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sabato 9 marzo 2013

Democrazia partecipativa e Rete

 

In ogni periodo storico è sempre esistita una continua dialettica fra Movimenti ed Istituzioni.

I Movimenti riuniscono le persone per la realizzazione di un obiettivo  e vivono nella condivisione dei contenuti elaborati insieme. Normalmente, presentano le caratteristiche di un "comunismo elementare" e utilizzano forme il più possibile vicine alla democrazia diretta. Il "Movimento" lega le persone che lo compongono anche sul piano affettivo ed, in questo senso, le idee ed i valori sono vissuti con passione, costituendo spesso un'esperienza totalizzante. I Movimenti, tuttavia, non sono eterni. Essi si relazionano in maniera dialettica con le istituzioni, modificandole e modificandosi. Grazie alla forza ideale dei loro partecipanti l'intera società e le istituzioni, che la rappresentano, vengono investite da una tale forza di cambiamento da essere costrette a modificarsi per sopravvivere. Allo stesso tempo, il Movimento, per continuare la sua vita nel tempo oltre la fase eccezionale della sua nascita, deve organizzarsi e darsi delle regole che assicurino la sua sopravvivenza in una forma  istituzionale.

Quello che appare originale e peculiare nella realtà contemporanea è l'interazione che si è verificata fra i Movimenti e le nuove possibilità tecnologiche, come la Rete.

La Rete ha permesso uno sviluppo dei Movimenti collettivi in tempi rapidi e  su grandi spazi fisici. 

Ha permesso una continua interazione intellettuale ed ideale fra i suoi componenti, anche se la riduzione della necessità della fisicità ha ridotto le implicite possibilità affettive  e la  totalizzazione dell'esperienza. Lo strumento ha inoltre permesso ai leaders carismatici  di godere della possibilità di avere costantemente un'enorme platea digitale.

Se accoppiamo a quest'elemento la possibilità di partecipazione in rete d'ogni singolo membro, l'"assemblearismo" e la democrazia diretta ricevono dal Movimento un'ulteriore legittimazione come unico strumento possibile d'organizzazione.

E' tuttavia legittimo chiedersi se, nel passaggio dialettico al rapporto con le istituzioni e nella conseguente necessità di passare dalla fase del movimento iniziale a quella strutturata d'organizzazione, questo modo di procedere non possa rivelare dei limiti insormontabili.

Proprio per permettere un'adeguata ed incisiva partecipazione ed una vita duratura del Movimento è necessario frammentare nel tempo e nello spazio i processi, creare diversi livelli d'approfondimento, consentire la presentazione e il consolidamento dei diversi punti di vista e di programmi differenti e/o contrastanti, predisporre momenti di delega rappresentativa, necessari proprio per portare avanti gli obiettivi comuni. Creare insomma nuovi livelli organizzativi

Le possibilità offerte dalla Rete permettono una nuova e diversa capacità assembleare ed una partecipazione non solo fisica delle persone, La discussione assembleare o l'adesione alla posizione vincente è tuttavia sufficiente per affermare che è soddisfatto il requisito della democrazia? Non è forse necessario anche prevedere all'interno della partecipazione  il momento della delega e vari livelli sempre più complessi nella formazione delle idee e nell'assunzione di responsabilità.?Come si procede quindi nella formazione delle idee e dei programmi? La forma organizzativa segue e facilità la formazione delle idee e la loro realizzazione concreta? Il percorso di responsabilità è legato a questo processo?Come vengono amministrate le disponibilità economiche ?

E' probabilmente  vero che i tradizionali rapporti fra democrazia , partecipazione e rappresentanza siano stati profondamente modificati dalle nuove possibilità tecnologiche offerte dalla Rete.; tuttavia,  tali nuove possibilità non possono modificare la sostanza di questi rapporti ma solo la modalità, permettendo in tal modo un miglioramento della qualità stessa della democrazia.Cerco di spiegarmi meglio: la Rete permette una maggiore circolazione delle idee e delle informazioni a costi bassissimi e quasi nulli . Tutto questo mentre si annullano i problemi connessi alle distanze fisiche ed ai tempi personali disponibili.Non sono cose da poco .In sostanza,si riesce a dipendere molto meno che nel passato dai "media" e dal loro potere di controllo. Si riesce  a superare il monopolio dell'informazione e della gestione selettiva dei contenuti e delle idee .La possibilità di far discutere in modo stabile e continuativo  persone che distano da loro centinaia di chilometri può consentire una maggiore presenza consultativa e decisionale su problemi importanti o la collaborazione  diffusa su progetti d'approfondimento tematico.Tutto questo non è trascurabile; tuttavia, non porta automaticamente alla democrazia diretta ed alla possibile negazione del concetto di delega e rappresentatività. Porta invece alla necessità di dare spazio ad una reale democrazia partecipativa sia all'interno delle organizzazioni politiche che nelle istituzioni.Nessuno oggi potrà affermare che per motivi di tempo, di spazio ,d'informazione o di distanza non è possibile, organizzare o consultare o decidere insieme su alcune questioni.Il problema ,quindi, è di procedere nella realizzazione di tutte le modifiche organizzative necessarie ma riconoscere allo stesso tempo la differenza di cultura , d'esperienza di vita, di passione , di coraggio, di saggezza ecc ecc. esistenti fra le persone e che da un lato permettono ad alcuni  di assumersi responsabilità  maggiori  e dall'altro gli fanno ottenere la fiducia da parte degli altri che gli delegano delle funzioni. Un processo di delega e di rappresentanza pertanto di maggiore qualità e trasparenza che parte realmente da una base  diversamente organizzata.Tutto questo all'interno di una nuova realtà che offre maggiori possibilità di controllo , trasparenza e verifica da parte di una base attiva e partecipante.Il comune cittadino DEVE poter esprimere il suo giudizio sulle questioni scottanti e  su tutto quello che lo riguarda;tuttavia,  non gli si può chiedere  di predisporre gli studi e le proposte tecniche relative,di decidere e di occuparsi direttamente di tutto  perché sarebbe macchinoso e non efficace. D'altra parte non affiderei mai a dei tecnici il potere di decidere per conto mio ; mentre, invece, attraverso un processo progressivo di delega, affiderei la possibilità di prendere delle decisioni ad una classe dirigente che avrei condiviso attraverso un processo trasparente di delega. Su cosa quindi baserei la delega? Sulla fiducia che una persona ha saputo guadagnarsi nella guida di un gruppo di cui si è assunto progressivamente la responsabilità e da cui ha ottenuto la fiducia. informandosi su tutto quello che non conosce, chiedendo aiuto tecnico e sottoponendolo al parere ed all'intelligenza comune, dedicandosi al bene del gruppo ed avendo il coraggio di prendere decisioni difficili . In questo percorso di responsabilità vedo la crescita e la formazione della classe dirigente .

