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lunedì 13 luglio 2015

Una difficile Europa


 
 
E' ormai chiaro che, raggiunto l'accordo sulla Grecia, dobbiamo pensare a quello che è apparso il malato più grave: " Il progetto Europa".
 Da un lato, non si ha la capacità di adottare politiche complessive di sviluppo dell'intera area richiedendo il finanziamento ai mercati (e/o il sostegno monetario della BCE a fronte di un bilancio a debito comune) dall'altro vediamo che, in situazioni limite come la Grecia, diventa quasi necessaria la sospensione della sovranità politica nazionale con seri problemi di convivenza democratica.
 La moneta unica continua a svolgere un ruolo importante di riserva di valore per il risparmio comunitario. La sua forza di riferimento contribuisce a mantenere basso il costo del denaro; tuttavia, nonostante ciò e pur in presenza dell'operazione di QE messa in atto dalla BCE, non vediamo una decisa impennata, in tutta l'area, degli investimenti dei privati, tale da perseguire gli obiettivi di sviluppo comunitari prefigurati, capace di far crescere il PIL complessivo europeo in termini soddisfacenti ed iniziare un tentativo di recupero del divario nei confronti dei grandi colossi economici mondiali come Stati Uniti e Cina.
 Manca il traino della spesa pubblica, in senso anticiclico, specialmente nei paesi che stanno peggio finanziariamente e che quindi non possono utilizzarlo.
Anche se paesi come la Germania cominciassero a spendere in deficit, addirittura superando i limiti del Fiscal Compact, il risultato non sarebbe sufficiente per fare da volano allo sviluppo di tutta l'area. E' l'intera Europa che deve crescere a ritmi molto più elevati. Per ottenere questo risultato, deve ripartire la crescita anche nei paesi più deboli.
 E' per questo che c'è   bisogno di forti investimenti pubblici europei (che avrebbero il pregio di poter essere immediati e lungimiranti. ) che si muovano nell'obiettivo di realizzare la crescita generale riducendo contemporaneamente gli squilibri interni e il divario con le altre aree avanzate del mondo.
Dobbiamo investire per ridurre la dipendenza globale energetica, per migliorare le vie di trasporto interne di merci, persone e quelle digitali per la trasmissione dei  dati emigliorare  la comunicazione, per gestire insieme la pressione demografica dei popoli vicini che desiderano accoglienza, per migliorare il livello complessivo dei servizi e dell'opportunità del cittadino europeo.
Ripeto, tuttavia, che gran parte dei paesi in difficoltà non possono farlo e i paesi in equilibrio finanziario o che presentano una relativa crescita o eccedenza della bilancia commerciale sono "restii "a farlo.In assenza d'adeguate risorse finanziarie per l'avvio di una politica espansiva, la principale proposta che viene dalla "governance" europea è quella di un ritorno alla crescita dei  paesi più deboli attraverso profonde riforme strutturali (che consentano la liberazione di risorse destinate alla rendita, la possibilità d'emersione del merito e la creazione di condizioni favorevoli ed appetibili per l'investimento privato) e la svalutazione interna del costo del lavoro, unito alla riforma del mercato del lavoro, nell'obiettivo di una maggiore flessibilità e della riduzione del CLUP: In quest'ultimo caso, tuttavia, la sola riduzione del costo del lavoro non è condizione sufficiente per assicurare uno sviluppo soddisfacente o una riduzione degli squilibri se non è accompagnato da un contemporaneo investimento nell'innovazione che assicuri il mantenimento o meglio il miglioramento della posizione di quel paese all'interno della catena internazionale di produzione del valore. Tutte le analisi dello scambio commerciale e di servizi fra paesi sviluppati, infatti, c'insegna che essi scambiano beni e servizi di pari qualità. Quello è l'obiettivo da perseguire all'interno dell'Europa. Evitare che vi siano aree specializzate nella produzione di beni e servizi di più basso valore, cristallizzando gli squilibri. Senza aggiungere alle riforme strttturali ed alla modernizzazione e flessibilità del lavoro , adeguate risorse per la ricerca e l'innovazione corriamo il rischiodi aumentare il divario fra i paesi membri. Se i paesi  più deboli non riescono a trovare queste risorse da una redistribuzione interna delle ricchezze e dall'eliminazione delle sacche d'inefficienza e di corruzione,  bisogna ricorrere all'espansione del debito anche e soprattutto nelle situazioni più difficili , dove c'è il rischio di non ottenere credito dai mercati .
E' evidente che siamo in una trappola da cui o si esce tutti insieme o ci si separa ritornando in maniera organizzata alle monete nazionali.
Con questa sostanziale latitanza della politica di sviluppo comunitaria, oggi, le differenze fra i paesi europei sono destinate ad aumentare e non a diminuire. La moneta unica, impedendo un riaggiustamento, attraverso la concorrenza dei cambi, ed una politica espansiva a debito, per i paesi già in difficoltà di bilancio, sancisce il mantenimento di questa situazione.
Da queste difficoltà nascono i sentimenti antieuropei, che si diffondono nei vari paesi membri e che, in mancanza di un recupero immediato e credibile del progetto europeo, sono destinati ad affermarsi. Sarebbe un grave errore non investire nel futuro europeo  e perdere , di fatto ,  i risultati fin qui conseguiti.  Possiamo non essere ancora convinti dell'urgenza di uno stato federale europeo, la nostra aumentata diffidenza può farci essere restii a cedere ulteriori pezzi di sovranità nazionale; ma, non dobbiamo essere incapaci d'immaginare, con generosità e collaborazione, l'avvio di un processo di sviluppo comune di uscita dalla crisi sociale ed economica che stiamo vivendo .
Nessun paese  può pensare che tutto questo non lo riguardi.
 
 
 
 

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