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venerdì 10 maggio 2013

Il governo Letta ed il progetto Paese

Dopo mesi di travaglio politico abbiamo finalmente un governo che, contrariamente a quanto ci si sarebbe aspettato prima delle elezioni, vede le forze politiche, che avevano dato il sostegno al Governo Monti per poi metterlo in crisi su iniziativa del PDL, ritrovarsi di nuovo insieme per gestire i problemi del Paese.Questa volta, non ci si nasconde più dietro uno staff di tecnici; ma, viene rivendicato il carattere politico della gestione, con un governo di " larghe intese" incoraggiato e fortemente voluto dal rieletto Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.Speriamo tutti nel miracolo, vale a dire, che questo governo trovi, in un'inaspettata unità d'azione delle sue componenti, la capacità e la forza di porre le basi per la "crescita" della nostra economia ed il superamento della piaga della disoccupazione, che affligge le famiglie.

Per riuscire in questo scopo, il governo Letta dovrebbe  realizzare tre obiettivi:

a)      Predisporre un progetto Paese in grado di delineare le prospettive di crescita e di sviluppo per i prossimi anni, con l'indicazione dei principali interventi e dei settori in cui operare

b)      Avere il sostegno forte dai partiti politici che gli hanno dato la fiducia

c)      Trovare le risorse necessarie per realizzare il piano d'interventi prefigurato.

Tutte e tre le questioni prevedono un impianto strategico d'ampio respiro, che, inevitabilmente, vede in contraddizione i principali partiti della coalizione di governo ed, in particolare, il Partito Democratico, dilaniato al suo interno da un profondo malessere. E' difficile affrontare problemi di tale livello, che dovranno necessariamente superare forti resistenze da parte d'interessi precostituiti, senza avere un'ampia coesione politica. Questa al momento non esiste. Bisognerà prenderne atto, chiedere a questo governo di realizzare alcune, poche cose possibili e già condivise, per poi tornare al voto, dando la fiducia ad un progetto Paese coerente e di lunga durata, portato avanti da una coalizione politica coesa e determinata.

I problemi che abbiamo davanti sono di tale entità da richiedere una visione fortemente caratterizzata politicamente. Abbiamo bisogno di porre fine ad una presenza massiccia e intrusiva della delinquenza organizzata e della corruzione. Abbiamo bisogno di sviluppare, a tutti i livelli, la meritocrazia contro la rendita di posizione ed il corporativismo. Abbiamo bisogno di mettere al primo posto il lavoro e dare una dignità al lavoratore abbattendo la piaga del precariato e della disoccupazione. Abbiamo bisogno di una redistribuzione delle ricchezze, di una ripresa della competitività e della produttività delle nostre imprese. Abbiamo bisogno di un piano energetico nazionale che riduca in tempi rapidi il deficit della bilancia energetica ed il differenziale del costo rispetto agli altri paesi. Abbiamo bisogno di tutte quelle riforme strutturali (dalla semplificazione burocratica, ai tempi della giustizia, alle liberalizzazioni, allo sviluppo d'adeguate infrastrutture ecc.) che consentano un risparmio aggiuntivo di costi generali per il sistema produttivo. Abbiamo bisogno di un forte impulso della conoscenza, della formazione, della ricerca e sviluppo.

Tutte questioni che richiedono un progetto Paese, una visione del futuro, la capacità di assumere un ruolo definito e forte sul piano internazionale.

Con quali risorse potremo realizzare questi obiettivi? Come potrà intervenire e con quali limiti la spesa pubblica a sostegno delle decisioni governative?

Oggi, parlare dell'utilizzo della spesa pubblica come motore della crescita ci pone immediatamente il problema dello stato della finanza. In linea di principio, quando per diversi motivi la struttura economica di un paese è ferma o in declino, l'intervento pubblico può costituire un volano necessario e importante. Può costituire quel finanziamento suppletivo del piano d'investimenti del paese che stimoli a sua volta l'investimento privato. Anche sul piano del sostegno della domanda interna, il ruolo dello Stato e della spesa pubblica possono essere decisivi, come ad esempio lo è la decisione del pagamento degli arretrati dovuti alle imprese.

Il problema è la compatibilità di tutto questo con la situazione finanziaria dello Stato italiano. Considerata la condivisa impossibilità di ricorrere ad un ulteriore ampliamento del peso fiscale sul PIL, quali altre strade ci rimangono?

La principale è quella di operare attraverso una riqualificazione della spesa, orientandola verso gli impieghi più produttivi. Altre possibilità possono venire dalla dismissione del patrimonio immobiliare pubblico, dal possibile ricorso al finanziamento in deficit e da una rimodulazione della fiscalità che allevii il carico presente sul lavoro e sulle imprese.

Partendo da quest'ultima questione si possono sottolineare alcuni problemi:

-         E' osservabile come i dati relativi alla tassazione sui consumi sia inferiore rispetto a quella applicata in diversi paesi europei. Il Governo Monti aveva preso l'impegno di evitare l'aumento di un punto dell'IVA (al 22%) previsto quest'anno. Siamo certi che questa misura in questo momento sia corretta? Non sarebbe forse preferibile operare un aumento diversificato a seconda della tipologia (penalizzando ad esempio quelli di lusso, quelli a maggior impatto ambientale ecc.);

-         Non è forse necessario aumentare la progressività del carico fiscale sui redditi più elevati allentando il gravame su quelli più bassi e consentendo un incremento del loro potere d'acquisto? Ipotizzare una forte progressività oltre i 100.000 euro di reddito annui potrebbe da un lato scoraggiare livelli di retribuzione elevati (specialmente per il lavoro dipendente o manageriale) e dall'altro operare una più equa imposizione nei confronti dei redditi più bassi;

-         Non sembra corretto che la tassazione sui dividendi azionari (20%) sia eguale o          superiore alla tassazione sui redditi da investimento finanziario, siano essi interessi su    depositi bancari o su obbligazioni o plusvalenze. Siamo comunque in presenza di capitali investiti direttamente nelle imprese. Penso che per le altre forme d'investimento si possa proporre un aumento al 30%.

-         Sul tema IMU, va rilevato che forme d'imposizione sul patrimonio immobiliare sono presenti in tutti i paesi europei e siano pertanto da mantenere. E' possibile semmai prevedere una rimodulazione, aumentando la possibilità di detrazione sulla prima casa in base anche al reddito IRPEF.

 

Se non si può pensare ad un incremento della tassazione per il recupero d'ulteriori risorse, ma semmai prevedere una diversa distribuzione del peso fiscale con un minor carico sul lavoro e sui redditi più bassi, bisognerebbe ragionare almeno sulla possibilità di procedere su altri punti:

- dismissione del patrimonio immobiliare pubblico;

- riduzione di tutti gli stipendi pubblici superiori ad un determinato importo da stabilire con procedure che congelino i trattamenti esistenti superiori e riducano l'importo delle nuove retribuzioni; - Ripresa della spending review utilizzando l'applicazione del costo standard e rimuovendo tutti quegli ostacoli provenienti dai più alti livelli della burocrazia dello Stato;

- riduzione dei costi della politica;

- ruolo di prestatore di garanzia e di motore della finanza da parte della Cassa Depositi e    Prestiti;

- riforme strutturali a cominciare dalla semplificazione burocratica ai tempi della giustizia ecc. che, a costo zero, rappresenterebbero un risparmio di spesa notevole per tutte le imprese;

- utilizzo della possibilità che i cofinanziamenti previsti nell'utilizzo dei fondi strutturali europei possano non essere più conteggiati nel deficit pubblico in seguito alla chiusura del processo d'infrazione nei nostri confronti in sede europea;

- riordino del mondo delle agevolazioni fiscali riducendone l'entità complessiva.