 

 

venerdì 1 marzo 2013

Per un governo di minoranza

Il recente risultato elettorale testimonia la profonda crisi della nostra società in presenza di una recessione economica, che grava pesantemente sulle prospettive di reddito e d'occupazione dei cittadini, e della mancanza di fiducia in una classe politica, vista come distante dalla gente, incapace di recepirne i bisogni ed interessata solo al mantenimento dei propri privilegi. Questo miscuglio esplosivo ha posto spesso, nella storia, le condizioni per veri e propri terremoti del panorama politico e del rapporto fra i ceti e le classi sociali. In molti casi, la novità ideale, necessaria per affrontare con successo i problemi, non ha trovato strada nelle politiche esistenti, creando le condizioni per l'irruzione di forze nuove dai connotati spesso rivoluzionari. In altre situazioni, personalità di rilievo hanno avuto la capacità di proporre formule nel segno della speranza, per ridare fiato non solo all'economia, ma all'intero spirito delle nazioni. Penso ad esempio all'esperienza del New Deal americano o a tanti altri esempi della storia passata. Anche il nostro paese vive un momento, di cambiamento e di ristrutturazione della politica, che ha portato alla recente affermazione elettorale del Movimento Cinque Stelle.Con il voto così ampio a questo gruppo, gli elettori hanno inviato qualcosa che assomiglia ad un ultimatum. Più che un'adesione convinta ad un programma di governo, questo voto sembra unire un malessere di diversa provenienza con obiettivi che, su molti aspetti, potrebbero anche essere inconciliabili. Ci si chiede, infatti, quanti di coloro che hanno votato Grillo, disgustati dallo spettacolo d'insipienza e corruzione offerto spesso dalla politica, siano poi d'accordo con le ipotesi di uno sviluppo basato sulla possibile decrescita ma con maggiore attenzione alla qualità della vita sociale (i cui indicatori sono in ogni caso da verificare e da dibattere adeguatamente). Quanti pensano che il nostro Paese sia sostanzialmente fallito finanziariamente e oggetto dei voleri della finanza internazionale, cui paga un contributo interessi intollerabile, per cui l'unica soluzione potrebbe essere quella di procedere ad un piano di ristrutturazione dello stesso debito.? Quanti inoltre ritengono possibile e preferibile una possibile uscita dall'euro ed una svalutazione competitiva della nostra moneta che decurti immediatamente il valore dei nostri risparmi, degli stipendi e delle pensioni? Quanti ritengono inutili i grandi lavori della TAV che permetterebbe la partecipazione italiana alle vie di comunicazioni più avanzate europee e lo sviluppo del transito delle merci su ferro? Probabilmente, molti ritengono questi problemi distanti dal quotidiano ed intanto sentono il Movimento Cinque Stelle presente in tutte le situazioni in cui la politica tradizionale non riesce a d offrire sostegno ed aiuto. .Il movimento ha inoltre fatto suoi alcuni punti considerati ormai irrinunciabili dalla maggior parte delle persone come testimonia anche l'esito dei due referendum sull'energia nucleare e sull'acqua La parola d'ordine è, infatti, quella di preservare i beni comuni alla gestione pubblica e di orientare il piano energetico nazionale sempre più verso le fonti energetiche rinnovabili. C'è tuttavia una forma di semplificazione nel trattare le questioni che certo non giova alla gestione dei fenomeni.Lo troviamo ad esempio nella difficoltà ad accettare la necessaria presenza sul territorio nazionale di termovalorizzatori dove smaltire almeno la parte residua dei rifiuti non riciclabili nonostante il possibile successo di un'estesa e capillare raccolta differenziata.La fiducia degli elettori, inoltre, è   riposta nella possibilità dello sviluppo di una democrazia partecipativa, che consenta un controllo dal basso del personale e dell'azione politica, mentre, da parte loro, le forze politiche tradizionali sono rimaste impermeabili al cambiamento ed all'apertura delle proprie strutture organizzative. Troppo spesso, la necessità della sopravvivenza dell'organizzazione ha prevalso sull'accoglimento di un percorso di democrazia partecipativa di base e sul web. L'utilizzo delle possibilità della Rete è stato, anzi, completamente sottovalutato ed utilizzato solo come cassa di risonanza, mentre, la sua forza consiste proprio nella maggiore possibilità di partecipazione della base alla vita politica , compresa l'elaborazione dei contenuti . La Rete può dunque essere uno dei luoghi di formazione del personale politico, come ha intuito Grillo.

Ora, siamo di fronte ad un'emergenza che richiede la definizione di priorità, pur coscienti del rischio di nuove elezioni a breve.

Il Partito Democratico ha la responsabilità della proposta e sarebbe auspicabile che, pur non potendo contare su di una maggioranza precostituita, si presenti in Parlamento chiedendo la fiducia su di un programma minimo d'azione che permetta di affrontare l'emergenza intervenendo subito su alcuni fattori critici:

Pensiamo che il tentativo di formazione   di un governo, capace di ottenere in Parlamento i numeri per andare avanti, debba poggiare almeno su sei priorità:

N. 1.  Riduzione drastica dei costi della politica, dei privilegi della casta Abbattere i costi, non solo economici, della politica, quelli diretti e ancor più quelli indiretti. La riforma politica deve riguardare numero e retribuzione delle persone impiegate in politica, lo scioglimento degli Enti inutili nati per foraggiare clientele di partito e riciclati, il numero dei mandati, il numero dei parlamentari e dei consiglieri, la misura e le modalità di controllo del finanziamento pubblico, la trasparenza degli atti amministrativi, la messa in rete di tutti gli atti pubblici compresi appalti mandati di pagamento oltre che ai rimborsi dei politici. E' necessario procedere alla regolamentazione normativa dei partiti e ad una modifica del ruolo ed operatività delle fondazioni.

N.2  approvazione di una nuova legge elettorale ed avvio di una stagione di riforme istituzionali del nostro Paese che consenta di realizzare l'obiettivo della piena governabilità ed efficienza.. Abolizione delle Province, accorpamento dei Comuni minori, soppressione di una camera, elezione diretta del Presidente della Repubblica, che assuma anche il ruolo di capo del governo. Questi potrebbero essere  i cambiamenti istituzionali  utili per portare il paese alla  piena governabilità.

N. 3. Legge sul conflitto d'interessi.Norme efficaci per la lotta alla corruzione, peso intollerabile, fattore di spreco, di distorsione dei mercati e di degrado della vita civile.

N.4 . Introduzione del reddito di cittadinanza  e del contratto unico d'ingresso a garanzie progressive, opportunamente incentivato per i giovani , le donne e gli over 50, con riduzione drastica delle forme di lavoro precario . Vengono sollevate spesso molte critiche all'introduzione del redito di cittadinanza  visto come premio  per la pigrizia lavorativa. Questa visione è oggi fuorviante perché il problema principale è quello d'intervenire sulle situazioni di bisogno, provocate da una crisi economica senza precedenti nel dopoguerra, con strumenti di tipo universali che permettano di toccare il fenomeno della disoccupazione di lunga durata, l'inoccupazione e la marginalità. L'importante è che il reddito sia concesso a patto che queste persone nel frattempo prestino  la propria manodopera in lavori utili, accettino percorsi formativi  validi per il reinserimento lavorativo ed in generale per l'occupazione e non possano rifiutare nessun lavoro continuativo proposto. La copertura economica  di un provvedimento di questa portata ( il cui  costo  potrebbe ammontare ad almeno  ca. 7.000 euro annui per persona)   è ovviamente difficile . Un provvedimento  che riguardasse  almeno due milioni di persone  costerebbe ca. 14 miliardi l'anno. Questi soldi vanno comunque trovati a  partire da un diverso utilizzo della spesa per il welfare  ( anche rivedendo i meccanismi della cassa integrazione e mobilità  oltre che le remunerazioni pensionistiche  e gli stipendi pubblici oltre i cinquemila euro netti ) considerando anche  le risorse rivenienti in bilancio dalla recente riforma pensionistica da mantenere invariata, dai rispermi ottenuti attaraversoi, taglio dei costi della politica e riforme istituzionali ( abolizione province ecc) la maggiore tassazione del gioco d'azzardo, quanto sarà  possibile destinare da una riforma fiscale ( cfr. punto 5) ecc.

N.5. riforma fiscale generale a favore delle imprese e del lavoro con l'obiettivo della riduzione del cuneo fiscale sul lavoro per la ripresa della competitività

N:6 avvio di un programma di dismissione del patrimonio immobiliare pubblico  per il finanziamento di misure per la crescita e per la riduzione dello stock del debito .Si ritiene  importante evitare la dismissione delle quote detenute in alcuni gioielli  della nostra economia come ENI e Finmeccanica, proprio per salvaguardarne  l'italianità

Un PD e un governo, che mettessero in agenda e realizzassero questi punti, aprirebbero un percorso virtuoso di fiducia e partecipazione fra Istituzioni e cittadini  oltre che alcuni punti fermi per la lotta alla disoccupazione  ed una ripresa della nostra competitività . Tutto questo non potrebbe che essere visto  con interesse e fiducia anche dai mercati finanziari.Se tutto questo non dovesse realizzarsi, è meglio dare  fiducia ad un governo di transizione, guidato da una personalità di alto rilievo, che duri per il tempo necessario alla riforma della legge elettorale, e tornare il prima possibile a nuove elezioni.

