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lunedì 26 gennaio 2015

Distribuzione ineguale delle ricchezze e crisi sociale

 

Una delle principali conseguenze di una forte distribuzione ineguale delle ricchezze (comunque siano state realizzate) è il pericolo del blocco della mobilità sociale e della meritocrazia.E' inoltre possibile che, non potendosi realizzare una sana espressione del merito, del valore e dell'intelligenza creativa, si sviluppino, al contrario, atteggiamenti volti alla perpetuazione nel tempo della stratificazione sociale raggiunta, con il possibile affermarsi d'atteggiamenti, diciamo, " non lineari" come ad esempio: raccomandazioni, opportunismo, cooptazione, corruzione, oligarchia, autoritarismo ecc..Tutto questo può ridurre lo sviluppo delle società in cui si verifica e peggiorare le condizioni di vita delle classi subalterne.

 

E' una descrizione di qualcosa che appartiene al passato? Siamo ormai immuni da tutto questo?

Non credo. Né mi sembra di poter condividere una visione evolutiva della storia umana, delle passioni e dei sentimenti tale da rendere obsoleti definitivamente questi comportamenti.

Se andiamo dal generale al particolare, quando vediamo in Italia, con i nostri occhi, che le retribuzioni medie dei nostri giovani (senza considerare la precarietà del loro rapporto di lavoro e l'indeterminatezza del proprio avvenire) e di molti lavoratori subalterni si aggira (nei casi più fortunati) intorno ai mille euro mensili (che, per i distratti, significano, tenendo conto di tredicesima ed eventuali premi, non più di 15.000 euro annui) mentre sono comuni in troppi livelli dirigenziali e nelle attività libere retribuzioni ed incassi che superano facilmente di …..10 volte questi livelli, mi sembra che ci sia sufficiente motivo di riflessione per chiederci se effettivamente il valore di mercato sia conseguenza dei liberi scambi e valutazioni o se comunque la redditività d'alcune posizioni, pur essendo rare ed eccezionali, non debba comunque tenere conto di un criterio di moderazione.

E' difficile e quasi impossibile predeterminare ed impedire il verificarsi di questi fenomeni; ma, possiamo intervenire, in ogni caso, per aumentare le condizioni di libera concorrenza che riducano il verificarsi di posizioni d'eccessivo privilegio e di monopolio ed operare, a posteriori, con la progressività del carico fiscale per ottenere alcuni risultati:

1) dissuadere, ove possibile, l'utilità di un'eccessiva remunerazione delle prestazioni.

2) ottenere un effetto di maggiore partecipazione alla spesa sociale da chi ha maggiori possibilità.

3) evitare l'eccessivo accumulo della ricchezza in una ristretta minoranza di persone.

Per questi motivi, sarebbe auspicabile una riforma fiscale che alleggerisse l'imposizione sui redditi più bassi di lavoro, ne diminuisse il cuneo fiscale ponendolo a carico della fiscalità generale e ne trasferisse maggiormente il peso a carico dei redditi più elevati, aumentandone la progressività ed introducendo nuovi scaglioni ..

Aggiungerei, inoltre, che in tutte quelle forme in cui è invece preferibile la tassazione ad aliquota fissa sarebbe utile distinguere fra realtà in qualche modo connesse all'attività di compartecipazione del rischio ( ad es. comparto azionario ecc) da quelle che sono definibili come rendita, evitando in questi casi l'impersonalità del possesso ( al portatore) e cercando d'introdurre invece criteri di progressività.

Non entro qui nel dibattito relativo alla questione del rafforzamento o della generalizzazione della tassazione patrimoniale, riapertosi prepotentemente dopo la recente proposta portata avanti da T. Piketty, come misura di riequilibrio della struttura economica delle nostre società, che è estremamente complesso e che richiede un'ampia e specifica riflessione sulla quantità ed opportunità della stessa. E' comunque nella tradizione del pensiero riformista dell'Occidente la considerazione che. quando vi sia un eccesso di concentrazione del controllo proprietario d'alcune attività in poche mani, giungendo ad una situazione di monopolio, questo debba essere combattuto con forza, anche eventualmente nazionalizzandone il possesso quando si è in presenza di un serio interesse nazionale.

