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mercoledì 5 ottobre 2016

Il REFERENDUM SI VINCE SUL TEMA DELLA DEMOCRAZIA




Sono sempre più convinto che il Referendum Costituzionale sarà vinto sul tema della democrazia. E' questo, infatti, il tema che, di là dalla comprensione specifica dei singoli punti della riforma, preoccupa il cittadino comune. E' sulle sue paure che si fonda la scelta del No.
Il vero problema è che il cittadino, da troppi anni, sente un profondo distacco con la classe dirigente che lo rappresenta e decide per lui , influendo pesantemente sulla sua vita personale.
Sul referendum, pertanto, si è riversato, come un'onda, il peso dell'insoddisfazione e della paura rispetto al concetto di rappresentanza. Una profonda diffidenza nei confronti del processo di formazione della classe dirigente politica e del percorso di delega.
E' questo il punto centrale di cui non si parla e che chiama, invece, in causa il luogo principe, il veicolo della partecipazione politica nella nostra società: il sistema dei partiti ed il suo funzionamento.
Certo, sarebbe possibile scegliere direttamente i propri rappresentanti nelle istituzioni a partire dal proprio luogo di lavoro, come erano i soviet nei regimi comunisti. Si potrebbero utilizzare direttamente i sindacati e le varie associazioni di categoria per scegliere i propri rappresentanti. Immaginare, addirittura, la democrazia diretta o ancora liste civiche. Alla fine, tuttavia, il rapporto con la storia, con la cultura, le ideologie e i movimenti   fanno ancora preferire i partiti come portatori e luogo di sintesi, di formazione politica. Essi sono, pertanto, il luogo eletto della partecipazione alla vita politica di una società. Quello dove si forma e si verifica il valore della sua classe dirigente.
Quando la crisi nei confronti della "Casta" si fa così forte, come all'interno della società moderna, quando il cittadino si sente privato della possibilità reale di influire sulle scelte che condizioneranno la propria vita, allora si rischia una frattura pesante che può mettere in crisi la stessa democrazia.
Di questo, in realtà, si sta parlando mentre si affronta l'utilità del bicameralismo, del nuovo Senato, della riforma del titolo V e si tira sempre in mezzo la nuova legge elettorale.
Chi garantirà al cittadino che il partito di maggioranza non sia il dominio incontrastato del leader e del suo cerchio magico? Chi lo proteggerà   dall'utilizzo esclusivo del metodo della cooptazione per entrare all'interno della classe dirigente di un partito?
Il tema è dunque il reale funzionamento della democrazia all'interno del sistema dei partiti.
 Una democrazia che consenta la partecipazione del cittadino alla vita politica e all'elaborazione della linea del suo partito, con un procedimento che non sia solo dall'alto verso il basso, ma anche dal basso verso l'alto, per consentire l'emergere di nuovi problemi ed esigenze diffuse.
Una democrazia che non cada nella trappola del rifiuto della delega, ma comprenda che il cammino di formazione della classe politica avviene all'interno di un percorso di assunzione sempre maggiore di responsabilità e di servizio nei confronti degli altri.
Una democrazia che consenta la sostituibilità e la verifica dei dirigenti.
Il nostro Capo del Governo potrebbe dare una forte accelerazione su questo tema dichiarando apertamente, prima del voto referendario, l'intenzione di aprire un profondo dibattito sull'organizzazione e la democrazia interna al Partito Democratico come uno dei temi centrali d'affrontare nel Congresso da tenere all'inizio del prossimo anno.
Allo stesso tempo,   dichiarandosi già pronto a separare la carica di Capo del Governo da quella del partito, affidando ad un segretario provvisorio il compito traghettare il Congresso fino alla scelta del nuovo segretario.
Questo cambio di passo, proprio a partire dal partito che oggi regge il governo, potrebbe essere un segnale importante per i cittadini e chiarificatore di quello che è veramente il tema in gioco.


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