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martedì 15 ottobre 2013

Attualità e condizioni dello Stato imprenditore


Una ripresa consistente dell'economia italiana può fare a meno del ruolo decisivo, svolto in tutta la storia del Novecento, da parte dell'intervento pubblico?
Come non ricordare il ruolo svolto dall'IRI- Istituto per la Ricostruzione Industriale, nato nel 1933 per iniziativa di Benito Mussolini durante l'epoca fascista, sotto la guida d'Alberto Beneduce, nel salvataggio delle principali Banche Italiane e nel sostegno del nostro sistema industriale?
L'IRI diventò così proprietario di oltre il 20% dell'intero capitale azionario nazionale controllando quasi l'intera industria degli armamenti, larga parte dell'industria delle telecomunicazioni e della produzione d'energia elettrica (Edison fu poi ceduta ai privati nel 1937), una larga quota della siderurgia civile e del settore delle costruzioni navali e della navigazione.
Anche nel dopoguerra, l'IRI svolse un ruolo significativo.
Dapprima, sotto la spinta di Oscar Sinigaglia realizzò un importante piano di sviluppo dell'industria di base e delle infrastrutture, all'interno di una sinergia, una " divisione dei compiti" con il settore privato. Si realizzo quasi una forma di cooperazione fra capitale pubblico e privato che fu alla base anche di quello che fu chiamato il "miracolo economico italiano". Molte aziende del gruppo avevano una composizione sociale mista con capitale pubblico e privato; inoltre, si utilizzo massicciamente il prestito obbligazionario a medio lungo termine ampiamente sottoscritto dai risparmiatori.
Fu solo successivamente che, con l'avvento alla guida dell'Istituto del democristiano Giuseppe Petrilli, che ne fu Presidente dal 1960 al 1979, fu teorizzato un ruolo dell'impresa e dell'investimento pubblico più legato agli obiettivi di finalità sociale generale, anche quando questi si presentavano come non economici e generatori di cosiddetti " oneri impropri".
Questo discostarsi da un criterio di "economicità" della gestione dell'impresa pubblica ebbe sicuramente l'effetto di consentire il salvataggio di realtà industriali in difficoltà, d'intervenire nelle zone sottosviluppate del paese e di contrastare i fenomeni di disoccupazione, accrescendo geometricamente l'occupazione pubblica. I dipendenti IRI superarono nel 1980 le 550.000 unità. Gli oneri impropri insieme alle congiunture economiche sfavorevoli, connesse alle crisi petrolifere, aumentarono tuttavia a dismisura l'indebitamento complessivo dell'IRI, che fu infine sostenuto con il debito dello Stato Centrale. La gestione antieconomica portò gli azionisti privati a ritirarsi progressivamente dalle aziende partecipate e tutto questo aprì poi la porta all'epoca delle privatizzazioni con la conseguente liquidazione dell'ente e di quell'esperienza.
C'è da chiedersi quindi se il criterio dell'"economicità" della gestione dell'impresa pubblica non sia, al contrario, una delle condizioni essenziali perché l'intervento dello Stato, come imprenditore, possa continuare a svolgere quel ruolo propulsivo necessario nei grandi passaggi epocali dello sviluppo economico di una nazione ed in tutte le situazioni in cui siamo alla presenza di un'inadeguatezza se non addirittura di una situazione di " fallimento" del mercato e dell'iniziativa privata.
Aveva ragione forse il grande economista liberale Luigi Einaudi ad affermare che: "L'impresa pubblica, se non sia informata a criteri economici, tende al tipo dell'ospizio di carità".
Una gestione dell'impresa pubblica e dell'intervento dello Stato volta ad assorbire imprese decotte, a sostenere occupazione improduttiva, strutturalmente squilibrata dal punto di vista finanziario e occupata dai managers vicini ai potenti politici di turno non è per niente inevitabile.Esiste un'altra strada ed è quella indicata dai primi anni della gestione IRI e dalla figura di E.Mattei all'ENI .
 
Anche l'impresa pubblica deve sottostare ai criteri di economicità, come qualsiasi altra impresa. Bisogna avere un piano progettuale realizzabile, un Business Plan accuratamente predisposto, seguito e modificato opportunamente in relazione alle difficoltà incontrate.Una gestione finanziaria altrettanto attenta, equilibrata e sostenibile.
Abbiamo ancora delle importanti imprese pubbliche che vanno rafforzate e seguite con la dovuta attenzione. Non è certo operando la loro privatizzazione che si risolvono i problemi della nostra economia. Al contrario, anzi in alcuni casi, senza l'opportuna liberalizzazione del settore, si mantiene una situazione di mercato squilibrata ed alla fine negativa.
Una delle maggiori responsabilità della cattiva politica è che non solo ha occupato lo Stato e le sue partecipazioni; ma, ha consentito ed incoraggiato una sinergia poco "corretta" con l'imprenditoria privata ", privandola del coraggio necessario e dell'attenzione assidua che nasce dal mettere in gioco i propri capitali e le proprie prospettive in una visione di mercato competitiva.
In alcuni casi, godendo di una situazione protetta, il vero business è stato quello di speculare sulla plusvalenza fra l'acquisizione e la cessione delle quote sociali.
In conclusione, mi sembra sempre più evidente che il criterio di economicità e la progettazione imprenditoriale siano ancora più essenziali per ogni impresa, specie nel settore d'intervento pubblico, così come sono necessari tutti i vari controlli durante il percorso del piano industriale.
Come realizzarlo, in considerazione del pericolo della continua intromissione della politica in tutte le aziende pubbliche?
E' questo il vero problema: la separazione assoluta dei managers dai politici, la capacità di attrarre il merito, quella di realizzare una struttura delle retribuzioni e delle carriere legata esclusivamente ai risultati economici delle imprese. Con quali tetti e limiti? Chi dovrà sedere nei consigli di amministrazione, chi dovrà avallare o valutare le scelte dei managers ed i risultati aziendali? All'interno di quale piano complessivo? Bisognerà ritornare ad una progettazione almeno decennale dell'intervento pubblico all'interno di cui dovrebbe trovare coerenza il singolo Business Plan aziendale?
Ma se si riuscisse ad operare in tal senso, quale sarebbe la necessità di operare con l'intervento dello Stato e dell'impresa pubblica, se alla fine  quasi niente la distinguerebbe da quella privata? Perché quindi non operare  solo con delle opportune facilitazioni ed incentivi, per far conseguire al mercato e all'imprenditoria privata  gli obiettivi strategici nazionali?
Vi sono probabilmente almeno una serie di motivazioni che ci consentono di ritenere utile l'intervento diretto dello Stato come imprenditore:
1) la possibilità di operare investimenti con tempi di ritorno lunghi e quindi complessivamente meno attraenti per un privato.
2) la possibilità che, proprio per questo motivo, l'intervento sia orientato verso settori molto avanzati e su cui sono necessari importanti interventi infrastrutturali (dalla dimensione finanziaria elevata e dal carattere generale. Ad esempio quello che fu il ruolo dello Stato Federale USA nel settore  aerospaziale e successivamente nella realizzazione delle cosiddette " autostrade" informatiche)
3)la necessità di operare all'interno di una situazione di precedente fallimento di mercato cercando di rimuoverne le problematiche.
4) la necessità di recuperare gap su settori importanti dell'economia mondiale ma che richiedono interventi talmente massicci che forse solo una rete d'imprenditori privati ( chi li organizzerebbe?) avrebbe la possibilità di realizzare ma che sicuramente è nelle possibilità del settore pubblico.
5) la possibilità di rimettere in piedi realtà in evidente difficoltà di mercato  che si ritengono recuperabili ed utili in una politica di sviluppo nazionale complessiva.
Vi sono pertanto sufficienti ragioni per  non privare l'azione politica del Governo dalla possibilità dell'utilizzo dell'intervento pubblico dello Stato come imprenditore. L'importante è che si realizzino le condizioni di economicità della sua gestione.
 
