Pagine

mercoledì 29 aprile 2015

DANZA SOTTO LE STELLE




E' uno dei quadri a cui sono più affezionato ,realizzato nei primi anni settanta.
Vi è in esso la potenza del desiderio, la sensazione della bellezza e della felicità della vita rappresentata dalla danza , dal cielo stellato , dalla luna e dalle onde del mare .
Tutti motivi ricorrenti nella mia visione della bellezza.
Come posso dimenticare le stelle di una notte a Malta in cui a diciannove anni, dopo aver lasciato a casa una ragazza, in attesa di prendere il bus che da Rabat mi avrebbe riportato a La Valletta , andai a visitare la citta vecchia "la Medina" nel suo silenzio e le sue luci. Dopo,m'inoltrai in un sentiero di campagna illuminato solo dal chiarore delle stelle , mentre dentro di me sentivo la bellezza della gioventù . Quelle stesse stelle sul mare di Psili Amnos in una notte a Samos o sul mare di Acitrezza. Le ho dipinte una ad una cercando di presentarle nella loro estrema varietà di grandezza e di luminosità insieme ad una luna sotto la cui luce danza quella donna oggetto del mio desiderio.
Le linee forza delle braccia sfuggono verso i lati estremi del quadro nella indefinita rappresentazione del movimento e dell'espansione del corpo nell'ambiente che l'avvolge .
Così ancora i riflessi della luce della luna sui capelli e sulle onde del mare.
Ho già parlato troppo . Gustatevelo in silenzio.
 
 

sabato 25 aprile 2015

LE CHANT DES PARTISANS


 
Ascoltai per la prima volta quest'inno, questa canzone partigiana, dalle labbra di una ragazza belga ,d'origine italiana, che me la cantò durante una notte in treno.
Eravamo in uno scompartimento a cuccette, di seconda classe, di un treno, proveniente dalla Francia che arrivava fino in Calabria.  Io ero con un mio amico di ritorno da Montecarlo, dove eravamo stati qualche giorno, ed eravamo diretti a Roma, per assistere al Festival dell'Unità.
Erano i primi anni '70.
In quello scompartimento, oltre a noi due, c'era quella ragazza, suo fratello ed una signora anziana, mi sembra di nazionalità inglese.
Come succede sempre in quelle occasioni, non si aveva sonno e l'interesse a conoscere nuove persone era prevalente.
La ragazza era appassionata di teatro. Recitava con altri giovani in una piccola compagnia ed abitava, mi sembra, a Bruges. Con il fratello, di qualche anno più piccolo, era diretta a Sapri, bella località di mare della Calabria, dove sarebbe rimasta   per un periodo di vacanza a casa di lontani parenti.
 
 
 (nella fotografia  Nancy Wake eroina della resistenza francese)
Mentre aggiustavamo le cuccette, ci mettemmo a parlare ed aiutammo l'anziana signora inglese a sistemarsi in una cuccetta bassa, per lei più comoda, che le avevamo ceduta in cambio.
La signora era una donna veramente gradevole ed interessante. Era piena di curiosità e voleva sapere tutto di noi. Ci raccontò che, alla sua età, la più gran passione era viaggiare. Era, infatti, diretta in Egitto per realizzare il suo sogno di vedere le piramidi e fare un giro a dorso di un cammello. In cuor nostro ognuno l'adottò come una cara nonnina da cui prendere insegnamento. Dopo un po', il treno stava per arrivare a Genova, quando scoprimmo che nessuno dei nostri compagni di viaggio c'era mai stato. Il treno avrebbe fatto una fermata di quindici minuti e proponemmo ai nostri nuovi amici di approfittare di quel tempo, per scendere di corsa dal treno ed uscire almeno dalla stazione per mettere piede nella piazza antistante e poter affermare quindi che eravamo stati anche per un attimo a Genova.
Così fu deciso , mentre la signora anziana ci augurava una buona visita a Genova e c'informava che, nel frattempo, avrebbe cercato di prendere sonno.
Di corsa, ponemmo in atto il nostro piano e con una soddisfazione da bambini ci stringemmo le mani nella piazza antistante la stazione di Genova, felici del nostro successo.
Senza perdere un attimo, tornammo poi di corsa al treno e ansimanti, ma soddisfatti, salutammo l'anziana signora che, ad occhi chiusi, ci sorrise.
Ci mettemmo così nel piccolo corridoio della carrozza ,chiudendo la porta dello scompartimento per non disturbare il riposo della signora, e ,seduti per terra, cominciammo a raccontarci di noi. Scoprimmo le nostre comuni passioni politiche, il movimento studentesco, la tradizione popolare, le canzoni e gli spettacoli.
 Le raccontai che nelle riunioni fra amici, capitava spesso di cantare, accompagnati dalla chitarra, le canzoni popolari e di lotta e le chiedemmo se conosceva Bella Ciao.
Lei ci rispose di si, ma, a sua volta ci chiese se conoscevamo l'inno dei partigiani francesi e così lo cantò.
 