In mancanza di tutto questo, l'impressione generale è che le forze politiche stiano pensando di poter realizzare tutte le loro proposte attraverso l'aumento del deficit per almeno due -tre anni.E' possibile che almeno per il primo anno questa ipotesi possa avere successo, stante l'abbondanza di capitali presenti sul mercato grazie alle politiche monetarie espansive della Federal Reserve, del Giappone, della Gran Bretagna e in parte della stessa BCE. E' probabilmente a questo che dobbiamo l'attuale riduzione del nostro spread sui titoli pubblici; tuttavia, non è l'Europa il vero ostacolo ad una scelta di questo tipo, bensì tutto dipende dalla valutazione dei mercati. Va ricordato che un punto di spread vale ca. 20 miliardi d'interessi ed un aumento di almeno un punto del costo del finanziamento privato. Una scelta di questo tipo ci porterebbe comunque ad un incremento probabile, nello spazio di due anni, ad oltre il 130- 135% del rapporto debito PIL.

La congiuntura attuale è comunque favorevole; tuttavia, non si può pensare ragionevolmente di affrontare questa strada, con probabilità di successo, senza un completo piano strategico che veda al suo interno una ripresa a partire dal 2014 di almeno 1% del PIL e nel 2015 di almeno il 2%, per poi rientrare con livelli di deficit inferiori all'incremento del PIL. Dobbiamo, come Paese, presentare un progetto complessivo di crescita tale da coagulare attorno ad esso il consenso del mondo dei produttori e delle categorie sociali più colpite dalla crisi e tale da convincere anche il mondo degli investitori sulla bontà del nostro agire. Sarebbe veramente pericoloso non capire la portata della posta in gioco che ci porterebbe inevitabilmente a dover uscire dalla moneta unica per imboccare una strada autonoma di riassesto.

 

 

 

giovedì 25 aprile 2013

Investimenti esteri e semplificazione

La semplificazione delle incombenze burocratiche a carico delle aziende costituisce una delle principali riforme da porre in atto nel nostro Paese, per facilitare   la ripresa della crescita e per attrarre nuovi investimenti, anche di natura estera.

Non si può sottovalutare, infatti, come l'eccessiva burocratizzazione delle procedure autorizzative, le incombenze di natura fiscale, i tempi lunghi di una giustizia civile, che rendono problematica la certezza del credito, e la stessa incertezza del quadro politico di riferimento rendano difficile la propensione all'investimento estero nel nostro paese.

Pur tuttavia, le occasioni interessanti si vanno moltiplicando e, nonostante mille problematiche, assistiamo, in questi giorni, a nuove iniziative.

Sul piano finanziario, attualmente, stiamo godendo di una congiuntura favorevole.Diversi operatori finanziari mondiali, specie dell'area asiatica, stanno valutando positivamente il combinarsi di diversi fattori fra cui:

a)      La tendenza della nostra valuta a mantenere / aumentare il suo valore nel tempo rispetto alle altre principali monete che adottano politiche di "quantitative easing" (Dollaro Usa, Sterlina, Yen ..).

b)       Un rendimento interessante dei titoli pubblici come quelli italiani, spagnoli ecc.

c)      La capacità e la volontà ufficialmente espressa della BCE per la difesa dell'Euro.

d)      Le recenti misure volte ad assegnare alla BCE la sorveglianza sul sistema bancario europeo.

e)      La presenza dell'ESM, con una dotazione che arriverà sino a 500 miliardi di Euro e con la possibilità teorica di chiedere ulteriori risorse al mercato.

Tale interesse, verso le possibilità d'investimento finanziario nell'area europea, sta orientando masse consistenti di denaro sul mercato, con un riflesso positivo sullo spread dei nostri titoli pubblici.

Sarebbe oltremodo interessante muoversi con rapidità, in questa congiuntura favorevole, mettendo in piedi, a cura del nuovo governo, un piano di emissioni importanti di obbligazioni convertibili sul patrimonio immobiliare pubblico. Conferendo rapidamente almeno 400/500 miliardi di patrimonio immobiliare ad una nuova società a capitale pubblico, si potrebbero offrire agli investitori delle obbligazioni convertibili a scadenza in azioni di questa nuova società di gestione. Un'operazione di questo genere dovrebbe essere opportunamente accompagnata dalla concessione speciale di piena utilizzazione degli immobili per qualsiasi finalità, previo parere positivo (da rilasciare in tempi rapidi) e non appellabile da parte di una commissione interdisciplinare appositamente predisposta.

 

Nonostante diverse difficoltà presenti all'interno del nostro sistema paese, tuttavia, in questi giorni, stiamo assistendo ad un rinnovato interesse degli investimenti esteri.

Si è, infatti, appena conclusa l'acquisizione della Richard Ginori   da parte del gruppo francese Kering tramite la controllata Gucci, previa formalizzazione davanti al Tribunale di Firenze di una proposta di 13 milioni di euro per rilevare il fallimento della storica manifattura di porcellane, nata nel 1735 e fallita nel gennaio 2013.Lo stesso Gruppo Kering ha appena acquisito anche il marchio di gioelleria Pomellato, azienda che ha realizzato nel 2012 un fatturato di 146 milioni di euro, ed ha una rete di distribuzione che comprende 80 negozi monomarca e 600 punti vendita nel mondo. Trattative in corso sono poi attive a Roma per l'acquisizione di un importante immobile a Roma, Via del Corso, di proprietà Benetton,  da parte del gruppo, del settore abbigliamento giovane, H&M.

L'investimento più importante, di cui è stata data notizia, è sicuramente quello previsto dalla Lukoil, azienda russa del settore energetico. La Lukoil  ha manifestato l'intenzione di acquisire entro l'anno il controllo totale della raffineria Isab di Priolo, subentrando alla Erg e rilevando dalla stessa il rimanente 20% delle quote ancora di sua proprietà. Ottenuta  la totale proprietà, la Lukoil intende poi  procedere alla realizzazione di  un piano di investimenti da 1,5 miliardi di euro finalizzati all'ammodernamento dell'impianto siracusano che ha una capacità di raffinazione di circa 12 milioni di tonnellate l'anno e dà lavoro a oltre duemila persone di cui 900 diretti e circa 1.200 nell'indotto. La dimensione dell'investimento è importante ed è teso  a porre l'impianto di raffineria  di Priolo in grado di  contrastare con efficacia la concorrenza  indiana e USA; inoltre, rappresenterà uno stimolo per tutta l'area industriale  di Siracusa nel triangolo Augusta-Priolo-Melilli.

 

L'impressione è che, in presenza di occasioni appetibili  sia per la validità del marchio che per il prezzo di vendita, l'interesse estero verso l'acquisizione dei gioielli della nostra realtà economica possa aumentare. Questo fatto può rappresentare un'opportunità  perché significa la possibilità che nuovi capitali stimolino la nostra economia; ma, è un fenomeno da tenere sotto osservazione perché, in alcuni casi, ottenuto il marchio è possibile  che la produzione possa essere trasferita all'estero, oppure che si assista ad un possibile declino  della presenza italiana in alcuni settori di produzione o servizio.

Per il momento, è giusto guardare con interesse a questi investimenti, rammaricandosi in qualche occasione  per la scarsa presenza di  interesse da parte dei gruppi economici nazionali, dotati di liquidità.

Quello che è utile per l'intero mondo delle imprese e per gli investimenti è continuare sulla strada delle riforme di sistema e della semplificazione. A tal proposito,  possiamo  guardare con interesse  alla rapida attuazione del decreto  35/2012 relativo alla nuova autorizzazione  unica ambientale. Una volta attuata l'opportuna regolamentazione  da parte delle Regioni ed Enti locali  la richiesta unica di autorizzazione, veicolata tramite  lo Sportello unico  per le attività produttive,  consentirà di ottenere   con una sola domanda  ciò che prima richiedeva  molti tipi di autorizzazioni ambientali (scarichi, acque reflue, emissioni in atmosfera, fanghi di depurazione, impatto acustico, recupero rifiuti) in tutte quelle situazioni in cui non è richiesta l'AIA (autorizzazione integrata ambientale  necessaria per gli impianti più complessi)  o la valutazione d'impatto ambientale.

