Pagine

venerdì 6 dicembre 2013

Problemi e vantaggi della rivalutazione delle quote della Banca d'Italia


 
Il decreto legge, a firma del Ministro Saccomanni, di fine novembre avente per oggetto la rivalutazione delle quote di Banca d'Italia, nonostante abbia ricevuto il consenso da parte del Senato, sembra suscitare osservazioni e perplessità non solo da parte di vari commentatori nazionali ma anche in sede internazionale.
 Il 5 dicembre Mario Draghi, interpellato sull'argomento, ha risposto che "l'opinione della BCE non è ancora stata adottata". Il parere consultivo della BCE, necessario comunque per poter procedere, sembra si sia fermato di fronte alle osservazioni in merito preannunciate da una Banca Centrale Nazionale dell'Eurozona. Il dibattito appare particolarmente critico in Germania, dove si fa presente che l'operazione rappresenterebbe un artificio contabile, che consentirebbe alle Banche italiane di beneficiare di migliori indici patrimoniali in vista dell'esame che nei prossimi mesi la BCE farà sul sistema bancario europeo, prima di iniziare la sua nuova opera di vigilanza diretta.
Vediamo in cosa consiste l'operazione e quali sono i problemi presenti.
Il decreto legge prende spunto dalle indicazioni contenute nel documento "Un aggiornamento del valore delle quote di capitale della Banca d'Italia", redatto con l'ausilio del Comitato d'esperti formato dai professori Franco Gallo, Lucas Papademos e Andrea Sironi. Lo stesso, oltre a determinare il possibile valore di rivalutazione delle quote di capitale in ca. 7 miliardi, utilizzando a tal fine una parte delle riserve statutarie, si preoccupa di sottolineare come sia necessario preservare il modello della Banca, caratterizzato dalla proprietà privata del capitale, che consente alla stessa di mantenere la piena indipendenza da possibili pressioni politiche ed istituzionali. La sua struttura di "governance", inoltre, garantisce che, a loro volta, i detentori delle quote non abbiano la possibilità d'influire sulla politica pubblica della Banca.
Il documento tuttavia sottolinea la necessità che l'assetto azionario vada rivisto per tre motivi:
a)      perché i processi di concentrazione avvenuti negli ultimi anni hanno accresciuto la percentuale delle azioni detenute dai gruppi bancari più grandi
b)      per evitare l'applicazione della legge n.262 del 2005, mai attuata, che pone il trasferimento allo Stato della proprietà del capitale della Banca. "L'equilibrio che per anni ha assicurato l'indipendenza dell'Istituto, preservandone la capacità di resistere alle pressioni politiche, non va alterato"
c)      per modificare le norme che disciplinano la struttura proprietaria, al fine di chiarire che i partecipanti non hanno diritti economici sulla parte delle riserve della Banca riveniente dal signoraggio, poiché quest'ultimo deriva esclusivamente dall'esercizio di una funzione pubblica (l'emissione di banconote) attribuita per legge alla banca centrale.
Ogni ambiguità su tale questione va rimossa, definendo con chiarezza i diritti economici.
 