"
Ami, entends-tu le vol noir des corbeaux sur nos plaines
Ami, entends-tu les cris sourds du pays qu'on enchaîne
Ohé, partisans, ouvriers et paysans c'est l'alarme
Ce soir l'ennemi connaîtra le prix du sang et des larmes...
                                   2
Montez de la mine, descendez des collines, camarades,
Sortez de la paille les fusils, la mitraille, les grenades,
Ohé, les tueurs, à vos armes et vos couteaux, tirez vite,
Ohé, saboteurs, attention à ton fardeau, dynamite..
                                   3
C'est nous qui brisons les barreaux des prisons pour nos frères
La haine à nos trousses et la faim qui nous pousse, la misère
II y a des pays où les gens au creux des lits font des rêves
Ici, nous, vois-tu, nous on marche, nous on tue ou on crève.
                                   4
Ici, chacun sait ce qu'il veut, ce qu'il fait quand il passe
Ami, si tu tombes, un ami sort de l'ombre à ta place,
Demain du sang noir séchera au grand soleil sur nos routes
Chantez, compagnons, dans la nuit la liberté nous écoute...
                                   5
Ami, entends-tu les cris sourds du pays qu'on enchaîne
Ami, entends-tu le vol noir du corbeau sur la plaine
 
 
 
 
 
 
 
 

lunedì 20 aprile 2015

CIAO ...come ti chiami?

Questa è una riflessione personale sulla situazione dei movimenti migratori nel Mediterraneo. Il fenomeno è inarrestabile ed è legato alla speranza di miglioramento che è davanti agli occhi di queste migliaia di persone.

 I loro luoghi d'origine sono aree di fuga per tanti motivi: la violenza, la guerra, la fame, l'oppressione, l'arretratezza.

 Essi, probabilmente, pensano che i tempi della riscossa sono molto lunghi ed egemonizzati da chi vuole, comunque, uno scontro a fuoco con l'Occidente, reo di tutti i mali.

Chi dialoga con i paesi avanzati, e cerca di portare la modernizzazione, sa di doversi scontrare prima o poi con l'ala oltranzista e violenta. In tutto questo, qualcuno pensa di fare da solo e di guardare a quell'Occidente, solo a poche miglia marine, dove, forse, c'è una nuova possibilità.

E noi cosa facciamo? Noi cosa vogliamo?

L'Europa è una delle aree più ricche e più vecchie del mondo dove, nei paesi del sud in crisi, c'è poco spazio pure per i giovani.

 L'Europa è chiusa a tutela dei propri privilegi. Meritati o no, non è questo il punto. La questione è che non ha più intenzione di mettersi in gioco.

Non vuole farlo al suo interno dove, pur di mantenere per ognuno la sovranità nazionale e pur di non rischiare un deprezzamento del valore dei propri risparmi, non è disposta a mettere in comune neanche il proprio avvenire. Badate bene, non il passato, ma l'avvenire, lasciando comunque prevalere il merito e le capacità, in un quadro di solidarietà per gli ultimi.

Figuriamoci se è disposta ad aprire le sue frontiere!?!

 Lo ha fatto allargandosi ad est per motivi politici ed economici, di cui hanno usufruito alcuni più di altri.

Ma il sud!?!

Mettersi in gioco e rischiare di perdere quello che si è accuratamente messo da parte, per una massa di gente ignorante e magari portatrice di valori e fedi inconciliabili con le nostre, è veramente folle!

 E poi perché?

Che vantaggi ne avremmo?  Avremmo solo svantaggi.

L'ingresso di una massa enorme di personale poco qualificato farebbe crollare i salari e le garanzie degli attuali lavoratori dei settori a più alta concentrazione di lavoro ed, in ogni caso, farebbe da calmiere su tutto il marcato del lavoro, riducendo i nostri livelli di vita. Certo, sarebbe anche possibile operare una profonda ristrutturazione dei divari salariali, riducendoli notevolmente, e cercare di aumentare la ricchezza complessiva grazie a questa iniezione d'energia; ma, l'impatto immediato sarebbe comunque forte.

Il Welfare? Potremmo pensare di mantenere gli attuali livelli? No, forse dovremmo limitarli solo a più incapienti ed aprire il loro utilizzo agli immigrati gradualmente.

Ed il nostro modo di vivere? Sarebbe sicuramente contaminato. Saremmo costretti ad incontrare gusti, usanze, convinzioni, valori forse per molti versi insopportabili. Eppure, la storia dell'antropologia e dell'innovazione culturale c'informa che tutte le civiltà maggiori e tutte le innovazioni culturali sono il frutto della contaminazione fra culture diverse.

Perderemmo i vantaggi del nostro mondo? Sì, ma, forse, se fosse rispettato e mantenuto il principio della meritocrazia e della libera iniziativa, nel quadro della solidarietà e dell'equità, potremmo sperare di accettare il confronto, emergere, se ne abbiamo le capacità, ed essere premiati. Forse, un premio meno offensivo, nella differenza con gli ultimi, di quelli attuali; ma, sempre, un premio importante.

E poi, probabilmente, la nostra Europa potrebbe diventare un'area di civiltà, pace e progresso, capace di essere presa ad esempio dagli altri popoli sia del Mediterraneo, sia d'altre parti del mondo.

 Perché no?

