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giovedì 17 maggio 2012

Un milione di posti di lavoro

Il Ventesimo Secolo ci ha lasciato una lezione fondamentale circa la necessità di controllare i meccanismi economici del capitalismo che, inevitabilmente, ci conducono verso la concentrazione delle ricchezze ed il monopolio.

La tendenza del capitalismo, inoltre, ad ottenere ricchezza dal denaro scivola con facilità verso la speculazione e la rendita finanziaria, che indeboliscono gradualmente la struttura produttiva della società.

Le bolle speculative, che via via si sono succedute nel corso degli anni, hanno più volte, infatti, messo a dura prova la resistenza delle nazioni, provocando gravi crisi economiche che hanno bruciato in pochi giorni enormi ricchezze, facendo perdere risparmi accumulati negli anni.Nel '900, l'azione degli Stati nella regolamentazione e limitazione delle attività economiche è stata essenziale.

Questo intervento si è realizzato nei diversi paesi assumendo forme differenti ed utilizzando ideologie spesso contrastanti ma unite nell'obiettivo della regolazione necessaria delle forze del mercato. Pensiamo all'azione del New Deal   di Roosevelt negli Stati Uniti d'America o quella del Regime Sovietico in Russia o in Cina. L'azione delle socialdemocrazie nel nord dell'Europa.  .La stessa azione del Fascismo in Italia e del Nazionalsocialismo in Germania assolvono questo compito: la regolazione delle disfunzioni del mercato capitalista per opera dello Stato. L'intervento dello Stato nell'economia.

Tutta la nostra storia del dopoguerra è improntata all'intervento dello Stato nell'indirizzo e regolazione della vita economica.Se da un lato si è cercato di assicurare il regolare svolgimento delle attività economiche, scongiurando il pericolo del monopolio, dall'altro lo Stato è intervenuto con il compito di dare stimolo ed indirizzo allo sviluppo economico cercando, grazie alla politica fiscale, di operare, allo stesso tempo, verso una riduzione delle differenze sociali e territoriali.

Il mondo occidentale, subito dopo la grande depressione della prima metà del '900, decise altresì di regolare opportunamente la finanza separando le attività delle banche d'investimento da quelle di deposito al fine di proteggere strategicamente il risparmio. Dovremmo ritornare ad ascoltare quelle voci del secolo scorso ed intervenire di nuovo con decisione sul sistema finanziario mondiale per ridurre le attività speculative e mettere al sicuro le sudate riserve dei piccoli risparmiatori.

Se da un lato riconosciamo la necessità di limitare gli effetti corrosivi del libero mercato, per quanto riguarda il problema della concorrenza e della finanza, abbiamo forse tralasciato di ricordare il carattere strutturale di un altro problema che accompagna il modo di produzione capitalistico: la costante presenza di una percentuale della popolazione disoccupata ed inoccupata.

Questo aspetto costituisce un fattore di disagio sociale e rappresenta lo spreco di uno dei fondamentali fattori di produzione. Così come il capitale, anche il lavoro andrebbe costantemente e totalmente utilizzato e quando questo non avviene siamo in presenza di una disfunzione nel funzionamento del sistema economico di una società.

Nei momenti di profonda crisi economica sociale si può osservare come, in passato, diversi sistemi politici abbiamo dato allo Stato il compito di datore di lavoro d'ultima istanza. Accadde con sistematicità all'interno dei sistemi sovietici   ma anche all'interno dei regimi fascisti e nazisti. L'esperienza fu anche essenziale nell'ambito del New Deal americano.

L'utilizzo pieno del fattore lavoro ha una rilevanza sociale determinante perché si riferisce alla piena partecipazione del cittadino alla società di cui fa parte. La nostra Costituzione sancisce questo principio nell'art.4 che recita:

"La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società."

E' questo forse l'aspetto più bello della proposta socialista insieme a quella di mettere al primo posto dello sviluppo di una società il benessere dei ceti popolari. Non esiste dignità del cittadino senza il lavoro e obiettivo di ogni democrazia dovrebbe essere appunto quello di garantire la piena occupazione ed intervenire con la struttura della Pubblica Amministrazione come datore di ultima istanza quando il sistema economico "inceppato" non riesce momentaneamente a produrre lavoro..

Alla luce di quanto stiamo esaminando la copertura finanziaria dell'operazione rappresenta un falso problema e può essere fuorviante rispetto alla questione decisiva rappresentata dall'esigenza di assicurare a tutti i cittadini la dignità fondamentale necessaria per partecipare a pieno titolo al consesso sociale.

La stessa esistenza dello Stato nasce dalla necessità di assolvere alcune funzioni fondamentali non demandabili e quella del lavoro è fra queste.

Per questo motivo e sulla base di queste premesse, va sottolineata l'importanza della recente proposta di Luciano Gallino tesa a far sì che, nell'attuale situazione italiana, il nostro Governo riproponga l'esperienza della  Works Progress Administration del New Deal americano con l'obiettivo di realizzare un milione di nuovi posti di lavoro.

