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venerdì 30 gennaio 2015

La Grecia ci costringe a ridiscutere l'Europa

E' sensazione diffusa che il problema posto dalla povertà, dalla difficoltà di crescita e di tenuta finanziaria della Grecia, con non ultima la sua difficoltà di rimborso del debito contratto, porranno presto il problema della sostenibilità anche degli altri paesi del sud Europa e la validità o meno della stessa impostazione europea.

 

 

Partiamo da una constatazione: alcuni paesi dell'area si sono progressivamente impoveriti e per mantenere il proprio livello di vita e in alcuni casi per sopravvivere hanno aumentato il proprio indebitamento a tal punto da rischiare o essere proprio giunti al fallimento.

Cosa significa tutto questo? Perché quest'impoverimento progressivo?

Le principali cause possono essere ricondotte per larghe linee in interne ed esterne.

In linea di massima la prima cosa da verificare è se l'impoverimento riguarda l'intera società oppure solo alcuni strati della popolazione.Parliamo dunque dell'ineguaglianza delle ricchezze e dei redditi e delle conseguenze che queste hanno sulla crescita o sull'impoverimento progressivo di quel paese.

La seconda cosa è se siamo in presenza o meno del pieno utilizzo dei fattori produttivi di quel paese o se per motivi di opportunismo, potere, privilegio, corruzione ed altro si è affermata una struttura economica inefficiente, inadeguata, incapace di valorizzare le proprie risorse.

La terza cosa è verificare se in qualche modo l'indebitamento è stato effettuato per consentire un livello complessivo di vita non sostenibile basandosi pertanto su previsioni errate del proprio sviluppo.

Esiste poi un problema legato alla posizione internazionale della Grecia all'interno della produzione della catena del valore ed alla possibile presenza di uno scambio ineguale su alcune merci e prodotti.

Tutti questi problemi di carattere generale riguardano anche gli altri paesi dell'area del Sud Europa ed ho l'impressione che ben presto non basterà correre in fretta per risolverli. Stiamo perdendo tempo.

Veniamo alla gestione finanziaria del debito eccessivo di questi paesi. Se avessero la possibilità di monetizzare con la continua emissione di moneta da parte della Banca centrale il proprio debito il risultato sarebbe che l'impoverimento reale progressivo sarebbe spalmato generalmente su tutta la società grazie all'inflazione dei prezzi ed alla contemporanea svalutazione del potere d'acquisto. Chi ricorda l'inflazione a due cifre in Italia sa bene che i primi a soffrirne erano i salari. gli stipendi, le pensioni ed i risparmi non investiti adeguatamente. Tutti i beni primari e di massima utilità subivano continui aumenti. I servizi sociali erano limitati. Il cambio veniva svalutato e questo in qualche modo c'impoveriva tutti quando dovevamo comprare delle merci estere preferendo i prodotti nazionali ma le nostre merci diventavano competitive sui mercati esteri. Solo dopo anni ed in presenza di consistenti avanzi dei conti con l'estero si può ritornare ad una situazione di relativo equilibrio e di ripresa di crescita effettiva. In sostanza la sostenibilità del debito avviene attraverso un suo ridimensionamento monetario e l'impoverimento generale altrettanto immediato del potere d'acquisto dei suoi cittadini. Se, grazie a questo, progressivamente riparte la crescita produttiva, ciò avviene normalmente partendo da una posizione più arretrata all'interno della divisione internazionale del lavoro e della produzione del valore. Del resto, questo era già avvenuto nei fatti e lo scossone monetario permette solo la stabilizzazione generale del fenomeno.Nulla garantisce il miglioramento effettivo, che dipende, in ogni caso, solo ed esclusivamente dalle decisioni e dagli sforzi dell'intera comunità sociale verso il miglior funzionamento del sistema socioeconomico ed il miglior utilizzo dei fattori produttivi.

I fautori della moderna teoria monetaria ritengono che questo processo sia quasi automatico, quasi deterministico e che l'emissione monetaria (lo stampare moneta), costituendo un anticipo sui futuri guadagni sociali e sullo sviluppo del PIL costituisca, in ogni caso, un tale stimolo all'economia da essere un potente motore di crescita.

Ho profondi dubbi su tutto questo. Sono sempre più convinto che solo la capacità di cambiamento di una comunità di persone è la condizione indispensabile per la ripresa della crescita. La capacità di eliminare tutte le condizioni che bloccano il pieno sviluppo ed utilizzo dei fattori produttivi. Solo allora, il ricorso all'indebitamento, anche sostenuto dal Quantitative Easing, può produrre effetti positivi, perché saremo di fronte veramente ad un processo di sviluppo che pagherà ampiamente i costi dell'indebitamento.

Se, tuttavia, non vi è la sovranità monetaria i giochi sono all'apparenza profondamente diversi, ma simili. Il problema è sempre la capacità sociale di rivoluzionare il proprio sistema socioeconomico per ottenere le condizioni dello sviluppo. In questo caso può ed ha bisogno della fiducia degli investitori. La questione diventa quella di contrattare le condizioni del fallimento precedente mantenendo la fiducia per una ripresa di rapporti soddisfacenti sul nuovo corso.

