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martedì 27 marzo 2012

Cosa non condividiamo della riforma del lavoro

E' ormai disponibile il testo completo della riforma del lavoro approvata dal Consiglio dei Ministri del 23 corrente, al link:

http://www.governo.it/GovernoInforma/Dossier/documento_riforma.pdf

 

Dopo una prima lettura, le perplessità e le preoccupazioni, che l'avevano accolta e seguita nel percorso preparatorio, vengono confermate.

La riforma presenta senz'altro una struttura interessante e cerca d'intervenire su alcuni aspetti di criticità del mercato del lavoro italiano:

-         La difficoltà d'accesso dei più giovani, condannati alla precarietà, attraverso l'utilizzo di una svariata modalità di contratti;

-         La disparità di fruizione degli ammortizzatori sociali;

-         Il legame degli ammortizzatori esistenti con la difesa dell'originario posto di lavoro, anche quando lo stesso non ha prospettive reali di continuità;

-         La necessaria mobilità della risorsa lavoro verso una sua ottimale allocazione negli impieghi più produttivi.

La riforma cerca di operare, su questi problemi, proponendo una riduzione e semplificazione dei contratti d'ingresso, privilegiando l'apprendistato. Prevede disincentivi economici nei confronti del lavoro a tempo determinato. Universalizza, attraverso l'istituzione dell'ASPI, il possibile utilizzo degli ammortizzatori sociali, coprendo anche i lavoratori a tempo determinato, gli apprendisti e gli artisti; ma, commette un errore, in un momento storico come quello attuale, imperdonabile (che mina le possibilità di consenso sociale e l'efficacia della riforma stessa) quando ne limita la durata ad un massimo di diciotto mesi per i lavoratori con età superiore a 55 anni.

Nel frattempo invece si liberalizza il licenziamento economico, eliminandone la concertazione con i Sindacati, fin qui seguita nel percorso verso i licenziamenti collettivi, successivi ai processi di crisi e ristrutturazione, in presenza dell'impossibilità del licenziamento individuale bloccato nella pratica dall'art. 18 dello Statuto dei lavoratori.

Con la nuova formulazione prevista dalla riforma, il licenziamento economico, anche nel caso in cui il giudice non lo ritenga sufficientemente motivato, viene punito con un indennizzo.

Esso viene così di fatto liberalizzato, visto che nel testo della riforma è sottolineato, tra l'altro, quanto segue:

 " il regime di cui sopra, deve essere coordinato, altresì, con quello dei licenziamenti collettivi, nei limiti in cui per essi vale l'art. 18 con l'applicazione, per i vizi di tali licenziamenti, del regime sanzionatorio previsto per i licenziamenti economici."

 

Quando ad una riforma di questa dimensione si accoppia un sistema di protezione e di sostegno al reinserimento del lavoratore, che ha una durata massima di diciotto mesi, si commette un errore tecnico che diventa un problema sociale e politico di primaria importanza, perché si immette nel sistema un elemento di squilibrio per la convivenza civile.

Come si può ragionevolmente pensare che diciotto mesi siano un periodo sufficiente, quando le statistiche dell'utilizzo della flexsecurity, in paesi ben più ricchi dell'Italia, prevedono un tempo quasi doppio di riassorbimento del 90% dei lavoratori?

Quante famiglie potrebbe restare in una condizione insostenibile?

Capisco a questo punto la scelta di lasciar fuori per il momento tutto il settore del pubblico impiego!  Ma non è proprio forse quello in cui  è più urgente intervenire?

Non possiamo condividere questa riforma  pur comprendendo la giustezza dell'intenzione!

La durata degli ammortizzatori è sbagliata! Può avere conseguenze sociali, politiche ed economiche devastanti!

Fa bene il PD a volerla fermare! Fanno bene i Sindacati a chiedere importanti modifiche!

Posso capire che le risorse finanziarie a disposizione siano limitate; ma, in questo caso, bisognerebbe continuare  indicando  con chiarezza l'obiettivo e procedendo con gradualità nell'attuazione, subordinandola al completamento della formazione di un apposito Fondo a copertura.

Fondo da realizzare utilizzando i versamenti previsti per le imprese, incrementandoli  con la fiscalità generale  a carico dei redditi più elevati  oltre 150.000 euro ed i patrimoni oltre 2M o utilizzando  tutte le risorse che potranno provenire dall'azione di revisione della spesa pubblica ( spending review).

Si può procedere alla liberalizzazione del licenziamento  economico, sia nel settore privato sia pubblico, solo a posteriori: quando sarà possibile una durata degli ammortizzatori sociali pari almeno a  quarantotto mesi, com'era previsto nel progetto Flexsecurity del Sen. Pietro Ichino e quando saranno introdotte misure di salvaguardia dei poveri come il salario di cittadinanza

Nel frattempo, si può continuare nella pratica della  concertazione sulle  singole realtà operative  utilizzando gli attuali  strumenti ed introducendo l'ASPI, con l'obiettivo di portarla gradualmente fino a 48 mesi. Una delle proposte in merito all'introduzione  della riforma in maniera graduale è quella di applicarla a partire dai nuovi assunti ( P. Ichino) . Il vantaggio di questa posizione sta nella gradualità del cambiamento ma la sua debolezza sta nel tempo lungo necessario per lo spostamento delle risorse umane verso gli impieghi più produttivi.

Rimango convinto che la gradualità dell'introduzione del meccanismo vada messa in relazione con la realizzazione di un fondo destinato alla copertura economica degli ammortizzatori sociali.

Le altre misure  previste dalla riforma possono invece trovare immediata attuazione e vanno sicuramente in una direzione auspicabile.

 

 

 

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