 
 

giovedì 3 ottobre 2013

Idee per il Congresso PD


Il prossimo Congresso del Partito Democratico avverrà in un momento decisivo della storia del nostro Paese in cui tutti dobiamo misurarci con i problemi connessi ad un mondo che sta rivedendo al suo interno la divisione internazionale del lavoro , il rapporto fra lavoro e capitale , fra produzione e finanza e che si sta misurando anche sui concetti generali di eguaglianza , di libertà ,di rispetto dell'ambiente e dei diritti della persona .
Lo stesso sistema di welfare ed il ruolo attivo dello Stato nell'economia sono stati oggetto di profondi ripensamenti relativamente  alla loro sostenibilità  e validità. Spesso,  negli  ultimi anni si è progressivamente  affermata nel mondo  una risposta  a questi problemi di tipo neoliberista tendente ad ottenere una riduzione del welfare , dei  vincoli e dei controlli sulle attività e della stessa macchina dello Stato .
Queste argomentazioni non sono state solo l'espressione dell'interesse di lobbies potenti ma in qualche modo hanno ottenuto anche un determinante appoggio popolare su cui dovremmo tutti riflettere. Troppo spesso la presenza dello Stato è apparsa troppo farraginosa , burocratica e concentrata sulla tutela dei privilegi dei suoi appartenenti. Troppo spesso l'occupazione della macchina statale da parte della politica ha fatto vedere lo Stato come uno strumento di potere sui cittadini e non, al contario, come uno strumento di tutela degli stessi. Tutto ciò è naturalmente eccessivo e non fa giustizia dell'immensa utilità ed azione positiva svolta; truttavia, fa capire su quale malcontento si sia diffuso il concetto di richiesta di riduzione del peso dello Stato all'interno della società. .
Tutto questo inoltre assume connotati drammatici quando il peso dell'imposizione fiscale rischia di distogliere risorse necessarie e fondamentali per lo sviluppo della libera iniziativa e quando una significativa parte di questa imposizione viene utilizzata per il pagamento del servizio del debito. pubblico.
Il PD si trova pertanto nella necessità di dare delle risposte significative su questo ordine di problemi di carattere interno ma anche di collocazione del nostro paese in un mondo in un sempre più rapido cambiamento.
La crisi economico –finanziaria mondiale è stata tremenda e ci ha costretto a rivedere i nostri modelli di vita e di comportamento. La crisi ci ha insegnato che se si vogliono migliorare le condizioni generali del mondo in cui viviamo , non possiamo accettare supinamente le caratteristiche con cui si è realizzato lo sviluppo economico mondiale degli ultimi anni. Alcuni modi di vita. i rapporti di ricchezza fra le nazioni , il rapporto con l'ambiente, le priorità ed i bisogni. vanno cambiati . Alcune cose vanno valorizzate ed altre ridotte  per realizzare la "crescita felice" del mondo che ci circonda in un equilibrio migliore e con un ruolo da protagonista per il nostro Paese.
Non possiamo che ripartire dai  valori fondamentali : " Eguaglianza e dignità della persona, compreso il suo diritto al mantenimento di un welfare che assicuri alcuni beni fondamentali di civiltà e di tutela minima del cittadino quali la salute, la casa, la giustizia, l'istruzione, il lavoro.
Per consentire la ralizzazione di questi obiettivi lo Stato e la politica devono favorire in ogni modo lo sviluppo dell'impresa e del lavoro assicurando il realizzarsi della libera iniziativa , delle pari opportunità , del merito e rimuovendo opportunamente i limiti che situazioni di monopolio,di ricchezza familiare, di lobbies e corporazioni o di delinquenza organizzata possono frapporre. Con la stessa determinazione tuttava vanno riaffermati i principi generali di solidarietà, di riduzione delle ineguaglianze ed il valore fondativo di qualsiasi comunità : che  " nessuno resti escluso".
Il PD deve altresì ribadire con forza una vocazione nazionale che guardi all'istruzione permanente, ricerca, ambiente, difesa del territorio, valorizzazione dei beni culturali, rilancio del turismo.
Particolare attenzione deve essere rivolta ad un programma pluriennale di sviluppo della ricerca ed innovazione (in collaborazione fra strutture pubbliche e private), che permetta una strategica ripresa di competitività delle imprese italiane
Dobbiamo inoltre porci con determinazione e fermezza all'interno di un movimento europeo dei partiti progressisti per realizzare l'affermarsi di pari condizioni di lavoro,d'investimento e di cittadinanza su tutto il territorio europeo in un'ottica di superamento delle differenze nazionali.. .
All'interno di questa prospettiva strategica il PD deve lanciare al Paese un messaggio chiaro di cambiamento sulla base del quale chiedere la possibilità e la responsabilità di governo:
a) lotta senza quartiere alla criminalità organizzata e ad ogni forma di corruzione . All'interno di questo punto va portata avanti una riforma della giustizia che miri al ragiungimento dell'obiettivo della maggiore rapidità ed efficacia. Va considerato inoltre la possibilità di un inasprimento delle pene e di maggiori poteri alle forze dell'ordine oltre ad un maggiore coordinamento fra le stesse.
b) forte progressività dell'imposizione fiscale sui redditi con l'introduzione di diversi scaglioni oltre i 75.000 euro e riforma della tassazione sulle rendite finanziarie all'interno di un sostanziale mantenimento inalterato della complessiva  incidenza fiscale sul PIL In un momento in cui la necessità di risorse per il paese si fa urgente bisogna che il peso della contribuzione ricada su chi ha maggiori possibilità.E' da considerare anche un inasprimento dei costi di utilizzo delle strutture pubbliche oltre determinati livelli di reddito. Relativamente alla tassazione delle rendite va considerata una distinzione fra i proventi da rendita immobiliare e da investimenti in attività direttamente produttive da quelli relativi a plusvalenza finanziaria e interessi su depositi e prestiti.In particolare va prestata maggiore  attenzione alla tassazione sui profitti derivanti da operazioni speculative (ad esempio una tassazione secca sugli utili attualizzati ottenuti dalle istituzioni finanziarie su operazioni su derivati, plusvalenze su operazioni di borsa prive del sottostante, ecc. ecc.) Siamo contrari alla soppressione dell'imposta patrimoniale oggi esistente ( IMU) ma semmai siamo favorevoli all'allargamento di una possibile detrazione per la prima casa. Riguardo all'aumento dell'IVA potrebbe essere realizzata una riarticolazione dei  pesi al suo interno