 

 

 

 

domenica 17 febbraio 2013

Programmazione dei fondi UE per la Coesione

 

Nell'ambito dell'utilizzo dei fondi europei, va sottolineata l'efficacia dell'azione svolta dal Ministro per la Coesione Territoriale, Fabrizio Barca. Tale azione ha consentito la spesa, nell'ultimo anno, di circa nove miliardi di euro del pacchetto stanziato per il nostro Paese, per il periodo 2007-2013, che altrimenti correvano il rischio di essere decurtati.

L'efficacia dell'azione del Ministro, e dei Dipartimenti di cui si avvale, insieme alla forte azione  governativa in ambito europeo hanno sicuramente influito positivamente sulle decisioni relative alla nuova dotazione di risorse stabilite a favore del nostro Paese, in un momento in cui, invece, si è proceduto ad un generale ridimensionamento degli stanziamenti. L'accordo politico raggiunto l'8 febbraio 2013 dal Consiglio europeo in merito al Bilancio 2014-2020, che dovrà quanto prima essere ratificato dal Parlamento Europeo, offre comunque una prima    importante informazione su quelle che sono state le decisioni ipotizzate e rappresentano una prima base di riferimento per l'avvio di una programmazione dei fondi per la politica di coesione. L'accordo prevede che, nell'ambito della Politica di Coesione UE, le allocazioni, per il periodo 2014-2020, destinate al nostro Paese ammontino a 29,6 miliardi d'euro (valori prezzi 2011). Di questi, 20,5 sono destinati alle Regioni meno sviluppate (Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia), 1,0 alle Regioni in transizione (Abruzzo, Molise e Sardegna) e 7,0 alle regioni più sviluppate.

In uno scenario europeo, caratterizzato dalla riduzione dei fondi totali per la coesione di ca. l'8%, l'Italia è riuscita ad assicurarsi un pur lieve incremento: dai 29,4 miliardi di euro del 2007-2013 ai circa 29,6 del prossimo periodo (entrambi a prezzi 2011).

Partendo da queste informazioni, lo staff del Ministro ha già prodotto un documento dal titolo" Metodi e obiettivi per un uso efficace dei fondi comunitari 2014-2020"   con l'obiettivo di avviare immediatamente, insieme con tutte le parti istituzionali, economiche e sociali, il lavoro di programmazione dei fondi. Non si può certamente sottovalutare la delicatezza del momento politico; pur tuttavia, questo lavoro rappresenta una base di partenza utilissima per chi dovrà operare in questo ambito.

La parte più interessante è costituita dalla proposta dell'introduzione di sette innovazioni metodologiche, di elevata rilevanza politica, e dall'individuazione di alcuni indirizzi strategici.Tali innovazioni, descritte nel documento, partono da un'analisi del perdurare delle problematicità dello sviluppo legate ad un difetto della volontà politica da parte delle classi dirigenti di quelle aree e della presente azione di disturbo della malavita organizzata.

In tal senso il documento afferma: "Esiste un crescente consenso nell'interpretare le "trappole del non-sviluppo" – sia attorno a equilibri di arretratezza, come nel Mezzogiorno, sia attorno a un blocco della produttività, come nel Centro-Nord –quale risultato di scelte consapevoli delle classi dirigenti locali e nazionali. " In tal caso " l'azione pubblica per la coesione, nel mirare a creare per tutti i cittadini opportunità di vita, lavoro e impresa che dipendano il meno possibile dalle condizioni e luogo di nascita, deve destabilizzare queste trappole del non-sviluppo, evitando di fare affluire i fondi nelle mani di chi è responsabile dell'arretratezza e della conservazione. Aprendo invece varchi per gli innovatori sia nei beni pubblici che produce, sia nel modo in cui li produce. Le innovazioni di metodo proposte sono rivolte ad aprire tali varchi. Ecco perché il "come spendere" è così rilevante"

Le sette innovazioni generali di metodo proposte dal documento sulla base di queste considerazioni configurano un sistema di valutazione pubblica aperta e possono essere così riassunte:

 

1)      Risultati attesi.( nella programmazione operativa gli obiettivi saranno definiti sotto forma di risultati attesi con indicatori opportuni di misurazioni e target da raggiungere)

2)      Azioni. ( indicazione delle azioni utili per conseguire i risultati)

3)      Tempi previsti e sorvegliati.

4)      Apertura. Trasparenza e apertura delle informazioni e rafforzamento delle possibilità di mobilitazione dei soggetti interessati.

5)      Partenariato mobilitato. Coinvolgendo nella "valutazione pubblica aperta", oltre alle parti economiche e sociali, tutti i soggetti potenzialmente influenzati o che alle azioni possano dare un contributo di conoscenza

6)      Valutazione di impatto.

7)      Forte presidio nazionale.

 

Questa nuova metodologia deve essere coniugata da un lato con le undici aree tematiche individuate dall'Unione Europea (1. - Rafforzare la ricerca, lo sviluppo tecnologico e l'innovazione, 2.- Migliorare l'accesso alle tecnologie dell'informazione 3- Promuovere la competitività delle piccole e medie imprese, il settore agricolo e il settore della pesca e dell'acquicoltura 4- Sostenere la transizione verso un'economia a basse emissioni di carbonio 5- Promuovere l'adattamento al cambiamento climatico, prevenzione e la gestione dei rischi 6 - Tutelare l'ambiente e l'uso efficiente delle risorse 7- Promuovere sistemi di trasporto sostenibili e eliminare le strozzature delle principali infrastrutture di rete 8- Promuovere l'occupazione e sostenere la mobilità dei lavoratori 9- Promuovere l'inclusione sociale e combattere la povertà 10- Investire nelle competenze, nell'istruzione e nell'apprendimento permanente 11- Rafforzare la capacità istituzionale e promuovere un'amministrazione pubblica efficiente) e dall'altro con le tre opzioni strategiche individuate nell'ambito del lavoro straordinario di rilancio del programma 2007-2013 e dal Piano Azione Coesione e suggerite dal dibattito europeo e nazionale. Tali opzioni riguardano: Mezzogiorno, Città, Aree interne. In particolare per il Mezzogiorno, nell'ambito delle programmazione delle risorse, è indispensabile tenere conto dei due deficit che caratterizzano l'area in modo diffuso: a) un deficit di cittadinanza, che va dalla sicurezza personale, alla legalità, all'istruzione ecc. b)- un deficit di attività produttiva privata, di tipo industriale", stante ad indicare non tanto il settore ma il metodo di produzione organizzato e a forte contenuto innovativo, che può dare risposte alla necessità di aumento dell'occupazione.

 

Sulla base di queste importanti premesse il documento procede quindi in modo sistematico nell'applicazione della metodologia proposta per ogni piano d'intervento, definendo pertanto gli obiettivi, i loro indicatori di misurazione, i tempi di realizzazione, le azioni da intraprendere ecc ecc..

Sembra un metodo di lavoro proficuo e che invita ad esprimersi nel merito delle problematiche e delle misure proposte per realizzare, in tempi ragionati e verificabili, le migliori soluzioni possibili.  Forse, se c'è un appunto che può essere sollevato, nell'intento di migliorare ulteriormente l'approccio, è quello di tentare di sintetizzare ulteriormente i piani d'intervento ed, al loro interno, gli obiettivi prefissati, per cercare di non disperdere troppo l'efficacia delle risorse utilizzate. I fondi a disposizione sono sicuramente non trascurabili; ma, la loro efficacia sarebbe ancora maggiore se si riuscisse a concentrarne l'utilizzo su pochi ed importanti piani d'intervento, sintetizzando al loro interno le undici aree tematiche europee. 