Nel caso italiano, pur considerando la già pur presente intensità della tassazione patrimoniale è possibile ipotizzare un'eventuale imposizione straordinaria di ca. 400/600 miliardi per abbattere significativamente l'ammontare dello stock del debito pubblico.Tale imposizione si presenta comunque complessa sia per la definizione dei limiti patrimoniali oltre cui andrebbe applicata, sia per l'entità rilevante che andrebbe ad assumere. Per essere socialmente sopportabile  sarebbe opportuno partire da patrimoni non inferiori a 1,2 milioni d'euro e immaginarne una modalità legata all'acquisto forzoso di quote di una società  creata ad hoc a cui conferire adeguata parte di patrimonio immobiliare pubblico da dismettere. Tale acquisto potrebbe essere finanziato dalla CDP e restituito in un periodo temporale lungo ad esempio dieci anni consentendo pertanto al soggetto tassato di pagare solo due oneri:

-il costo del finanziamento ( ovviamente al minor tasso possibile)

-la possibile minusvalenza sul realizzo della quota posseduta, dopo un periodo di vincolo da stabilire

 

Un''ulteriore riflessione oggi particolarmente attuale , in presenza della sempre maggiore globalizzazione delle attività economiche , è che la stessa tensione, presente all'interno del rapporto fra i singoli individui di un'organizzazione sociale, è riscontrabile anche nel sistema di relazione fra gli Stati sovrani . E' frequente, infatti, che nella divisione internazionale del lavoro si vengano a creare situazioni di disuguaglianza stabile sia nella distribuzione delle ricchezze, sia nella produzione della catena del valore che, cristallizzandosi, possono portare all'acuirsi delle  condizioni di sottosviluppo d'alcune popolazioni , alla concentrazione delle ricchezze in alcuni paesi , allo sviluppo di situazioni di monopolio nello sfruttamento delle risorse naturali e delle materie prime o d'attività di trasformazione e servizi tali da sviluppare nel tempo uno scambio forzatamente ineguale . Anche in questo caso, lo sviluppo della libera circolazione delle merci , delle competenze , dei capitali e la lotta internazionale alle situazioni di monopolio diventa uno degli obiettivi per ridurre condizioni di privilegio fra le nazioni che favoriscono il sottosviluppo e le tensioni internazionali. La seconda grande iniziativa è costituita dai programmi degli aiuti economici verso i paesi sottosviluppati per favorirne la ripresa dell'iniziativa economica e consentire una riduzione del Gap nei confronti delle aree più avanzate. C'è molto di più da realizzare per affrontare con maggiore decisione queste differenze. Specialmente dove si è rinunciato , come nell'area euro, ad un riaggiustamento del peso e della forza delle diverse economie attraverso lo strumento del riallineamento del cambio, le misure di spesa comune, per riassorbire il divario fra i popoli che compongono l'area, dovrebbero essere maggiori, con la consapevolezza del carattere intimamente progressivo che queste misure dovrebbero contenere a valere sulle economie più forti del continente. Una comunità di persone o di Stati non può esistere senza comprendere che, oltre a stabilire delle regole comuni, deve anche occuparsi degli "ultimi", ovunque essi si trovino . In questo senso, l'introduzione di un sussidio europeo di disoccupazione già portato avanti dal PSE e di un livello salariale minimo, comune in tutta l'area euro, sarebbero misure che contribuirebbero a fare un passo avanti significativo nel cammino comune europeo. 

La recente operazione di QE disposta invece dalla BCE sembra possa costituire un elemento d'ammorbidimento rispetto alle difficoltà di gestione delle posizioni più pesanti di debito pubblico nazionale consentendo di destinare risorse alla crescita.

