Pagine

mercoledì 7 marzo 2012

Una sfida per la crescita

Il mondo occidentale è stato scosso da una profonda crisi finanziaria che, partita dal settore privato, si è poi estesa rapidamente ai debiti degli stati sovrani.

La crisi finanziaria non si è limitata ad assorbire risorse, che potevano essere destinate al mondo produttivo, ma ha innescato una vera e propria recessione in molti dei paesi occidentali, compresa l'Italia.

Proviamo a ripercorrere per un attimo i vari passaggi per cercare di comprenderne meglio i meccanismi.

La crisi è scoppiata negli Stati Uniti d'America, con diffuse insolvenze nel settore dei mutui e delle carte di credito, ed ha messo rapidamente in mostra tutti i difetti che un'eccessiva deregulation aveva procurato al settore finanziario.

Ingenti  quantità di denaro, rappresentate da titoli emessi a copertura della gran massa delle erogazioni di mutui e delle successive cartolarizzazioni degli stessi, che avevano moltiplicato geometricamente le disponibilità monetarie utilizzabili per la concessione di nuovi crediti, perdevano rapidamente valore, procurando delle vere e proprie voragini negli attivi dei bilanci delle istituzioni bancarie e finanziarie che detenevano quei titoli in portafoglio.

Il primo rischio immediato fu che tali perdite potessero portare al fallimento a catena di un numero imprecisato di banche rovinando milioni di risparmiatori e portando in uno stato di depressione l'intero sistema economico.La mancata separazione delle Banche d'investimento da quelle di gestione del risparmio privato e del credito alle imprese si è rivelata fatale ed ancora oggi non è stata ancora opportunamente risolta. Esistono  ulteriori rischi gravanti sul sistema finanziario: primo fra tutti quello relativo al mondo dei "derivati" i cui rischi complessivi superano per entità il PIL mondiale.Centinaia di banche hanno speculato sull'offerta di questo tipo di operazioni  esasperandone i contenuti assicurativi in modo da ottenere un guadagno sproporzionato al servizio reso e consistente spesso nel fare assumere all'ignaro cliente, sia esso impresa o privato, un rischio elevatissimo e spesso probabile. La quotazione di queste operazioni ha permesso il conseguimento di utili spaventosi che per una strana alchimia contabile potevano essere conteggiati tutti nell'esercizio in cui veniva  sottoscritta l'operazione anche se questa aveva un contenuto pluriennale.

Chi ha pagato tutto questo? In che cosa è consistito questo processo?

In un trasferimento di ricchezza dal settore produttivo alla rendita finanziaria con l'arricchimento dei bilanci di banche che hanno utilizzato le risorse per pagare profumatamente i propri managers, per raggiungere dimensioni più ampie e dilatare la propria propensione al rischio rispetto alla  capitalizzazione. La gestione della finanza permetteva pertanto guadagni insperati parassitari a carico del sistema produttivo e del risparmio.

Quando la società occidentale, spremuta dalla finanza, spinta ad indebitarsi con facilità, spogliata dalle proprie attività produttive (delocalizzate nei paesi in via di sviluppo) e offesa da una concentrazione della ricchezza nelle mani di un sempre minor numero di persone (che investono le proprie ricchezze in una dimensione complessiva, non più legata al proprio Paese) non riesce più ad onorare il rimborso dei propri debiti privati, per evitare il disastro, gli Stati Sovrani sono costretti ad intervenire, accollandosi buona parte di quelle perdite e spalmandole sull'intera popolazione, sotto forma d'allargamento del debito pubblico.

Questo processo ha portato ad una maggiore richiesta complessiva di denaro sul mercato globale ed ad un inasprimento della concorrenza fra i singoli stati sovrani per accaparrarsi una maggiore quota di risorse senza deprezzare il potere d'acquisto dei propri cittadini attraverso un processo di svalutazione della moneta e d'inflazione correlata.

Ma facciamo un passo indietro e chiediamoci se tutto questo non sia avvenuto all'interno di un sistema che stava perdendo ormai complessivamente competitività rispetto ai paesi emergenti.

La cosiddetta globalizzazione era già una realtà affermata e l'apertura del WTO alla Cina ne è stato il riconoscimento ufficiale.

