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sabato 19 gennaio 2013

Equità e lavoro

La campagna elettorale è ormai in pieno svolgimento e davanti agli occhi degli italiani sfilano i rappresentanti dei partiti e delle coalizioni, che si propongono per il governo del Paese. Il momento è difficile e la sensazione diffusa è che ormai il tempo delle promesse è scaduto. Bisogna voltare pagina e subito. Nessuno è più disposto a tollerare le immagini di spreco, di corruzione e di privilegio a cui abbiamo assistito in questi anni. Il deterioramento del tessuto economico e sociale ha raggiunto e superato il limite della sopportazione ed il male oscuro della disoccupazione angoscia le famiglie. Il panorama italiano è costellato da imprese in difficoltà che tagliano il personale, altre che ricorrono alla cassa integrazione, altre che preferiscono delocalizzare. In ogni famiglia è presente un figlio o un nipote in attesa di un qualunque lavoro, un padre o una madre che temono un esubero o un licenziamento. Non si può aspettare oltre! Il necessario percorso di risanamento dei conti pubblici deve coniugarsi subito con la ripresa economica e sociale del nostro Paese. All'interno di questo quadro fosco   vi è un elemento positivo: - gli ultimi dati forniti dall'ISTAT relativi alla Bilancia Commerciale. A novembre, la stessa è in attivo di 2,4 miliardi che salgono fino a 8,9 tenendo conto dei primi 11 mesi dell'anno, ai massimi dal 2002, frutto di un cumulato di 10,1 miliardi con i paesi Ue e di -1,251 miliardi con i paesi extra Ue. Secondo l'Istat, l'import cede il 2,2% in termini congiunturali e segna un crollo dell'8,2% a livello tendenziale. Le esportazioni a novembre sono salite del 3,6% tendenziale e dello 0,4% congiunturale. E' prevedibile che il 2012 raggiunga un saldo positivo della bilancia commerciale pari a ca. 10 miliardi di euro. Se tutte le altri componenti del PIL fossero rimaste inalterate avremmo avuto una crescita dello stesso di ca. lo 0,6%.  Ma non è così!

Commentando questi dati il Ministro Passera ha affermato che se questa tendenza positiva sarà confermata, l'Italia potrà generare entro i prossimi tre anni "150 miliardi di euro di export aggiuntivo, superando la quota di 600 miliardi, tra beni e servizi, entro la fine del 2015".

L'aumento delle vendite di prodotti petroliferi raffinati verso Francia e paesi OPEC contribuisce a sostenere per oltre un punto percentuale la crescita tendenziale delle esportazioni nazionali.

La flessione degli acquisti di autoveicoli dalla Germania e di computer, apparecchi elettronici e ottici dalla Cina contribuisce alla diminuzione tendenziale registrata per le importazioni. Si presentano fortemente dinamici anche i settori di produzione di macchinari, prodotti in pelle e alimentari. Il 51% delle esportazioni lorde dell'Italia è rappresentato da valore aggiunto originato dal settore dei servizi. Il contenuto in servizi è specialmente alto per il prodotto alimentare e l'equipaggiamento per i trasporti.

Dove invece è tutto fermo, anzi in flessione, è  nella dinamica degli investimenti e dei consumi frenati dalla riduzione degli ordinativi, dall'incremento del peso fiscale,  dalle difficoltà occupazionali e dalle prospettive negative sull'andamento economico generale.

La situazione è stagnante e per sbloccarla è necessario riprendere un cammino di speranza, fondato sul lavoro e l'impegno di tutto il corpo sociale.

E' necessario innanzi tutto un patto sociale per il lavoro.

Da una parte le forze sindacali dovrebbero impegnarsi a rinunciare a qualsiasi aumento salariale (anche per adeguamento del costo della vita) per i prossimi tre anni sia nel settore privato sia pubblico; mentre, dall'altra, tutte le risorse disponibili dovrebbero consentire una riduzione immediata del cuneo fiscale, del costo lordo del lavoro, con conseguente incremento della competitività del nostro Paese.