 

 

 

 

 

sabato 2 febbraio 2013

Banche e sistema delle imprese

 

 

Una delle principali condizioni necessarie per il rilancio della crescita del nostro sistema economico è costituita da un più facile accesso al credito da parte delle imprese, ad un costo sostenibile.

E' invece diffusa la sensazione del progressivo irrigidimento del settore bancario nei confronti della disponibilità alla concessione dei finanziamenti se non addirittura al mantenimento di quelli in essere. Si ha, infatti, l'esperienza di un progressivo orientamento alla riduzione del profilo del rischio realizzabile sia attraverso l'ottenimento di maggiori garanzie sia con lo spostamento dei finanziamenti verso le forme auto-liquidabili.

D'altra parte, la stessa affidabilità delle imprese si è progressivamente deteriorata. Non solo assistiamo ad una generale riduzione del volume dei ricavi; ma, peggiorano anche gli indici di redditività e gli indicatori dell'equilibrio finanziario interno.

Secondo dati forniti dalla Banca d'Italia, il margine operativo lordo (MOL) in rapporto al valore aggiunto è sceso mediamente al 32,2 per cento. La minore   redditività lorda fa sì che dopo avere sostenuto i costi interni e finanziari, solo una minima parte delle imprese riesca,   nel 2012, a conseguire un risultato positivo. Si riduce pertanto, in maniera forte, la capacità d'autofinanziamento del sistema imprenditoriale. In questo quadro negativo, gli unici segnali di miglioramento sono arrivati   dalla ripresa degli ordinativi legati alla domanda estera.

Alla minore disponibilità del sistema bancario a concedere finanziamenti, per motivi legati al proprio equilibrio patrimoniale, si è aggiunta una riduzione della domanda di finanziamenti delle imprese, a causa dell'indebolimento complessivo dell'attività economica. Il risultato è stato una riduzione complessiva del volume dei prestiti bancari erogati.

Dal punto di vista dell'equilibrio delle aziende, il peggioramento della loro capacità finanziaria ha comportato anche un allungamento generale dei tempi di pagamento nel sistema, con conseguente aumento degli oneri finanziari   connessi al costo dei finanziamenti necessari a coprire i ritardati incassi. Anche il ritardo dei pagamenti dell'amministrazione pubblica ha acuito questa tendenza. L'incremento del costo del debito ha infine contribuito alla riduzione complessiva dei margini economici realizzati dalle imprese.

Le vicende, legate all'andamento dello spread dei titoli pubblici italiani rispetto a quelli tedeschi, hanno pesantemente influito sul costo dei finanziamenti alle imprese ed ai privati   e solo negli ultimi mesi stiamo assistendo ad un miglioramento complessivo della situazione. Sin dal 2010 le tensioni presenti sui titoli di stato hanno influito sulle condizioni della raccolta sui mercati delle Banche Italiane, con conseguente peggioramento dei costi dei finanziamenti per le imprese ed i privati. Il peggioramento dello spread si trasferisce nei mesi successivi in aumento dei tassi sui nuovi depositi a scadenza e sulle operazioni di pronti contro termine, oltre che sulle obbligazioni emesse dalle banche per finanziarsi. La trasmissione del peggioramento dello spread dei titoli pubblici sul costo dei finanziamenti bancari segue vari percorsi, quali l'esposizione diretta delle banche nei confronti del settore pubblico, l'utilizzo dei titoli pubblici come collaterale nei mercati della provvista all'ingrosso, il legame fra rating sovrano e rating bancari.

Il miglioramento, registratosi nell'ultimo periodo, del differenziale fra i titoli decennali italiani e quelli tedeschi   ha avuto ripercussioni positive anche sulla situazione patrimoniale del sistema bancario.  Il valore dei titoli pubblici italiani a medio e a lungo termine di proprietà delle banche è, infatti, attualmente superiore del 2,5 per cento rispetto a quello di settembre dello scorso anno, data di riferimento per determinare il buffer di capitale richiesto dall'European Banking Authority (EBA) al fine di fronteggiare le potenziali perdite sul portafoglio sovrano valutato al valore di mercato.

Nel frattempo, la maggior parte delle banche ha rafforzato la propria dotazione patrimoniale, sia con operazioni d'aumento di capitale, sia con una maggiore capacità d'autofinanziamento rispetto all'anno precedente, sia con la ricomposizione del proprio portafoglio verso attività con profilo di rischio più attenuato. A giugno del 2012 il patrimonio di migliore qualità dei 14 gruppi (core tier 1) aveva raggiunto, in media, il 10,2 per cento delle attività ponderate per il rischio (dall'8,8 del dicembre del 2011). I coefficienti relativi al patrimonio di base (tier 1 ratio) e complessivo (total capital ratio) erano pari, rispettivamente, al 10,8 e al 13,8 per cento.

Pur in presenza di un quadro di relativo miglioramento, la situazione rimane ancora tesa e il peggioramento del profilo di rischio delle imprese rappresenta un ulteriore deterrente verso l'aumento complessivo dell'erogazione dei finanziamenti. In questo quadro è stato oltremodo utile l'azione di sostegno realizzata dal Governo con il Fondo di garanzia per le PMI.  Nei primi sette mesi del 2012 le domande di finanziamento accolte dal Fondo sono state pari a 4,7 miliardi di euro con rilascio di garanzie relative per ca. 2,3 miliardi.

Un cambiamento del ruolo della Cassa Depositi e Prestiti   all'interno del sistema economico  italiano,  inteso come quello di un grande polmone finanziario teso al sostegno degli investimenti,  sarebbe  auspicabile.

In questa situazione generale, estremamente delicata, le recenti notizie legate alla vicenda Monte Paschi di Siena hanno ulteriormente concentrato l'attenzione su questo settore determinante per lo sviluppo economico del Paese. In particolare, le domande più inquietanti riguardano due aspetti: a) rapporto fra sistema bancario e sistema politico b) l'effetto sui bilanci societari delle operazioni su derivati.