Molti passi devono essere ancora fatti ma la strada delle riforme e della semplificazione è una delle condizioni necessarie per il recupero di competitività del nostro sistema paese e per aumentare la capacità d'attrazione d'investimenti  italiani ed esteri.

 

 

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venerdì 5 aprile 2013

Limiti alla competitività delle imprese italiane

Il recente rapporto della Commissione Europea sull'andamento dell'occupazione nell'area ha evidenziato un'ulteriore crescita della disoccupazione in Italia. Nell'ultimo trimestre 2012 la disoccupazione ha subito, infatti, l'accelerazione più marcata rispetto al trimestre precedente (+0,5%). Nello stesso periodo di riferimento, cala anche la produttività del lavoro e l'Italia registra uno delle peggiori performance fra i paesi europei: -2,8% nell'ultimo trimestre 2012, dopo il calo ancora più forte del 3% del precedente trimestre. L'Italia è anche il paese in cui il numero dei senza lavoro sta crescendo più velocemente. E' quarta nella classifica degli Stati in cui pesa di più la disoccupazione di lunga durata, dopo Grecia, Spagna e Portogallo. L'altro Dato preoccupante è che, in generale, a causa della crisi in corso ben il 15% della popolazione vive in condizioni di difficoltà economica. Aggiungiamo un altro dato poco incoraggiante: quello del CLUP (costo del lavoro per unità di prodotto). Il Clup è dato dal rapporto tra il costo del lavoro per addetto (che comprende, oltre alle retribuzioni lorde, i contributi sociali, le provvidenze al personale e gli accantonamenti per il trattamento di fine rapporto) e la produttività per addetto.In Italia, i salari nominali sono aumentati in relazione all'aumento del costo della vita; mentre, la produttività è rimasta ferma o è diminuita. Il CLUP del nostro paese evidenzia, pertanto, un costo sempre più elevato, con una perdita di competitività nei confronti degli altri paesi europei nostri principali competitors quali la Francia, la Germania, il Regno Unito ecc.Vi è uno stretto legame fra le possibilità di crescita economica, la competitività delle nostre imprese, il livello di disoccupazione e la crescente situazione difficoltà economica del 15% delle famiglie italiane. Non potendo contare su di uno sviluppo a breve della domanda interna, per le evidenti difficoltà di un ampliamento dei consumi e della spesa pubblica, diventa sempre più importante lo sviluppo delle nostre esportazioni. La competitività delle imprese ne diventa un fattore essenziale.Quali sono i fattori che la limitano? Sicuramente il primo è ben rappresentato dalla pesantezza del CLUP; ma, altrettante difficoltà nascono a causa dall'elevato carico fiscale e dal costo dei finanziamenti. Nella maggior parte dei casi il peso di questi due ultimi fattori è talmente rilevante da essere altrettanto decisivo per la sopravvivenza, lo sviluppo e la competitività delle nostre aziende. Consideriamo dapprima le possibilità di miglioramento dell'andamento del CLUP. Come abbiamo detto esso dipende da un lato dall'andamento dei salari e dall'altro dalla produttività. Pensare di riuscire a migliorare la situazione attraverso una riduzione dei salari è una scelta difficile anche perché l'Italia, all'interno dei paesi più industrializzati, è uno di quelli con i salari netti più bassi. IL valore medio è di ca. 25.303 dollari (salario netto) nel 2012, al 22esimo posto sui 34 Paesi Ocse e all'ultimo tra i maggiori Paesi europei: anche la Spagna ha un salario medio netto superiore (27.500 dollari). Il dato italiano resta al di sotto della media Ocse che è di 28.090 dollari. Diversa è invece la situazione se parliamo del costo lordo che aumenta notevolmente a causa dell'elevato cuneo fiscale. I margini per una riduzione del costo del lavoro sono pertanto legati principalmente ad una riduzione del carico contributivo e fiscale specie nei confronti delle parti deboli del lavoro per favorirne l'occupazione. E' possibile tuttavia tentare di operare il più possibile favorendo la contrattazione aziendale anche in deroga a quella nazionale dove possibile, bloccare per un periodo limitato gli adeguamenti al costo della vita e gli scatti d'anzianità. I costi sociali sono comunque elevati ed in cambio di tutto questo bisognerebbe ottenere maggiori garanzie lavorative per i giovani, le donne, i lavoratori del mezzogiorno e la riduzione complessiva dell'utilizzo del lavoro atipico. La vera battaglia si vince in ogni caso sul campo della maggiore produttività. Essa va aumentata grazie alla stretta relazione fra formazione, innovazione e produzione. I risultati non sono mai a breve, è vero, ma sottovalutare il problema e non porre in atto politiche mirate ad un rapido recupero di questo scarto ci condanna ad assumere un ruolo marginale stabile. Rinunciare ad un forte sviluppo della produttività significa puntare su produzioni ad alto contenuto di lavoro semplice, cercando inoltre di abbassarne il più possibile il costo. Inevitabilmente, una strada di questo tipo ci conduce verso tipi di produzione meno complesse ed arretrate. Il pericolo è pertanto di entrare in una spirale del sottosviluppo. Il nostro mezzogiorno ha vissuto e vive da molti anni una logica di questo tipo, basata sulla connivenza malefica con la delinquenza organizzata ed il lavoro nero, privo di garanzie e di protezione sociale. Non possiamo perdere competitività nei settori strategici della produzione mondiale. E' importante un recupero della produttività sull'onda di maggiori investimenti in tecnologia innovativa.

Un ultima considerazione che va fatta   è che abbiamo assistito in questi anni ad una profonda diversificazione del mercato del lavoro che spesso sfugge alle statistiche. Il dato medio è, infatti, composto da un lato dalla remunerazione di lavoratori a tempo indeterminato, ma, dall'altro, le posizioni a tempo determinato, parziale, a progetto ecc.incidono percentualmente in maniera significativa.  Che effetto riduttivo del costo complessivo ha la loro presenza?  La mia impressione è che assistiamo ad un tragico dualismo del mercato del lavoro italiano che sia in termini di costi, sia di garanzie, sia di prospettive ha operato una profonda frattura generazionale, di genere e territoriale all'interno dei lavoratori. Non parliamo inoltre dell'incidenza statistica che avrebbero tutti i lavoratori in nero che in molte regioni rappresentano una realtà importante e le ore di cassa integrazione che permettono a molte grandi aziende di sopravvivere. Qual è il costo unitario del lavoro in Italia? E' probabilmente un costo, diversificato al suo interno in mille realtà contraddittorie, che permette la sopravvivenza delle aziende ma con grosse difficoltà di mantenere una prospettiva di lungo periodo. Veniamo adesso a considerare altri punti che gravano pesantemente sulla competitività delle nostre imprese: il carico fiscale e gli oneri finanziari.

Per quanto riguarda il carico fiscale bisogna ammettere che l'IRAP rappresenta un onere micidiale.Sarebbe tuttavia superficiale una condanna che non tenesse conto dei motivi strutturali di lotta all'evasione che hanno contribuito a generarla. L'abolizione dell'IRAP vale almeno 20 miliardi d'euro e mi sembra difficilmente realizzabile anche se auspicabile. Si può semmai valutare un alleggerimento d'entità pari all'eventuale soppressione d'aiuti alle imprese, legandolo comunque ad un obbligo alla capitalizzazione degli utili.