 Sicuramente, anche un'area più ricca! Con scambi culturali e commerciali nel Mediterraneo, capaci di mettere all'angolo i fautori della guerra santa e delle nuove crociate.

Pensavo a queste cose quando riflettevo sul fatto che, qualche ora prima, la mia prima reazione era stata quella di dire basta all'immigrazione clandestina, basta ai trafficanti dei nuovi schiavi, basta ai morti, lasciateci vivere in pace.

Poi, pian piano, ascoltando e guardando queste persone e noi, i nostri figli, i nostri nipoti mi sono chiesto: qual è la nostra responsabilità?

 Se cioè possiamo pensare di ergere dei muri per proteggerci o rischiare il confronto; ma, soprattutto quale possa essere il costo umano del costruire dei muri.

Il costo è altissimo ed ha il sapore dell'incomprensione, della violenza e della guerra. Ha il sapore dell'isolamento, della vecchiaia e della morte. Non certo della vita, che cerca sempre nuovi spazi ed esperienze con cui misurarsi.

Chiederei ai potenti d'Europa: riunitevi ed aprite il nostro mondo a questa gente. Aprite l'immigrazione a patto di accettare di essere sottoposti, alla frontiera, ad una nuova identificazione in base a queste semplici informazioni: fotografia, impronte digitali, gruppo sanguigno, DNA.

A questo punto gli direi: entrate e circolate liberamente per l'Europa.

 

 

 

 

mercoledì 25 marzo 2015

Recuperiamo produttività nel segno dell'equità







Uno dei problemi presenti nel dibattito politico italiano è non solo che nessuno vuole affrontare il problema di una riduzione competitiva del CLUP, tale da consentire un miglioramento della produttività italiana; ma, soprattutto, che non si vede una maniera di gestire il problema che punti su alcune pratiche e proposte che, a mio parere, potrebbero agevolarne la soluzione in termini accettabili per la popolazione lavoratrice e per l'intero Paese.


           Costo del lavoro per unità di prodotto



 


Sarebbe pertanto opportuno che si procedesse a:
 
a) blocco stipendi e salari sia del settore pubblico sia privato per tutte le remunerazioni mensili superiori a 1200 euro per almeno cinque anni.Si dovrebbe pertanto togliere la possibilità di sperare in un aumento salariale ? No certamente per la grande area di lavoratori che si collocano al di sotto dei 1200 euro mensili; mentre, per tutti, deovrebbe  essere previsto solo un aumento legato ai risultati conseguiti ed alla produttività . Non possiamo permetterci aumenti automatici per tutti in presenza di una torta che non cresce
b) revisione delle aliquote IRPEF a partire dai 75.000 euro in su, con scaglioni progressivi d’aumento del 5% alla volta fino ai 500.000 euro in su.Da questa manovra è possibile ottenere risorse dai sette ai dieci miliardi d’euro annui con cui provare a 1) ridurre il cuneo fiscale dei salari più bassi, ponendoli a carico della fiscalità generale 2) incrementare le risorse per l'ASPI specie per la disoccupazione di lunga durata.Entrambe le manovre dovrebbero essere effettuate mantenendo inalterata la complessiva pressione fiscale in rapporto al PIL: Questo è immediatamente evidente per quanto riguarda la contemporanea riduzione del cuneo fiscale sul lavoro , a carico delle imprese; ma deve essere realizzato un analogo risultato  per la parte relativa al finanziamento dell'ASPI per il sostegno nei confronti della disoccupazione di lunga durata. Non si propone pertanto un  aumento della complessiva pressione fiscale; ma, al contrario, una diversa distribuzione della sua pressione.L'Italia è un pase dall'enorme risparmio privato ; il problema non è aumentarlo ulteriormente ma consentire la convenienza del passaggio dal risparmio all’investimento .produttivo. Il sacrificio per i ceti medi non sarebbe così elevato . Redditi lordi fra i 75000 e i 100.000 euro annui si troverebbero in realtà ad avere una maggiore imposizione ipotetica del 5% ( 48% anzichè 43% oltre i 75.000) pari a  ca. 100 euro mensili. Non mi sembra un sacrificio così grande se pensiamo ai vantaggi per le imprese e per i disoccupati di lunga durata, che trarrebbero beneficio da un provvedimento di questo tipo
c) flessibilità dell'organizzazione del lavoro per ottenere adeguati risparmi del costo lavoro complessivo, seguendo l’esperienza di recenti accordi in tal senso come ad esempio nella vertenza Electrolux o nella stessa FCA Italia
d) riduzione drastica del lavoro cosiddetto "inutile" grazie alla semplificazione burocratica e l'adibizione verso mansioni più produttive sia nel settore pubblico che privato.
e) utilizzo di margini della spending review e di fondi europei per un piano nazionale concreto e preciso per il potenziamento dell'innovazione e della ricerca con la destinazione di una parte dei fondi al potenziamento e sviluppo di strutture d’eccellenza sul territorio
Una vera e propria rivoluzione nel segno della redistribuzione delle ricchezze a favore del lavoro e della maggiore produttività.
Questo significa crescita, occupazione ma nel segno del coinvolgimento dell'intero paese. Questo è per me il primato della politica : saper mobilitare la speranza delle persone in una progettualità comune.
Mi sembra che quest’aspetto, nella politica del PD, principale forza di governo, possa essere ancora migliorato e, in esso, possano ricucirsi le diverse anime che lo compongono.
 

giovedì 19 marzo 2015

C'E' UN FUTURO PER L'EUROZONA?


