, che devono potersi sviluppare liberamente nelle associazioni, in rete ecc., bensì aspira a collocarsi fra loro come forza stimolante e creativa
Il percorso di rappresentanza all'interno degli organismi di livello superiore, sino all'assemblea nazionale, dovrebbe essere formato esclusivamente dai rappresentanti eletti dai circoli territoriali, di settore e/o ambiente e online. Via via i rappresentanti dovrebbero a loro volta scegliere, mediante candidature, gli elementi più rappresentativi per i livelli superiori sino alla composizione dell'Assemblea Nazionale dove viene eletto il solo Segretario con il metodo delle primarie, mentre la Direzione Nazionale dovrebbe essere composta da membri eletti all'interno dall'Assemblea Nazionale. Il metodo delle liste legate ai candidati alla Direzione dei vari livelli provinciale, regionale e nazionale va eliminato perché inevitabilmente comporta il prevalere nel partito del metodo della cooptazione nella composizione della classe dirigente e lo sviluppo delle correnti piuttosto che lo sviluppo del confronto all'interno delle strutture del partito Dell'Assemblea Nazionale potrebbero far parte, come previsto anche oggi, elementi scelti in rappresentanza dei parlamentari.
E' auspicabile che i percorsi di formazione della classe dirigente del partito e quella dei rappresentanti del popolo nelle istituzioni possano seguire anche iter diversi e non coincidenti. Perciò deve essere separata la scelta del candidato premier di un futuro governo dalla figura del segretario del partito
Il Web consente maggiori possibilità di partecipazione all'elaborazione delle idee, soprattutto se non legate alle specificità del territorio, e permette d'intervenire prontamente sulle decisioni, condividendole o evidenziandone i possibili limiti.
Il PD ha previsto nel suo Statuto la possibilità organizzativa di circoli nella rete: i circoli online. Noi riteniamo che un'opportuna valorizzazione di questo strumento possa migliorare le possibilità di partecipazione .
L'utilizzo della Rete non può essere tuttavia una negazione del percorso della rappresentanza e della responsabilità. E' vero, il Web consente maggiori possibilità di partecipazione all'elaborazione delle idee e permette d'intervenire prontamente sulle decisioni, condividendole o evidenziandone i possibili limiti. Quello che non possiamo accettare è che tutto questo si trasformi in una richiesta di democrazia diretta, che neghi la necessaria formazione della classe dirigente attraverso un processo di delega e d'assunzione di responsabilità. Che procedano per gradi, nel rispetto dei tempi necessari a creare le conoscenze ed esperienze necessarie per incarichi sempre più critici.Ognuno sarà valutato democraticamente dagli altri. La progressiva assunzione di responsabilità è il cammino che porta anche alla maturazione della personalità e delle capacità specifiche dell'individuo, all'interno del contesto in cui opera.
Riteniamo che la rappresentanza dei delegati dei circoli online debba comunque seguire un percorso originale e separato da quello dei circoli territoriali con la formazione dapprima di un coordinamento nazionale composto dai rappresentanti eletti dai singoli circoli online e dalle associazioni in Rete che si richiamano al PD e successivamente da un'adeguata rappresentanza dello stesso in Assemblea Nazionale. E' indispensabile prevedere un canale permanente di comunicazione fra la Direzione Nazionale ed il Coordinamento dei Circoli e delle associazioni online.
Il PD ha già fatto da partito pilota introducendo le primarie. Ora è maturata la necessità di rivoluzionare organizzazione del partito e selezione della classe dirigente, con l'introduzione di meccanismi d'attuazione della democrazia più moderni ed efficaci.