c) utilizzo di tutte le risorse per abbattere il cuneo fiscale sul lavoro, estendere le misure a favore delle assunzioni a tempo indeterminato dei giovani estendendone l'età fino a 40 anni e recuperare condizioni di competitività immediata per le imprese Ci esprimiamo favorevolmente per l'introduzione del contratto unico d'ingresso a garanzia progressiva( Boeri-Garibaldi) ,per la riforma e semplificazione del diritto del lavoro ( cfr progetto di legge a firma Ichino ed altri) e per l'introduzione di un salario di cittadinanza a favore dei disoccupati di lunga durata , scaduti i termini temporali previsti per l'ASPI: Il salario andrebbe erogato previo impegno dei beneficiari a seguire i percorsi di formazione proposti dalle apposite strutture per l'impiego, a svolgere eventuali lavori di pubblica utilità e a non rifiutare eventuali proposte di lavoro pena decadenza dal trattamento .Il finanziamento del salario di cittadinanza e delle struture dell'impiego non va considerato esclusivamente a carico dello Stato ma anche di apposito fondo costituito pareteticamente da imprese e lavoratori.
d) riforme strutturali e liberalizzazioni a costo zero ( semplificazione burocratica ecc.)
e) programma di valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico e sua programmata dismissione da destinare all'abbattimento del debito.
f) immediata riforma della legge elettorale per ridare ai cittadini la scelta del personale politico . In tale campo va riconfermto il principio della separatezza di tale riforma da quella di una revisione delle forme istituzionali . Effettiva sovranità popolare che implica una legge elettorale in cui valga solo il voto del cittadino e in cui ogni voto abbia eguale peso. In tal senso, non gli sbarramenti e i premi, ma il collegio uninominale a doppio turno conciliano la vera libertà di voto con la possibilità di chiare maggioranze e con l'alternanza.
g) Ulteriore rifinanziamento del Fondo di garanzia per le PMI  e rimozione degli ostacoli e delle problematiche connesse alla ricapitalizzazione del nostro sistema bancario compreso il ridimensionamento del ruolo e potere delle Fondazioni Bancarie.Realizzazione diretta  da parte dello Stato  con una rete d'imprese e d'investitori nazionali ed esteri dieci progetti pilota ( anche in forma di project financing) volti a creare occupazione ed intervenire nei settori ritenuti strategici della nostra economia.
RIFONDAZIONE ORGANIZZATIVA DEL PARTITO
In un momento così difficile della storia italiana occorrono scelte nette e riforme radicali che facciano uscire il nostro Paese dal declino economico, morale e civile in cui è caduto e consentano di superare la frattura creatasi tra i partiti e la società civile, che non si sente più adeguatamente rappresentata.
All'interno di questo processo, riteniamo che il Partito Democratico possa e debba svolgere un ruolo decisivo, rivedendo e rielaborando la propria funzione, stimolando la partecipazione del cittadino alla vita politica e democratizzando la vita interna del partito.
Crediamo nella mobilitazione cognitiva non come ennesima formula elegante ma come ispirazione che metta in moto nella realtà dei circoli l'intelligenza collettiva oggi compressa e dispersa.Pensiamo ad una nuova struttura del partito fondata su una maggiore partecipazione degli iscritti e con la opportuna valorizzazione del web come base di garanzia per la democraticità del processo di leadership e comunque per il controllo sul suo programma.
Nei confronti della società civile deve essere chiaro che il partito non cerca il monopolio dell'espressione e dei canali di partecipazione del cittadino, che devono potersi sviluppare liberamente nelle associazioni, in rete ecc., bensì aspira a collocarsi fra loro come forza stimolante e creativa
Il percorso di rappresentanza all'interno degli organismi di livello superiore, sino all'assemblea nazionale, dovrebbe essere formato esclusivamente dai rappresentanti eletti dai circoli territoriali, di settore e/o ambiente e online. Via via i rappresentanti dovrebbero a loro volta scegliere, mediante candidature, gli elementi più rappresentativi per i livelli superiori sino alla composizione dell'Assemblea Nazionale dove viene eletto il solo Segretario con il metodo delle primarie, mentre la Direzione Nazionale dovrebbe essere composta da membri eletti all'interno dall'Assemblea Nazionale. Il metodo delle liste legate ai candidati alla Direzione dei vari livelli provinciale, regionale e nazionale va eliminato perché inevitabilmente comporta il prevalere nel partito del metodo della cooptazione nella composizione della classe dirigente e lo sviluppo delle correnti piuttosto che lo sviluppo del confronto all'interno delle strutture del partito Dell'Assemblea Nazionale potrebbero far parte, come previsto anche oggi, elementi scelti in rappresentanza dei parlamentari.
E' auspicabile che i percorsi di formazione della classe dirigente del partito e quella dei rappresentanti del popolo nelle istituzioni possano seguire anche iter diversi e non coincidenti. Perciò deve essere separata la scelta del candidato premier di un futuro governo dalla figura del segretario del partito
Il Web consente maggiori possibilità di partecipazione all'elaborazione delle idee, soprattutto se non legate alle specificità del territorio, e permette d'intervenire prontamente sulle decisioni, condividendole o evidenziandone i possibili limiti.
Il PD ha previsto nel suo Statuto la possibilità organizzativa di circoli nella rete: i circoli online. Noi riteniamo che un'opportuna valorizzazione di questo strumento possa migliorare le possibilità di partecipazione .
L'utilizzo della Rete non può essere tuttavia una negazione del percorso della rappresentanza e della responsabilità. E' vero, il Web consente maggiori possibilità di partecipazione all'elaborazione delle idee e permette d'intervenire prontamente sulle decisioni, condividendole o evidenziandone i possibili limiti. Quello che non possiamo accettare è che tutto questo si trasformi in una richiesta di democrazia diretta, che neghi la necessaria formazione della classe dirigente attraverso un processo di delega e d'assunzione di responsabilità. Che procedano per gradi, nel rispetto dei tempi necessari a creare le conoscenze ed esperienze necessarie per incarichi sempre più critici.Ognuno sarà valutato democraticamente dagli altri. La progressiva assunzione di responsabilità è il cammino che porta anche alla maturazione della personalità e delle capacità specifiche dell'individuo, all'interno del contesto in cui opera.
Riteniamo che la rappresentanza dei delegati dei circoli online debba comunque seguire un percorso originale e separato da quello dei circoli territoriali con la formazione dapprima di un coordinamento nazionale composto dai rappresentanti eletti dai singoli circoli online e dalle associazioni in Rete che si richiamano al PD e successivamente da un'adeguata rappresentanza dello stesso in Assemblea Nazionale. E' indispensabile prevedere un canale permanente di comunicazione fra la Direzione Nazionale ed il Coordinamento dei Circoli e delle associazioni online.
Il PD ha già fatto da partito pilota introducendo le primarie. Ora è maturata la necessità di rivoluzionare organizzazione del partito e selezione della classe dirigente, con l'introduzione di meccanismi d'attuazione della democrazia più moderni ed efficaci.
          
