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sabato 25 gennaio 2014

Le alternative per l'europa e per l'Italia

Quest'anno assisteremo allo svolgersi delle elezioni per il Parlamento europeo, che giungono in un momento di grande difficoltà dell'Unione, lacerata dallo squilibrio economico fra gli stati membri e dal risorgere di mai spenti nazionalismi.

Abbiamo assistito, in questi anni, alla lenta, ma proficua, costruzione di nuovi meccanismi d'integrazione e di salvaguardia comune. Molto si sta cercando di fare nel campo dell'unione bancaria, per consentire una parità di condizioni del credito in tutta l'area; tuttavia, contemporaneamente, si affermano molti partiti euroscettici.

Il dibattito presenta dei toni forti anche in Italia e, fra le varie posizioni,   è interessante considerare il recente appello pubblicato sulla rivista " Micromega", a firma di Andrea Camilleri, Paolo Flores d'Arcais, Luciano Gallino, Marco Revelli, Barbara Spinelli, Guido Viale e tanti altri, per la partecipazione, alle prossime elezioni europee, di una lista promossa da movimenti e personalità della società civile a sostegno della candidatura di Alexis Tsipras, leader del partito greco Syriza, alla presidenza della Commissione Europea..

Lo stesso, in una recente prefazione al libro " Cosa vuole l'Europa", scrive di come si fronteggino ormai due ipotesi, che possono ricondursi agli interessi diversi presenti in un vero e proprio scontro di classe. Da un lato, vi è l'ipotesi di un sostegno finanziario alla crescita attraverso l'espansione della base monetaria e la redistribuzione delle ricchezze attraverso lo strumento fiscale; dall'altra, la richiesta di un'austerità, a favore dei creditori delle Banche e degli Stati, che va a scapito e a distruzione dello stato sociale, del Welfare.

Spesso, le due posizioni si compattano da un lato nella difesa strenua delle regole di bilancio e dall'altra, nella richiesta di uscita dall'euro.

Nell'appello, invece, viene ribadita la necessità di rifondare L'Europa a partire dalle popolazioni e dalle associazioni della società civile, che direttamente la rappresentano: partiti, sindacati. L'Europa " Deve divenire unione politica, dunque darsi una nuova Costituzione: scritta non più dai governi ma dal suo Parlamento, dopo un'ampia consultazione di tutte le organizzazioni associative e di base presenti nei paesi europei." I firmatari richiedono la modifica del ruolo della Banca centrale europea che dovrà avere poteri simili a quelli esercitati dalla Banca d'Inghilterra o dalla FED, garantendo non solo prezzi stabili ma lo sviluppo" …"Deve darsi i mezzi finanziari per un piano Marshall dell'Unione, che crei posti di lavoro con comuni piani di investimento " e aggiungono " divenendo prestatrice di ultima istanza in tempi di recessione.".

Le difficoltà del momento sono enormi ma le due alternative indicate da Tsipras non sembrano le uniche percorribili e le richieste per un percorso europeo comune di sviluppo, contenute nell'appello, costituiscono una sferzata rispetto a quanto si sta facendo forse troppo timidamente.

D'altra parte è difficile pensare ad una forte politica inflazionistica europea, ad un deprezzamento dell'euro o a forme di mutualizzazione comune del debito dei diversi stati membri. Abbiamo interessi comuni; ma, anche, diversità che si vogliono difendere e ricchezze accumulate, che non si vogliono perdere. E' qualcosa di cui bisogna tener conto. Non siamo un unico popolo o nazione e dobbiamo avvicinarci con la dovuta gradualità. D'altra parte, tutto questo non può essere una giustificazione di fronte all'impoverimento progressivo di larga parte  dell'Europa.

Non dimentichiamo, tuttavia, che qualcosa viene fatto per ridurre le differenze europee e realizzare programmi comuni. Il Bilancio europeo per prossimi sette anni ammonta a quasi 900 miliardi di euro e prevede il sostegno all'integrazione comunitaria, alla riduzione delle differenze fra gli stati membri, l'incentivazione agli investimenti in ricerca, sviluppo e verso i settori ritenuti di punta all'interno della produzione di beni e di servizi.

Certo, devono essere molto di più, e l'Europa non dovrebbe rinunciare allo strumento collettivo del credito, gestito dalla BCE e dalla Banca Europea degli investimenti.

