Desidero fare una prima
osservazione relativamente al dibattito congressuale appena avviato con l’Assemblea
Nazionale del Partito Democratico del
19 febbraio .
Molti ritengono che l'apertura
della fase congressuale, che si concluderà con l'elezione del nuovo segretario del PD, non rivesta i caratteri del confronto
fra le posizioni politiche ed i diversi programmi .
Questo non mi sembra vero; anzi, nessuno
impedisce che nella varie convenzioni a
livello dei Circoli per poi proseguire a quello provinciale, regionale e quindi
nazionale non si realizzi un ampio
dibattito attorno alle varie tesi politiche connesse ai programmi dei candidati.
In passato, d'altra parte, anche nel PCI ,nelle sezioni , in modo non
molto diverso, si discutevano le varie mozioni congressuali legate ai diversi
leaders e via via si arrivava alla fase nazionale con
l'approvazione della mozione vincente .
Oggi, le primarie aperte, sin dal
livello regionale, agli elettori (dandogli forse un peso eccessivo rispetto agli iscritti
che in futuro potrebbe essere ripensato,
stabilendo pesi diversi in fase
di consultazione elettorale ed eventuali
compensazioni) costituiscono invece l’elemento
di novità rispetto al passato all’interno dello Statuto del PD, che,
in tal modo, vuole essere a pieno titolo
un partito sia degli iscritti sia degli elettori .
Non vedo poi nessuna necessità di
una eventuale Conferenza Programmatica ( richiesta a gran voce da molte parti
come unica possibilità per la realizzazione di un reale confronto delle diverse
posizioni) che sarebbe solo un inutile doppione del Congresso e che ha un senso
proprio nello spazio temporale
intercorrente fra un Congresso e l'altro. La Conferenza programmatica è infatti
prevista con cadenza annuale mentre la fase congressuale, legata all’elezione
del nuovo segretario, dovrebbe teoricamente avvenire al termine del suo mandato di quattro
anni.
Venendo al nodo politico della
fase attuale della vita del PD, l’ impressione è che la minoranza veda nella linea politica attuale del
Segretario l’espressione di una visione “antagonista” rispetto alla propria.
Nell’ascoltare gli interventi di
Rossi , Emiliano e Speranza a Testaccio ieri nella loro manifestazione congiunta, l'impressione è
stata che considerino Renzi e la sua politica come conflittuale rispetto
alle loro posizioni :una deriva di destra e neoliberista rispetto alla tradizione della sinistra
storica ed ideale italiana di cui loro si dichiarano i veri continuatori.
Presunzione da un lato di rappresentare
l’unica espressione della sinistra e
degli interessi delle classi subalterne e
vetero conservatorismo dall'altro, spacciati per elemento di novità rispetto ai
nuovi problemi sociali e mondiali.
Non a caso all’interno dell’assemblea nazionale vi è stata da parte di esponenti come
Epifani, legati a questa minoranza, la condanna delle riforme strutturali
portate avanti nel campo del lavoro e della scuola che hanno rotto con
una vecchia operatività consociativa . Dal loro punto di vista siamo in presenza di
contraddizioni talmente “ antagoniste “nei confronti degli interessi
popolari e della loro visione
politica da giustificare una scissione
se non saranno rapidamente modificate le linee politiche attuali espresse da Renzi
e dalla maggioranza a lui legata.
In
qualche modo, questa concezione non può sottostare ai principi di
subordinazione alla maggioranza, tipici delle regole democratiche, perché non ne riconosce l’autorità morale e politica.
Le loro critiche non tendono ad andare avanti nella
risoluzione dei problemi ancora presenti
dopo le riforme attuate ma a ripristinare l’ordine precedente a partire da un metodo consociativo nei
confronti del rapporto con il sindacato. Nella valutazione della riforma del
lavoro non vengono valorizzati i risultati ottenuti con il passaggio a tempo
indeterminato di ca. 600.000 giovani precari, l’apertura degli ammortizzatori
sociali ai disoccupati precari e l’aumento
del sussidio di disoccupazione in molti casi dai 18 fino ai 24 mesi. Nel
criticare gli aspetti ancora negativi presenti, come nella vicenda dei “voucher”
o degli esodati, pensano di ritornare ai tempi passati. Invece di chiedere un ulteriore
passo di tutela nei confronti dei disoccupati di lunga durata o dei giovani in
cerca di prima occupazione, cercando di colmare i problemi ancora presenti nella riforma del lavoro ,continuano a
criticare l’azione svolta dal governo
definendola lontana dai ceti popolari.