In questa sede non vogliamo addentrarci nei risvolti di questa vicenda ma prenderne spunto per una riflessione sugli aspetti suesposti.  La prima questione riguarda il ruolo delle Fondazioni all'interno della gestione societaria delle Banche. Nel nostro sistema il loro ruolo è importante e ha sostituito la presenza diretta dello Stato nella proprietà delle principali banche italiane. Le Fondazioni dovevano idealmente rappresentare e garantire un ruolo sociale delle banche anche in regime privatistico. La presenza delle Fondazioni avrebbe assicurato, grazie al legame con il territorio, automaticamente questo risultato. Abbiamo visto come questa interpretazione abbia lasciato a desiderare e che, nei fatti, "la politica", tramite le istituzioni locali, si è impadronita delle Fondazioni e tramite esse ha fornito alle banche un personale manageriale sensibile alle esigenze dei gruppi politici di riferimento. In questa situazione, inoltre, si è in qualche modo lasciato a questi manager ed ai gruppi dirigenziali ampia delega operativa. E' evidente che qualcosa va cambiato. Sarebbe auspicabile che le Fondazioni riducessero ulteriormente la loro partecipazione nella proprietà delle Banche ed utilizzassero le proprie risorse a sostegno di possibili attività nel territorio. Il loro disimpegno darebbe spazio all'ingresso di nuovi capitali e nuovi soggetti italiani ed esteri all'interno del nostro sistema bancario, probabilmente rafforzandolo e sviluppando un maggior controllo interno sull'operatività della dirigenza operativa.La seconda questione, su cui vale la pena di soffermare maggiormente l'attenzione, è quella costituita dalla possibilità   che le banche di credito ordinario effettuino operazioni di carattere speculativo che possano mettere a repentaglio la propria solidità finanziaria e di conseguenza i risparmi dei depositanti e le attività della clientela. Non ci stancheremo mai di sottolineare come sia assolutamente necessario ripristinare quella separazione fra banche d'investimento e commerciali decisa, tanti anni fa, durante la "grande depressione".  Negli Stati Uniti questo è stato già fatto tramite la "Volker's rule". Nel Regno Unito è stata introdotta una separazione delle attività, anche se all'interno della stessa struttura giuridica, e la misura sembra poco efficace.Il resto dell'Europa  è in grave ritardo ed anzi la proposta della commissione Liikanen, che aveva raccomandato  la separazione tra attività di investimento e attività tradizionali, è stata ignorata. La maggiore obiezione alla separazione fra banche commerciali e d'investimento sembra essere quella che una siffatta operazione indebolirebbe il patrimonio responsabile delle banche commerciali riducendone la capacità di credito all'economia.Il rischio tuttavia è troppo forte per mantenere questa situazione e  piuttosto sarebbe  di gran lunga preferibile  che invece si ritornasse indietro sull'eccesso di prudenza  voluta dall'EBA  sul tema della valutazione dei titoli di Stato nell'attivo delle Banche. I titoli vanno indicati al loro valore nominale e non di mercato. La perdita si realizza solo nel momento della possibile vendita prima della scadenza e francamente una scelta di questo tipo sarebbe deprecabile vista la possibilità di metterli a garanzia dei prestiti ottenibili dalla BCE. Assumiamoci quindi il rischio del possibile default degli stati nazionali. E' un rischio che può essere affrontato insieme e su cui l'Europa nel suo complesso sta già dando ampie assicurazioni sia con la nascita del Fondo salva stati che con la disponibilità all'acquisto illimitato di titoli pubblici della BCE sul mercato secondario.  Le banche commerciali devono ritornare ad essere il tramite fra il risparmio ed il sistema produttivo. La loro solidità non può essere compromessa dalla compresenza di un'attività speculativa fine a se stessa e tesa unicamente all'arricchimento della  Banca. I rischi connessi a queste attività si sono moltiplicati con l'utilizzo delle operazioni di derivati che  hanno letteralmente moltiplicato i rischi ma anche le opportunità di guadagno. Il mondo dei derivati  ha invaso il mercato partendo dalla necessità di assicurare i rischi connessi al corso di un titolo, del cambio, del tasso  o sull'andamento di un indice; ma, staccandosi gradualmente dalle operazioni sottostanti, ha creato un mercato esclusivamente speculativo che si auto-sviluppa  perché non costituisce solo un'occasione di guadagno per il cliente ma anche per l'intermediario. Per mitigare questo eccesso strutturale ed il rischio sistemico connesso, sarebbe opportuno recepire le indicazioni suggerite   a suo tempo dal Financial Stability Board  che indicava la necessità di una standardizzazione dei prodotti derivati. Aggiungerei specificamente  la necessità  che queste operazioni  dovrebbero essere obbligatoriamente collegate ad un'operazione sottostante di propria pertinenza che si intende coprire. Il valore nozionale del derivato non dovrebbe inoltre poter superare quello dell'operazione sottostante che garantisce. Un altro aspetto da colpire è costituito dall'eccessiva remuneratività di queste operazioni per gli intermediari bancari. Sarebbe opportuno,  a tal fine, introdurre  una tassazione secca del 30% sugli utili attualizzati che le banche realizzano sui contratti derivati sottoscritti dalla clientela.

 

 

 

 

domenica 27 gennaio 2013

Le proposte di Confindustria ed il Piano del lavoro della CGIL

Nell'ultimo periodo le proposte in campo, volte ad individuare le possibili misure per rilanciare la crescita economica del nostro Paese, si sono arricchite con quelle organicamente prodotte da Confindustria e dalla CGIL con il suo "Piano per il lavoro".

Mentre Confindustria pone l'accento sulla necessità di recuperare competitività attraverso una sostanziale riduzione del costo del lavoro, unito ad un alleggerimento della pressione fiscale sui redditi più bassi e sulle imprese, la CGIL sottolinea la necessità del ruolo pubblico nel sostegno ed indirizzo all'attività economica del Paese, con un incremento della spesa pubblica rivolta alla creazione diretta di occasioni di lavoro per i giovani e di facilitazioni alle aziende private.

Entrambe le proposte richiedono, inoltre, un piano di riforme che vada nel senso del miglioramento dell'attività della Pubblica Amministrazione, dello sviluppo della ricerca ed innovazione e del sostegno alla spesa per infrastrutture.

All'interno del programma proposto da Confindustria, viene richiesto espressamente un recupero di competitività attraverso l'abbattimento dei costi ed il sostegno degli investimenti Si chiede pertanto:

a)     il pagamento immediato di 48 miliardi di debiti commerciali accumulati da Stato ed enti locali,

b)     la riduzione dell'8% del costo del lavoro nel manifatturiero e la cancellazione

per tutti i settori l'IRAP che grava sull'occupazione;

c )   lavorare 40 ore in più all'anno, pagate il doppio perché detassate e decontribuite;

d)  ridurre l'IRPEF sui redditi più bassi e aumentare i trasferimenti agli incapienti;

e)   aumentare del 50% gli investimenti in infrastrutture;

f)       sostenere gli investimenti in ricerca e nuove tecnologie;

g)      abbassare il costo dell'energia

 

Le risorse necessarie sono individuate sostanzialmente nella riduzione e diversa destinazione della spesa pubblica,utilizzando quanto è possibile ricavare dalla dismissione del patrimonio pubblico ed armonizzando le aliquote ridotte IVA  in vista di rimodulazione delle stesse in ottica UE. Viene inoltre richiesta la riforma del  Titolo V della Costituzione riportando allo Stato le competenze su materie di interesse nazionale e riducendo i livelli di governo.

L'esigenza di un recupero di competitività del sistema, attraverso una riduzione del costo del lavoro,  non deve farci dimenticare  le necessarie contropartite,  che non possono esaurirsi solo nella richiesta dello sgravio IRPEF nei confronti dei redditi più bassi; ma, anche, in tutto quello che riguarda  la fine della eccessiva precarizzazione del lavoro utilizzato, nei fatti, per ottenere una riduzione di costo. Bisogna ottenere anche delle garanzie rispetto alla ripresa degli investimenti privati.

Per altri versi, la prima cosa che  convince, invece, nella presentazione del " Piano del lavoro " della CGIL è il richiamo ad una ripresa della crescita che non può essere trascinata esclusivamente da un aumento delle esportazioni; ma, anche, dal sostegno alla domanda interna. Il nostro è un paese avanzato che deve essere in grado di avere una base industriale larga e avanzata oltre ad un sistema di servizi moderno. La caratteristica di un paese come il nostro è lo scambio di merci e servizi della medesima tipologia con gli altri paesi avanzati : La crescita del saldo attivo della bilancia commerciale è un obiettivo importante ma accanto ad esso bisogna realizzare un miglioramento complessivo del livello di vita soprattutto di vaste aree del paese in condizioni di sottosviluppo e di vaste aree della popolazione. Parlare pertanto di redistribuzione delle ricchezze diventa elemento essenziale dello sviluppo . In tal senso gli accenni ad una riforma fiscale che consenta di alleggerire il peso sui redditi più bassi, sul lavoro  e sulle imprese sembra essere rilevante.

Ma vediamo, in concreto,  su cosa poggerebbe  la possibile  riforma fiscale proposta dalla CGIL?

a) piano strutturale di lotta preventiva all'evasione/elusione fiscale e contributiva e al sommerso. Si può programmare una riduzione dell'evasione fiscale e contributiva del 10% nel 2014 e del 20% nel 2015, anche prevedendo specifiche e vincolanti poste di Bilancio all'interno delle Leggi di finanza pubblica;

Ottenere un risultato di questo genere non sembra di facile realizzazione. Rimango dell'idea che per recuperare in maniera importante l'evasione bisognerebbe agire su tre fronti:

1)introdurre un vantaggio per il contribuente alternativo all'evasore ( possibilità di scaricare una percentuale di tutte le spese documentate )

2)rendere possibile l'emersione del lavoro nero nelle aree sottosviluppate del paese

3)attaccare d'iniziativa l'economia della criminalità organizzata .