Questi punti sono stati ripresi e in parte fatti propri dal provvedimento a firma Saccomanni e riassunto nel comunicato del Consiglio dei ministri che dice:
"Al fine di assicurare alla Banca d'Italia un modello di governance che ne rafforzi l'autonomia e l'indipendenza, nel rispetto dei Trattati Europei, il decreto legge stabilisce nuove norme riguardanti il capitale e gli organi dell'istituto.
La Banca d'Italia viene quindi autorizzata ad aumentare il proprio capitale mediante utilizzo delle riserve statutarie sino ad euro 7,5 miliardi. La Banca potrà distribuire dividendi annuali per un importo non superiore al 6% del capitale.
Ciascun partecipante al capitale non potrà possedere - direttamente o indirettamente - una quota di capitale superiore al 5%. Per favorire il rispetto di tale limite, la Banca d'Italia potrà acquistare temporaneamente le quote di partecipazione in possesso d'altri soggetti.
Il decreto amplia il novero dei soggetti italiani ed europei che possono detenere quote del capitale della Banca d'Italia. I soggetti autorizzati saranno quindi: banche, fondazioni, assicurazioni, enti ed istituti di previdenza, inclusi fondi pensione.
Per effetto di questa modifica normativa, le banche potranno essere autorizzate ad includere le quote nel patrimonio di vigilanza, rafforzandone la base di capitale."
L'urgenza del provvedimento, che il Governo intende rendere operativo entro l'anno, ha un effetto duplice: da un lato contribuisce all'obiettivo di una maggiore patrimonializzazione del sistema bancario italiano e dall'altro produce una possibilità d'incasso fiscale immediato allo Stato d'importo rilevante (ca. 1 miliardo), tassando le plusvalenze realizzate dalla banche. Queste, dal canto loro, non avrebbero il vantaggio costituito solo dalla rivalutazione delle quote possedute; ma, otterrebbero nel tempo una maggiore remunerazione del capitale grazie a dividendi che potrebbero arrivare a ca. il 6% del patrimonio della banca e cioè ca. 420 milioni di euro. C'è poi la questione del limite del 5% al possesso di quote di proprietà del capitale della Banca.
Nell'allegato al documento succitato sono elencate le partecipazioni presenti alla data del 15 luglio da cui si evince che attualmente i seguenti istituti superano la quota del 5%: Banca Intesa che detiene il 30,30%, Unicredit il 22,10 %, Assicurazioni generali 6,30, Cassa Risparmio di Bologna (Gruppo Intesa) 6,20%. Per mantenere pertanto il tetto del 5% i suddetti istituti dovranno cedere le quote in eccedenza e qui viene in loro soccorso il decreto legge che prevede la possibilità per la Banca d'Italia di riacquistare provvisoriamente queste quote, provvedendo poi a piazzarle sul mercato.
E' anche per questo motivo che Saccomanni ha sottolineato più volte il nuovo carattere da " Public Company" assunto dalla Banca d'Italia, con quote cedibili e appetibili dal mercato grazie anche al loro rendimento. Da questa cessione il Gruppo Banca Intesa dovrebbe ricevere in prima battuta da Banca d'Italia qualcosa come ca. 2,2 miliardi; mentre, Unicredit ca. 1,2miliardi. Come avverrà il pagamento? S'iscriverà come rapporto di debito/credito in attesa del perfezionarsi della ricollocazione delle quote possedute a quel punto da banca d'Italia sul mercato?In ogni caso, fino a quel momento, non può non considerarsi un effetto negativo immediato sull'ammontare del debito pubblico. Rimane discutibile inoltre il fatto che a beneficiare particolarmente di un aumento di risorse saranno due dei maggiori gruppi bancari italiani a fronte di acquisti da parte dei loro concorrenti. Chi saranno poi gli acquirenti? Sarà possibile mantenere un carattere nazionale o almeno europeo dell'Istituto?
Si pongono inoltre immediatamente alcune altre osservazioni:
1)      A che serve mettere a rischio la nazionalità dell'Istituzione? Siamo certi che il carattere privato della proprietà escluda possibili rischi d'influenza sull'azione per esempio di vigilanza, anche se questo processo sta per essere accentrato dalla BCE ?
2)      Perché dare un tale livello di dividendi (sino a 420 milioni di euro) ai privati? Utili che sono connessi allo svolgimento di un'attività pubblica?
3) perché non si definiscono con chiarezza i valori della Banca e quelli in custodia?
 
Forse si sarebbe dovuto affrontare il problema con maggiore tranquillità e senza la fretta di dover provvedere alla copertura immediata di provvedimenti promessi ( IMU?) o del livello del deficit pubblico.
 
 
 
 
 
 
 
 
 

2 commenti:

  1. ma i dividendi potranno arrivare a 42 o a 420 milioni di euro ?!? Mi sembra ci sia una "certa" differenza :-)

    RispondiElimina
  2. Ti ringrazio per l'osservazione . Ho corretto il testo . Si tratta di 420milioni di euro

    RispondiElimina