 

domenica 29 settembre 2013

La strategia dei ragni

La crisi del governo sembra ormai aperta.

Per cercare di capire cosa è successo proviamo tuttavia, per un attimo, a guardare le cose dal punto di vista di Berlusconi.

Lui sapeva benissimo che, nei prossimi giorni, si sarebbe arrivati ad una decisione che lo avrebbe allontanato dal Parlamento. Questo avrebbe sancito definitivamente il suo irreversibile declino. Presto, i suoi più fedeli seguaci avrebbero cominciato a prendere le distanze ed a metterlo da parte.Perso per perso, perché dunque aspettare questa quasi inevitabile decisione?

Perché mantenere l'appoggio ad un governo che, a quel punto, poteva giovare e mettere in luce solo colui che restava comunque un avversario politico: Enrico Letta?

In nome di un servizio al Paese? No, meglio staccare adesso la spina e cercare di fare ricadere la responsabilità di tutto su di un PD ed una magistratura che si accaniscono colpevolmente contro il leader del centro destra.

Che cosa c'é da perdere?

Vista la probabile decadenza, meglio almeno riprendere l'iniziativa politica e tentare il gran colpo di ottenere la maggioranza assoluta nel futuro parlamento approfittando di questa legge elettorale che consente al capo del partito di scegliere i propri candidati ed al partito di maggioranza di ottenere un premio ben al di sopra del desiderabile.

Berlusconi potrà sempre essere costretto a stare al di fuori del Parlamento ma con un ben diverso ruolo ed importanza. Soprattutto, mantenendo il controllo su tutto e sperando di poter influire su di una risoluzione morbida dei propri problemi.

L'altra alternativa possibile, dal suo punto di vista, è che presi dalla paura delle conseguenze di possibili tensioni sui mercati dei capitali e sull'evoluzione economica del Paese Il governo, il PD o lo stesso Capo dello Stato, potessero cedere e trovare un modo pulito per salvarlo.

Bene! Tanto di guadagnato! Anzi, é l'unica possibilità rimasta per vincere a breve la battaglia, avrà pensato Berlusconi.

Un gioco spietato, lucido e cosciente.

Ed il PD?

Non c'è da pensarci due volte. Bisogna cambiare pagina definitivamente. Prendere l'iniziativa e chiedere al paese di uscire da questo ventennio con una svolta decisa. Proporsi da soli per il governo del paese nel segno della discontinuità con il ventennio precedente ma anche con i tatticismi e le mezze parole della prima repubblica.

Allora il PCI era confinato dalla guerra fredda in un'eterna minoranza ed opposizione.

Oggi il Partito Democratico può porsi invece davanti agli italiani come il partito del cambiamento e del riscatto del nostro paese. Un partito che metta fine all'intreccio fra illegalità, corruzione e criminalità organizzata che ci condannano al sottosviluppo. Un partito capace di riprendere la sua " vocazione maggioritaria" chiedendo agli elettori i voti sufficienti per governare.

Ma già si prospetta un'altra strada  che, tuttavia, è destinata probabilmente a fallire in seguito alla strategia di un altro ragno: Beppe Grillo

Tenuto conto delle difficoltà che il Paese potrebbe incontrare a seguito di un'improvvisa crisi di governo,  sarebbe auspicabile, almeno, la formazione di un governo del Presidente che realizzasse  la riforma della legge elettorale e l'approvazione della legge di stabilità (dove  si sono già sentiti questi discorsi?). E' necessario per evitare il commissionamento dell'Italia da parte dell'Europa e del FMI. E' necessario per non far svanire nel nulla  tutti gli sforzi fatti. E' necessario per non ritornare  al voto con la vecchia legge elettorale e per dare il tempo alle forze progressiste di riorganizzarsi ed affrontare le prossime elezioni con la speranza di vincerle.

Ma chi dovrebbe consentire la riuscita di questo progetto? Con quali voti questo governo tecnico dovrebbe ottenere la fiducia del Parlamento?

Quest'ipotesi non sembra percorribile senza immaginare una spaccatura dell'esercito del centro destra e/o un appoggio esterno del Movimento Cinque Stelle.

Non  sembra facile immaginare una spaccatura del centro destra  ma speriamo di sbagliarci. Meno probabile ancora sembra  l'ipotesi di una possibile collaborazione del M5S in considerazione della reiterata indisponibilità di Grillo a qualsiasi forma di collaborazione. L'unica ipotesi  cui guarda è quella di un incarico diretto al suo movimento o meglio ancora quella di dimostrare che i due partiti di governo sono in realtà due facce della stessa classe dirigente che ha rovinato l'Italia  e che pertanto deve essere spazzata via dal M5S alle prossime elezioni.

L'indisponibilità di Grillo e del suo movimento  ad una collaborazione organica di governo con il PD per il cambiamento effettivo del paese è stata in fondo la vera premessa  della crisi istituzionale e della necessaria formazione del governo di larghe intese e ciò comporta delle forti responsabilità.

Il PD deve  guardare con interesse agli elettori di questo movimento; ma, allo stesso tempo, non può non incitarli ad abbandonare posizioni estremiste e precostituite, che, alla fine, mantengono lo status quo. Tutti i compagni di strada sono bene accetti ma oggi il Partito Democratico non può delegare a nessuno la responsabilità della direzione del progetto paese che porta avanti.

Il Partito Democratico ha la possibilità e la responsabilità di operare una decisa svolta della vita politica del nostro paese.

 Oggi è il momento di operare scelte difficili e radicali. Non si può più aspettare.

 

domenica 11 agosto 2013

QUARTET


Dustin Hoffman ci ha regalato, dopo le tante prove magistrali come attore, un gradevole primo film da regista con “ Quartet”, opera dove affronta con mano sicura e delicata il tema della vecchiaia.

E’ questo un tema difficile e preoccupante, specialmente per quella generazione dei baby boomers, che guarda con preoccupazione il suo avvicinarsi e osserva il modo in cui l’affrontano i fratelli maggiori.


“Quartet”  si fa apprezzare subito per la scelta dell’ambientazione, la campagna inglese che circonda la casa di riposo per musicisti e cantanti: Beecham House, e per la fotografia, sempre su toni morbidi.

La casa di riposo è la risposta collettiva di questi artisti alla loro uscita di scena dal mondo dello spettacolo organizzato, alla loro solitudine personale, alla vecchiaia.