Dal lato dell'equilibrio finanziario delle imprese, va evidenziato che molto è legato alla condizione di diffusa sottocapitalizzazione. Conseguenza della loro abitudine di evitare il più possibile l'evidenziazione degli utili per evitare una pesante tassazione. La seconda motivazione è stata anche di evitare gli obblighi societari connessi ad una dimensione più ampia (sindaci, sindacati ecc). Se in questi anni il basso costo del denaro ha consentito di supplire alla diffusa sottocapitalizzazione, ricorrendo alla leva finanziaria (con il benestare di un sistema bancario che ha accettato le garanzie personali mobiliari ed immobiliari a sostegno, in mancanza di un capitale responsabile aziendale sufficiente), oggi, la situazione è radicalmente diversa. Il peso finanziario è eccessivo, il costo insostenibile e mette in discussione la stessa sopravvivenza delle aziende, impedendo qualunque investimento teso al miglioramento della produttività. La situazione finanziaria dello Stato e lo spread dei nostri titoli pubblici hanno delle conseguenza sul costo dei finanziamenti per le imprese ed anche sulla competitività complessiva del nostro sistema produttivo.Come possiamo sostenere dei finanziamenti alle aziende sul 7 –8 per cento mentre nel mondo le Banche Centrali giapponese, americana inglese si avvicinano al tasso zero e all'interno dell'area euro paghiamo dai tre ai quattro punti in più rispetto alle economie più forti?

 Diventa urgente riaprire i canali del credito alle imprese penalizzati sia dalla debolezza patrimoniale delle banche, sia dalla loro preoccupazione per l'aumento delle insolvenze. La garanzia dello Stato può consentire un alleggerimento del peso del rischio nei confronti del patrimonio di garanzia ed una maggiore disponibilità alla concessione del credito. L'utilizzazione dei Confidi può inoltre permettere un effetto moltiplicativo della stessa garanzia statale così come sarebbe auspicabile una maggiore azione diretta della Cassa Depositi e Prestiti. Vanno stimolati anche nel nostro paese gl'interventi sul capitale da parte dei fondi di private equity per il rafforzamento di quelle imprese che, pur non di grandi dimensioni, si presentano fattive e dinamiche. In questo senso va sottolineato l'importanza del Fondo d'investimento italiano anche se con una dotazione ancora modesta. Va incrementato e sostenuto il ricorso all'emissione di prestiti obbligazionari e convertibili. Vi sono poi opportunità di utilizzare disponibilità europee.La Banca europea per gli investimenti (BEI) riceverà altri 10 miliardi d'euro e potrà quindi fornire finanziamenti supplementari per 60 miliardi nei prossimi tre o quattro anni, mobilitando inoltre un importo tre volte superiore presso altre fonti di finanziamento. Sono poi da utilizzare i fondi strutturali UE a sostegno della crescita in particolare delle PMI. Occorre utilizzare appieno anche gli strumenti del programma per la competitività e l'innovazione, che hanno già mobilitato 2,1 miliardi d'euro di fondi di venture capital e fornito 11,6 miliardi d'EUR di prestiti alle PMI. Nessuno dei tre fattori su descritti (CLUP, oneri fiscali, costi finanziari) può essere sottovalutato o trascurato. Abbiamo un punto di forza rappresentato dal buon controllo del deficit annuale previsto al di sotto del 3%. Dobbiamo poter utilizzare questo margine per agire sui tre punti sopraelencati e tentare di far ripartire la crescita attraverso una maggiore competitività delle nostre imprese. Un'altra fonte di risorse può venire dalla dismissione del patrimonio pubblico. L'ultima è la riqualificazione della spesa pubblica e la sua riorganizzazione complessiva.Non c'è solo da risparmiare, c'è soprattutto da riorganizzare l'utilizzo di questa spesa, in modo da rappresentare un'economia esterna per la popolazione e per le imprese, oltre che una fonte diretta di reddito aggiuntivo. Bisogna complessivamente  privilegiare il lavoro rispetto alla rendita sia essa immobiliare sia finanziaria. La ricchezza di un paese nasce solo ed esclusivamente dal lavoro.

 

 

sabato 9 marzo 2013

Democrazia partecipativa e Rete

 

In ogni periodo storico è sempre esistita una continua dialettica fra Movimenti ed Istituzioni.

I Movimenti riuniscono le persone per la realizzazione di un obiettivo  e vivono nella condivisione dei contenuti elaborati insieme. Normalmente, presentano le caratteristiche di un "comunismo elementare" e utilizzano forme il più possibile vicine alla democrazia diretta. Il "Movimento" lega le persone che lo compongono anche sul piano affettivo ed, in questo senso, le idee ed i valori sono vissuti con passione, costituendo spesso un'esperienza totalizzante. I Movimenti, tuttavia, non sono eterni. Essi si relazionano in maniera dialettica con le istituzioni, modificandole e modificandosi. Grazie alla forza ideale dei loro partecipanti l'intera società e le istituzioni, che la rappresentano, vengono investite da una tale forza di cambiamento da essere costrette a modificarsi per sopravvivere. Allo stesso tempo, il Movimento, per continuare la sua vita nel tempo oltre la fase eccezionale della sua nascita, deve organizzarsi e darsi delle regole che assicurino la sua sopravvivenza in una forma  istituzionale.

Quello che appare originale e peculiare nella realtà contemporanea è l'interazione che si è verificata fra i Movimenti e le nuove possibilità tecnologiche, come la Rete.

La Rete ha permesso uno sviluppo dei Movimenti collettivi in tempi rapidi e  su grandi spazi fisici. 

Ha permesso una continua interazione intellettuale ed ideale fra i suoi componenti, anche se la riduzione della necessità della fisicità ha ridotto le implicite possibilità affettive  e la  totalizzazione dell'esperienza. Lo strumento ha inoltre permesso ai leaders carismatici  di godere della possibilità di avere costantemente un'enorme platea digitale.

Se accoppiamo a quest'elemento la possibilità di partecipazione in rete d'ogni singolo membro, l'"assemblearismo" e la democrazia diretta ricevono dal Movimento un'ulteriore legittimazione come unico strumento possibile d'organizzazione.

E' tuttavia legittimo chiedersi se, nel passaggio dialettico al rapporto con le istituzioni e nella conseguente necessità di passare dalla fase del movimento iniziale a quella strutturata d'organizzazione, questo modo di procedere non possa rivelare dei limiti insormontabili.

Proprio per permettere un'adeguata ed incisiva partecipazione ed una vita duratura del Movimento è necessario frammentare nel tempo e nello spazio i processi, creare diversi livelli d'approfondimento, consentire la presentazione e il consolidamento dei diversi punti di vista e di programmi differenti e/o contrastanti, predisporre momenti di delega rappresentativa, necessari proprio per portare avanti gli obiettivi comuni. Creare insomma nuovi livelli organizzativi

Le possibilità offerte dalla Rete permettono una nuova e diversa capacità assembleare ed una partecipazione non solo fisica delle persone, La discussione assembleare o l'adesione alla posizione vincente è tuttavia sufficiente per affermare che è soddisfatto il requisito della democrazia? Non è forse necessario anche prevedere all'interno della partecipazione  il momento della delega e vari livelli sempre più complessi nella formazione delle idee e nell'assunzione di responsabilità.?Come si procede quindi nella formazione delle idee e dei programmi? La forma organizzativa segue e facilità la formazione delle idee e la loro realizzazione concreta? Il percorso di responsabilità è legato a questo processo?Come vengono amministrate le disponibilità economiche ?