 
Molti di noi continuano a sostenere che non basta lasciare alle sole forze del mercato ed alle poche risorse dei diversi paesi il compito di assolvere l'obiettivo di un piano di crescita economica e di occupazione dell'area europea. Non basta ancora utilizzare le poche risorse che gli stessi paesi mettono insieme per il bilancio economico europeo .
Si pone pertanto la questione:
a)      di accettare che l'area euro possa avere un proprio bilancio a debito (ricerca di capitali sul mercato con emissione di eurobonds) con cui finanziare le direttive economiche e programmatiche condivise
b)      valutare la necessità di differenziazione delle strutture di "governance" politica ed economica dell'area euro da quella del resto dell'Europa ridefinendone compiti e limiti e strutture istituzionali e democratiche
c)      Ridefinire le caratteristiche ed i poteri della BCE per consentirle almeno due possibilità d'azione: 1) che fra i suoi obiettivi vi sia anche quello di garantire la piena occupazione nei paesi dell'area EURO 2) che sia il primo garante del debito di bilancio dell'eurozona.
d)      Definire all'interno delle linee di una programmazione europea condivisa una possibilità di spesa comunitaria più articolata che possa prevedere un finanziamento di progetti ed attività gestite direttamente dai singoli stati membri anche in collaborazione fra di loro o in progetti in sinergia con i privati insieme al finanziamento nei confronti delle imprese
 
 
Stiamo parlando di un processo che ormai non può che avere dei tempi di lungo periodo, che comporta la revisione dei trattati, ma che ritengo inevitabile per salvare il progetto europeo e la moneta unica. Partiti europei come il PSE alla lunga non potranno evitare di prendere una posizione forte su questi problemi se non vorranno cedere l'iniziativa politica a chi si porrà l'obiettivo di procedere verso la chiusura dell'esperimento euro.
Nel frattempo, possiamo sperare che le condizioni estremamente favorevoli del momento:
(svalutazione del valore dell'euro, riduzione del costo del denaro, maggiore liquidità del sistema e riduzione del costo dell'energia) possano favorire la crescita dell'intera area trainata dalle esportazioni verso il resto del mondo e dare respiro ai suoi problemi consentendo ai singoli stati membri di trovare maggiori risorse per la modernizzazione della propria struttura economica, l'investimento nella ricerca ed innovazione, una maggiore redistribuzione delle ricchezze ed una crescita dell'occupazione.Per ultimo in questa fase sarà difficile pensare ad un facile riequilibrio delle differenze fra gli stati membri dell'eurozona se non a partire da processi di riorganizzazione e crescita della produttività ottenuti spero e auspico nel segno della redistribuzione interna delle ricchezze.
 
 

lunedì 2 marzo 2015

Il Dilemma dell'Eurozona

 Il dibattito sul modo di affrontare la crisi economica europea, che si ripercuote con maggiore violenza sulle condizioni di vita delle popolazioni degli Stati più deboli, continua a dividere i commentatori ed i gruppi politici fra due posizioni antitetiche:

Rispetto dell'austerità finanziaria o maggiori investimenti pubblici anche peggiorando i parametri finanziari e le regole comunitarie del " Fiscal Compact"?

Questo trattato, dice esplicitamente:

"la necessità di mantenere finanze pubbliche sane e sostenibili e di evitare disavanzi pubblici eccessivi è per i governi di fondamentale importanza al fine di salvaguardare la stabilità di tutta la zona euro e richiede quindi l'introduzione di regole specifiche, tra cui una "regola del pareggio di bilancio" e un meccanismo automatico per l'adozione di misure correttive "

Proprio per evitare che le condizioni finanziarie di un paese potessero innescare un processo irreversibile di crisi dell'intera area euro, pone dei vincoli sia all'entità del deficit di bilancio sia al rapporto fra l'ammontare del debito pubblico complessivo ed il PIL.

La prima condizione si muove nella preoccupazione di evitare che in seguito al sommarsi dei deficit dei diversi anni lo stock del debito pubblico raggiunga un peso insostenibile. Il secondo parametro indica proprio il limite che tale stock non dovrebbe superare rispetto al PIL.

I due parametri scelti sono molto prudenziali ed hanno un valore, si può dire arbitrario e convenzionale, utile comunque per fissare una regola condivisa con una sufficiente approssimazione d'efficacia rispetto all'evoluzione storica osservata.

Il limite del deficit è stato definito con un massimo del 3% sul PIL ed il rapporto fra stock del debito e PIL è stato indicato nel 60%. Tali limiti hanno un carattere vincolante e programmatico per cui tutti gli Stati contraenti s'impegnano, nello spazio di vent'anni, a raggiungere sia il pareggio di bilancio strutturale sia un rapporto debito /PIL pari al 60%..