Non a caso le frasi più belle del film sono quelle in cui i membri del “quartetto “riflettono sugli aspetti della solidarietà: “ In questa casa, ci prendiamo cura l’uno dell’altro”, o quando, per convincere la più recalcitrante a partecipare allo spettacolo organizzato in occasione dell’anniversario di Verdi, uno dei componenti del quartetto le spiega che finalmente potrà esibirsi senza tener conto della critica ma solo per il piacere del canto.

Stare insieme, rielaborando le proprie esperienze ed i propri ricordi, e affrontando insieme la gestione di una vecchiaia che può essere ancora uno degli aspetti della “vita”.

Come dirà la dottoressa dello staff medico della casa di riposo al momento della presentazione dello spettacolo: “ sono commossa e ringrazio tutti gli ospiti della casa per quello che ci danno. Per la voglia di vivere che ci trasmettono”

La preparazione dello spettacolo è l’occasione per regalare ancora la propria esperienza e sensibilità agli altri e contemporaneamente un po’ di passione a se stessi.

Il tempo non è ancora finito ed è bella l’inquadratura dei due innamorati, perduti da troppo tempo, che si ritrovano stringendosi la mano, l’una nell’altra, proprio durante lo spettacolo.

Immagini ben diverse da quelle che vediamo quotidianamente per i nostri cari che vivono insieme alle “badanti “ di turno.

Persone sole insieme con altre persone sole. Nonostante i nostri sforzi, tutte lontane dai propri cari e dal mondo che scorre fuori della casa.

Si potrà stare anche male, si potrà litigare e gioire, si potrà passeggiare e giocare nei giardini di Beecham House ma in una dimensione che continua ad essere sociale.

Una pagina particolare è anche data dalla scena in cui, all’interno di una lezione sul significato dell’opera lirica, si realizza un confronto fra l’anziano cantante lirico ed un ragazzo adolescente amante del Rap. E’ la musica, il sentimento che esprime, che unisce le due realtà apparentemente così diverse. Ancora una volta l’incontro fra l’esperienza e la giovinezza produce il risultato più bello e fa sì che il giovane rapper sia lo spettatore più attento ed entusiasta dello spettacolo.“Quartet”, dopo essere passato attraverso la descrizione dell’ambiente. della vita e dei sentimenti dei personaggi, si chiude con la ricongiunzione e l’esibizione degli artisti che avevano dato, tanti anni prima, un’interpretazione magistrale del Quartetto del Rigoletto il cui ascolto ci accompagnerà con i titoli di coda……Bella figlia dell'amore, schiavo son de'vezzi tuoi; con un detto, un detto sol tu puoi le mie pene, le mie pene consolar. Vieni e senti del mio core il frequente palpitar, con un detto, un detto sol tu puoi le mie pene, le mie pene consolar……………………………………………………………….

 

Grazie Dustin.
 
 

 

 

venerdì 14 giugno 2013

L'organizzazione del fattore lavoro


 
La velocità con cui, nel mondo attuale, il capitale finanziario si muove, cercando le occasioni più interessanti di guadagno, costringe a rivedere   le categorie mentali con cui siamo soliti osservare l'evoluzione della società.
Vengono finanziate le combinazioni più vantaggiose di capitale e lavoro ovunque trovano un ambiente favorevole e disponibile, anche a scapito di quelle conquiste salariali e del welfare, patrimonio dei paesi occidentali.
Vi è una capacità organizzativa mondiale del fattore produttivo "capitale", di fronte a cui appare evidente la difficoltà organizzativa e la frammentazione del mondo del lavoro. La gestione dei capitali può contare su di un sistema finanziario mondiale, che supera la dimensione nazionale, l'influenza ed il peso degli stessi Stati. Esistono poi, accanto alle situazioni ufficiali, tutta una serie di paradisi fiscali e zone franche dove si sviluppano e crescono i rapporti fra capitali rivenienti da attività illegali e legali. La maggiore capacità di guadagno, ottenuta dai capitali produttivi, grazie alla disorganizzazione, frammentazione e sfruttamento mondiale del lavoro, consente poi alla finanza ed alla rendita di chiedere una fetta sempre più grossa della ricchezza prodotta.
Certo, in qualche modo, questo processo ha permesso una crescita quantitativa del prodotto mondiale; ma, se guardiamo, nelle pieghe dello sviluppo, qual è la qualità della vita delle diverse popolazioni, ci accorgiamo che la crescita è spesso fondata su aspetti contraddittori e, come sempre è successo in passato, urge procedere verso un miglioramento generalizzato delle condizioni di lavoro e di vita, un maggior rispetto per l'ambiente che ci circonda, una maggiore attenzione per un orientamento dello sviluppo.
Quello che appare evidente è che, al contrario del capitale, il lavoro si presenta come un fattore produttivo non sufficientemente organizzato e le cui condizioni organizzative e di reddito variano in maniera significativa fra una nazione e l'altra e all'interno dello stesso Paese.
Certo l'emigrazione consente ad un singolo lavoratore di cercare le condizioni migliori in un altro paese; ma, questo processo è personalmente molto più impegnativo rispetto a quello di un capitalista, che cerca nel mondo la maggiore redditività per il proprio investimento finanziario.
All'interno degli stessi Paesi occidentali, il mondo del lavoro risulta frammentato e disunito. La necessaria flessibilità produttiva, richiesta dalle aziende per competere all'interno di una globalizzazione sempre più vincolante, impone di poter disporre dell'utilizzo del fattore lavoro con duttilità sia in ingresso sia in uscita. E' poi richiesta  la possibilità del passaggio  dei lavoratori da settori o aziende in crisi a quelle più produttive,  dal pubblico al privato e viceversa., da un territorio all'altro.
Il problema che ci troviamo ad affrontare oggi ha una portata storica:
-         Come assicurare  la necessaria flessibilità e duttilità del fattore produttivo lavoro , mantenendo nel frattempo la continuità del lavoro, dei diritti e del welfare del singolo lavoratore?
-         Chi assicurerà e gestirà  la libera circolazione del lavoro secondo le esigenze del mercato senza  prevaricare i diritti del lavoratore e senza marginalizzarlo?
-         E' preferibile una gestione centralizzata dei processi o è sufficiente  un sistema articolato di ammortizzatori sociali  e di welfare?
La prima questione da risolvere è quella di assicurare alle persone la continuità del lavoro  anche se non nello stesso posto di lavoro. Quando la disoccupazione  e la precarizzazione assumono livelli tali, come in Italia e nel Sud d'Europa,  da costituire un problema complessivo di tenuta delle nostre società,  è necessario capire che il fattore lavoro deve essere gestito nella sua interezza  per garantire alla singola persona una continuità di condizioni di vita accettabili .
Nello stesso modo in cui all'inizio del Novecento  il movimento operaio e sindacale si posero l'obiettivo   di creare un fondo per le pensioni di vecchiaia  e di porre un limite concordato all'orario di lavoro settimanale; oggi, con la stessa determinazione  va sottolineato il concetto del diritto alla continuità del lavoro, alla formazione permanente  e ad una possibile crescita della mansione e della professionalità. Il singolo lavoratore deve essere seguito  durante tutta la sua vita lavorativa, potendo contare su adeguati sussidi di disoccupazione e di  adeguati centri per l'impiego che consentano il suo reinserimento. Un obiettivo di questo tipo è di natura strategica per le nostre società e pretende un  contributo di solidarietà dei singoli lavoratori , delle imprese e della fiscalità generale per la costituzione di un fondo adeguato a sostenere i costi di quest'organizzazione.
E' da riflettere se, in quest'ipotesi, non possa modificarsi il ruolo e la stessa natura giuridica  del sistema sindacale. C'è da chiedersi se non sia proprio il mondo sindacale a dover costituire l'ossatura dell'organizzazione della gestione del fattore produttivo del lavoro che non contratterà solo le condizioni del salario e del lavoro ma organizzerà anche tutta la vita lavorativa del singolo lavoratore nel suo passaggio fra periodi di occupazione, disoccupazione , formazione e reinserimento in una nuova esperienza lavorativa.
Per avere un senso ed un futuro. un progetto del genere dovrebbe avere  poi un respiro almeno europeo e costituire la saldatura del mondo del lavoro e dei produttori attorno a cui potrebbe crescere in maniera significativa l'esperienza comunitaria.
 
