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sabato 2 febbraio 2013

Banche e sistema delle imprese

 

 

Una delle principali condizioni necessarie per il rilancio della crescita del nostro sistema economico è costituita da un più facile accesso al credito da parte delle imprese, ad un costo sostenibile.

E' invece diffusa la sensazione del progressivo irrigidimento del settore bancario nei confronti della disponibilità alla concessione dei finanziamenti se non addirittura al mantenimento di quelli in essere. Si ha, infatti, l'esperienza di un progressivo orientamento alla riduzione del profilo del rischio realizzabile sia attraverso l'ottenimento di maggiori garanzie sia con lo spostamento dei finanziamenti verso le forme auto-liquidabili.

D'altra parte, la stessa affidabilità delle imprese si è progressivamente deteriorata. Non solo assistiamo ad una generale riduzione del volume dei ricavi; ma, peggiorano anche gli indici di redditività e gli indicatori dell'equilibrio finanziario interno.

Secondo dati forniti dalla Banca d'Italia, il margine operativo lordo (MOL) in rapporto al valore aggiunto è sceso mediamente al 32,2 per cento. La minore   redditività lorda fa sì che dopo avere sostenuto i costi interni e finanziari, solo una minima parte delle imprese riesca,   nel 2012, a conseguire un risultato positivo. Si riduce pertanto, in maniera forte, la capacità d'autofinanziamento del sistema imprenditoriale. In questo quadro negativo, gli unici segnali di miglioramento sono arrivati   dalla ripresa degli ordinativi legati alla domanda estera.

Alla minore disponibilità del sistema bancario a concedere finanziamenti, per motivi legati al proprio equilibrio patrimoniale, si è aggiunta una riduzione della domanda di finanziamenti delle imprese, a causa dell'indebolimento complessivo dell'attività economica. Il risultato è stato una riduzione complessiva del volume dei prestiti bancari erogati.

Dal punto di vista dell'equilibrio delle aziende, il peggioramento della loro capacità finanziaria ha comportato anche un allungamento generale dei tempi di pagamento nel sistema, con conseguente aumento degli oneri finanziari   connessi al costo dei finanziamenti necessari a coprire i ritardati incassi. Anche il ritardo dei pagamenti dell'amministrazione pubblica ha acuito questa tendenza. L'incremento del costo del debito ha infine contribuito alla riduzione complessiva dei margini economici realizzati dalle imprese.

Le vicende, legate all'andamento dello spread dei titoli pubblici italiani rispetto a quelli tedeschi, hanno pesantemente influito sul costo dei finanziamenti alle imprese ed ai privati   e solo negli ultimi mesi stiamo assistendo ad un miglioramento complessivo della situazione. Sin dal 2010 le tensioni presenti sui titoli di stato hanno influito sulle condizioni della raccolta sui mercati delle Banche Italiane, con conseguente peggioramento dei costi dei finanziamenti per le imprese ed i privati. Il peggioramento dello spread si trasferisce nei mesi successivi in aumento dei tassi sui nuovi depositi a scadenza e sulle operazioni di pronti contro termine, oltre che sulle obbligazioni emesse dalle banche per finanziarsi. La trasmissione del peggioramento dello spread dei titoli pubblici sul costo dei finanziamenti bancari segue vari percorsi, quali l'esposizione diretta delle banche nei confronti del settore pubblico, l'utilizzo dei titoli pubblici come collaterale nei mercati della provvista all'ingrosso, il legame fra rating sovrano e rating bancari.

Il miglioramento, registratosi nell'ultimo periodo, del differenziale fra i titoli decennali italiani e quelli tedeschi   ha avuto ripercussioni positive anche sulla situazione patrimoniale del sistema bancario.  Il valore dei titoli pubblici italiani a medio e a lungo termine di proprietà delle banche è, infatti, attualmente superiore del 2,5 per cento rispetto a quello di settembre dello scorso anno, data di riferimento per determinare il buffer di capitale richiesto dall'European Banking Authority (EBA) al fine di fronteggiare le potenziali perdite sul portafoglio sovrano valutato al valore di mercato.

Nel frattempo, la maggior parte delle banche ha rafforzato la propria dotazione patrimoniale, sia con operazioni d'aumento di capitale, sia con una maggiore capacità d'autofinanziamento rispetto all'anno precedente, sia con la ricomposizione del proprio portafoglio verso attività con profilo di rischio più attenuato. A giugno del 2012 il patrimonio di migliore qualità dei 14 gruppi (core tier 1) aveva raggiunto, in media, il 10,2 per cento delle attività ponderate per il rischio (dall'8,8 del dicembre del 2011). I coefficienti relativi al patrimonio di base (tier 1 ratio) e complessivo (total capital ratio) erano pari, rispettivamente, al 10,8 e al 13,8 per cento.

Pur in presenza di un quadro di relativo miglioramento, la situazione rimane ancora tesa e il peggioramento del profilo di rischio delle imprese rappresenta un ulteriore deterrente verso l'aumento complessivo dell'erogazione dei finanziamenti. In questo quadro è stato oltremodo utile l'azione di sostegno realizzata dal Governo con il Fondo di garanzia per le PMI.  Nei primi sette mesi del 2012 le domande di finanziamento accolte dal Fondo sono state pari a 4,7 miliardi di euro con rilascio di garanzie relative per ca. 2,3 miliardi.

Un cambiamento del ruolo della Cassa Depositi e Prestiti   all'interno del sistema economico  italiano,  inteso come quello di un grande polmone finanziario teso al sostegno degli investimenti,  sarebbe  auspicabile.