 

Ad ulteriore precisazione va anche detto che nell'analisi dell'andamento finanziario dei diversi stati membri e nella valutazione di questo cammino verso l'equilibrio finanziario richiesto è stato poi introdotto il concetto d'equilibrio strutturale:

"a) per "saldo strutturale annuo della pubblica amministrazione" s'intende il saldo annuo corretto per il ciclo al netto di misure una tantum e temporanee;

b) per "circostanze eccezionali" s'intendono eventi inconsueti non soggetti al controllo della parte contraente interessata che abbiano rilevanti ripercussioni sulla situazione finanziaria della pubblica amministrazione oppure periodi di grave recessione economica ai sensi del patto di stabilità e crescita rivisto, purché la deviazione temporanea della parte contraente interessata non comprometta la sostenibilità del bilancio a medio termine."

 

Resta il fatto che pur tenendo presente momenti d'allentamento del percorso dovuti alle difficoltà economiche l'obiettivo vincolante è comunque quello di arrivare in un ventennio ad un rapporto debito /PIL pari al 60%.

C'è da chiedersi; perché ?

L'obiettivo è davvero così irrinunciabile ed importante al punto da condizionare la politica economica finanziaria degli stati membri riducendone complessivamente la capacità di stimolo all'economia con un aumento della spesa pubblica, specie nei periodi di recessione economica ?

In questi casi, non si pone solo il problema di un rallentamento del processo di convergenza verso l'obiettivo, concedendo al limite uno sforamento del deficit sino al 3%, ma addirittura la possibilità di un deficit ben superiore che si accompagni ad un ulteriore aumento significativo momentaneo dello stock del debito se il risultato può essere una ripresa significativa della crescita economica del Paese.

Da un punto di vista strettamente finanziario quali ostacoli si oppongono ad un comportamento espansivo di questo tipo oltre al mancato rispetto dei trattati?

Le principali obiezioni possono essere le seguenti:

-          Si effettuano investimenti pubblici non in grado di creare una corrente adeguata d'incremento del PIL capace di ripagare il costo marginale del debito ed assicurarne la sua riduzione in un arco di tempo prefissato

-          Il costo complessivo del debito, pur all'interno di un progetto d'espansione del PIL accettabile, è finanziariamente insostenibile

-          Il mercato finanziario valuta il rischio paese eccessivo ed avvia un processo di peggioramento del costo del debito che diventa insostenibile

-          L'attacco speculativo e l'aumento del costo del debito possono provocare il default dello Stato membro ed il possibile attacco speculativo nei confronti della moneta euro con conseguente rischio di contagio per gli altri paesi ad e per l'intera area.

Se invece questi rischi fossero in alcune fattispecie sostanzialmente remoti, sarebbe meglio utilizzare l'effetto espansivo dell'utilizzo di un forte investimento pubblico in forte deficit per una scossa forte all'economia ed un ritorno importante della crescita del PIL.

In questo caso, pur contravvenendo ai limiti del trattato.

Qualcosa del genere è stato fatto dalla Germania, dalla Francia, Olanda ed altri subito dopo la crisi del 2008 per il sostegno del proprio sistema bancario.

Ritorniamo pertanto alla domanda principale: perché realizzare una convergenza così impegnativa, in tempi così definiti,  su gli obiettivi finanziari del " Fiscal Compact"?

E' solo per evitare rischi di crisi della moneta unica?

Certo, questo è il motivo più forte e più evidente; ma, immaginiamo per un attimo di trovarci, più avanti nel tempo, di fronte alla piena armonizzazione dell'area con tutti i paesi in pareggio di bilancio strutturale e con un rapporto debito /PIL del 60%:. Abbiamo raggiunto l'obiettivo e allora?

Allora forse a quel punto i diversi Stati potrebbero anche pensare d'intraprendere, senza eccessivi rischi, un percorso comune per oggi indicato solo sulla carta ma che è già parte programmatica del Fiscal Compact dove dice:

"Con il presente trattato le parti contraenti, in qualità di Stati membri dell'Unione europea, convengono di rafforzare il pilastro economico dell'unione economica e monetaria adottando una serie di regole intese a rinsaldare la disciplina di bilancio attraverso un patto di bilancio, a potenziare il coordinamento delle loro politiche economiche e a migliorare la governance della zona euro, sostenendo in tal modo il conseguimento degli obiettivi dell'Unione europea in materia di crescita sostenibile, occupazione, competitività e coesione sociale."

Il limite di questa progettualità sarebbe tuttavia quello di rendere evidente la presenza di un'Europa a due velocità. Un gruppo di Paesi pronto per un'integrazione politica federale più complessa e più vincolante di quell'attuale. Un altro gruppo interessato al mantenimento dello status quo ed alla propria indipendenza politica e finanziaria.

Ambedue le posizioni potrebbero essere rispettabili e condivisibili se fossero sufficientemente trasparenti e coscienti di quello che vogliono realizzare. La mia impressione è che gli stati sottoscrittori del Fiscal compact siano mossi , invece, più dalla diffidenza e dalla paura reciproca per una moneta comune di cui temono gli effetti negativi sul valore dei propri risparmi, piuttosto che dalla volontà di godere dei frutti espansivi di una forte politica economica comune.