E' probabilmente  vero che i tradizionali rapporti fra democrazia , partecipazione e rappresentanza siano stati profondamente modificati dalle nuove possibilità tecnologiche offerte dalla Rete.; tuttavia,  tali nuove possibilità non possono modificare la sostanza di questi rapporti ma solo la modalità, permettendo in tal modo un miglioramento della qualità stessa della democrazia.Cerco di spiegarmi meglio: la Rete permette una maggiore circolazione delle idee e delle informazioni a costi bassissimi e quasi nulli . Tutto questo mentre si annullano i problemi connessi alle distanze fisiche ed ai tempi personali disponibili.Non sono cose da poco .In sostanza,si riesce a dipendere molto meno che nel passato dai "media" e dal loro potere di controllo. Si riesce  a superare il monopolio dell'informazione e della gestione selettiva dei contenuti e delle idee .La possibilità di far discutere in modo stabile e continuativo  persone che distano da loro centinaia di chilometri può consentire una maggiore presenza consultativa e decisionale su problemi importanti o la collaborazione  diffusa su progetti d'approfondimento tematico.Tutto questo non è trascurabile; tuttavia, non porta automaticamente alla democrazia diretta ed alla possibile negazione del concetto di delega e rappresentatività. Porta invece alla necessità di dare spazio ad una reale democrazia partecipativa sia all'interno delle organizzazioni politiche che nelle istituzioni.Nessuno oggi potrà affermare che per motivi di tempo, di spazio ,d'informazione o di distanza non è possibile, organizzare o consultare o decidere insieme su alcune questioni.Il problema ,quindi, è di procedere nella realizzazione di tutte le modifiche organizzative necessarie ma riconoscere allo stesso tempo la differenza di cultura , d'esperienza di vita, di passione , di coraggio, di saggezza ecc ecc. esistenti fra le persone e che da un lato permettono ad alcuni  di assumersi responsabilità  maggiori  e dall'altro gli fanno ottenere la fiducia da parte degli altri che gli delegano delle funzioni. Un processo di delega e di rappresentanza pertanto di maggiore qualità e trasparenza che parte realmente da una base  diversamente organizzata.Tutto questo all'interno di una nuova realtà che offre maggiori possibilità di controllo , trasparenza e verifica da parte di una base attiva e partecipante.Il comune cittadino DEVE poter esprimere il suo giudizio sulle questioni scottanti e  su tutto quello che lo riguarda;tuttavia,  non gli si può chiedere  di predisporre gli studi e le proposte tecniche relative,di decidere e di occuparsi direttamente di tutto  perché sarebbe macchinoso e non efficace. D'altra parte non affiderei mai a dei tecnici il potere di decidere per conto mio ; mentre, invece, attraverso un processo progressivo di delega, affiderei la possibilità di prendere delle decisioni ad una classe dirigente che avrei condiviso attraverso un processo trasparente di delega. Su cosa quindi baserei la delega? Sulla fiducia che una persona ha saputo guadagnarsi nella guida di un gruppo di cui si è assunto progressivamente la responsabilità e da cui ha ottenuto la fiducia. informandosi su tutto quello che non conosce, chiedendo aiuto tecnico e sottoponendolo al parere ed all'intelligenza comune, dedicandosi al bene del gruppo ed avendo il coraggio di prendere decisioni difficili . In questo percorso di responsabilità vedo la crescita e la formazione della classe dirigente .

 

 

venerdì 1 marzo 2013

Per un governo di minoranza

Il recente risultato elettorale testimonia la profonda crisi della nostra società in presenza di una recessione economica, che grava pesantemente sulle prospettive di reddito e d'occupazione dei cittadini, e della mancanza di fiducia in una classe politica, vista come distante dalla gente, incapace di recepirne i bisogni ed interessata solo al mantenimento dei propri privilegi. Questo miscuglio esplosivo ha posto spesso, nella storia, le condizioni per veri e propri terremoti del panorama politico e del rapporto fra i ceti e le classi sociali. In molti casi, la novità ideale, necessaria per affrontare con successo i problemi, non ha trovato strada nelle politiche esistenti, creando le condizioni per l'irruzione di forze nuove dai connotati spesso rivoluzionari. In altre situazioni, personalità di rilievo hanno avuto la capacità di proporre formule nel segno della speranza, per ridare fiato non solo all'economia, ma all'intero spirito delle nazioni. Penso ad esempio all'esperienza del New Deal americano o a tanti altri esempi della storia passata. Anche il nostro paese vive un momento, di cambiamento e di ristrutturazione della politica, che ha portato alla recente affermazione elettorale del Movimento Cinque Stelle.Con il voto così ampio a questo gruppo, gli elettori hanno inviato qualcosa che assomiglia ad un ultimatum. Più che un'adesione convinta ad un programma di governo, questo voto sembra unire un malessere di diversa provenienza con obiettivi che, su molti aspetti, potrebbero anche essere inconciliabili. Ci si chiede, infatti, quanti di coloro che hanno votato Grillo, disgustati dallo spettacolo d'insipienza e corruzione offerto spesso dalla politica, siano poi d'accordo con le ipotesi di uno sviluppo basato sulla possibile decrescita ma con maggiore attenzione alla qualità della vita sociale (i cui indicatori sono in ogni caso da verificare e da dibattere adeguatamente). Quanti pensano che il nostro Paese sia sostanzialmente fallito finanziariamente e oggetto dei voleri della finanza internazionale, cui paga un contributo interessi intollerabile, per cui l'unica soluzione potrebbe essere quella di procedere ad un piano di ristrutturazione dello stesso debito.? Quanti inoltre ritengono possibile e preferibile una possibile uscita dall'euro ed una svalutazione competitiva della nostra moneta che decurti immediatamente il valore dei nostri risparmi, degli stipendi e delle pensioni? Quanti ritengono inutili i grandi lavori della TAV che permetterebbe la partecipazione italiana alle vie di comunicazioni più avanzate europee e lo sviluppo del transito delle merci su ferro? Probabilmente, molti ritengono questi problemi distanti dal quotidiano ed intanto sentono il Movimento Cinque Stelle presente in tutte le situazioni in cui la politica tradizionale non riesce a d offrire sostegno ed aiuto. .Il movimento ha inoltre fatto suoi alcuni punti considerati ormai irrinunciabili dalla maggior parte delle persone come testimonia anche l'esito dei due referendum sull'energia nucleare e sull'acqua La parola d'ordine è, infatti, quella di preservare i beni comuni alla gestione pubblica e di orientare il piano energetico nazionale sempre più verso le fonti energetiche rinnovabili. C'è tuttavia una forma di semplificazione nel trattare le questioni che certo non giova alla gestione dei fenomeni.Lo troviamo ad esempio nella difficoltà ad accettare la necessaria presenza sul territorio nazionale di termovalorizzatori dove smaltire almeno la parte residua dei rifiuti non riciclabili nonostante il possibile successo di un'estesa e capillare raccolta differenziata.La fiducia degli elettori, inoltre, è   riposta nella possibilità dello sviluppo di una democrazia partecipativa, che consenta un controllo dal basso del personale e dell'azione politica, mentre, da parte loro, le forze politiche tradizionali sono rimaste impermeabili al cambiamento ed all'apertura delle proprie strutture organizzative. Troppo spesso, la necessità della sopravvivenza dell'organizzazione ha prevalso sull'accoglimento di un percorso di democrazia partecipativa di base e sul web. L'utilizzo delle possibilità della Rete è stato, anzi, completamente sottovalutato ed utilizzato solo come cassa di risonanza, mentre, la sua forza consiste proprio nella maggiore possibilità di partecipazione della base alla vita politica , compresa l'elaborazione dei contenuti . La Rete può dunque essere uno dei luoghi di formazione del personale politico, come ha intuito Grillo.

Ora, siamo di fronte ad un'emergenza che richiede la definizione di priorità, pur coscienti del rischio di nuove elezioni a breve.

