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sabato 27 ottobre 2012

Il ritorno di Berlusconi e la leadership della sinistra

Bossi in questi giorni aveva avvertito che, in considerazione dei suoi sospesi processuali, Berlusconi non si sarebbe mai ritirato dalla scena politica   e puntualmente, subito dopo la condanna a quattro anni per frode nell'ambito del processo sui diritti tv Mediaset, è ritornato sulla scena. E' vero, non smentisce l'intenzione di non candidarsi a premier; ma, nessuno pensi che il suo ciclo politico , iniziato nel 94 con la sua discesa in campo, sia finito. Nella conferenza stampa, tenuta sabato 27 c.m. a Villa Gernetto, Berlusconi attacca a testa bassa il Governo Monti, responsabile di eseguire le indicazioni di un'Europa, governata dalla signora Merkel, portando con la politica dell'austerità l'Italia dentro una spirale recessiva.

Berlusconi fa presente che il sistema istituzionale italiano è talmente disfunzionale e complesso a tal punto  da rendere il paese ingovernabile. Il percorso delle decisioni è troppo lungo e soggetto a mille impedimenti. Bisogna rapidamente procedere ad una riforma costituzionale che consenta al capo del governo di nominare e sfiduciare i propri ministri, procedere con rapidità nella predisposizione delle misure legislative, ridurre l'iter parlamentare con l'abolizione di una camera e la riduzione del numero dei parlamentari e modificando in ultimo la composizione della Corte Costituzionale definita di parte.

Il secondo attacco viene portato al sistema giudiziario la cui riforma sarà uno dei primi punti del suo programma politico e ribadisce la necessità di porre fine alle intercettazioni telefoniche che violano la privacy dei cittadini.

L'ultimo fiore all'occhiello è poi l'attacco frontale alla lotta all'evasione fiscale. Dalla critica ai sopraluoghi a sorpresa della guardia di finanza, a quella del redditometro, alla limitazione del contante, fino a giungere alla conclusione che è necessario  riorganizzare totalmente Equitalia.

In conclusione, basta con la politica dell'austerità, basta con l'aumento dell'imposizione fiscale, no all'IMU e puntiamo invece sul contenimento degli sprechi e della spesa pubblica.No alla subordinazione della nostra politica alle indicazioni dei paesi forti europei. Da qui il passo verso l'uscita dal fiscal compact e dalla moneta unica, cavalcando uno scontento ed un'animosità crescente  contro l'Europa, il passo è breve.

Le regole europee sono considerate, da una sempre più ampia platea di forze d'opposizione e da gruppi di giornalisti ed intellettuali, come una delle cause della perdurante crisi italiana. Regole viste più come l'espressione delle potenze dominanti che come interesse comune di una formazione unitaria. La lega di Maroni ha già preso chiaramente posizione a favore di un'uscita dall'euro o perlomeno per la necessità di risottoporre a referendum popolare la questione insieme alle regole del "fiscal compact". Alla stessa maniera sembra porsi il Movimento cinque stelle di Grillo.La destra di Storace è sicuramente a favore di un'uscita ma anche tante forze a sinistra sarebbero favorevoli ad una politica di quantitative easing che se non applicata dalla BCE venisse svolta almeno dalla Banca d'Italia in un'ipotesi di ritrovata sovranità sulla moneta. La questione non è, infatti, solo quella di uscire dall'euro, appostandoci su di un cambio più competitivo ma anche di rimettere in discussione le normative approvate nel 1981 di divieto alla Banca d'Italia di acquistare i titoli del debito pubblico Italiano. All'epoca, infatti, la piaga dell'esplosione del debito e l'inflazione a due cifre, che metteva in pericolo sia il valore dei risparmi che la capacità d'acquisto delle pensioni e dei salari, aveva portato a prendere quella decisione.