Nei tempi brevi, non si può programmare con una buona approssimazione  la copertura della spesa pubblica in base ad un andamento diverso della lotta all'evasione.

b)introduzione dell'Imposta strutturale sulle Grandi Ricchezze (IGR), a sostituzione dell'IMU;

Sarebbe utile conoscerne meglio i meccanismi attuativi prima di esprime un giudizio.

c) rendere più efficace la Tassa sulle Transazioni Finanziarie internazionali (TTF), soprattutto per ridurre drasticamente la speculazione finanziaria di breve durata (quella che mette in difficoltà anche i debiti sovrani), che per sua natura ha bisogno di fare molti movimenti finanziari, e liberare risorse per gli investimenti "reali", che generano crescita e occupazione;

Va bene questo richiamo all'applicazione della TTF. Relativamente all'inasprimento della tassazione sulla rendita finanziaria sarebbe utile il ripristino dell'aliquota del 27% sugli interessi dei depositi bancari e postali. Bisognerà inoltre vedere se il nuovo bollo sui depositi titoli  con decorrenza gennaio 2013 darà i risultati auspicati. Un'altra iniziativa da realizzare potrebbe essere quella di  tassare in maniera secca ( 30%)l'utile attualizzato conseguito dalle istituzioni finanziarie e Banche  sulle operazioni di  derivati stipulate con la clientela. A regime , da questa serie di misure ,si possono ottenere almeno 3/4 miliardi.

d) in alternativa all'aumento dell'IVA previsto dal Governo, che ha un carattere regressivo e fa crescere l'inflazione, si può aumentare l'imposizione sulle rendite finanziarie (ora al 20%,esclusi titoli pubblici), ancora al di sotto della media effettiva europea;

Mi sembra che quanto detto  in precedenza non consenta ulteriori margini.

e) introduzione di tasse ambientali coerenti con l'indicazione europea in base alla quale "chi inquina, paga" (emissioni CO2, produzione di rifiuti tossici, consumo di combustibili fossili)e con la previsione di dinamiche premianti

Da verificare le forme attuative e le risorse ottenibili.

f) progressività dell'imposizione e riduzione della prima fascia e di un'intermedia

Discorso possibile e condivisibile. Si possono recuperare almeno sei miliardi attraverso una maggiore imposizione progressiva  a partire dai redditi superiori a 75.000/100.000  euro annui e fino a quelli superiori, da destinare ad una riduzione di almeno tre punti percentuali sui redditi più bassi.

Queste misure  di riordino fiscale  costituiscono una delle  assi portanti  del reperimento delle risorse necessarie. Accanto a questo tuttavia,  nel piano del lavoro,  la CGIL individua ancora delle altre opportunità utili al reperimento di ulteriori mezzi finanziari:

1) riduzione dei costi della politica e degli sprechi e redistribuzione della spesa pubblica possono produrre almeno 20 miliardi di euro di risparmi strutturali;

E' da verificare il reale impatto annuo del risparmio di spesa possibile con la destinazione a nuovo e diverso impiego. 20 miliardi mi sembrano una cifra molto alta. Mi accontenterei di reperire da questo processo di riforma risorse per 5/8 Miliardi .

2) riordino, agevolazioni e trasferimenti alle imprese, per recuperare almeno 10 miliardi;

Su questo campo mi sembra che l'obiettivo principale sia quello di indirizzare meglio la spesa specialmente  orientandola verso una riduzione generalizzata del carico IRAP relativo al costo del lavoro.

3) utilizzo di una parte delle risorse delle fondazioni bancarie (verso "valori collettivi e finalità di utilità generale", così come previsto dall'ordinamento italiano, L. 218/1990), soprattutto per il Piano per il Nuovo Welfare;

Un possibile anche parziale disimpegno finanziario delle Fondazioni dal sistema bancario, sostituite dall'arrivo di capitali stranieri o privati, metterebbe a disposizione di operazioni sul territorio nuove risorse.

4) utilizzo programmato dei Fondi europei;

Anche questo punto è interessante . Ad esempio  anche le  proposte del Sen Ichino  sul punto lavoro dell'Agenda Monti  presuppongono l'utilizzo dei fondi sociali europei con un coordinamento su base regionale.

5) scorporo degli investimenti dai criteri di applicazione del Patto di Stabilità e Crescita;

Possibile ed auspicabile una forte azione in tal senso. Bisogna  far presente  anche in sede europea la necessità che la spesa per investimenti sia accettata ed esclusa dalla misurazione del debito.

6) utilizzo dei Fondi pensione attraverso progetti per favorire la canalizzazione dei flussi di risparmio verso il finanziamento degli investimenti di lungo periodo, garantendone i rendimenti previdenziali;

Molto interessante da realizzare con appropriate capacità d'iniziativa e di coinvolgimento in grandi progetti nazionali secondo la modalità del project financing

7) la Cassa Depositi e Prestiti, sull'esempio della Caisse des Dépots francese, deve consolidare la missione di utilizzare le sue emissioni obbligazionarie di lungo e lunghissimo termine per attirare i capitali, oltre l'orizzonte temporale degli operatori tradizionali, su progetti di sviluppo e infrastrutturali per investimenti strategici e di lungo periodo sia per le PP.AA. che per le Società industriali, diventando così uno dei soggetti essenziali per l'innovazione e la riorganizzazione del Sistema Paese.

Sono assolutamente d'accordo . La Cassa e Depositi Prestiti  può essere il possibile finanziatore, insieme a Fondi pensione, Fondazioni e Banche ,di dieci grandi project financing d'interesse nazionale.

Relativamente poi all'utilizzo dei fondi recuperati penso che una spesa nei confronti dell'innovazione , delle infrastrutture,degli interventi sul territorio ed il welfare siano utili anche perché intervengono su settori in cui potremmo essere meno esposti alla concorrenza internazionale.In questo senso un aiuto all'occupazione in questi settori con sgravi fiscali alle aziende private o riapertura delle assunzioni pubbliche è da considerare positivamente.

In ultimo, ma non per ultimo, bisognerebbe che nei futuri programmi di governo si tenessero ben presenti  le richieste di Confindustria per la riduzione del costo del lavoro e del carico fiscale sull'IRAP per tutti i settori valutando i margini possibili per porre a carico della fiscalità generale parte degli oneri contributivi e della tassazione  La riduzione del costo del lavoro è insieme all'innovazione condizione essenziale per il recupero di competitività del sistema.Lo sviluppo della contrattazione di secondo livello , la detassazione del lavoro straordinario  e dei premi di produzione potrebbero consentire un ulteriore passo avanti nella direzione della produttività.

Per finire mi sembra condivisibile la critica all'abbattimento del costo generale del lavoro realizzato solo attraverso l'uso indiscriminato del lavoro precario. Le conseguenze in termini di socialità conplessiva sono altissime ed insopportabili. Ben diversa è l'esigenza di assicurare la corretta mobilità della forza lavoro verso gli impieghi più produttivi  utilizzando  adeguati ammortizzatori sociali per assicurare al lavoratore il massimo della sicurezza ed un adeguato servizio utile al "replacement" nel lavoro. Deve essere messo un forte argine che scoraggi l'uso distorto dei contratti atipici che di fatto spreca e distrugge lo sviluppo delle professionalità .

Riprendendo i vari discorsi in campo darei invece ulteriore risalto ad un utilizzo della dismissione del patrimonio pubblico che opportunamente organizzato potrebbe dare risorse annue di almeno 5/10 miliardi. Questa proposta  contenuta nel programma di Confindustria  mi sembra interessante   perché, invece di utilizzarlo per la riduzione immediata dello stock del debito pubblico, punta a sostenere lo sviluppo ottenendo poi nel tempo , grazie alla crescita del PIL il miglioramento del suo rapporto col debito.