Il Partito Democratico ha la responsabilità della proposta e sarebbe auspicabile che, pur non potendo contare su di una maggioranza precostituita, si presenti in Parlamento chiedendo la fiducia su di un programma minimo d'azione che permetta di affrontare l'emergenza intervenendo subito su alcuni fattori critici:

Pensiamo che il tentativo di formazione   di un governo, capace di ottenere in Parlamento i numeri per andare avanti, debba poggiare almeno su sei priorità:

N. 1.  Riduzione drastica dei costi della politica, dei privilegi della casta Abbattere i costi, non solo economici, della politica, quelli diretti e ancor più quelli indiretti. La riforma politica deve riguardare numero e retribuzione delle persone impiegate in politica, lo scioglimento degli Enti inutili nati per foraggiare clientele di partito e riciclati, il numero dei mandati, il numero dei parlamentari e dei consiglieri, la misura e le modalità di controllo del finanziamento pubblico, la trasparenza degli atti amministrativi, la messa in rete di tutti gli atti pubblici compresi appalti mandati di pagamento oltre che ai rimborsi dei politici. E' necessario procedere alla regolamentazione normativa dei partiti e ad una modifica del ruolo ed operatività delle fondazioni.

N.2  approvazione di una nuova legge elettorale ed avvio di una stagione di riforme istituzionali del nostro Paese che consenta di realizzare l'obiettivo della piena governabilità ed efficienza.. Abolizione delle Province, accorpamento dei Comuni minori, soppressione di una camera, elezione diretta del Presidente della Repubblica, che assuma anche il ruolo di capo del governo. Questi potrebbero essere  i cambiamenti istituzionali  utili per portare il paese alla  piena governabilità.

N. 3. Legge sul conflitto d'interessi.Norme efficaci per la lotta alla corruzione, peso intollerabile, fattore di spreco, di distorsione dei mercati e di degrado della vita civile.

N.4 . Introduzione del reddito di cittadinanza  e del contratto unico d'ingresso a garanzie progressive, opportunamente incentivato per i giovani , le donne e gli over 50, con riduzione drastica delle forme di lavoro precario . Vengono sollevate spesso molte critiche all'introduzione del redito di cittadinanza  visto come premio  per la pigrizia lavorativa. Questa visione è oggi fuorviante perché il problema principale è quello d'intervenire sulle situazioni di bisogno, provocate da una crisi economica senza precedenti nel dopoguerra, con strumenti di tipo universali che permettano di toccare il fenomeno della disoccupazione di lunga durata, l'inoccupazione e la marginalità. L'importante è che il reddito sia concesso a patto che queste persone nel frattempo prestino  la propria manodopera in lavori utili, accettino percorsi formativi  validi per il reinserimento lavorativo ed in generale per l'occupazione e non possano rifiutare nessun lavoro continuativo proposto. La copertura economica  di un provvedimento di questa portata ( il cui  costo  potrebbe ammontare ad almeno  ca. 7.000 euro annui per persona)   è ovviamente difficile . Un provvedimento  che riguardasse  almeno due milioni di persone  costerebbe ca. 14 miliardi l'anno. Questi soldi vanno comunque trovati a  partire da un diverso utilizzo della spesa per il welfare  ( anche rivedendo i meccanismi della cassa integrazione e mobilità  oltre che le remunerazioni pensionistiche  e gli stipendi pubblici oltre i cinquemila euro netti ) considerando anche  le risorse rivenienti in bilancio dalla recente riforma pensionistica da mantenere invariata, dai rispermi ottenuti attaraversoi, taglio dei costi della politica e riforme istituzionali ( abolizione province ecc) la maggiore tassazione del gioco d'azzardo, quanto sarà  possibile destinare da una riforma fiscale ( cfr. punto 5) ecc.

N.5. riforma fiscale generale a favore delle imprese e del lavoro con l'obiettivo della riduzione del cuneo fiscale sul lavoro per la ripresa della competitività

N:6 avvio di un programma di dismissione del patrimonio immobiliare pubblico  per il finanziamento di misure per la crescita e per la riduzione dello stock del debito .Si ritiene  importante evitare la dismissione delle quote detenute in alcuni gioielli  della nostra economia come ENI e Finmeccanica, proprio per salvaguardarne  l'italianità

Un PD e un governo, che mettessero in agenda e realizzassero questi punti, aprirebbero un percorso virtuoso di fiducia e partecipazione fra Istituzioni e cittadini  oltre che alcuni punti fermi per la lotta alla disoccupazione  ed una ripresa della nostra competitività . Tutto questo non potrebbe che essere visto  con interesse e fiducia anche dai mercati finanziari.Se tutto questo non dovesse realizzarsi, è meglio dare  fiducia ad un governo di transizione, guidato da una personalità di alto rilievo, che duri per il tempo necessario alla riforma della legge elettorale, e tornare il prima possibile a nuove elezioni.

 

 

 

 

domenica 17 febbraio 2013

Programmazione dei fondi UE per la Coesione

 

Nell'ambito dell'utilizzo dei fondi europei, va sottolineata l'efficacia dell'azione svolta dal Ministro per la Coesione Territoriale, Fabrizio Barca. Tale azione ha consentito la spesa, nell'ultimo anno, di circa nove miliardi di euro del pacchetto stanziato per il nostro Paese, per il periodo 2007-2013, che altrimenti correvano il rischio di essere decurtati.

L'efficacia dell'azione del Ministro, e dei Dipartimenti di cui si avvale, insieme alla forte azione  governativa in ambito europeo hanno sicuramente influito positivamente sulle decisioni relative alla nuova dotazione di risorse stabilite a favore del nostro Paese, in un momento in cui, invece, si è proceduto ad un generale ridimensionamento degli stanziamenti. L'accordo politico raggiunto l'8 febbraio 2013 dal Consiglio europeo in merito al Bilancio 2014-2020, che dovrà quanto prima essere ratificato dal Parlamento Europeo, offre comunque una prima    importante informazione su quelle che sono state le decisioni ipotizzate e rappresentano una prima base di riferimento per l'avvio di una programmazione dei fondi per la politica di coesione. L'accordo prevede che, nell'ambito della Politica di Coesione UE, le allocazioni, per il periodo 2014-2020, destinate al nostro Paese ammontino a 29,6 miliardi d'euro (valori prezzi 2011). Di questi, 20,5 sono destinati alle Regioni meno sviluppate (Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia), 1,0 alle Regioni in transizione (Abruzzo, Molise e Sardegna) e 7,0 alle regioni più sviluppate.

In uno scenario europeo, caratterizzato dalla riduzione dei fondi totali per la coesione di ca. l'8%, l'Italia è riuscita ad assicurarsi un pur lieve incremento: dai 29,4 miliardi di euro del 2007-2013 ai circa 29,6 del prossimo periodo (entrambi a prezzi 2011).

Partendo da queste informazioni, lo staff del Ministro ha già prodotto un documento dal titolo" Metodi e obiettivi per un uso efficace dei fondi comunitari 2014-2020"   con l'obiettivo di avviare immediatamente, insieme con tutte le parti istituzionali, economiche e sociali, il lavoro di programmazione dei fondi. Non si può certamente sottovalutare la delicatezza del momento politico; pur tuttavia, questo lavoro rappresenta una base di partenza utilissima per chi dovrà operare in questo ambito.

La parte più interessante è costituita dalla proposta dell'introduzione di sette innovazioni metodologiche, di elevata rilevanza politica, e dall'individuazione di alcuni indirizzi strategici.Tali innovazioni, descritte nel documento, partono da un'analisi del perdurare delle problematicità dello sviluppo legate ad un difetto della volontà politica da parte delle classi dirigenti di quelle aree e della presente azione di disturbo della malavita organizzata.