Anche le regole della "governance" dell'area vedono il predominio, all'interno dell'Eurogruppo, dei capi dei governi nazionali, piuttosto che della rappresentanza dei partiti politici dell'area.

 Nel trattato si dice:

"Come previsto al titolo II del protocollo (n. 1) sul ruolo dei parlamenti nazionali nell'Unione europea allegato ai trattati dell'Unione europea, il Parlamento europeo e i parlamenti nazionali delle parti contraenti definiranno insieme l'organizzazione e la promozione di una conferenza dei rappresentanti delle pertinenti commissioni del Parlamento europeo e dei rappresentanti delle pertinenti commissioni dei parlamenti nazionali ai fini della discussione delle politiche di bilancio e di altre questioni rientranti nell'ambito di applicazione del presente trattato."

Ma, non mi sembra che la frequenza od il peso decisionale di questo strumento organizzativo abbia avuto molta rilevanza.

Tornando alla domanda principale, alla distinzione fra le politiche dell'austerità e quelle dell'espansione del debito, come precondizione della crescita, mi sembra che risulti evidente l'intreccio delle decisioni economico/finanziarie dei governi nazionali non solo con la pura convenienza e sostenibilità economica nel mercato, ma anche con i limiti programmatici posti dal " Fiscal Compact".

Questo, paradossalmente, vale sia per i paesi che presentano una situazione generale insoddisfacente, sia anche per paesi che avrebbero margini di espansione utilizzando deficit di bilancio e di rapporto debito/pil sostanzialmente sostenibili ( specialmente in un momento caratterizzato da bassi tassi d'interesse reali) pur se in eccesso rispetto ai limiti del Fiscal compact a cui invece si adeguano, rinunciando ad un ruolo oggettivo di locomotiva dell'area. 

Quando un'impresa fallisce, a causa di una cattiva gestione finanziaria o di una cattiva presenza sul mercato, si razionalizza in qualche modo la struttura produttiva dell'intero paese eliminando un soggetto inadeguato. Uno Stato, invece, non può essere mai inadeguato ed il suo fallimento, inteso come scomparsa di quel soggetto nel mercato globale è impossibile. Al di la quindi della presa d'atto del crack finanziario, dovranno essere sempre preordinate delle misure utili al recupero di quell'enorme massa di fattori produttivi che esso rappresenta: capitali, intelligenze, conoscenze, persone, ecc ecc.

Bisognerà in qualche modo permettere una sinergia virtuosa di questi fattori che consentano a quel paese di rialzarsi. Vi può tuttavia essere la necessità di ottenere fiducia dagli altri paesi e dal mercato dei capitali. In poche parole, pure un paese fallito ha la necessità di espandere ulteriormente il proprio debito o verso i suoi cittadini o verso l'estero a patto che il ritorno dell'investimento consenta effettivamente una crescita sufficiente del paese.

Questo, presuppone che si abbia la capacità di utilizzare tutte le risorse interne in maniera virtuosa limitando le rendite di posizione e di capitale. Questo, presuppone adeguate riforme strutturali di quel paese.

 Quando tuttavia, nonostante questi passi, l'investimento e la fiducia degli investitori privati non ritornano ( quando il cavallo non mangia e non beve) da parte di molti è stato giustificato il ricorso all'emissione monetaria come sottoscrizione del debito pubblico e degli investimenti dello Stato.

E' possibile questo nell'area euro? Non per il singolo Stato.

E' questo un altro dei paradossi che portano molti a cercare la proposta dell'uscita dall'euro e dal " Fiscal Compact" come soluzione.

 La stessa azione della BCE che, da questo mese, immetterà liquidità sul mercato per oltre 1.500 MM, preventivati nello spazio di quasi due anni, non assicura l'immediato finanziamento degli investimenti che rimangono soggetti ad altre variabili quali un adeguato funzionamento del settore del Credito, una ripresa degli investimenti privati, riforme strutturali che li favoriscano, la ripresa dei consumi e complessivamente della domanda aggregata. Tutto questo, con un ruolo marginale dell'investimento pubblico.

 E' questo il miglior modo di utilizzare le risorse comuni dell'eurozona per far ripartire la crescita e conseguire gli obiettivi dichiarati di ripresa della competitività e dell'occupazione?

 

 

 

martedì 3 febbraio 2015

FAR RIPARTIRE GLI INVESTIMENTI


 
Dopo l'affermazione di Syriza in Grecia, la crescita sensibile di "Podemos" in Spagna, la forza del movimento guidato dalla signora Le Pen in Francia e lo stesso  vigore della Lega Nord e del M5S in Italia, è importante chiedersi quali siano le motivazioni ed i problemi che in qualche modo questi gruppi politici riescono ad interpretare. La globalizzazione e la crisi socio economica del 2008 hanno posto al centro dell'attenzione, ma questa volta nel centro del mondo sviluppato, i problemi della distribuzione ineguale delle ricchezze e della richiesta di maggiore democrazia partecipativa. Rimane sullo sfondo di tutto questo la necessità di uno sviluppo rispettoso della natura e dell'ambiente che credo sia ormai generalmente condiviso anche se tra mille ritardi e resistenze.
 
