Mi
dispiace leggere come il pur ancora giovane Presidente dell’INPS sottovaluti ed
abbia già dimenticato le motivazioni ed i passi che condussero alla prima
grande riforma del sistema previdenziale italiano:” La riforma Dini”.
Era
il 1995 e l’allora primo ministro aveva
ben chiaro come la spesa pensionistica costituisse una delle principali voci ed
oneri del bilancio dello Stato e che nel tempo il suo equilibrio sarebbe
ulteriormente peggiorato in seguito al prevedibile allungamento dell’età
biologica dei suoi fruitori.
Era
dunque necessario intervenire. Ma come?
L’obiettivo
più evidente e logico era fare in modo
che si raggiungesse un maggiore equilibrio fra i contributi versati dal lavoratore,
nel corso della sua vita lavorativa, e le successive erogazioni pensionistiche
ipotizzabili in base alla sua attesa di vita.
Non
si poteva più mantenere solo l’obiettivo di assicurare al lavoratore una
pensione netta molto vicina al valore del suo ultimo stipendio o reddito.
Diciamo
meglio: per assicurare la compatibilità fra quell’obiettivo e la quadratura dei
conti, bisognava fare in modo di uscire dal sistema retributivo e passare a
quello contributivo.
Ma
come?
Immaginiamo
per un attimo di essere oggi ancora con una legislazione che prevedesse il
calcolo della pensione con il sistema retributivo. Si potrebbe, in coscienza,
spiegare al lavoratore che sta entrando in pensione, ad esempio con decorrenza
1 gennaio 2016, che l’importo della pensione che aveva previsto per tanti anni
è improvvisamente cambiato? Che tutti gli impegni finanziari che ha assunto o
che pensava di assumere sono diventati improvvisamente insostenibili?
No.
Bisognerebbe dunque stabilire una decorrenza a partire dalla quale le cose
cambiano.
Come
si fa a stabilire una cosa del genere? Ci può essere un criterio qualsiasi che possa
essere considerato giusto?
Ho
i miei dubbi su questo; mentre, ritengo più probabile la percorribilità di una
strada di compromesso.
Boeri,
a distanza di vent’anni, propone che il
compromesso possa essere fondato sul livello economico del trattamento pensionistico.
Ricalcolo o meglio dire, nel nostro esempio, applicazione con decorrenza immediata
a partire da un certo importo. Peccato che Boeri dimentichi che non fu questo il
compromesso scelto tanti anni fa con la legge Dini. Si scelse, invece, il
criterio degli anni di anzianità contributiva e si decise che chi, ad una
determinata data, non avesse ancora raggiunto un determinato numero di anni di
versamenti contributivi non avrebbe più avuto il diritto al calcolo della
pensione col sistema retributivo. Si individuò una fascia di mezzo che avrebbe
avuto un sistema misto (parzialmente retributivo fino alla data in vigore e
contributivo successivo) e chi invece da quel momento avrebbe avuto un calcolo
solo col sistema contributivo. Il reale compromesso era funzionale a mantenere
il diritto retrocedendo l’entrata in vigore del cambiamento in modo da
permettere che vi fosse un periodo di tempo sufficiente( fino al momento
dell’entrata in pensione) per porre in essere un piano personale di versamenti
integrativi sufficienti a coprire l’eventuale minor introito finale.
L’introduzione
dei fondi pensione integrativi, su base volontaria e con facilitazioni fiscali
sui versamenti, rispondeva infatti a questa necessità ed, a partire da quel
momento, il versamento di contributi è stato spesso oggetto di rivendicazioni sindacali
per ottenere aumenti salariali dalle aziende, sotto quella forma.
Tutto
questo, ineffabilmente, viene oggi dimenticato, pretendendo e sottolineando abilmente
le motivazioni umanitarie che sono alla base della richiesta di revisione.
Forse
che non sia giusto sottolinearle?
Al contrario, non solo è giusto ma va anche ampliata
la categoria di persone interessate, perché:
-È
importante che l’Italia abbia un sistema di sostegno sociale rivolto non solo agli over 55, ma a tutte le
persone inoccupate o disoccupate che superano i limiti temporali di assistenza
previsti dall’ASPI per l’inserimento nel lavoro.
-È
importante che con decorrenza immediata e per il futuro (ma non per il passato)
vengano eliminati i privilegi dei dirigenti sindacali e dei titolari di vitalizi
in conseguenza di precedente attività
politico istituzionale.
Probabilmente,
allo scopo, non sono sufficienti i ca 4 MM di riordino delle voci di bilancio
INPS, immaginate da Boeri. Se pensiamo invece che, oltre ai pensionati d’oro, collaborino a questo progetto tutti i
percettori di reddito superiore ai 60.000 euro lordi ( invocati da Boeri per i
pensionati), forse, possiamo arrivare agevolmente ad una cifra intorno ai 10 MM annui.
Se
poi aggiungiamo a questi i ca. 4MM che,
con la nuova legge di stabilità, sono invece destinati alla detassazione della
prima casa, l’importo aumenta a quasi 14 MM . Se immaginiamo, come dice Boeri,
un reddito di sussistenza di 500 euro mensili( pari a ca. 6.000 euro annui), con i 14 MM di cui sopra
si potrebbero assistere oltre 2,3 milioni di persone in attesa di reinserimento
nel mondo del lavoro.
Ma,
naturalmente, Boeri, nella sua dimenticanza, aveva probabilmente però chiare tre cose:
1) come ha costantemente sottolineato nel suo documento,
l’eventuale tosatura dei pensionati d’oro riguarda solo poche migliaia di
persone il cui malcontento, ( aggiungo io , in termini elettorali), è più che sostenibile.
2) Non si toccano invece tutti i ceti abbienti che
percepiscono redditi complessivi superiori a 60.000 euro annui e che con un
piccolo sacrificio dell’aumento progressivo dell’aliquota nella misura del 48%
fra 60.000 e 100.000, del 53 % oltre 100.000 e fino a 200.000, del 58% fra
200.000 e 300.000 e del 65% oltre 300.0000 annui porterebbero nelle casse dello
Stato, a sostegno di tutte le persone disoccupate ed in stato di povertà, ca.
10 MM di risorse aggiuntive. Tutto questo, permettendo di erogare nuovi assegni
di disoccupazione, di 500 euro netti mensili, ad oltre 2,3 milioni di persone.
3) Nessuna critica al Governo per aver privilegiato nei
suoi programmi la detassazione della prima casa, con l’evidente vantaggio
elettorale conseguente, invece di utilizzare l’importo di 3,5MM per ridurre il
cuneo fiscale sul lavoro a carico delle imprese o per incrementare il sostegno
alla disoccupazione di lunga durata.
Forse questa chiarezza/ dimenticanza lo accomuna a
tutte le persone, sinceramente progressiste, che percepiscono un reddito (non
da pensione) superiore a 60.000 euro annui.
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