Oggi i seguaci della MMT propugnano l'idea di recuperare la sovranità monetaria e procedere con una politica espansiva monetaria che consenta di far fronte alle necessità di bilancio, al pagamento degli interessi sul debito ed alla stessa sottoscrizione della parte di debito che risultasse inevasa con l'allargamento del debito stesso ottoscritto dalla banca Centrale. Un debito tuttavia ampiamente svalutato al momento dell'uscita del nostro paese dalla moneta unica. La svalutazione per avere un significato dovrebbe essere di almeno il 30% e ciò significa che tutti i possessori dei titoli di stato sia italiani che stranieri si troverebbero ad avere una perdita del 30% sul valore dei propri investimenti. E' plausibile che nelle prossime aste si porrebbe la necessità di sostituire gran parte degli investitori delusi con un intervento della Banca d'Italia. Ciò potrebbe significare un'aumento importante della circolazione monetaria che unito alla svalutazione porterebbero rapidamente ad un aumento dei prezzi significativo tendente alle due cifre. C'è chi pensa che comunque queste misure porterebbero ad una crescita dell'economia reale importante al netto dell'inflazione grazie alla maggiore concorrenzialità dei nostri prodotti, nonostante il maggior costo dell'energia e delle materie prime. La bilancia commerciale tornata in positivo consentirebbe la ripresa dell'economia e conseguentemente dell'occupazione oltre alla realizzabilità di un piano di riduzione del debito pubblico. Tutto questo non è automatico. La perdita di competitività del nostro paese non è imputabile esclusivamente ad una moneta forte (che non ci ha aiutato) ma dalla mancata realizzazione di riforme strutturali che spostassero le risorse dalla rendita alla produttività, che ci sollevassero da una situazione di costi energetici ben più alti dei nostri competitors,dal mettere al primo posto gli investimenti in ricerca ed innovazione, che liberassero vaste aree del nostro territorio dal controllo delle mafie e del sottosviluppo. Tutti questi problemi rimangono sul tavolo e non saranno certo delle misure di quantitative easing a risolverle automaticamente. Rimane ancora la profonda ineguaglianza presente nella nostra società in cui il 10% delle famiglie più ricche detiene quasi il 50% della ricchezza, dove la disoccupazione giovanile ha superato il 30%, dove il costo della corruzione è valutato in 60 miliardi d'euro e quello dell'evasione fiscale in oltre 120 miliardi annui. Uscire dall'euro non risolve certo questi problemi anzi può facilitare tutti quei comportamenti che tendono a rimandarne nel tempo la soluzione. Possiamo far ripartire la crescita basandoci esclusivamente su di una competitività realizzata attraverso un costo dei salari dimezzati dalla svalutazione e su di un costo delle nostre merci più basso? Non dovremmo invece puntare soprattutto sulla qualità, sulla ricerca e sull'innovazione proteggendo contemporaneamente il potere d'acquisto dei nostri risparmi, dei salari e delle pensioni? Sull'omogeneità dello sviluppo, recuperando il divario dei settori e dei territori arretrati?

Mi sembra che questo possa essere il compito ed il progetto delle forze di una sinistra che si candida al governo.Una sinistra che vuole stare a pieno titolo all'interno del processo di formazione di un'Europa federale sollecitandone un miglioramento delle funzioni e della partecipazione democratica dei cittadini. Oggi si fa strada nella popolazione, grazie alla propaganda delle forze di destra e populiste, una visione che salda la protesta contro la corruzione della classe politica con quella della sfiducia verso le istituzioni e l'Europa considerate come le prime responsabili della crisi in cui viviamo.

Ridare fiducia e speranza alla gente su questi punti è forse un'impresa titanica. Pur all'interno di differenze profonde bisogna che i principali candidati alle primarie della coalizione di sinistra si rendano conto della posta in gioco. E' da mantenere pertanto la massima unità e rispetto pur nel confronto leale delle posizioni. Il dibattito che si pone all'interno della sinistra è altrettanto importante per il futuro del nostro Paese. Innanzitutto bisognerebbe sgombrare il campo da qualsiasi dubbio residuo sul progetto europeo pur ritenendolo migliorabile. In secondo luogo è bene che si evidenzi ampiamente il confronto fra le posizioni di una sinistra liberale che punta molto sulle opportunità e quelle di una sinistra più tradizionale che cerca il mantenimento dei diritti acquisiti. Più si darà agli elettori la possibilità di esprimersi su questo dibattito meglio sarà per tutti. L'ultima questione che vorrei sollevare è quella del salario di cittadinanza. Questa misura è invocata da più parti con modalità diverse. Lo chiede Grillo ma anche Vendola ed era presente nel programma del PD  ma oggi ci sembra che sia stato messo da parte.Mi sembra che la questione non sia da poco in questo momento. Qualsiasi proposta di liberalizzazione e di flessibilità del lavoro e la situazione di crisi occupazionale presente che si preannuncia di lungo periodo non possono essere affrontate senza l'adozione di strumenti eccezionali  e credo che il salario di cittadinanza sia tra questi. Mi sembra importante una riflessione in proposito all'interno della  coalizione di sinistra perché questo diventi un punto comune centrale per tutti i candidati.

 

 

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