Queste tensioni forti e diffuse si orientano poi spesso contro la costruzione europea, responsabile di non sapere coniugare la paura della cattiva gestione finanziaria d'alcuni paesi membri con la dovuta capacità di generare crescita e sviluppo in tutta l'area. Questo mette spesso in secondo piano le stesse differenze interne di visione, se, addirittura, in Grecia prevale la discriminante nazionalistica, nella scelta delle alleanze della coalizione governativa, (necessità di ricontrattare le condizioni del rapporto con l'Europa) rispetto a quella fra destra e sinistra.Accanto a questo, vi è una forte tensione contro la casta politica, indicata come responsabile, non solo di una cattiva e corrotta gestione della cosa pubblica, ma anche di essere asservita a poteri extranazionali (la troika).
In sostanza, sembra che la tensione contro la distribuzione ineguale delle ricchezze ed il desiderio di democrazia si saldino in una critica nazionalistica del rapporto con le altre nazioni ed, in questo caso specifico, dei rapporti con l'Europa.Questa è considerata corresponsabile, in qualche modo, sia di una gestione autoritaria della democrazia che di un impoverimento e di un allargamento delle differenze fra gli stati membri...
Riflettendo ancora sulla natura dei vari movimenti popolari, che sostanzialmente prendono le distanze dall'euro e che si rivolgono apertamente contro la classe politica che ha gestito i trattati e le politiche nazionali fino ad oggi, si può notare come un altro elemento comune sia quello della sfiducia nella capacità di rilanciare lo sviluppo e l'occupazione seguendo le regole del Fiscal Compact.
E' come se le popolazioni, all'interno della situazione di crisi economica e sociale del continente, invocassero una grande operazione di mobilitazione generale delle risorse europee paragonabile a quella messa in atto dal New Deal americano negli anni '30. Una mobilitazione di risorse pubbliche federali che, di fronte al fermo degli investimenti e dei consumi privati, rimettesse in moto l'economia e l'occupazione.
Tutto questo avrebbe avuto bisogno della capacità straordinaria dei governi dell'Europa di procedere insieme per il superamento della crisi. In particolare, quelli dell'area Euro. In realtà questo non è avvenuto. Anzi, l'incapacità di costruire nel tempo un'organizzazione politica più forte, fra chi ha adottato la moneta unica, ha messo nello stesso calderone Governi e Stati con esigenze diverse. Abbiamo visto come molti paesi, a cominciare dall'Inghilterra, hanno preso le distanze rispetto ad una maggiore entità dell'impegno comunitario. In sostanza, alla fine non vi è stata una politica economica comune, una spesa federale forte capace di rilanciare l'economia e l'occupazione dell'area.
Ogni paese si sta muovendo sostanzialmente da solo nella ricerca di una strada per la crescita. Quasi tutti, comunque, si sono imbattuti nella difficoltà di operare in linea con le regole finanziarie comunemente fissate. L'eccedenza dell'entità del deficit rispetto al PIL è stata subito attuata proprio da Germania e Francia per intervenire in sostegno del proprio sistema bancario e non hanno subito (in considerazione della gravità della crisi in corso) alcuna sanzione. Molti altri paesi, compreso il nostro, si trovano abbondantemente al di sopra dei limiti del rapporto debito/PIL. Si erano accettati, all'interno dell'area Euro, Paesi con una pesante situazione finanziaria di partenza, come la Grecia, senza avere strumenti adeguati per la gestione del rischio fallimento  e ,nel momento in cui questo si è verificato, si è dovuti intervenire nel modo che abbiamo conosciuto, sostanzialmente forse non replicabile in altre situazioni più consistenti,nonostante la formazione del Fondo salva stati. . E' stata la BCE a farsi carico, in questi anni, della carenza progettuale del disegno europeo con operazioni sempre più importanti di cui l'ultima in corso di QE.
I paesi con maggiori difficoltà di bilancio, non potendo godere di una politica di New Deal comunitaria, si trovano fra l'incudine ed il martello. Fra la difficoltà ad espandere ulteriormente il proprio debito ( per finanziare una spesa pubblica espansiva capace di sostituire la mancanza dell'investimento privato e rilanciare crescita ed occupazione), per il timore di essere puniti severamente dai mercati, oltre che dalle sanzioni europee, ed invece attuare una politica d'austerità di bilancio, con immediate ripercussioni negative sulla domanda e sulla crescita, agendo esclusivamente sulle riforme strutturali e sulla svalutazione interna del lavoro per riprendere condizioni di competitività che, nel medio periodo, dovrebbero porre le condizioni per la ripresa economica.
 La mancanza, nel frattempo, di una politica redistributiva, della lotta senza quartiere all'illegalità e lo sviluppo della partecipazione democratica possono creare le premesse per una crisi di fiducia verso la classe politica e verso le istituzioni europee che sono alla base di questi nuovi movimenti politici. Elemento comune è la richiesta di una speranza di cambiamento. Di poter percorrere immediatamente un progetto di sviluppo e di ripresa che porti subito ad una maggiore occupazione per tutti.
