Quando, moltissimi anni fa, una massa enorme di servi   della gleba e contadini poveri si riversò nelle strade delle città, costituendo   quell'esercito industriale di riserva che fu una delle basi necessarie per il   successivo sviluppo della realtà commerciale ed industriale della nuova società,   tutti gli studiosi non potevano non notare come l'unica ricchezza posseduta   fosse la propria capacità di lavoro. 
Queste persone, staccate dall'originario tessuto   produttivo, staccate anche dalla comunità in cui erano cresciute, erano prive   d'identità e di un rapporto organico con la società. Erano una vera e propria   merce. Le stesse condizioni di lavoro ricalcavano, nella città, l'assoluta   padronanza della vita delle persone che vi era stata nelle campagne. Nei nuovi   tempi, rispetto al passato, queste persone erano libere: si, ma solo di  prestare la propria opera senza nessuna   condizione, garanzia, diritto.
Chi poteva utilizzare questa merce? Chi ne aveva   interesse? 
Una nuova classe di persone che   disponeva di capitali e poteva   avviare commerci, produzioni, servizi. Una classe di persone dinamiche ed   intraprendenti che non sopportava più il blocco sociale della nobiltà che aveva   la proprietà delle terre e di tutto quello che nasceva o cresceva sulle stesse,   comprese le persone.
 No, nelle   città questa gente voleva essere libera di produrre commerciare e decidere sulla   propria vita e disponeva dei capitali per attrarre la forza lavoro, farla uscire   dal dominio della nobiltà, all'interno della terra, e utilizzarla come libera   merce lavoro. Come non vedere nella prestazione lavorativa, massificata e senza   diritti, la completa alienazione dell'uomo?  Come non capire, altresì, che solo il   suo lavoro costituiva, all'interno del processo di produzione del valore, quel   di più, il plusvalore, che permetteva la realizzazione del profitto? Come non   legare alla distribuzione ineguale del profitto il concetto di sfruttamento ?   come non far discendere da tutto questo la necessaria lotta di classe per   liberare l'uomo lavoratore da questa condizione e permettergli di ridiventare   persona?
La storia dei secoli scorsi è la storia di questa   emancipazione ;ma, anche, di una profonda trasformazione dei ruoli sociali, dei   processi produttivi, del ruolo dello Stato.
La proprietà dei capitali non è più immediatamente la   stessa dei mezzi di produzione e meno che mai, nelle moderne Public Company o   nelle grandi aziende, coincide con il personale adibito alla gestione e   organizzazione dell'impresa. Il settore creditizio è il grande mediatore fra   risparmio ed investimento.Migliaia di professionalità valutano e seguono i   progetti delle imprese ed il loro andamento sul   mercato.
I processi produttivi si sono complicati e così anche il   lavoro è diventato sempre più portatore di professionalità, trasformandosi da   pura merce in risorsa umana. La tecnologia non è più esterna all'azienda. Spesso   al suo interno ampi settori di ricerca e sviluppo si occupano dell'innovazione   tecnologica. Quasi tutte le attività sono ormai organizzate e non frutto del   genio del singolo. 
Tutto questo per affermare che oggi la combinazione dei   diversi fattori di produzione si realizza unicamente in un luogo di sintesi che   è l'impresa. E' questo il nuovo soggetto sociale. In esso si combinano   armonicamente i fattori produttivi: capitale, lavoro, conoscenza,grazie   all'azione di persone che, nei diversi ruoli, contribuiscono al successo dei   progetti e delle attività Troviamo gli imprenditori accanto ai managers dei   diversi settori aziendali, accanto al personale inquadrato ognuno in base al   proprio percorso professionale, accanto anche all'organizzazione sindacale e   questa enorme macchina deve riuscire a fare in modo che i fattori produttivi a   lei affidati siano combinati nel modo migliore e più produttivo.E' credo   esperienza comune capire che, in questa   realtà, è interesse della stesa   impresa che anche l'ultimo lavoratore si senta parte di un percorso comune e   ritenga possibile ed utile la sua crescita professionale. In cosa consiste   quindi il processo di produzione di valore? E' forse appannaggio di una sola   categoria di persone o è invece il risultato dell'opera sinergica   dell'impresa?  E se condividiamo   tutto questo ha ancora senso parlare di sfruttamento, d'alienazione e di lotta   di classe?
Ne possiamo parlare ancora se il processo dell'impresa è   improntato all'ineguaglianza, al malaffare, alla corruzione. Il profitto a   questo punto, pur presente, non può rappresentare l'unico strumento valido per   valutare la capacità e l'efficienza di un'impresa. E' necessario valutare i suoi   comportamenti sociali, la sua organizzazione interna, la politica di   valorizzazione del personale, la politica retributiva ecc. Ricordiamoci sempre   che le imprese del malaffare hanno utili e profitti spaventosi realizzati grazie   all'uso sistematico della violenza sulle persone e sulle   cose.
In che senso dunque può intervenire lo   Stato?
Come garante dell'armonia dell'utilizzo delle risorse nel   rispetto dei diritti e delle regole stabilite dalla comunità con le sue leggi.Lo   Stato pertanto si fa garante non solo del rispetto dei diritti dei lavoratori e   della corretta utilizzazione dei fattori produttivi ma anche dell'impatto che   l'impresa ha sulla società di cui fa parte. Impatto ambientale e sociale   complessivo. 
Tutte le attività devono essere libere purché, come   recita l'art. 41 della Costituzione, siano svolte all'interno dell'interesse   pubblico.