Di fronte alle difficoltà ed alla crisi economica delle nostre società, oltre che dei modelli ideologici del passato, ci s'interroga se abbia ancora un senso la distinzione fra destra e sinistra .

 Si può pensare che, al di là delle definizioni , nella storia passata vi sia sempre stato, in qualche modo, un riferimento a diverse questioni, tra cui alcune principali come l'esigenza del cambiamento o il punto di vista dell'interesse degli ultimi o quello ad esempio della valorizzazione dei migliori.

La mia impressione è che nei periodi in cui questi tre elementi si saldano in un unico movimento collettivo assistiamo a momenti di grandi trasformazioni sociali e di elevata innovazione ideale che cambiano il volto delle nostre società. Mi chiedo se non siamo all'alba di un periodo di tale complessità.

 

2 commenti:

  1. A mio parere Giuseppe si dovrebbero disgiungere i diversi temi, anche se ovviamente interconnessi.
    Dividerei almeno in
    1. Distribuzione delle risorse.
    2. Patrimoniale.
    3. Interventi di sostegno alle fasce deboli.
    4. Destra e sinistra oggi.

    Su ciascuno mi piacerebbe commentare, ma lo farò in seguito. Mi limito al primo argomento.
    Sarebbe più giusto avere dei redditi meno differenziati, anche sotto il profilo della funzionalità economica della società, ma qualsiasi livellamento forzoso risulterebbe inefficace, come dimostrano le società del socialismo reale. Da noi aumenterebbero fenomeni degenerativi, come l’evasione, l’esportazione dei capitali e la riduzione degli investimenti.
    Ritengo che, invece, ci debbano essere dei correttivi che vadano in quella direzione, rimanendo nel quadro economico determinato dal rapporto tra domanda e offerta.
    Intanto si dovrebbero rendere più facili dal punto di vista burocratico determinate professioni. Proprio con Bersani si tentò, con forti opposizioni. Abolizione degli albi e degli ordini; in particolare, apertura di professioni come quelle dei notai, dei farmacisti, dei diplomatici, rendendo se possibile ancor più rigorose le selezioni dal punto di vista delle competenze richieste, ma riducendo al minimo i prerequisiti giuridici.
    Insieme, si dovrebbe aumentare di molto il numero di licenze, permessi, organici, sempre salvaguardando le competenze di base. Guai se si cedesse al vezzo di lasciar fare senza controlli. La liberalizzazione o comunque l’ampliamento delle autorizzazioni dovrebbero essere usate con attenzione al mercato, per non creare sacche di privilegio, e, per contro, per non soffocare dei settori con eccessiva concorrenza.
    Infime, si dovrebbe veramente semplificare la procedura, per rendere meno “indispensabili” determinate mansioni burocratiche e amministrative, negli uffici pubblici e in quelli di supporto privato, a partire dagli studi legali e dai commercialisti.
    Insomma rendere più facile il fai da te, aumentare il numero di operatori e creare concorrenza per chi finora ha vissuto con rendite di posizione: questi provvedimenti favorirebbero la redistribuzione, aumenterebbero l’occupazione e renderebbero più semplice e meno onerosa la vita dei cittadini. Mi pare che il governo Renzi vada in questa direzione; speriamo che non siano solo promesse.

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  2. Sicuramente la liberalizzazione delle professioni e tutti quei provvedimenti tesi alla rimozioni dei vincoli e degi ostacoli alla concorrenza sono positivi . Non dimentichiamo tuttavia che nella situazione attuale le differenze , esistono , sono consolidate e devono semplicemente contribuire maggiormente al benessere sociale complessivo . Del resto non è la prima volta nella storia che i redditi elevati sono stati chiamati a contribuire in maniera più significativa .Basti pensare all'esperienza del New Deal ed al fatto che per diversi anni nel dopo guerra , anche l'amministrazione Repubblicana mantenne quelle aliquote .

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