In tal senso il documento afferma: "Esiste un crescente consenso nell'interpretare le "trappole del non-sviluppo" – sia attorno a equilibri di arretratezza, come nel Mezzogiorno, sia attorno a un blocco della produttività, come nel Centro-Nord –quale risultato di scelte consapevoli delle classi dirigenti locali e nazionali. " In tal caso " l'azione pubblica per la coesione, nel mirare a creare per tutti i cittadini opportunità di vita, lavoro e impresa che dipendano il meno possibile dalle condizioni e luogo di nascita, deve destabilizzare queste trappole del non-sviluppo, evitando di fare affluire i fondi nelle mani di chi è responsabile dell'arretratezza e della conservazione. Aprendo invece varchi per gli innovatori sia nei beni pubblici che produce, sia nel modo in cui li produce. Le innovazioni di metodo proposte sono rivolte ad aprire tali varchi. Ecco perché il "come spendere" è così rilevante"

Le sette innovazioni generali di metodo proposte dal documento sulla base di queste considerazioni configurano un sistema di valutazione pubblica aperta e possono essere così riassunte:

 

1)      Risultati attesi.( nella programmazione operativa gli obiettivi saranno definiti sotto forma di risultati attesi con indicatori opportuni di misurazioni e target da raggiungere)

2)      Azioni. ( indicazione delle azioni utili per conseguire i risultati)

3)      Tempi previsti e sorvegliati.

4)      Apertura. Trasparenza e apertura delle informazioni e rafforzamento delle possibilità di mobilitazione dei soggetti interessati.

5)      Partenariato mobilitato. Coinvolgendo nella "valutazione pubblica aperta", oltre alle parti economiche e sociali, tutti i soggetti potenzialmente influenzati o che alle azioni possano dare un contributo di conoscenza

6)      Valutazione di impatto.

7)      Forte presidio nazionale.

 

Questa nuova metodologia deve essere coniugata da un lato con le undici aree tematiche individuate dall'Unione Europea (1. - Rafforzare la ricerca, lo sviluppo tecnologico e l'innovazione, 2.- Migliorare l'accesso alle tecnologie dell'informazione 3- Promuovere la competitività delle piccole e medie imprese, il settore agricolo e il settore della pesca e dell'acquicoltura 4- Sostenere la transizione verso un'economia a basse emissioni di carbonio 5- Promuovere l'adattamento al cambiamento climatico, prevenzione e la gestione dei rischi 6 - Tutelare l'ambiente e l'uso efficiente delle risorse 7- Promuovere sistemi di trasporto sostenibili e eliminare le strozzature delle principali infrastrutture di rete 8- Promuovere l'occupazione e sostenere la mobilità dei lavoratori 9- Promuovere l'inclusione sociale e combattere la povertà 10- Investire nelle competenze, nell'istruzione e nell'apprendimento permanente 11- Rafforzare la capacità istituzionale e promuovere un'amministrazione pubblica efficiente) e dall'altro con le tre opzioni strategiche individuate nell'ambito del lavoro straordinario di rilancio del programma 2007-2013 e dal Piano Azione Coesione e suggerite dal dibattito europeo e nazionale. Tali opzioni riguardano: Mezzogiorno, Città, Aree interne. In particolare per il Mezzogiorno, nell'ambito delle programmazione delle risorse, è indispensabile tenere conto dei due deficit che caratterizzano l'area in modo diffuso: a) un deficit di cittadinanza, che va dalla sicurezza personale, alla legalità, all'istruzione ecc. b)- un deficit di attività produttiva privata, di tipo industriale", stante ad indicare non tanto il settore ma il metodo di produzione organizzato e a forte contenuto innovativo, che può dare risposte alla necessità di aumento dell'occupazione.

 

Sulla base di queste importanti premesse il documento procede quindi in modo sistematico nell'applicazione della metodologia proposta per ogni piano d'intervento, definendo pertanto gli obiettivi, i loro indicatori di misurazione, i tempi di realizzazione, le azioni da intraprendere ecc ecc..

Sembra un metodo di lavoro proficuo e che invita ad esprimersi nel merito delle problematiche e delle misure proposte per realizzare, in tempi ragionati e verificabili, le migliori soluzioni possibili.  Forse, se c'è un appunto che può essere sollevato, nell'intento di migliorare ulteriormente l'approccio, è quello di tentare di sintetizzare ulteriormente i piani d'intervento ed, al loro interno, gli obiettivi prefissati, per cercare di non disperdere troppo l'efficacia delle risorse utilizzate. I fondi a disposizione sono sicuramente non trascurabili; ma, la loro efficacia sarebbe ancora maggiore se si riuscisse a concentrarne l'utilizzo su pochi ed importanti piani d'intervento, sintetizzando al loro interno le undici aree tematiche europee. 

 

 

 

 

 

sabato 2 febbraio 2013

Banche e sistema delle imprese

 

 

Una delle principali condizioni necessarie per il rilancio della crescita del nostro sistema economico è costituita da un più facile accesso al credito da parte delle imprese, ad un costo sostenibile.

E' invece diffusa la sensazione del progressivo irrigidimento del settore bancario nei confronti della disponibilità alla concessione dei finanziamenti se non addirittura al mantenimento di quelli in essere. Si ha, infatti, l'esperienza di un progressivo orientamento alla riduzione del profilo del rischio realizzabile sia attraverso l'ottenimento di maggiori garanzie sia con lo spostamento dei finanziamenti verso le forme auto-liquidabili.

D'altra parte, la stessa affidabilità delle imprese si è progressivamente deteriorata. Non solo assistiamo ad una generale riduzione del volume dei ricavi; ma, peggiorano anche gli indici di redditività e gli indicatori dell'equilibrio finanziario interno.

Secondo dati forniti dalla Banca d'Italia, il margine operativo lordo (MOL) in rapporto al valore aggiunto è sceso mediamente al 32,2 per cento. La minore   redditività lorda fa sì che dopo avere sostenuto i costi interni e finanziari, solo una minima parte delle imprese riesca,   nel 2012, a conseguire un risultato positivo. Si riduce pertanto, in maniera forte, la capacità d'autofinanziamento del sistema imprenditoriale. In questo quadro negativo, gli unici segnali di miglioramento sono arrivati   dalla ripresa degli ordinativi legati alla domanda estera.

Alla minore disponibilità del sistema bancario a concedere finanziamenti, per motivi legati al proprio equilibrio patrimoniale, si è aggiunta una riduzione della domanda di finanziamenti delle imprese, a causa dell'indebolimento complessivo dell'attività economica. Il risultato è stato una riduzione complessiva del volume dei prestiti bancari erogati.

Dal punto di vista dell'equilibrio delle aziende, il peggioramento della loro capacità finanziaria ha comportato anche un allungamento generale dei tempi di pagamento nel sistema, con conseguente aumento degli oneri finanziari   connessi al costo dei finanziamenti necessari a coprire i ritardati incassi. Anche il ritardo dei pagamenti dell'amministrazione pubblica ha acuito questa tendenza. L'incremento del costo del debito ha infine contribuito alla riduzione complessiva dei margini economici realizzati dalle imprese.

Le vicende, legate all'andamento dello spread dei titoli pubblici italiani rispetto a quelli tedeschi, hanno pesantemente influito sul costo dei finanziamenti alle imprese ed ai privati   e solo negli ultimi mesi stiamo assistendo ad un miglioramento complessivo della situazione. Sin dal 2010 le tensioni presenti sui titoli di stato hanno influito sulle condizioni della raccolta sui mercati delle Banche Italiane, con conseguente peggioramento dei costi dei finanziamenti per le imprese ed i privati. Il peggioramento dello spread si trasferisce nei mesi successivi in aumento dei tassi sui nuovi depositi a scadenza e sulle operazioni di pronti contro termine, oltre che sulle obbligazioni emesse dalle banche per finanziarsi. La trasmissione del peggioramento dello spread dei titoli pubblici sul costo dei finanziamenti bancari segue vari percorsi, quali l'esposizione diretta delle banche nei confronti del settore pubblico, l'utilizzo dei titoli pubblici come collaterale nei mercati della provvista all'ingrosso, il legame fra rating sovrano e rating bancari.

