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venerdì 13 dicembre 2013

L'IMPRESA :PRODUTTRICE DI VALORE

 

Quando, moltissimi anni fa, una massa enorme di servi della gleba e contadini poveri si riversò nelle strade delle città, costituendo quell'esercito industriale di riserva che fu una delle basi necessarie per il successivo sviluppo della realtà commerciale ed industriale della nuova società, tutti gli studiosi non potevano non notare come l'unica ricchezza posseduta fosse la propria capacità di lavoro.

Queste persone, staccate dall'originario tessuto produttivo, staccate anche dalla comunità in cui erano cresciute, erano prive d'identità e di un rapporto organico con la società. Erano una vera e propria merce. Le stesse condizioni di lavoro ricalcavano, nella città, l'assoluta padronanza della vita delle persone che vi era stata nelle campagne. Nei nuovi tempi, rispetto al passato, queste persone erano libere: si, ma solo di  prestare la propria opera senza nessuna condizione, garanzia, diritto.

Chi poteva utilizzare questa merce? Chi ne aveva interesse?

Una nuova classe di persone che   disponeva di capitali e poteva avviare commerci, produzioni, servizi. Una classe di persone dinamiche ed intraprendenti che non sopportava più il blocco sociale della nobiltà che aveva la proprietà delle terre e di tutto quello che nasceva o cresceva sulle stesse, comprese le persone.

 No, nelle città questa gente voleva essere libera di produrre commerciare e decidere sulla propria vita e disponeva dei capitali per attrarre la forza lavoro, farla uscire dal dominio della nobiltà, all'interno della terra, e utilizzarla come libera merce lavoro. Come non vedere nella prestazione lavorativa, massificata e senza diritti, la completa alienazione dell'uomo?  Come non capire, altresì, che solo il suo lavoro costituiva, all'interno del processo di produzione del valore, quel di più, il plusvalore, che permetteva la realizzazione del profitto? Come non legare alla distribuzione ineguale del profitto il concetto di sfruttamento ? come non far discendere da tutto questo la necessaria lotta di classe per liberare l'uomo lavoratore da questa condizione e permettergli di ridiventare persona?

La storia dei secoli scorsi è la storia di questa emancipazione ;ma, anche, di una profonda trasformazione dei ruoli sociali, dei processi produttivi, del ruolo dello Stato.

La proprietà dei capitali non è più immediatamente la stessa dei mezzi di produzione e meno che mai, nelle moderne Public Company o nelle grandi aziende, coincide con il personale adibito alla gestione e organizzazione dell'impresa. Il settore creditizio è il grande mediatore fra risparmio ed investimento.Migliaia di professionalità valutano e seguono i progetti delle imprese ed il loro andamento sul mercato.

I processi produttivi si sono complicati e così anche il lavoro è diventato sempre più portatore di professionalità, trasformandosi da pura merce in risorsa umana. La tecnologia non è più esterna all'azienda. Spesso al suo interno ampi settori di ricerca e sviluppo si occupano dell'innovazione tecnologica. Quasi tutte le attività sono ormai organizzate e non frutto del genio del singolo.

Tutto questo per affermare che oggi la combinazione dei diversi fattori di produzione si realizza unicamente in un luogo di sintesi che è l'impresa. E' questo il nuovo soggetto sociale. In esso si combinano armonicamente i fattori produttivi: capitale, lavoro, conoscenza,grazie all'azione di persone che, nei diversi ruoli, contribuiscono al successo dei progetti e delle attività Troviamo gli imprenditori accanto ai managers dei diversi settori aziendali, accanto al personale inquadrato ognuno in base al proprio percorso professionale, accanto anche all'organizzazione sindacale e questa enorme macchina deve riuscire a fare in modo che i fattori produttivi a lei affidati siano combinati nel modo migliore e più produttivo.E' credo esperienza comune capire che, in questa   realtà, è interesse della stesa impresa che anche l'ultimo lavoratore si senta parte di un percorso comune e ritenga possibile ed utile la sua crescita professionale. In cosa consiste quindi il processo di produzione di valore? E' forse appannaggio di una sola categoria di persone o è invece il risultato dell'opera sinergica dell'impresa?  E se condividiamo tutto questo ha ancora senso parlare di sfruttamento, d'alienazione e di lotta di classe?

Ne possiamo parlare ancora se il processo dell'impresa è improntato all'ineguaglianza, al malaffare, alla corruzione. Il profitto a questo punto, pur presente, non può rappresentare l'unico strumento valido per valutare la capacità e l'efficienza di un'impresa. E' necessario valutare i suoi comportamenti sociali, la sua organizzazione interna, la politica di valorizzazione del personale, la politica retributiva ecc. Ricordiamoci sempre che le imprese del malaffare hanno utili e profitti spaventosi realizzati grazie all'uso sistematico della violenza sulle persone e sulle cose.

In che senso dunque può intervenire lo Stato?

Come garante dell'armonia dell'utilizzo delle risorse nel rispetto dei diritti e delle regole stabilite dalla comunità con le sue leggi.Lo Stato pertanto si fa garante non solo del rispetto dei diritti dei lavoratori e della corretta utilizzazione dei fattori produttivi ma anche dell'impatto che l'impresa ha sulla società di cui fa parte. Impatto ambientale e sociale complessivo.

Tutte le attività devono essere libere purché, come recita l'art. 41 della Costituzione, siano svolte all'interno dell'interesse pubblico.