Invece di valorizzare l’assunzione di 100.000 precari nella scuola, ne evidenziano i limiti, probabilmente dovuti
ad anni di colpevole silenzio sull’utilizzo di personale precario. Molto c’è
ancora da fare, specialmente nel campo degli investimenti pubblici e nel campo del lavoro, ma non mi rassicura
pensare che le risorse necessarie possano essere recuperate come ho sentito dire a Enrico Rossi
principalmente con il ripristino dell’IMU
per chi se lo può permettere o con l’introduzione
di patrimoniali, o rivedendo le pensioni d’oro perché retributive o solo con un
diverso utilizzo della spesa pubblica o
ancora non conteggiando tutti gli investimenti pubblici nel quadro di
valutazione europea dei parametri finanziari di un Paese . Non credo che le
risorse rivenienti potrebbero essere sufficienti e l’eventuale ulteriore
aumento del debito pubblico potrebbe essere punitivo per il nostro paese con un
ulteriore aumento della spesa per interessi sul totale della spesa annuale.
Non mi sembra che questioni di
questo livello si presentino ancora con una chiarezza tale da consentire la
definizione di posizioni antagoniste all’interno
del PD. La stessa richiesta di tassazione patrimoniale per essere sufficiente
ed efficace dovrebbe avere dei valori percentuali talmente elevati da renderla
in parte inapplicabile. Si può fare
certamente qualcosa in questo ambito ma non possiamo aspettarci da una singola
misura la risoluzione definitiva del problema.
Vedrei con maggiore interesse una
ridefinizione delle aliquote IRPEF a partire dai 70.000 euro da cui si potrebbero
ottenere maggiori introiti annuali di ca. 10MM ma non mi sembra che questa
richiesta sia presente, in questi termini , nel programma della minoranza né che vi sia
stata una presa in esame da parte della maggioranza.
Le stesse posizioni sull’Europa richiedono una profonda riflessione comune
proprio per presentare agli italiani e
in sede internazionale una strada percorribile
alternativa alle posizioni populiste e nazionaliste . Sul fronte poi del problema
immigrazione chiedere di depennare il reato di clandestinità mi sembra proprio
lanciare un messaggio contraddittorio nei confronti di chi si è avvicinato con
sacrificio e nella legalità al nostro
paese. Personalmente, ritengo che, invece, un piano nazionale del lavoro che
veda insieme immigrati e disoccupati di
lunga durata, uniti in una comune esperienza di lavoro pubblico organizzato
dallo Stato, contemporaneamente all’azione d’inserimento nel mercato con l’ausilio degli uffici del lavoro, possa
essere un obiettivo importante e mobilitante.
Queste riflessioni mi
portano a concludere che non vi siano delle
reali e valide condizioni per una
scissione del Partito Democratico e del
suo progetto. La convinzione che le contraddizioni evocate e raccontate non
siano in realtà “ antagoniste “ e portatrici d’interessi di classe, diversi e inconciliabili.
Con la stessa schiettezza penso, tuttavia,
che una parte consistente della
cosiddetta minoranza lo creda e si stia preparando a considerare seriamente l’ipotesi
di una scissione.
Perché dunque si presentano con
quell'atteggiamento sintetizzato dall'intervento di Emiliano ( sembra condiviso dagli altri )in Assemblea
nazionale ?
A mio parere, perché, coscienti
di essere in ampia minoranza, cercano di prendere tempo per ottenere almeno tre
risultati :
a) scaricare la responsabilità di
una eventuale scissione alla mancanza di capacità di sintesi e di attenzione da
parte del Segretario Renzi e del gruppo dirigente del partito;
b) ottenere un risultato minimo :
quello di restare all'interno del partito ottenendo tuttavia una modifica
della linea programmatica grazie ad un compromesso con la Direzione
attuale. Tutto questo in modo da poter vendere ai propri seguaci questo
risultato ed ottenere un maggior peso visibile all'interno del PD da
spendere successivamente anche nell’ambito delle successive primarie
c) arrivare ad un risultato
massimo: giungere alla scissione dopo
aver realizzato un’ampia propaganda e visibilità delle loro posizioni anche
a livello locale e sui media, in modo da aumentare la quota delle persone,
oggi indecise ,che potrebbero seguirli in caso di scissione.
Alla luce di quanto espresso ,
personalmente, non ho molta fiducia che i contrasti fra le varie posizioni
interne al PD possano superarsi e ricucirsi in uno sforzo comune di
collaborazione e rispetto reciproco.
E’ probabile, invece, che la scissione
arriverà presto, perché la minoranza non otterrà gli spazi d’azione e di
compromesso sulla linea del partito che
richiede.
Si consumerà in questo modo, forse
definitivamente, quel processo d’incontro fra le culture progressiste italiane (
cattolico popolare e socialista) vissuto secondo un concetto di egemonia dell’una
sull’altra.
Dobbiamo andare avanti verso la capacità di gestire in modo nuovo i problemi del nostro tempo ,
certo, utilizzando la storia e la cultura che ci vengono dalla tradizione
culturale e dalle lotte del movimento progressista
; dobbiamo ,tuttavia, essere capaci di riadattare questi concetti, insieme, per affrontare i problemi del nostro tempo con
la massima apertura ideale.
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