 
 
 
 
 

sabato 1 giugno 2013

Il partito delle riforme

Gli ultimi dati sulla disoccupazione giovanile che ha superato il 40%, le preoccupate dichiarazioni prima del Presidente di Confindustria Squinzi e dopo del Governatore della Banca d'Italia Visco impongono a tutti un momento di riflessione e la disponibilità a mettere da parte ogni eventuale pregiudizio ed ogni difesa dei propri privilegi per renderci tutti disponibili e compartecipi del cambiamento del nostro Paese.

Senza di questo, rischiamo tutti di perdere il contatto con i paesi più sviluppati e con la stessa Europa.

La conseguenza è sotto i nostri occhi: un bilancio dello Stato pericolante, una disoccupazione a livelli insopportabili un livello inaudito di corruzione, di delinquenza organizzata e di rendita che pesano come macigni sul mondo produttivo, un progressivo impoverimento delle famiglie, la perdita di competitività delle nostre imprese, un rischio di vera e propria deindustrializzazione del nostro sistema economico   con modeste prospettive di crescita.

E' nostro dovere reagire operando su due livelli, quello interno e quello europeo.

Sul piano interno è necessario recuperare il divario di competitività crescente con i paesi europei più avanzati agendo sia sulla riduzione del cuneo fiscale sul lavoro sia dando un serio impulso ai progetti di ricerca e sviluppo. La limitata innovazione delle imprese italiane negli ultimi anni ha determinato, infatti, una progressiva perdita di produttività orientando la specializzazione del nostro settore manifatturiero (che copre ca. il 16,7% del valore aggiunto lordo dell'Italia, dati 2011) verso prodotti a bassa intensità tecnologica.

Secondo quanto riportato nel recente Documento di  lavoro dei servizi della Commissione Europea-Esame approfondito per l'Italia-a norma dell'articolo 5 del regolamento (UE) n. 1176/2011 sulla prevenzione e la correzione degli squilibri macroeconomici, del 10/4/2013

" La quota del valore aggiunto manifatturiero nei settori a basso o medio-basso contenuto tecnologico ammontava al 62% nel 2009, rispetto al 44% della Germania, il 59% della Francia e il 64% della Spagna… Negli ultimi vent'anni inoltre la specializzazione settoriale dell'Italia è rimasta sostanzialmente stabile (il settore ad alta tecnologia rappresentava il 6,7% del valore aggiunto lordo totale del settore manifatturiero nel 2011, rispetto al 6,5% nel 1992)" si conclude quindi che "Il modello di specializzazione dell'Italia ha esposto l'economia all'accesa concorrenza delle economie emergenti. La specializzazione dell'Italia nei prodotti a basso e medio-basso contenuto tecnologico implica un mix di prodotti per l'esportazione molto simile a quello della Cina e di altri mercati emergenti che possono beneficiare di manodopera a basso costo".

Se a tutto questo aggiungiamo un costo dell'energia mediamente superiore del 30% a quello sostenuto dai nostri competitors europei, la difficoltà del credito ed il suo costo elevato, le eccessive incombenze burocratiche, l'insufficienza delle infrastrutture, l'inefficienza dell'amministrazione pubblica, l'incompleta liberalizzazione del mercato ed una lentezza della giustizia che rende difficile la certezza del credito possiamo renderci conto delle ulteriori difficoltà che gravano in Italia sul " fare impresa".

 

L'elevato costo e le difficoltà di accesso al credito sono poi uno dei problemi più importanti che occupano la vita delle aziende italiane. Il costo del denaro è inevitabilmente influenzato sia dall'aumento delle sofferenze sia dal rendimento dei titoli del debito pubblico.

Secondo quanto espresso dal Governatore Visco nella sua recente relazione annuale "Alla fine del 2012 la consistenza dei prestiti in sofferenza è salita al 7,2 per cento degli impieghi complessivi, dal 3,4 del 2007; quella degli altri crediti deteriorati al 6,3 per cento, dall'1,9. Per le imprese, il flusso delle nuove sofferenze in rapporto agli impieghi ha recentemente superato, su base annua e al netto di fattori stagionali, il 4 per cento, un livello non toccato da venti anni. "

L'aumentato livello delle sofferenze, le perdite realizzate sul valore dei titoli in portafoglio ed i nuovi criteri di Basilea tre comportano per il sistema bancario italiano la necessità di una maggiore patrimonializzazione per riprendere con la dovuta efficacia il ruolo di finanziamento del sistema delle imprese che oggi non è soddisfacente.

D'altra parte, la maggior parte delle imprese italiane, anche a causa della piccola dimensione, attinge con difficoltà ad altre forme di finanziamento della propria attività che non siano quelle bancarie.

E' stata utile a questo scopo l'azione del Fondo Centrale di garanzia e della Cassa Depositi e Prestiti che fra il 2009 e il 2012 hanno permesso quasi 60 miliardi d'intervento a favore delle piccole e medie imprese fra nuovi finanziamenti e moratorie.

Il sistema bancario italiano ha superato bene l'esame della crisi finanziaria del 2008 e gli interventi dello Stato a suo favore sono stati ben inferiori da quelli sostenuti dagli altri paesi europei. Basti pensare che, come ci spiega il Governatore Vinco nella sua relazione: "Lo scorso dicembre il sostegno dello Stato alle banche ammontava all'1,8 per cento del PIL in Germania, al 4,3 in Belgio, al 5,1 nei Paesi Bassi, al 5,5 in Spagna, al 40 in Irlanda. In Italia l'analoga quota è pari allo 0,3 per cento includendo gli interventi per il Monte dei Paschi di Siena."

Bisogna tuttavia fare di più perseguendo due obiettivi:

a)      separare il legame esistente oggi fra l'andamento del settore bancario e quello del debito pubblico

b)      Ripristinare il ruolo di finanziatore del sistema delle imprese.