Contemporaneamente dovremmo stimolare l'assunzione dei giovani under 35 valutando la possibilità di azzerare per tre anni il cuneo fiscale nei contratti di apprendistato, a tempo indeterminato.

La copertura finanziaria della prima misura, che dovrebbe riguardare i redditi sino a 28.000 euro, potrebbe essere ottenuta attraverso una maggiore progressività delle aliquote IRPEF sui redditi più elevati. Si potrebbero adottare aliquote del 45% oltre 75.000 euro, del 50% oltre 150.000 euro, del 60% oltre 300.000 euro, del 65% oltre 500.000 euro ed infine del 75% oltre 1.000.000 di euro.

La progressività delle aliquote è l'unico strumento che consente l'eguale trattamento dei diversi cittadini davanti allo Stato e rappresenta un correttivo contro l'eccesso di divaricazione delle retribuzioni e delle ricchezze avvenuto in questi anni.

Per quanto riguarda invece il finanziamento dell'abbattimento per tre anni del cuneo fiscale sui nuovi contratti di apprendistato a tempo indeterminato per gli under 35 è possibile pensare di destinare a questo scopo le risorse aggiuntive che, a partire dall'anno in corso, entreranno nelle casse dello Stato grazie all'incremento dallo 0,10% allo 0,15% del bollo sui depositi titoli e le altre forme di amministrazione finanziaria senza più il limite massimo di 1.200 euro. Si potrebbe anche ripristinare a tal fine anche l'aliquota del 27% sugli interessi dei conti e depositi bancari ridotta recentemente al 20% ed utilizzare i ricavi rivenienti dall'introduzione della tassazione dello 0.05% sulle transazioni finanziarie.

Queste misure sul lavoro devono essere unite ad una revisione del meccanismo degli ammortizzatori sociali potenziando l'ASPI (nel senso della durata e della funzionalità  delle agenzie del lavoro) ed introducendo organicamente un reddito minimo di cittadinanza (unendo in un solo strumento ciò che è attualmente previsto a sostegno della povertà) a decremento dell'utilizzo della cassa integrazione straordinaria, in deroga e della mobilità.

Le stesse categorie datoriali e sindacali potrebbero procedere alla costituzione di un fondo apposito che integri nel tempo quanto già stanziato dallo Stato.

Queste condizioni sono necessarie per rendere accettabile e sostenibile la piena realizzazione anche in Italia di una riforma del lavoro che vada nel senso della flexsecurity come è già realizzata nei paesi scandinavi da applicare su base volontaria e sperimentale, come sostiene da tempo il Sen. Ichino, a partire dai nuovi assunti, lasciando invariate le regole che riguardano i lavoratori in essere.

Solo in tal modo sarà possibile realizzare dinamicamente quel continuo utilizzo della risorsa umana verso gli impieghi più produttivi,  assicurando la necessaria flessibilità e dinamicità del mercato del lavoro.

Il patto del lavoro deve rappresentare la punta di diamante di un processo di rinnovamento della società italiana che deve vedere nel riallargamento  del credito bancario (pur nell'attenta valutazione del rischio), nel potenziamento della ricerca ed innovazione e nella riqualificazione dell'amministrazione e della spesa pubblica le altre condizioni necessarie al sostegno dell'attività produttiva ed alla crescita del nostro Paese.

Dobbiamo operare inoltre affinché la meritocrazia e la mobilità sociale siano la base costituente dei nostri rapporti sociali, liberandoci da tutte quelle consorterie ed interessi di parte che ne impediscono il libero sviluppo.

La prossima legislatura può essere l'occasione per realizzare questo cambio di passo che consenta all'Italia di recuperare la perdita di competitività verificatasi in questo ultimo ventennio e di puntare ad assumere un ruolo primario nel panorama europeo.

 

 

 

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