Complessivamente da tutte le proposte fatte potremmo recuperare con molta probabilità complessivamente ca. 20 miliardi di risorse  che potrebbero trovare impiego sia parzialmente  nei programmi di sostegno all'investimento ed all'occupazione presenti nel programma CGIL sia nell'obiettivo della riduzione del costo del lavoro e della tassazione delle imprese. Accanto a queste operazioni si potrebbero aggiungere quelle che potrebbero essere messe in gioco grazie all'azione della Cassa depositi e prestiti, i Fondi pensione, Le Fondazioni e le Banche per il finanziamento di dieci grandi project financing nazionali nel campo delle infrastrutture ed anche nei casi possibili della ricerca applicata.

 

 

 

 

 

sabato 19 gennaio 2013

Equità e lavoro

La campagna elettorale è ormai in pieno svolgimento e davanti agli occhi degli italiani sfilano i rappresentanti dei partiti e delle coalizioni, che si propongono per il governo del Paese. Il momento è difficile e la sensazione diffusa è che ormai il tempo delle promesse è scaduto. Bisogna voltare pagina e subito. Nessuno è più disposto a tollerare le immagini di spreco, di corruzione e di privilegio a cui abbiamo assistito in questi anni. Il deterioramento del tessuto economico e sociale ha raggiunto e superato il limite della sopportazione ed il male oscuro della disoccupazione angoscia le famiglie. Il panorama italiano è costellato da imprese in difficoltà che tagliano il personale, altre che ricorrono alla cassa integrazione, altre che preferiscono delocalizzare. In ogni famiglia è presente un figlio o un nipote in attesa di un qualunque lavoro, un padre o una madre che temono un esubero o un licenziamento. Non si può aspettare oltre! Il necessario percorso di risanamento dei conti pubblici deve coniugarsi subito con la ripresa economica e sociale del nostro Paese. All'interno di questo quadro fosco   vi è un elemento positivo: - gli ultimi dati forniti dall'ISTAT relativi alla Bilancia Commerciale. A novembre, la stessa è in attivo di 2,4 miliardi che salgono fino a 8,9 tenendo conto dei primi 11 mesi dell'anno, ai massimi dal 2002, frutto di un cumulato di 10,1 miliardi con i paesi Ue e di -1,251 miliardi con i paesi extra Ue. Secondo l'Istat, l'import cede il 2,2% in termini congiunturali e segna un crollo dell'8,2% a livello tendenziale. Le esportazioni a novembre sono salite del 3,6% tendenziale e dello 0,4% congiunturale. E' prevedibile che il 2012 raggiunga un saldo positivo della bilancia commerciale pari a ca. 10 miliardi di euro. Se tutte le altri componenti del PIL fossero rimaste inalterate avremmo avuto una crescita dello stesso di ca. lo 0,6%.  Ma non è così!

Commentando questi dati il Ministro Passera ha affermato che se questa tendenza positiva sarà confermata, l'Italia potrà generare entro i prossimi tre anni "150 miliardi di euro di export aggiuntivo, superando la quota di 600 miliardi, tra beni e servizi, entro la fine del 2015".

L'aumento delle vendite di prodotti petroliferi raffinati verso Francia e paesi OPEC contribuisce a sostenere per oltre un punto percentuale la crescita tendenziale delle esportazioni nazionali.

La flessione degli acquisti di autoveicoli dalla Germania e di computer, apparecchi elettronici e ottici dalla Cina contribuisce alla diminuzione tendenziale registrata per le importazioni. Si presentano fortemente dinamici anche i settori di produzione di macchinari, prodotti in pelle e alimentari. Il 51% delle esportazioni lorde dell'Italia è rappresentato da valore aggiunto originato dal settore dei servizi. Il contenuto in servizi è specialmente alto per il prodotto alimentare e l'equipaggiamento per i trasporti.

Dove invece è tutto fermo, anzi in flessione, è  nella dinamica degli investimenti e dei consumi frenati dalla riduzione degli ordinativi, dall'incremento del peso fiscale,  dalle difficoltà occupazionali e dalle prospettive negative sull'andamento economico generale.

La situazione è stagnante e per sbloccarla è necessario riprendere un cammino di speranza, fondato sul lavoro e l'impegno di tutto il corpo sociale.

E' necessario innanzi tutto un patto sociale per il lavoro.

Da una parte le forze sindacali dovrebbero impegnarsi a rinunciare a qualsiasi aumento salariale (anche per adeguamento del costo della vita) per i prossimi tre anni sia nel settore privato sia pubblico; mentre, dall'altra, tutte le risorse disponibili dovrebbero consentire una riduzione immediata del cuneo fiscale, del costo lordo del lavoro, con conseguente incremento della competitività del nostro Paese.

Contemporaneamente dovremmo stimolare l'assunzione dei giovani under 35 valutando la possibilità di azzerare per tre anni il cuneo fiscale nei contratti di apprendistato, a tempo indeterminato.

La copertura finanziaria della prima misura, che dovrebbe riguardare i redditi sino a 28.000 euro, potrebbe essere ottenuta attraverso una maggiore progressività delle aliquote IRPEF sui redditi più elevati. Si potrebbero adottare aliquote del 45% oltre 75.000 euro, del 50% oltre 150.000 euro, del 60% oltre 300.000 euro, del 65% oltre 500.000 euro ed infine del 75% oltre 1.000.000 di euro.

La progressività delle aliquote è l'unico strumento che consente l'eguale trattamento dei diversi cittadini davanti allo Stato e rappresenta un correttivo contro l'eccesso di divaricazione delle retribuzioni e delle ricchezze avvenuto in questi anni.

Per quanto riguarda invece il finanziamento dell'abbattimento per tre anni del cuneo fiscale sui nuovi contratti di apprendistato a tempo indeterminato per gli under 35 è possibile pensare di destinare a questo scopo le risorse aggiuntive che, a partire dall'anno in corso, entreranno nelle casse dello Stato grazie all'incremento dallo 0,10% allo 0,15% del bollo sui depositi titoli e le altre forme di amministrazione finanziaria senza più il limite massimo di 1.200 euro. Si potrebbe anche ripristinare a tal fine anche l'aliquota del 27% sugli interessi dei conti e depositi bancari ridotta recentemente al 20% ed utilizzare i ricavi rivenienti dall'introduzione della tassazione dello 0.05% sulle transazioni finanziarie.

Queste misure sul lavoro devono essere unite ad una revisione del meccanismo degli ammortizzatori sociali potenziando l'ASPI (nel senso della durata e della funzionalità  delle agenzie del lavoro) ed introducendo organicamente un reddito minimo di cittadinanza (unendo in un solo strumento ciò che è attualmente previsto a sostegno della povertà) a decremento dell'utilizzo della cassa integrazione straordinaria, in deroga e della mobilità.

Le stesse categorie datoriali e sindacali potrebbero procedere alla costituzione di un fondo apposito che integri nel tempo quanto già stanziato dallo Stato.

Queste condizioni sono necessarie per rendere accettabile e sostenibile la piena realizzazione anche in Italia di una riforma del lavoro che vada nel senso della flexsecurity come è già realizzata nei paesi scandinavi da applicare su base volontaria e sperimentale, come sostiene da tempo il Sen. Ichino, a partire dai nuovi assunti, lasciando invariate le regole che riguardano i lavoratori in essere.

Solo in tal modo sarà possibile realizzare dinamicamente quel continuo utilizzo della risorsa umana verso gli impieghi più produttivi,  assicurando la necessaria flessibilità e dinamicità del mercato del lavoro.