Sul secondo punto bisogna che sia rafforzata la patrimonializzazione delle aziende bancarie sia capitalizzando gli utili prodotti sia aprendo la loro composizione sociale a nuovi investitori italiani ed esteri e riducendo il ruolo delle fondazioni. Un'altra strada da percorrere è rappresentata dal potenziamento del ruolo del Fondo Centrale di Garanzia e della cassa depositi e Prestiti che con il loro credito di firma possono decisamente sbloccare l'attuale pericolosa situazione di stretta creditizia impegnando in misura limitata le finanze dello Stato e consentendo un effetto moltiplicativo dei fondi stanziati. Per quanto riguarda invece il primo punto il risultato è conseguibile solo grazie ad un'azione concertata a livello europeo. Si ritiene utile a questo fine riportare ancora dei brani del testo della recente relazione del Governatore Visco: " Il progetto di unione bancaria mira a spezzare la spirale tra debito sovrano e condizioni delle banche e del credito……………………………….La creazione di un supervisore unico, imperniato nella BCE e nelle autorità nazionali, è il primo passo; va rapidamente completato da uno schema comune di risoluzione delle crisi bancarie e da un'assicurazione comune dei depositi.Vanno precisati i contorni, definiti i tempi di attuazione, del progetto di un bilancio pubblico comune dell'area dell'euro. ……………..L'istituzione di meccanismi di sostegno finanziario comuni per le riforme strutturali nei singoli paesi può fornire l'occasione per avviare il progetto ed intraprendere, in via sperimentale, l'emissione di titoli di debito congiunti."

 

Queste ultime considerazioni del Governatore Visco, unite ai suoi richiami indirizzati alle forze politiche italiane perché non pensino di poter ottenere in sede europea una deroga al tetto del deficit del 3% (, dato il continuo e previsto incremento del rapporto debito /PIL al di fuori delle condizioni del "Fiscal Compact"), pongono alla nostra attenzione il ruolo delle istituzioni europee nei confronti del processo di crescita economica del continente. Timidamente Visco parla di " emissione, in via sperimentale, di titoli di debito congiunti" per finanziare le riforme strutturali dei singoli paesi.In realtà l'unico modo di affrontare definitivamente la questione sarebbe quello di fotografare l'attuale situazione del debito dei singoli paesi europei, la cui possibile evoluzione è già definita dalle regole del fiscal compact; e presentarsi come unica entità di fronte ai mercati con la garanzia della BCE e di tutti i governi europei : Successivamente, la BCE dovrebbe a sua volta finanziare il debito dei singoli stati membri, internamente a tassi differenti ( spread all'interno di un ventaglio di oscillazione prestabilito) in base a criteri di valutazione ( rating) comunemente accettati e condivisi.

Questa misura permetterebbe di separare definitivamente il destino delle singole banche di un paese da quello delle finanze pubbliche dello stesso.Permetterebbe inoltre di rendere efficace la politica monetaria europea e di muoversi verso una parità di condizioni del credito nei confronti delle imprese di tutti i paesi membri.

Il cammino verso una maggiore integrazione europea di tipo federale non può che realizzarsi a patto di ridurre le differenze ed i vincoli rispetto all'utilizzo dei principali fattori di produzione: capitale, lavoro e tecnologia. Muoversi verso una riduzione delle differenze sul costo del denaro, sulla facilità di credito e sulla garanzia universale dei depositanti costituirebbe un passo avanti nel senso dell'integrazione. Avere la capacità di porre un limite minimo europeo ai salari ed ai diritti dei lavoratori sarebbe un altro punto importante. Incrementare il bilancio europeo, anche con il ricorso all'emissione di  titoli di debito, per finanziare centri di ricerca comuni di eccellenza, per delineare un programma di approvvigionamento comune delle fonti energetiche al fine di equipararne i costi, per realizzare una politica militare ed internazionale comune, per realizzare le più importanti infrastrutture comuni, porrebbe le basi per un governo politico federale.

Se non si faranno passi in questo senso. su quali altre basi si potrà procedere?

Le forze politiche del nostro paese si trovano impegnate su due fronti quello nazionale e quello europeo. Entrambi sono essenziali per il futuro del paese e richiedono un progetto di riforme difficili e radicali. Avremmo bisogno di un grande partito delle riforme più che di tanti movimenti di protesta e/o di protezione dei privilegi acquisiti.

 

 

 

venerdì 10 maggio 2013

Il governo Letta ed il progetto Paese

Dopo mesi di travaglio politico abbiamo finalmente un governo che, contrariamente a quanto ci si sarebbe aspettato prima delle elezioni, vede le forze politiche, che avevano dato il sostegno al Governo Monti per poi metterlo in crisi su iniziativa del PDL, ritrovarsi di nuovo insieme per gestire i problemi del Paese.Questa volta, non ci si nasconde più dietro uno staff di tecnici; ma, viene rivendicato il carattere politico della gestione, con un governo di " larghe intese" incoraggiato e fortemente voluto dal rieletto Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.Speriamo tutti nel miracolo, vale a dire, che questo governo trovi, in un'inaspettata unità d'azione delle sue componenti, la capacità e la forza di porre le basi per la "crescita" della nostra economia ed il superamento della piaga della disoccupazione, che affligge le famiglie.

Per riuscire in questo scopo, il governo Letta dovrebbe  realizzare tre obiettivi:

a)      Predisporre un progetto Paese in grado di delineare le prospettive di crescita e di sviluppo per i prossimi anni, con l'indicazione dei principali interventi e dei settori in cui operare

b)      Avere il sostegno forte dai partiti politici che gli hanno dato la fiducia

c)      Trovare le risorse necessarie per realizzare il piano d'interventi prefigurato.

Tutte e tre le questioni prevedono un impianto strategico d'ampio respiro, che, inevitabilmente, vede in contraddizione i principali partiti della coalizione di governo ed, in particolare, il Partito Democratico, dilaniato al suo interno da un profondo malessere. E' difficile affrontare problemi di tale livello, che dovranno necessariamente superare forti resistenze da parte d'interessi precostituiti, senza avere un'ampia coesione politica. Questa al momento non esiste. Bisognerà prenderne atto, chiedere a questo governo di realizzare alcune, poche cose possibili e già condivise, per poi tornare al voto, dando la fiducia ad un progetto Paese coerente e di lunga durata, portato avanti da una coalizione politica coesa e determinata.