Lo Stato può limitarsi a fare da regolatore del mercato   per evitare fenomeni di monopolio, oligopolio e mantenerne quindi le condizioni   il più possibile vicine alla concorrenza perfetta? No, questa condizione è   necessaria ma non sufficiente. Lo Stato ha anche il compito d'individuare, dopo   aver raccolto la richiesta politica dei cittadini, tutte quelle attività svolte   in oltraggio alla persona umana ed alla sua dignità e proibirle sia in termini   di metodologia del lavoro che come tipologia di produzione o servizio. Lo Stato,   inoltre, se deve poi lasciare piena libertà al mercato, rinunciando ad una   programmazione impositiva delle attività, può agire con lo strumento degli   incentivi e disincentivi. In alcuni casi operando o programmando direttamente su   tutti quei settori che sono individuati come " Beni o servizi comuni". Non   ritengo che lo Stato debba in questi casi avocare a se tutte le attività, queste   possono essere svolte anche da privati. L'importante è che la programmazione e   gli obiettivi del settore siano stabiliti dallo Stato e siano vincolanti per   tutti gli attori. Parliamo pertanto di un'economia libera, ma sottoposta   all'interesse della società cui appartiene. Un economia sociale che utilizza lo   strumento del mercato e se del caso anche quello dell'azione   pubblica.
Lo Stato ha quindi la funzione di trasmettere gli   obiettivi complessivi che l'insieme dei cittadini, grazie all'espressione   politica, comunicano ai propri governanti. Obiettivi di sviluppo armonico della   società e delle condizioni di vita delle persone, nel rispetto della dignità e   libertà del singolo. 
Può quindi una comunità non affrontare l'altro tema   centrale riconosciuto nella carta costuttuzionale? Può cioè accettare   l'inosservanza del diritto al lavoro? Può permettere che questo diritto sia   compromesso dalle fasi congiunturali o dall'evoluzione negativa dell'economia?   Avremo diritto al lavoro solo in condizioni d'abbondanza? E in quelle di   povertà? Il lavoro sarà un lusso di pochi ,come si cantava nelle canzoni   popolari operaie del primo Novecento ? O tutto quello che c'è va intanto   distribuito il più possibile? Nessuno può ritenere che il lavoro sia una   condizione non sempre possibile. E' vero il contrario il lavoro è l'unica   condizione che DEVE essere sempre possibile, al di fuori delle evoluzioni   economiche di una società. In questo caso, grazie alla redistribuzione fiscale e   al credito debbono essere assicurate condizioni minime di lavoro per tutti. Più   che un reddito di cittadinanza, un reddito minimo di lavoro. Lo Stato deve agire   come datore di lavoro d'ultima istanza nei confronti della disoccupazione di   lunga durata per cui non si sono realizzate le condizioni per l'inserimento, con   ammortizzatori sociali legati ad una prestazione lavorativa di base che dia   almeno la possibilità di vivere e con alloggi popolari che consentano di avere   un tetto per tutti. Su questi punti e sulle politiche sociali vi  è stata una relativa superiorità dei   regimi socialisti.In un periodo di profonda crisi come questo l'attività minima   può essere proprio quella edilizia: la costruzione di case popolari, di nuove   carceri e di centri d'accoglienza per gli immigrati   realizzate da disoccupati,   carcerati ed immigrati. Ognuno di questi con un diritto di prelazione   sull'assegnazione di quello che ha contribuito a   costruire.
Oggi la rendita immobiliare e finanziaria  ottengono una fetta troppo grande del   PIL ed in qualche modo rendono più difficoltosa la vita di chi lavora. Una   riduzione degli affitti  del 30/   40%   consentirebbe a molti   giovani lavoratori precari di tentare una vita autonoma e di provare a farsi una   famiglia. Una seria concorrenza da parte di un'agenzia dello Stato a cui i  proprietari di appartamenti  potessero conferire i propri immobili   per l'affitto, accettando  un   reddito più basso in cambio della sicurezza del fitto e della piena   disponibilità del bene, in caso di bisogno, sarebbe possibile e produrrebbe un   effetto " calmiere"sul mercato. La stesa agenzia potrebbe utilizzare la   manodopera di cui parlavo prima per avviare un importante piano di case popolari   sul territorio o per ristrutturare allo    scopo parte del  patrimonio   immobiliare pubblico. 
Anche il settore finanziario deve essere maggiormente   tassato su tutte le operazioni speculative, Si deve estendere anche in Europa e   in Italia  il tentativo di   riforma  che il progetto Volker sta   realizando negli USA con la separazione dell'attività  d'investimento da quelle  commerciali e di erogazione del credito.   Si deve dare respiro a tutti i titolari di operazioni di debito a mlt   ristrutturando il capitale residuo    su tempi  significativamente   più lunghi, predisponendo  un   provvedimento  in tal senso  e riducendo il più possibile il   tetto  massimo degli "spreads"   applicabili  sui tassi di   riferimento.
Per concludere   desidero sottolineare  come  l'economia e l'organizzazione sociale   moderna  vedano nella sinergia fra   impresa e Comunità Stato  il   circolo virtuoso per lo sviluppo.Altrettanto importante è la nostra collocazione   internazionale.Siamo di fronte ad una società globalizzata e non possiamo  rinunciare all'unica possibilità che   abbiamo oggi d'incidere in qualche modo, grazie all'appartenenza alla Comunità   Europea. E' importante che si stabiliscano delle regole di reciprocità   all'interno delle Nazioni, che si prendano opportuni accordi sulle regole dei   commerci, sul rispetto dell'ambiente, sui diritti della persona e del lavoro per   evitare  danni comuni e la   concorrenza sleale.  Solo in una   dimensione europea oggi possiamo sperare di avere una presenza   efficace nel   mondo.
 
 
 