Malgrado i limiti dei trattati e della politica comune europea tuttavia l'ambito migliore in cui è consigliabile tentare una politica di bilancio espansiva è proprio restare nell'area euro.
Questo sia per l'azione di calmiere dei mercati che a partire da marzo verrà operata dalla BCE con acquisti mensili nell'ordine di 60MM dei titoli pubblici degli stati membri, sia per i meccanismi del Fondo salva Stati comunque presenti.
Non è invece immaginabile, nel breve periodo, una diversa azione più incisiva della politica economica federale europea. Il problema va comunque posto come possibilità e impegno per un cambiamento radicale della progettualità europea.
Possiamo e dobbiamo fare da soli. Quello di cui dobbiamo approfittare con urgenza è della particolare e favorevole situazione di mercato che si è venuta a creare grazie a questi elementi:
1) drastica riduzione del prezzo del petrolio
2) abbondanza di liquidità nel mercato finanziario grazie all'attuazione di politiche espansive delle principali Banche centrali mondiali cui si aggiunge l'ultima operazione di QE deliberata dalla BCE
3) debolezza del cambio dell'euro che facilita le nostre esportazioni e rende meno appetibili i prodotti d'importazione.
In questa situazione è bene intervenire subito per ottenere una sostanziosa ripresa degli investimenti pubblici e privati.
Uno dei cardini della ripartenza è riposto in un ruolo attivo del sistema bancario. Questo, specie nei paesi del Sud Europa, ha preso a carico, nei propri bilanci, una buona fetta del debito pubblico ed inoltre ha subito la difficoltà connessa ad un'elevata percentuale d'insolvenza dei crediti concessi. Tutto questo, unito alla necessità di una maggiore capitalizzazione,  ha frenato la capacità di credito.
La BCE è già intervenuta, per cercare di sbloccare la situazione, con l'operazione TLTRO di prestito alle Banche finalizzato, questa volta, alle imprese e ai privati.
Tale operazione, in Italia, è ancora sostanzialmente ferma; nonostante, siano già stati prenotati dalle principali Banche ca. 49MM. Come ulteriore supporto, la BCE ha quindi deciso di far partire un'operazione di QE per l'acquisto diretto di titoli pubblici, nell'ordine di ca. 60MM mensili. Questo dovrebbe permettere alla Banche, in particolare, di alleggerire la consistenza dei titoli pubblici in portafoglio, realizzando anche, probabilmente, una possibile plusvalenza rispetto al prezzo di acquisto storico. ( plusvalenza che potrebbe migliorarne la capitalizzazione)
 In ogni caso, è auspicabile che questo sia sufficiente per far ripartire la domanda aggregata e gli investimenti privati. In sostegno di questo processo, tuttavia, sarebbe auspicabile un'azione decisa da parte dello Stato. Da più parti, anche politicamente diverse ( parlo ad esempio di una proposta fatta da Bersani e anche da Passera) viene auspicato un importante potenziamento del Fondo di Garanzia, oggi con risorse modeste di alcuni miliardi.- Se si avesse il coraggio e la possibilità di utilizzare, tutte le risorse europee destinate al nostro Paese fino al 2020,compreso il relativo cofinanziamento statale già previsto nella programmazione, adattandone opportunamente le procedure, si potrebbe portare il Fondo di Garanzia ad una dotazione di ca 60/70 MM di risorse gestibili a sostegno del 50/60% di finanziamenti concessi dal sistema bancario su investimenti privati valutabili complessivamente nelll'ordine di ca 140/150MM. La rapidità dell'operazione sarebbe decisiva ed affidarne l'operatività alla capillarità nei confronti della clientela ed alla capacità di valutazione del sistema bancario potrebbe essere una garanzia di successo. L'intervento statale avrebbe effetto sia sulla disponibilità ad affrontare il possibile rischio insolvenza sia sul problema della ridotta capitalizzazione.E' sperabile anche che, sull'onda di un'operazione di questo genere, le Banche riuscissero ad utilizzare maggiormente e direttamente la liquidità riveniente dall'operazione TLTRO e QE della BCE.
Insieme a questa operazione, attuabile senza nessuna deroga all'attuale programmazione finanziaria, è tuttavia necessario immaginare la necessità di sfruttare questo momento per andare un pò oltre i margini del rapporto deficit/Pil e porre in atto investimenti pubblici diretti nell'ordine di almeno ulteriori 100MM. Ritengo che tutto questo potrebbe in qualche modo essere sopportabile da parte dei mercati ,soprattutto se si riuscissero a porre in atto dei "project financing" capaci, quindi, di evidenziare e documentare il ritorno economico dell'investimento. in un preciso numero di anni.
Se poi si avesse anche la capacità di spiegare la possibilità di un'operazione di dismissione organizzata ( patrimoniale straordinaria finanziata dalla CDP) per analogo o superiore importo del patrimonio pubblico il cui ricavato fosse destinato alla contestuale riduzione del debito, non ci sarebbero  dubbi sul successo dell'operazione
Non si ritiene necessario   sviluppare matematicamente  il moltiplicatore di ca. 250MM d'investimenti sul PIL, perché  sembra evidente l'effetto positivo sulla crescita.  Il fattore rapidità è essenziale.