I problemi che abbiamo davanti sono di tale entità da richiedere una visione fortemente caratterizzata politicamente. Abbiamo bisogno di porre fine ad una presenza massiccia e intrusiva della delinquenza organizzata e della corruzione. Abbiamo bisogno di sviluppare, a tutti i livelli, la meritocrazia contro la rendita di posizione ed il corporativismo. Abbiamo bisogno di mettere al primo posto il lavoro e dare una dignità al lavoratore abbattendo la piaga del precariato e della disoccupazione. Abbiamo bisogno di una redistribuzione delle ricchezze, di una ripresa della competitività e della produttività delle nostre imprese. Abbiamo bisogno di un piano energetico nazionale che riduca in tempi rapidi il deficit della bilancia energetica ed il differenziale del costo rispetto agli altri paesi. Abbiamo bisogno di tutte quelle riforme strutturali (dalla semplificazione burocratica, ai tempi della giustizia, alle liberalizzazioni, allo sviluppo d'adeguate infrastrutture ecc.) che consentano un risparmio aggiuntivo di costi generali per il sistema produttivo. Abbiamo bisogno di un forte impulso della conoscenza, della formazione, della ricerca e sviluppo.

Tutte questioni che richiedono un progetto Paese, una visione del futuro, la capacità di assumere un ruolo definito e forte sul piano internazionale.

Con quali risorse potremo realizzare questi obiettivi? Come potrà intervenire e con quali limiti la spesa pubblica a sostegno delle decisioni governative?

Oggi, parlare dell'utilizzo della spesa pubblica come motore della crescita ci pone immediatamente il problema dello stato della finanza. In linea di principio, quando per diversi motivi la struttura economica di un paese è ferma o in declino, l'intervento pubblico può costituire un volano necessario e importante. Può costituire quel finanziamento suppletivo del piano d'investimenti del paese che stimoli a sua volta l'investimento privato. Anche sul piano del sostegno della domanda interna, il ruolo dello Stato e della spesa pubblica possono essere decisivi, come ad esempio lo è la decisione del pagamento degli arretrati dovuti alle imprese.

Il problema è la compatibilità di tutto questo con la situazione finanziaria dello Stato italiano. Considerata la condivisa impossibilità di ricorrere ad un ulteriore ampliamento del peso fiscale sul PIL, quali altre strade ci rimangono?

La principale è quella di operare attraverso una riqualificazione della spesa, orientandola verso gli impieghi più produttivi. Altre possibilità possono venire dalla dismissione del patrimonio immobiliare pubblico, dal possibile ricorso al finanziamento in deficit e da una rimodulazione della fiscalità che allevii il carico presente sul lavoro e sulle imprese.

Partendo da quest'ultima questione si possono sottolineare alcuni problemi:

-         E' osservabile come i dati relativi alla tassazione sui consumi sia inferiore rispetto a quella applicata in diversi paesi europei. Il Governo Monti aveva preso l'impegno di evitare l'aumento di un punto dell'IVA (al 22%) previsto quest'anno. Siamo certi che questa misura in questo momento sia corretta? Non sarebbe forse preferibile operare un aumento diversificato a seconda della tipologia (penalizzando ad esempio quelli di lusso, quelli a maggior impatto ambientale ecc.);

-         Non è forse necessario aumentare la progressività del carico fiscale sui redditi più elevati allentando il gravame su quelli più bassi e consentendo un incremento del loro potere d'acquisto? Ipotizzare una forte progressività oltre i 100.000 euro di reddito annui potrebbe da un lato scoraggiare livelli di retribuzione elevati (specialmente per il lavoro dipendente o manageriale) e dall'altro operare una più equa imposizione nei confronti dei redditi più bassi;

-         Non sembra corretto che la tassazione sui dividendi azionari (20%) sia eguale o          superiore alla tassazione sui redditi da investimento finanziario, siano essi interessi su    depositi bancari o su obbligazioni o plusvalenze. Siamo comunque in presenza di capitali investiti direttamente nelle imprese. Penso che per le altre forme d'investimento si possa proporre un aumento al 30%.

-         Sul tema IMU, va rilevato che forme d'imposizione sul patrimonio immobiliare sono presenti in tutti i paesi europei e siano pertanto da mantenere. E' possibile semmai prevedere una rimodulazione, aumentando la possibilità di detrazione sulla prima casa in base anche al reddito IRPEF.

 

Se non si può pensare ad un incremento della tassazione per il recupero d'ulteriori risorse, ma semmai prevedere una diversa distribuzione del peso fiscale con un minor carico sul lavoro e sui redditi più bassi, bisognerebbe ragionare almeno sulla possibilità di procedere su altri punti:

- dismissione del patrimonio immobiliare pubblico;

- riduzione di tutti gli stipendi pubblici superiori ad un determinato importo da stabilire con procedure che congelino i trattamenti esistenti superiori e riducano l'importo delle nuove retribuzioni; - Ripresa della spending review utilizzando l'applicazione del costo standard e rimuovendo tutti quegli ostacoli provenienti dai più alti livelli della burocrazia dello Stato;

- riduzione dei costi della politica;

- ruolo di prestatore di garanzia e di motore della finanza da parte della Cassa Depositi e    Prestiti;

- riforme strutturali a cominciare dalla semplificazione burocratica ai tempi della giustizia ecc. che, a costo zero, rappresenterebbero un risparmio di spesa notevole per tutte le imprese;

- utilizzo della possibilità che i cofinanziamenti previsti nell'utilizzo dei fondi strutturali europei possano non essere più conteggiati nel deficit pubblico in seguito alla chiusura del processo d'infrazione nei nostri confronti in sede europea;

- riordino del mondo delle agevolazioni fiscali riducendone l'entità complessiva.

In mancanza di tutto questo, l'impressione generale è che le forze politiche stiano pensando di poter realizzare tutte le loro proposte attraverso l'aumento del deficit per almeno due -tre anni.E' possibile che almeno per il primo anno questa ipotesi possa avere successo, stante l'abbondanza di capitali presenti sul mercato grazie alle politiche monetarie espansive della Federal Reserve, del Giappone, della Gran Bretagna e in parte della stessa BCE. E' probabilmente a questo che dobbiamo l'attuale riduzione del nostro spread sui titoli pubblici; tuttavia, non è l'Europa il vero ostacolo ad una scelta di questo tipo, bensì tutto dipende dalla valutazione dei mercati. Va ricordato che un punto di spread vale ca. 20 miliardi d'interessi ed un aumento di almeno un punto del costo del finanziamento privato. Una scelta di questo tipo ci porterebbe comunque ad un incremento probabile, nello spazio di due anni, ad oltre il 130- 135% del rapporto debito PIL.

La congiuntura attuale è comunque favorevole; tuttavia, non si può pensare ragionevolmente di affrontare questa strada, con probabilità di successo, senza un completo piano strategico che veda al suo interno una ripresa a partire dal 2014 di almeno 1% del PIL e nel 2015 di almeno il 2%, per poi rientrare con livelli di deficit inferiori all'incremento del PIL. Dobbiamo, come Paese, presentare un progetto complessivo di crescita tale da coagulare attorno ad esso il consenso del mondo dei produttori e delle categorie sociali più colpite dalla crisi e tale da convincere anche il mondo degli investitori sulla bontà del nostro agire. Sarebbe veramente pericoloso non capire la portata della posta in gioco che ci porterebbe inevitabilmente a dover uscire dalla moneta unica per imboccare una strada autonoma di riassesto.