In questa situazione generale, estremamente delicata, le recenti notizie legate alla vicenda Monte Paschi di Siena hanno ulteriormente concentrato l'attenzione su questo settore determinante per lo sviluppo economico del Paese. In particolare, le domande più inquietanti riguardano due aspetti: a) rapporto fra sistema bancario e sistema politico b) l'effetto sui bilanci societari delle operazioni su derivati.

In questa sede non vogliamo addentrarci nei risvolti di questa vicenda ma prenderne spunto per una riflessione sugli aspetti suesposti.  La prima questione riguarda il ruolo delle Fondazioni all'interno della gestione societaria delle Banche. Nel nostro sistema il loro ruolo è importante e ha sostituito la presenza diretta dello Stato nella proprietà delle principali banche italiane. Le Fondazioni dovevano idealmente rappresentare e garantire un ruolo sociale delle banche anche in regime privatistico. La presenza delle Fondazioni avrebbe assicurato, grazie al legame con il territorio, automaticamente questo risultato. Abbiamo visto come questa interpretazione abbia lasciato a desiderare e che, nei fatti, "la politica", tramite le istituzioni locali, si è impadronita delle Fondazioni e tramite esse ha fornito alle banche un personale manageriale sensibile alle esigenze dei gruppi politici di riferimento. In questa situazione, inoltre, si è in qualche modo lasciato a questi manager ed ai gruppi dirigenziali ampia delega operativa. E' evidente che qualcosa va cambiato. Sarebbe auspicabile che le Fondazioni riducessero ulteriormente la loro partecipazione nella proprietà delle Banche ed utilizzassero le proprie risorse a sostegno di possibili attività nel territorio. Il loro disimpegno darebbe spazio all'ingresso di nuovi capitali e nuovi soggetti italiani ed esteri all'interno del nostro sistema bancario, probabilmente rafforzandolo e sviluppando un maggior controllo interno sull'operatività della dirigenza operativa.La seconda questione, su cui vale la pena di soffermare maggiormente l'attenzione, è quella costituita dalla possibilità   che le banche di credito ordinario effettuino operazioni di carattere speculativo che possano mettere a repentaglio la propria solidità finanziaria e di conseguenza i risparmi dei depositanti e le attività della clientela. Non ci stancheremo mai di sottolineare come sia assolutamente necessario ripristinare quella separazione fra banche d'investimento e commerciali decisa, tanti anni fa, durante la "grande depressione".  Negli Stati Uniti questo è stato già fatto tramite la "Volker's rule". Nel Regno Unito è stata introdotta una separazione delle attività, anche se all'interno della stessa struttura giuridica, e la misura sembra poco efficace.Il resto dell'Europa  è in grave ritardo ed anzi la proposta della commissione Liikanen, che aveva raccomandato  la separazione tra attività di investimento e attività tradizionali, è stata ignorata. La maggiore obiezione alla separazione fra banche commerciali e d'investimento sembra essere quella che una siffatta operazione indebolirebbe il patrimonio responsabile delle banche commerciali riducendone la capacità di credito all'economia.Il rischio tuttavia è troppo forte per mantenere questa situazione e  piuttosto sarebbe  di gran lunga preferibile  che invece si ritornasse indietro sull'eccesso di prudenza  voluta dall'EBA  sul tema della valutazione dei titoli di Stato nell'attivo delle Banche. I titoli vanno indicati al loro valore nominale e non di mercato. La perdita si realizza solo nel momento della possibile vendita prima della scadenza e francamente una scelta di questo tipo sarebbe deprecabile vista la possibilità di metterli a garanzia dei prestiti ottenibili dalla BCE. Assumiamoci quindi il rischio del possibile default degli stati nazionali. E' un rischio che può essere affrontato insieme e su cui l'Europa nel suo complesso sta già dando ampie assicurazioni sia con la nascita del Fondo salva stati che con la disponibilità all'acquisto illimitato di titoli pubblici della BCE sul mercato secondario.  Le banche commerciali devono ritornare ad essere il tramite fra il risparmio ed il sistema produttivo. La loro solidità non può essere compromessa dalla compresenza di un'attività speculativa fine a se stessa e tesa unicamente all'arricchimento della  Banca. I rischi connessi a queste attività si sono moltiplicati con l'utilizzo delle operazioni di derivati che  hanno letteralmente moltiplicato i rischi ma anche le opportunità di guadagno. Il mondo dei derivati  ha invaso il mercato partendo dalla necessità di assicurare i rischi connessi al corso di un titolo, del cambio, del tasso  o sull'andamento di un indice; ma, staccandosi gradualmente dalle operazioni sottostanti, ha creato un mercato esclusivamente speculativo che si auto-sviluppa  perché non costituisce solo un'occasione di guadagno per il cliente ma anche per l'intermediario. Per mitigare questo eccesso strutturale ed il rischio sistemico connesso, sarebbe opportuno recepire le indicazioni suggerite   a suo tempo dal Financial Stability Board  che indicava la necessità di una standardizzazione dei prodotti derivati. Aggiungerei specificamente  la necessità  che queste operazioni  dovrebbero essere obbligatoriamente collegate ad un'operazione sottostante di propria pertinenza che si intende coprire. Il valore nozionale del derivato non dovrebbe inoltre poter superare quello dell'operazione sottostante che garantisce. Un altro aspetto da colpire è costituito dall'eccessiva remuneratività di queste operazioni per gli intermediari bancari. Sarebbe opportuno,  a tal fine, introdurre  una tassazione secca del 30% sugli utili attualizzati che le banche realizzano sui contratti derivati sottoscritti dalla clientela.

 

 

 

 

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