La BCE ha già l'obiettivo di un'inflazione al 2% mentre oggi siamo ben al di sotto di questo limite; pertanto, una politica di sostegno al credito e di allargamento della base monetaria è auspicabile. La BCE, potrebbe ad esempio fornire la propria garanzia a sostegno di finanziamenti erogati dalla Banca Europea degli investimenti con effetto chiaramente moltiplicativo. Possiamo provare a coinvolgere la comunità internazionale ed i privati con l'emissione di titoli di credito specifici legati a progetti di sviluppo comunitari.La BCE può lanciare una nuova grande operazione di prestito a medio termine a favore del sistema bancario a tassi ancora più bassi dell'uno per cento.

 Si può giustamente migliorare la governance democratica, attraverso una forte capacità dei partiti e sindacati europei di attuare politiche concertate e comuni. Superare i confini nazionali grazie ad una mobilitazione comune. L'esempio Erasmus ci fa intravedere i risultati positivi degli esperimenti d'integrazione. Il processo ha bisogno di tempo e pone un delicato equilibrio fra il rispetto delle autonomie nazionali e le prerogative ed il rafforzamento del ruolo del Parlamento europeo.

A livello nazionale possiamo pensare che non è "il monetarismo" la soluzione alla crisi della nostra economia. Certo, l'abbondanza di denaro a basso costo aiuta; ma, vediamo che non è sufficiente. E' necessario uno sforzo collettivo ed un cambiamento di mentalità e di volontà.La creazione d'opportunità e di spazi per l'investimento, grazie alla realizzazione delle riforme strutturali del sistema socio economico. .Sono convinto che la stessa amministrazione pubblica potrebbe rendere dieci volte quello che rende adesso. Dobbiamo darci, tutti, degli obiettivi di sviluppo a partire dal lavoro, dal miglioramento delle condizioni di vita dei meno fortunati, dalla premiazione e valorizzazione del merito. Dobbiamo partire dal ripulire il Paese dalla corruzione, dall'illegalità diffusa, dalla deresponsabilizzazione, dalla pigrizia. Spostiamo quindi risorse dalla rendita al lavoro. Dal risparmio all'investimento. Non credo che la gestione pubblica sia, di per se, risolutiva del problema; come, non credo che la gestione privatistica, regolata solo dall'obiettivo del profitto, abbia la possibilità automatica di consentire lo sviluppo della società. In fondo, le aziende che realizzano i maggiori profitti sono quelle della criminalità organizzata. E' un paradosso per dire che solo la democrazia e la politica, in un circolo virtuoso fra comunità istituzioni e imprese, ci può consentire di raggiungere i traguardi di benessere cui aspiriamo

La svalutazione interna dei costi del lavoro non è l'unico modo di migliorare la competitività di un sistema, in assenza degl'investimenti in ricerca ed innovazione, e realizzare una spinta verso la crescita In questo caso, anzi, l'effetto più probabile, è il suo avvitamento verso produzioni e servizi a più alto contenuto di lavoro di base e la sua progressiva depauperizzazione. La mortificazione d'intere generazioni in Italia, con la precarizzazione del lavoro, non è certo l'utilizzo ottimale della risorsa lavoro; anche se, ha diminuito il costo di questa parte d'offerta. . La crescita non può prescindere da una migliore allocazione complessiva dei fattori di produzione verso servizi e produzioni individuate a soddisfare meglio le esigenze della popolazione mondiale ed offrire servizi e prodotti di qualità a prezzo competitivo. Fa parte di questo processo la grande sfida per consentire la migliore allocazione della risorsa lavoro verso gli impieghi più produttivi, all'interno di uno sviluppo sostenibile, e fornire contemporaneamente i necessari ammortizzatori sociali che consentano, ai singoli lavoratori, il mantenimento delle garanzie e dei diritti, oltre che un percorso certo di rientro nel lavoro. L'urgenza per le aziende è quella di un peso eccessivo degli oneri finanziari e fiscali.

In particolare, tutto quello poi che ruota attorno al lavoro: dagli oneri contributivi all'IRAP, nata concettualmente, forse, per una lotta all'evasione fiscale delle aziende; ma, diventata un onere insopportabile.

Sempre più spesso, tante piccole aziende potrebbero chiudere l'esercizio economico in pareggio, o con una piccola perdita, se non dovessero pagare, a quel punto, un'imposizione fiscale importante.

E che dire degli oneri finanziari? Le imprese italiane vantano una diffusa sottocapitalizzazione che si traduce spesso in squilibrio finanziario, che mina la loro stessa esistenza.. Questi costi rendono poi misero il ritorno reddituale aziendale, mortificando spesso l'investimento in ricerca e sviluppo. L'Italia è ben al di sotto della media europea per la ricerca e sviluppo del settore privato.

Da tutto questo si può trarre la conclusione che non è sufficiente attaccare un pezzo alla volta.