Non riesco a vedere alternative a tutto questo che non siano alla fine causa di grosse tensioni fra i diversi paesi che, in passato, hanno portato sino all'insorgere di conflitti armati.

Non si può pensare di pretendere o addirittura imporre un sacrificio economico agli altri senza chiederne l'approvazione ed in qualche modo la condivisione. Non mi permetto di fare ipotesi, nè proposte specifiche che rischierebbero di essere campate in aria.

L'ultima cosa che non condivido è dare la colpa dei propri mali agli investitori esteri, alla finanza internazionale, che avrebbe approfittato della situazione per strozzare il paese debitore. I tassi elevato d'interesse corrisposti sul debito di qualunque emittente sono purtroppo la remunerazione del rischio dell'attività e/o del paese. . L'investitore sa perfettamente che il maggior rendimento può comportare un maggior rischio; ma, in qualche modo, pensa sempre che possa essere sostenuto ed accorda fiducia. La fiducia è una cosa ben diversa dallo strozzinaggio e pensare di fare a meno della fiducia dei mercati, bollandoli tutti per approfittatori, non è una strada consigliabile. C'è ancora da dire che la cosiddetta finanza internazionale è composta alla fine, per la maggior parte, dalla gestione centralizzata di risparmi d'innumerevoli correntisti, con esigenze molto simili alle nostre.

1 commento:

  1. Andrea Cafarelli ha detto:
    Ciao Beppe, accolgo con piacere il tuo invito a questa riflessione, che mi consente anche di riprendere un dialogo tra vecchi amici.
    Tu dici che non ti convince- per la Grecia o altri -nè la soluzione di uscita dall'euro nè quella di rimanervi, perché in entrambi i casi - se ho capito bene- mancherebbe qualcosa:
    la garanzia di un rimodellamento, in qualche modo guidato, della struttura produttiva e distributiva del Paese.
    Guidato da cosa?
    Se capisco ancora una volta bene, da politiche che scaturiscano dall'interno della società e in qualche modo solidaristiche, nonché razionali economicamente.
    Non é una sfida da poco.
    Il nostro comune maestro di un tempo Alberoni ci ha insegnato che il mercato procura lacerazioni e che i movimenti tendono a delle ricomposizioni che ricostituiscono il tessuto sociale, creando un nuovo campo di solidarietà, che può portare a nuove istituzioni e a nuove risposte.
    A ciò va naturalmente aggiunto che le risposte per essere razionali devono «mantenere la promessa».
    Qui sta il punto e nemmeno io ho delle soluzioni.
    Ho l'impressione che la redistribuzione della ricchezza sia molto difficile in questo contesto internazionale e che per esempio la Grecia abbia molte meno possibilità dell' Italia di cavarsela con le attuali regole:
    per quello che so la Grecia non aveva e non ha una buona industria esportatrice a differenza dell'Italia.
    Pertanto la moneta forte da una lato ha seppellito le quasi inesistenti speranze della Grecia e dall'altro ha danneggiato non poco la posizione dell' Italia, che della svalutazione potrebbe invece giovarsi in misura superiore, qualora si decidesse l'uscita dall'euro.
    Ovvio che questa uscita é un punto interrogativo e bisognerebbe conoscere molto bene le grandezze e le dinamiche economiche presumibili per formulare un' opinione fondata nel merito.
    Se non si esce dall'euro bisogna comunque ottenere una politica monetaria espansiva come e forse più dell'attuale, che continui a svalutare la moneta , sperando anche di battere la concorrenza tedesca e del nord Europa , visto che la svaluatazione aumenta anche la convenienza dei loro prodotti.
    Per questo credo che la crescita italiana sarebbe comunque non priva di difficoltà e probabilmente non elevata.
    Tuttavia forse il sistema reggerebbe in qualche modo, a vantaggio soprattutto dei percettori di reddito fisso.
    L'occupazione crescerebbe ,pare, lentamente.
    In caso di uscita bisognerebbe essere in grado di prevedere l'andamento di almeno quattro grandezze fondamentali:
    -tasso di cambio
    -inflazione
    -tassi di interesse
    -propensione ad ottimizzare le risorse da parte della classe dirigente, centrale e periferica.
    Per controllare quest'ultima variabile ci vorrebbe un cambio culturale francamente poco probabile.
    Come sappiamo l'inflaziome danneggia i redditi fissi e costituisce una automatica ed «iniqua»
    redistribuzione della ricchezza, ma potrebbe dare fiato ai ceti produttivi «emergenti».
    Con l'inflazione però salgono i tassi e bisognerebbe quantificare i contraccolpi sui prestiti e i mutui.
    Chi può scaricare sui prezzi l'aumento dei costi se la cava, chi non lo può fare va a fondo.
    Se vale il criterio di Bentham andrebbe scelta la soluzione che avvantaggia il maggior numero di persone.
    Ma bisognerà occuparsi anche degli altri.
    Se poi crediamo alle teorie di Hayeck, che le scienze sociali, per essere predittive, dovrebbero studiare le conseguenze inintenzionali di milioni di azioni intenzionali, il quadro si complica perchè quanto meno perdiamo la fiducia nella possibilità di una politica dirigista davvero efficace.
    Beppe per il momento mi fermo qui e ti abbraccio.
    Andrea Cafarelli

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