Il miglioramento, registratosi nell'ultimo periodo, del differenziale fra i titoli decennali italiani e quelli tedeschi   ha avuto ripercussioni positive anche sulla situazione patrimoniale del sistema bancario.  Il valore dei titoli pubblici italiani a medio e a lungo termine di proprietà delle banche è, infatti, attualmente superiore del 2,5 per cento rispetto a quello di settembre dello scorso anno, data di riferimento per determinare il buffer di capitale richiesto dall'European Banking Authority (EBA) al fine di fronteggiare le potenziali perdite sul portafoglio sovrano valutato al valore di mercato.

Nel frattempo, la maggior parte delle banche ha rafforzato la propria dotazione patrimoniale, sia con operazioni d'aumento di capitale, sia con una maggiore capacità d'autofinanziamento rispetto all'anno precedente, sia con la ricomposizione del proprio portafoglio verso attività con profilo di rischio più attenuato. A giugno del 2012 il patrimonio di migliore qualità dei 14 gruppi (core tier 1) aveva raggiunto, in media, il 10,2 per cento delle attività ponderate per il rischio (dall'8,8 del dicembre del 2011). I coefficienti relativi al patrimonio di base (tier 1 ratio) e complessivo (total capital ratio) erano pari, rispettivamente, al 10,8 e al 13,8 per cento.

Pur in presenza di un quadro di relativo miglioramento, la situazione rimane ancora tesa e il peggioramento del profilo di rischio delle imprese rappresenta un ulteriore deterrente verso l'aumento complessivo dell'erogazione dei finanziamenti. In questo quadro è stato oltremodo utile l'azione di sostegno realizzata dal Governo con il Fondo di garanzia per le PMI.  Nei primi sette mesi del 2012 le domande di finanziamento accolte dal Fondo sono state pari a 4,7 miliardi di euro con rilascio di garanzie relative per ca. 2,3 miliardi.

Un cambiamento del ruolo della Cassa Depositi e Prestiti   all'interno del sistema economico  italiano,  inteso come quello di un grande polmone finanziario teso al sostegno degli investimenti,  sarebbe  auspicabile.

In questa situazione generale, estremamente delicata, le recenti notizie legate alla vicenda Monte Paschi di Siena hanno ulteriormente concentrato l'attenzione su questo settore determinante per lo sviluppo economico del Paese. In particolare, le domande più inquietanti riguardano due aspetti: a) rapporto fra sistema bancario e sistema politico b) l'effetto sui bilanci societari delle operazioni su derivati.

In questa sede non vogliamo addentrarci nei risvolti di questa vicenda ma prenderne spunto per una riflessione sugli aspetti suesposti.  La prima questione riguarda il ruolo delle Fondazioni all'interno della gestione societaria delle Banche. Nel nostro sistema il loro ruolo è importante e ha sostituito la presenza diretta dello Stato nella proprietà delle principali banche italiane. Le Fondazioni dovevano idealmente rappresentare e garantire un ruolo sociale delle banche anche in regime privatistico. La presenza delle Fondazioni avrebbe assicurato, grazie al legame con il territorio, automaticamente questo risultato. Abbiamo visto come questa interpretazione abbia lasciato a desiderare e che, nei fatti, "la politica", tramite le istituzioni locali, si è impadronita delle Fondazioni e tramite esse ha fornito alle banche un personale manageriale sensibile alle esigenze dei gruppi politici di riferimento. In questa situazione, inoltre, si è in qualche modo lasciato a questi manager ed ai gruppi dirigenziali ampia delega operativa. E' evidente che qualcosa va cambiato. Sarebbe auspicabile che le Fondazioni riducessero ulteriormente la loro partecipazione nella proprietà delle Banche ed utilizzassero le proprie risorse a sostegno di possibili attività nel territorio. Il loro disimpegno darebbe spazio all'ingresso di nuovi capitali e nuovi soggetti italiani ed esteri all'interno del nostro sistema bancario, probabilmente rafforzandolo e sviluppando un maggior controllo interno sull'operatività della dirigenza operativa.La seconda questione, su cui vale la pena di soffermare maggiormente l'attenzione, è quella costituita dalla possibilità   che le banche di credito ordinario effettuino operazioni di carattere speculativo che possano mettere a repentaglio la propria solidità finanziaria e di conseguenza i risparmi dei depositanti e le attività della clientela. Non ci stancheremo mai di sottolineare come sia assolutamente necessario ripristinare quella separazione fra banche d'investimento e commerciali decisa, tanti anni fa, durante la "grande depressione".  Negli Stati Uniti questo è stato già fatto tramite la "Volker's rule". Nel Regno Unito è stata introdotta una separazione delle attività, anche se all'interno della stessa struttura giuridica, e la misura sembra poco efficace.Il resto dell'Europa  è in grave ritardo ed anzi la proposta della commissione Liikanen, che aveva raccomandato  la separazione tra attività di investimento e attività tradizionali, è stata ignorata. La maggiore obiezione alla separazione fra banche commerciali e d'investimento sembra essere quella che una siffatta operazione indebolirebbe il patrimonio responsabile delle banche commerciali riducendone la capacità di credito all'economia.Il rischio tuttavia è troppo forte per mantenere questa situazione e  piuttosto sarebbe  di gran lunga preferibile  che invece si ritornasse indietro sull'eccesso di prudenza  voluta dall'EBA  sul tema della valutazione dei titoli di Stato nell'attivo delle Banche. I titoli vanno indicati al loro valore nominale e non di mercato. La perdita si realizza solo nel momento della possibile vendita prima della scadenza e francamente una scelta di questo tipo sarebbe deprecabile vista la possibilità di metterli a garanzia dei prestiti ottenibili dalla BCE. Assumiamoci quindi il rischio del possibile default degli stati nazionali. E' un rischio che può essere affrontato insieme e su cui l'Europa nel suo complesso sta già dando ampie assicurazioni sia con la nascita del Fondo salva stati che con la disponibilità all'acquisto illimitato di titoli pubblici della BCE sul mercato secondario.  Le banche commerciali devono ritornare ad essere il tramite fra il risparmio ed il sistema produttivo. La loro solidità non può essere compromessa dalla compresenza di un'attività speculativa fine a se stessa e tesa unicamente all'arricchimento della  Banca. I rischi connessi a queste attività si sono moltiplicati con l'utilizzo delle operazioni di derivati che  hanno letteralmente moltiplicato i rischi ma anche le opportunità di guadagno. Il mondo dei derivati  ha invaso il mercato partendo dalla necessità di assicurare i rischi connessi al corso di un titolo, del cambio, del tasso  o sull'andamento di un indice; ma, staccandosi gradualmente dalle operazioni sottostanti, ha creato un mercato esclusivamente speculativo che si auto-sviluppa  perché non costituisce solo un'occasione di guadagno per il cliente ma anche per l'intermediario. Per mitigare questo eccesso strutturale ed il rischio sistemico connesso, sarebbe opportuno recepire le indicazioni suggerite   a suo tempo dal Financial Stability Board  che indicava la necessità di una standardizzazione dei prodotti derivati. Aggiungerei specificamente  la necessità  che queste operazioni  dovrebbero essere obbligatoriamente collegate ad un'operazione sottostante di propria pertinenza che si intende coprire. Il valore nozionale del derivato non dovrebbe inoltre poter superare quello dell'operazione sottostante che garantisce. Un altro aspetto da colpire è costituito dall'eccessiva remuneratività di queste operazioni per gli intermediari bancari. Sarebbe opportuno,  a tal fine, introdurre  una tassazione secca del 30% sugli utili attualizzati che le banche realizzano sui contratti derivati sottoscritti dalla clientela.