Lo Stato può limitarsi a fare da regolatore del mercato per evitare fenomeni di monopolio, oligopolio e mantenerne quindi le condizioni il più possibile vicine alla concorrenza perfetta? No, questa condizione è necessaria ma non sufficiente. Lo Stato ha anche il compito d'individuare, dopo aver raccolto la richiesta politica dei cittadini, tutte quelle attività svolte in oltraggio alla persona umana ed alla sua dignità e proibirle sia in termini di metodologia del lavoro che come tipologia di produzione o servizio. Lo Stato, inoltre, se deve poi lasciare piena libertà al mercato, rinunciando ad una programmazione impositiva delle attività, può agire con lo strumento degli incentivi e disincentivi. In alcuni casi operando o programmando direttamente su tutti quei settori che sono individuati come " Beni o servizi comuni". Non ritengo che lo Stato debba in questi casi avocare a se tutte le attività, queste possono essere svolte anche da privati. L'importante è che la programmazione e gli obiettivi del settore siano stabiliti dallo Stato e siano vincolanti per tutti gli attori. Parliamo pertanto di un'economia libera, ma sottoposta all'interesse della società cui appartiene. Un economia sociale che utilizza lo strumento del mercato e se del caso anche quello dell'azione pubblica.

Lo Stato ha quindi la funzione di trasmettere gli obiettivi complessivi che l'insieme dei cittadini, grazie all'espressione politica, comunicano ai propri governanti. Obiettivi di sviluppo armonico della società e delle condizioni di vita delle persone, nel rispetto della dignità e libertà del singolo.

Può quindi una comunità non affrontare l'altro tema centrale riconosciuto nella carta costuttuzionale? Può cioè accettare l'inosservanza del diritto al lavoro? Può permettere che questo diritto sia compromesso dalle fasi congiunturali o dall'evoluzione negativa dell'economia? Avremo diritto al lavoro solo in condizioni d'abbondanza? E in quelle di povertà? Il lavoro sarà un lusso di pochi ,come si cantava nelle canzoni popolari operaie del primo Novecento ? O tutto quello che c'è va intanto distribuito il più possibile? Nessuno può ritenere che il lavoro sia una condizione non sempre possibile. E' vero il contrario il lavoro è l'unica condizione che DEVE essere sempre possibile, al di fuori delle evoluzioni economiche di una società. In questo caso, grazie alla redistribuzione fiscale e al credito debbono essere assicurate condizioni minime di lavoro per tutti. Più che un reddito di cittadinanza, un reddito minimo di lavoro. Lo Stato deve agire come datore di lavoro d'ultima istanza nei confronti della disoccupazione di lunga durata per cui non si sono realizzate le condizioni per l'inserimento, con ammortizzatori sociali legati ad una prestazione lavorativa di base che dia almeno la possibilità di vivere e con alloggi popolari che consentano di avere un tetto per tutti. Su questi punti e sulle politiche sociali vi  è stata una relativa superiorità dei regimi socialisti.In un periodo di profonda crisi come questo l'attività minima può essere proprio quella edilizia: la costruzione di case popolari, di nuove carceri e di centri d'accoglienza per gli immigrati   realizzate da disoccupati, carcerati ed immigrati. Ognuno di questi con un diritto di prelazione sull'assegnazione di quello che ha contribuito a costruire.

Oggi la rendita immobiliare e finanziaria  ottengono una fetta troppo grande del PIL ed in qualche modo rendono più difficoltosa la vita di chi lavora. Una riduzione degli affitti  del 30/ 40%   consentirebbe a molti giovani lavoratori precari di tentare una vita autonoma e di provare a farsi una famiglia. Una seria concorrenza da parte di un'agenzia dello Stato a cui i  proprietari di appartamenti  potessero conferire i propri immobili per l'affitto, accettando  un reddito più basso in cambio della sicurezza del fitto e della piena disponibilità del bene, in caso di bisogno, sarebbe possibile e produrrebbe un effetto " calmiere"sul mercato. La stesa agenzia potrebbe utilizzare la manodopera di cui parlavo prima per avviare un importante piano di case popolari sul territorio o per ristrutturare allo  scopo parte del  patrimonio immobiliare pubblico.

Anche il settore finanziario deve essere maggiormente tassato su tutte le operazioni speculative, Si deve estendere anche in Europa e in Italia  il tentativo di riforma  che il progetto Volker sta realizando negli USA con la separazione dell'attività  d'investimento da quelle  commerciali e di erogazione del credito. Si deve dare respiro a tutti i titolari di operazioni di debito a mlt ristrutturando il capitale residuo  su tempi  significativamente più lunghi, predisponendo  un provvedimento  in tal senso  e riducendo il più possibile il tetto  massimo degli "spreads" applicabili  sui tassi di riferimento.

Per concludere   desidero sottolineare  come  l'economia e l'organizzazione sociale moderna  vedano nella sinergia fra impresa e Comunità –Stato  il circolo virtuoso per lo sviluppo.Altrettanto importante è la nostra collocazione internazionale.Siamo di fronte ad una società globalizzata e non possiamo  rinunciare all'unica possibilità che abbiamo oggi d'incidere in qualche modo, grazie all'appartenenza alla Comunità Europea. E' importante che si stabiliscano delle regole di reciprocità all'interno delle Nazioni, che si prendano opportuni accordi sulle regole dei commerci, sul rispetto dell'ambiente, sui diritti della persona e del lavoro per evitare  danni comuni e la concorrenza sleale.  Solo in una dimensione europea oggi possiamo sperare di avere una presenza   efficace nel mondo.

 

 

 

 

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