Occorre in sostanza che lo Stato operi come datore di lavoro di ultima istanza, assumendo direttamente il maggior numero di persone.

Le modalità descritte da Gallino sono sostanzialmente condivisibili e comunque perfezionabili ma costituirebbero una ventata di novità e di speranza  all'interno di  quel clima asfittico e  privo di certezze che affligge le nuove generazioni.

La proposta trova la sua collocazione all'interno del dibattito sull'introduzione in Italia  del reddito di solidarietà attiva e di efficaci ammortizzatori sociali.

Se riuscissimo ad unire a questa proposta una definitiva riforma del lavoro  che vada nel senso della riduzione drastica del precariato  e di un'effettiva mobilità del lavoro verso gli impieghi più produttivi, avremmo posto le basi per un mutamento più ampio della nostra società.

Le principali obiezioni sorte  nei confronti di questa ipotesi si sono particolarmente concentrate sulla  sua sostenibilità finanziaria  calcolata dallo stesso Gallino per un ammontare di ca. 25 mld annui

A questo proposito mi piacerebbe invece effettuare   alcune considerazioni  con lo scopo di far notare come non sia assolutamente  "insensato" parlare  della creazione di un milione di nuovi posti di lavoro a carico dello Stato.

Il "Fiscal Compact" da approvare  entro il gennaio 2013  da parte del Parlamento Italiano impone all'Italia  un rientro  del debito  pubblico entro i parametri del 60% del PIL  in un  arco di venti anni  con una spesa annua, calcolata allo stato attuale, di ca. 45/47 mld.

Chi ha detto che non si possa rientrare in 40 anni con un risparmio annuo tale da finanziare  il milione di posti di lavoro? Siamo certi che le motivazioni poste alla base della necessità di rientro siano così ineludibii e non dipendano dalla debolezza della costruzione europea? Non è che i problemi stanno altrove? 

Chi può escludere che, in determinati periodi, una maggiore crescita non consenta un abbattimento maggiore del rapporto del debito sul PIL tale da recuperare l'eventuale ritardo iniziale?

Perché non possiamo prevedere una spesa minore per la creazione dei posti di lavoro? Non possiamo ipotizzare un salario di massimo 700 euro con una spesa annua di ca. 15.000 euro? 

In questi giorni il PD sta per proporre una patrimoniale del valore di ca. 8 mld per ridurre il peso dell'IMU. Perché mai invece i soldi non potrebbero essere utilizzati per il lavoro?

Dall'eliminazione delle spese per la politica si potrebbero tranquillamente ottenere ca. 1/2 mld annui. Ne vogliamo parlare?

Dalla lotta all'evasione fiscale si possono ottenere almeno ca. 5 mld annui. E' plausibile?

Dallo spending review probabilmente si può recuperare qualcosa o no?

Chi l'ha detto che i servizi sanitari, scolastici ecc non possano aumentare il proprio costo nei confronti degli utenti più abbienti quando sono in ballo problemi come questo? 

Si possono  portare centinaia di altri esempi per sostenere che paradossalmente  la questione è che bisogna cambiare, in questo caso, i parametri di valutazione con cui siamo abituati a ragionare  perché il consesso sociale ha bisogno  di questo cambio di passo.

 

Il problema  non è  di natura economica, ma politica.

Cosa è meglio  fare? Non pensate  che sia dirompente, in una situazione in cui oltre il 30% dei nostri giovani è disoccupato e scoraggiato, fare una mobilitazione attorno ad un obiettivo di questo genere?

Certo, è da evitare una  creazione definitiva di posti di lavoro a carico dello Stato. Sarebbe meglio che questa proposta fosse in realtà  una via di mezzo fra un ammortizzatore sociale ed un lavoro stabile definitivo,  ponendo la clausola  che questo "lavoratore" non possa in ogni caso rifiutare qualsiasi proposta di lavoro a tempo indeterminato gli fosse offerta dal settore privato.

Resta il fatto che la proposta sembra andare in una direzione corretta.

C'è poi da riaffermare, anche  contro l'obiezione ci carattere economico,  il ruolo teorico e strategico del concetto dello Stato come datore di lavoro di ultima istanza. La questione non può essere liquidata con la motivazione della mancanza della copertura finanziaria perché abbiamo visto  che il problema non è costituito dal fatto  che manchino le risorse, ma se sia giusto  o no spenderle su questo obiettivo.

Se ci mettiamo dal punto di vista della società nel suo complesso e dalla parte degli ultimi, se si inceppa il funzionamento economico  per il migliore utilizzo delle risorse disponibili (capitale, lavoro, conoscenza ecc) c'è qualcosa che non va  e lo Stato ha il DOVERE d'intervenire, anche come datore di lavoro di ultima istanza, ridefinendo la propria spesa e i propri impegni.Non è il debito pubblico o il costo interessi  ad aver bloccato da venti anni la nostra produttività  e la nostra crescita ma la finanziarizzazione dell'economia, la corruzione, la burocrazia, la concentrazione delle ricchezze, il prevalere della rendita sulla produzione ecc.ecc.

Occorrono a tutti i livelli elementi di discontinuità.

 

 

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