Paesi fino a quel momento considerati sottosviluppati e marginali, grazie al diffondersi rapido del fattore conoscenza, con l'utilizzo dell'informatica e di internet potevano recuperare posizioni a passa da gigante.Imprese moderne basate sulle immobilizzazioni immateriali e cioè sostanzialmente sul capitale umano hanno avuto la possibilità di ridurre molto più velocemente il Gap con quelle dei paesi occidentali. La facilità degli spostamenti delle merci., delle informazioni e la globalizzazione del mercato dei capitali ha fatto il resto permettendo che lì dove si riuscissero a combinare le conoscenze (attraverso un miglioramento radicale del sistema scolastico) i capitali (statali o per mezzo di joint venture fiscalmente convenienti) e lavoro a basso costo venissero delocalizzati i grossi impianti produttivi. Prima utilizzando macchinari dimessi e produzioni più semplici ad alto utilizzo di lavoro poi passando a prodotti sempre più sofisticati. Dalla delocalizzazione dei servizi (trasferimento di call centers, di agenzie di controllo informatico, di gestione contabilità e fatturazione fino all'esecuzione centralizzata di bonifici bancari.) si è passati alla produzione di merci sempre più complesse e tecnologicamente avanzate contando questa volta non solo sul mercato occidentale ma soprattutto sul mercato enorme dei BRICS.

Mercato quest'ultimo di grande interesse per le potenzialità di crescita e per il numero elevato di persone da cui è costituito.

Sia l'Occidente sia i BRICS devono fare i conti con la necessità di disporre di adeguate risorse  energetiche e per questo motivo assistiamo, sullo scacchiere internazionale, al formarsi di strane alleanze o di veti contro l'emarginazione  di alcuni Paesi produttori, pur di assicurarsele.

Rimane una domanda essenziale: se i Paesi emergenti riescono a produrre merci e servizi di punta nel mercato con la stessa qualità offerta  dai paesi occidentali ma ad un prezzo inferiore e con un rendimento più alto del capitale investito, perché mai non dovrebbero gradatamente soppiantare la nostra capacità produttiva?

Un esempio può venire dal settore elettrodomestici dove ormai questi paesi hanno acquisito una fetta del mercato internazionale consistente e mantengono una capacità di crescita su quello  interno enorme mentre il nostro è sostanzialmente fermo.

Oggi, in Europa, stiamo mettendo al primo punto di tutti gli interventi governativi il problema del contenimento del debito pubblico perché è ormai evidente che nessuno è più interessato ad investire nell'ulteriore dilatazione del debito di paesi in cui il rapporto fra debito e Pil ha raggiunto dei livelli che rischiano di essere insostenibili.

Molti chiedono quindi che si abbia la capacità di fare un passo in avanti verso un'Unione Politica che metta in comune la situazione debitoria complessiva e si ponga degli obiettivi unitari di crescita.

Le resistenze sono tuttavia molto forti. La complessità delle differenze delle economie dei Paesi membri ed il numero elevato degli stessi, oltre che le differenti e marcate nazionalità, pongono dei problemi di non facile soluzione. Se comunque, il processo andasse in porto potremmo anche provare a chiedere insieme ulteriore credito per la crescita ma dovremmo essere in grado d'immaginarla e di recuperare competitività attraverso la compensazione del maggior costo del lavoro con nuova tecnologia prodotta  dalla  ricerca e dallo sviluppo della conoscenza.

In ogni caso per il nostro Paese, all'interno di qualunque scenario internazionale possibile, è necessario puntare sul recupero di margini di competitività in tutti quei settori di cui il mercato globale chiede lo sviluppo e su cui é disposto a tollerare un premio di remunerazione.

Solo in questo modo potremo pensare di difendere il nostro livello di vita aspettando con pazienza che contemporaneamente quello delle popolazioni emergenti si avvicini al nostro.

Troppe risorse sono sprecate nella rendita di posizione e concentrate in un ristretto numero di famiglie. Tutto questo rischia di essere controproducente  alla realizzazione della crescita complessiva delle società e pertanto misure fiscali orientate verso una  maggiore redistribuzione delle ricchezze e lo scoraggiamento delle eccessive differenze reddituali sono indispensabili. Così come il problema di una rinnovata etica sociale unita ad una lotta senza quartiere alla corruzione  ed alla malavita organizzata costituiscono una precondizione necessaria per l'affermazione della meritocrazia e della produttività.Non possiamo non mettere al primo posto il lavoro, la diffusione della conoscenza e l'autosufficienza energetica, cercando ogni tecnologia possibile per realizzare questo obiettivo e ben vengano tutte quelle riforme che possono facilitare  la piena e migliore allocazione delle risorse.

 

Nessun commento:

Posta un commento