Certo, il costo del lavoro va ridotto, soprattutto nel suo aspetto fiscale/contributivo a carico delle aziende. Una diversa progressività sui redditi oltre i 50.000/75.000 euro potrebbe produrre risorse di ca. 10 miliardi annui da destinare a questo scopo. Nessuno lo fa. E' più facile parlare di costi della politica da ridurre (giusto) o di pensioni d'oro.

Oltre al contenimento del costo del lavoro, è anche necessaria una cura particolare verso la riduzione del costo del denaro di diversi punti superiore a quello dei nostri concorrenti ed ad un costo dell'energia ben superiore di ca. il 30%.

Sul primo punto bisogna continuare ad insistere nella separazione del sistema bancario dal destino del nostro debito pubblico.

Oggi il deficit annuo, anche valutato al 3% del PIL ammonta a ca. 60/70 miliardi di cui oltre 80 riconducibili al costo del debito. In sostanza se non dovessimo pagare interessi sul debito il bilancio sarebbe in sostanziale equilibrio, con un avanzo primario. Dobbiamo da un lato riuscire a contenere il costo del debito all'interno del tasso di crescita del PIL e dall'altro abbattere il volume assoluto del debito affrontando decisamente un programma di dismissione del patrimonio immobiliare pubblico ma anche della giungla delle partecipazioni statali ad eccezione di poche situazioni ritenute strategiche.

Le modalità possono essere diverse. Dall'emissione di prestiti garantiti convertibili in azioni di società a cui conferire parti del patrimonio in gestione e aperte ai privati o alla vendita diretta ecc. Ne abbiamo parlato più volte ed il dibattito anche a livello nazionale è stato ampio e ricco di proposte. E' necessaria una seria volontà politica in tal senso.

Le banche vanno ulteriormente ricapitalizzate (anche riducendo il controllo su di esse esercitato dalle Fondazioni) per consentire loro di svolgere meglio il ruolo d'intermediazione fra risparmio ed investimento privato.La garanzia del Fondo di garanzia dello Stato può fare da moltiplicatore rispetto ai fondi stanziati.

Abbiamo inoltre a disposizione, nei prossimi anni, 114 miliardi di fondi europei indiretti uniti al cofinanziamento interno già previsto dalla legge di stabilità.

Bisogna ridurre i costi per gli adempimenti burocratici, sostenuti dalle aziende e migliorare la percentuale di attività del sistema. Bisogna aumentare le entrate dello Stato, senza ridurre la spesa pubblica complessiva, migliorando i servizi e la contribuzione al loro costo da parte delle classi più abbienti e spostando il personale progressivamente verso i servizi più importanti (scuola, sanità, infrastrutture, edilizia popolare ecc)

Bisogna reperire maggiori risorse attaccando le ineguaglianze. La progressività maggiore delle imposte va utilizzata in questa direzione, per sgravare il peso fiscale sull'impresa e sul lavoro, consentire la riduzione del cuneo fiscale e l'incentivazione all'investimento privato in ricerca e sviluppo.

Se all'interno di tutto questo bisognerà chiedere maggiore tempo per rientrare nei parametri del rapporto debito PIl credo che nessuno dei nostri partners europei si permetterà di sollevare obiezioni insostenibili.

Non ritengo che il problema sia quello di aumentare i trasferimenti europei a favore delle economie più deboli. La storia del nostro mezzogiorno insegna che non è risolutivo per riavviare lo sviluppo.Il bilancio europeo dovrebbe essere potenziato per permettere all'intero continente obiettivi di crescita più ambiziosi.

La competitività non può essere misurata se non complessivamente rispetto alle prospettive di produzione e di crescita di un intero sistema e non può prescindere dal porsi il problema dell'analisi attenta delle nostre potenzialità e delle nostre carenze.Il mix virtuoso di ambedue gli aspetti ci permette di collocarci al meglio fra i paesi del mondo; ma, guai a non ricercare, con costanza e dedizione, la possibilità di miglioramento e di partecipazione ai livelli più elevati della qualità e della produzione. La crescita mondiale rappresenta lo sforzo dell'uomo verso il miglioramento delle sue condizioni di vita ed è un processo inarrestabile, che può coinvolgere tutti. L'ineguaglianza delle condizioni, delle capacità, delle ricchezze ecc. comporta tuttavia ritardi e privilegi degli uni nei confronti degli altri. L'importante è che queste differenze siano contenute e non siano cristallizzate da rapporti di forza e di violenza. Tutti possiamo e dobbiamo adoperarci per migliorare la nostra condizione e partecipare alla crescita perché è altrettanto evidente che la percentuale di partecipazione alla distribuzione delle ricchezze dipende anche da noi

 

 

 

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