Il patto del lavoro deve rappresentare la punta di diamante di un processo di rinnovamento della società italiana che deve vedere nel riallargamento  del credito bancario (pur nell'attenta valutazione del rischio), nel potenziamento della ricerca ed innovazione e nella riqualificazione dell'amministrazione e della spesa pubblica le altre condizioni necessarie al sostegno dell'attività produttiva ed alla crescita del nostro Paese.

Dobbiamo operare inoltre affinché la meritocrazia e la mobilità sociale siano la base costituente dei nostri rapporti sociali, liberandoci da tutte quelle consorterie ed interessi di parte che ne impediscono il libero sviluppo.

La prossima legislatura può essere l'occasione per realizzare questo cambio di passo che consenta all'Italia di recuperare la perdita di competitività verificatasi in questo ultimo ventennio e di puntare ad assumere un ruolo primario nel panorama europeo.

 

 

 

venerdì 11 gennaio 2013

Reddito minimo garantito

La situazione della disoccupazione in Europa è drammatica ha detto il presidente dell'Eurogruppo Jean Claude Juncker al Parlamento UE. Ha quindi insistito perché si ritrovi "la dimensione sociale dell'unione economica e monetaria, con misure come il salario minimo in tutti i Paesi della zona euro, altrimenti perderemmo credibilità e approvazione della classe operaia, per dirla con Marx". Sgombriamo il campo innanzi tutto da ogni possibile equivoco sull'accezione del termine "salario minimo "che non vuole dire stabilire un minimo contrattuale europeo bensì la predisposizione in ogni paese membro di forme di sostegno alla povertà, alla marginalità, alla disoccupazione di lungo periodo e all'inoccupazione.  D'altra parte, il concetto non è nuovo perché proprio la Commissione Europea, nel suo documento "Europa 2020", aveva già indicato il tema della lotta alla povertà come una delle sette iniziative Faro del progetto. L'iniziativa Faro era chiamata, infatti "Piattaforma europea contro la povertà". Per la sua realizzazione, a livello UE, la Commissione intendeva adoperarsi per:

– creare una piattaforma di cooperazione per adottare misure concrete volte ad alleviare il problema dell'esclusione sociale   anche un utilizzo mirato dei fondi strutturali, in particolare del FSE;

– elaborare e attuare programmi volti a promuovere l'innovazione sociale per le categorie più vulnerabili, combattere la discriminazione e a definire una nuova agenda per l'integrazione dei migranti.

– valutare l'adeguatezza e la sostenibilità dei regimi pensionistici e di protezione sociale e riflettere su come migliorare l'accesso ai sistemi sanitari.

A livello nazionale, gli Stati membri dovevano, dal canto loro, cercare di sensibilizzarsi sul problema, cercando, inoltre, di utilizzare appieno i propri regimi previdenziali e pensionistici per garantire un sufficiente sostegno al reddito e un accesso adeguato all'assistenza sanitaria.

Siamo, pertanto, di fronte ad una richiesta d'inclusione della marginalità e di sostegno alla disoccupazione ed all'inoccupazione che non si limita all'individuazione di forme di sostegno al reddito; ma, anche, della possibilità d'accesso ai servizi sanitari e a servizi di formazione ed inclusione.

Limitandoci per il momento, tuttavia, esclusivamente al problema dell'introduzione di un reddito minimo garantito o salario di cittadinanza, vediamo che ad esempio, contrariamente alla situazione italiana, il quadro europeo presenta in molti paesi diverse misure di sostegno e queste, alla fine, permettono a quelle società di affrontare in maniera meno traumatica la flessibilità del lavoro e i periodi di crisi occupazionale. Nella situazione italiana potrebbero rappresentare inoltre anche una difesa contro i fenomeni di delinquenza e corruzione diffuse in diverse aree territoriali afflitte da problemi dl ritardo dello sviluppo, come quella meridionale.

In un periodo come quello che stiamo attraversando, in cui la disoccupazione, specie giovanile, sta assumendo livelli insopportabili e dove spesso molte aziende sono costrette a ridurre i propri occupati, misure di sostegno alla disoccupazione di lunga durata e all'inoccupazione diventano essenziali per la pace sociale e la convivenza civile. Quando, come nella situazione italiana, la crisi economica si esprime nella riduzione del reddito delle famiglie, nella disoccupazione di massa ed a questa si accoppia una diffusa indignazione nei confronti della classe politica e dirigente del paese, la situazione può diventare esplosiva. Misure di sostegno sono quindi indispensabili e prioritarie.

 E' per questo che è indispensabile che lo Stato metta in campo delle iniziative volte a garantire a tutti dei diritti universali: un salario di cittadinanza, un tetto, l'istruzione, la salute, la tutela complessiva dell'ambiente, la possibilità del reinserimento nel mondo del lavoro.

Sarebbe utile consentire un accesso alle strutture pubbliche del lavoro per tutte le risorse marginali, disoccupate ed inoccupate in cambio di un reddito di solidarietà attiva, adeguatamente disciplinato. E' interessante a questo proposito l'iniziativa della Regione Lazio in base alla legge regionale 4/2009: istituzione del reddito minimo garantito, con fondi a suo tempo stanziati sino al 2011. Sostegno ai redditi in favore dei disoccupati, inoccupati o precariamente occupati. - Data del Provvedimento 20/3/2009.

Contenuti principali della legge sono che i beneficiari sono i disoccupati, gli inoccupati, i precari e i lavoratori privi di retribuzione che abbiano residenza nella regione Lazio da almeno 24 mesi, siano iscritti nell'elenco anagrafico dei centri per l'impiego (con l'eccezione dei lavoratori privi di retribuzione), abbiano un reddito personale imponibile non superiore a 8mila euro nell'anno precedente la presentazione dell'istanza, non abbiano maturato i requisiti per il trattamento pensionistico.Ai disoccupati e agli inoccupati viene corrisposta una somma di denaro non superiore a settemila euro annui. E' previsto che i percettori del reddito debbano accettare le proposte di lavoro indicate dagli uffici dell'impiego.

Tutto è ovviamente perfezionabile e migliorabile ma riteniamo che nei programmi elettorali delle forze politiche che si presentano per le prossime elezioni politiche questo tema dovrebbe essere maggiormente sottolineato pur se, in effetti, è già presente sia all'interno dell'Agenda Monti sia nelle proposte di SEL e del PD.

A pagina 18 del documento programmatico, ormai comunemente definito " Agenda Monti " si dice:

"La crisi e la recessione hanno creato nuove povertà e aggravato il disagio dei tanti italiani che già erano ai margini della società o si trovano a rischio d'esclusione sociale.Il Governo ha completamente ridisegnato la social card, trasformandola in un vero strumento d'inclusione attiva nella società, con servizi legati all'effettiva ricerca di lavoro o inserimento in attività organizzate a livello locale. E' un'esperienza che dovrebbe essere generalizzata studiando come creare un reddito di sostentamento minimo, condizionato alla partecipazione a misure di formazione e di inserimento professionale.Anche i servizi sociali territoriali, che hanno sofferto nella stretta della finanza pubblica, devono essere riconosciuti nella loro importanza fondamentale, trovando una soluzione di finanziamento strutturale e di lungo periodo.Infine bisogna giocare la partita di un vero e proprio piano per l'autosufficienza."

Non ripetiamo quanto più volte espresso da SEL e dal PD sull'argomento ma sottolineiamo ancora l'importanza che gli ammortizzatori sociali in Italia prevedano da subito un forte sostegno nei confronti degli esclusi dal lavoro. A maggior ragione, proprio adesso che nel nostro sistema  di Welfare si sono ottenuti maggiori margini complessivi grazie ad una riforma pensionistica che, con tutti i problemi da affrontare (in particolar modo il livello pensionistico che raggiungeranno a suo tempo le attuali nuove generazioni), rimane comunque una delle più equilibrate, in rapporto alla previsione della durata media di vita e della percentuale di futuri pensionati sulla popolazione attiva, del quadro europeo.