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giovedì 4 dicembre 2014

I LIMITI DEL PIANO JUNCKER



Juncker ha finalmente fornito maggiori informazioni sul piano di 300MM d'investimenti che dovrebbero rimettere in moto l'economia europea, afflitta da segnali di stagnazione.In realtà, i fondi messi a disposizione del piano sono rivenienti per ca. 14 miliardi da fondi strutturali già impegnati nel bilancio comunitario per il finanziamento dei progetti Horizon ecc. e che sarebbero pertanto dirottati allo scopo. Due miliardi rivengono dalla "riserva" di bilancio e questo sarebbe un aspetto da verificare.Altri cinque miliardi verrebbero messi dalla BEI, il tutto per la costituzione di un Fondo per investimenti FEIS, che dovrebbe, poi, emettere obbligazioni per attrarre ulteriori capitali privati. Il Fondo, opportunamente rinforzato da questi ipotetici capitali, dovrebbe poi intervenire come prestatore di garanzia o con vere e propri finanziamenti diretti nell'erogazione di credito alle imprese, per la realizzazione d'investimenti nelle infrastrutture, banda larga ecc, richiamando ulteriori capitali privati.
L'effetto leva complessivo dei 21 MM iniziali viene calcolato in ca. 15 volte arrivando pertanto a suscitare investimenti per complessivi 315 MM.
La prima questione che lascia perplessi è ipotizzare una leva pari a 15 volte il capitale iniziale posto per la costituzione del Fondo.Non si può pensare che Juncker possa ottenere dal mercato dei capitali i 315 miliardi per finanziare i possibili investimenti. E' più probabile che si pensi ad un effetto leva prodotto dalla concessione di garanzie, da parte del Fondo al sistema bancario, per la concessione di finanziamenti alle imprese. Anche in questo caso bisognerebbe ipotizzare una sottoscrizione delle obbligazioni da parte del mercato per oltre 10 MM, in modo da avere, a disposizione del Fondo, dai 30 a 40 MM da utilizzare per la concessione di garanzie per i finanziamenti alle imprese in maniera similare a come viene fatto in Italia con il Fondo di garanzia per la PMI, con un effetto leva di ca. dieci volte.
L'operazione prospettata da Juncker si somma, nel panorama europeo, a quella già predisposta dalla BCE: "TLTRO " prestiti a mlt   al sistema bancario, con vincolo di destinazione al finanziamento delle attività produttive.  Questa seconda iniziativa, già preannunciata subito dopo l'estate da Draghi, sembra muoversi con estrema lentezza. La prima operazione, avvenuta a settembre è stata di ca. 82 miliardi d'euro. La richiesta prevista per la seconda asta, i cui risultati saranno pubblicati l'11 dicembre, dovrebbe essere di ca. 145 MM. Il totale delle due operazioni sarebbe pertanto di circa la metà dell'importo massimo a disposizione, pari a 400 MM. L'offerta alle imprese dei finanziamenti, con condizioni che dovrebbero essere interessanti, stenta a decollare. La forte percentuale d'insolvenze, già presenti nel portafoglio delle banche, e le difficoltà del mercato stanno scoraggiando sia la domanda delle imprese, sia l'offerta dei finanziamenti, nonostante vi sia l'obbligo del rimborso anticipato alla BCE, entro il 2016, in caso di mancata erogazione. C'è da ricordare ancora che entro fine febbraio 2015 devono essere rimborsati da parte del sistema bancario   circa 287 miliardi d'euro alla BCE relativi alla precedente operazione LTRO. E' pertanto prevedibile che, salvo maggiori e consistenti acquisti di covered bond e Abs da parte della BCE, potremmo assistere ad una stabilizzazione del suo bilancio intorno ai 2000 MM d'attivo, invece dell'aumento ai 3000 MM preventivati.
Tutto questo suscita le seguenti riflessioni:
1) dove sta lo stimolo alla domanda aggregata, la previsione di maggiori ricavi, che può far pensare alle imprese di poter realizzare quei guadagni prospettici tali da consentire un adeguato ritorno sugli investimenti effettuati?
2) perché continuare ad affidare esclusivamente all'iniziativa privata ( all'interno di contenitori molto generici) il compito di realizzare progetti ed investimenti, con un azione a pioggia, quando forse bisognerebbe concentrarsi su pochi grandi ed importanti Project Financing a livello europeo, in una sinergia fra pubblico e privato, volti ricercare una leadership mondiale nei settori più avanzati.?
Uno dei problemi più gravi per le imprese è rappresentato proprio dalla mancanza di fiducia sul ritorno dell'investimento.Non si può giustamente generalizzare; ma è evidente che vi sono seri problemi sia in Italia sia nel mercato europeo, se è vero che vi sono ampi segnali di deflazione. Siamo di fronte ad un problema di debolezza della domanda aggregata.. L'attuale riduzione dei costi dell'energia può costituire uno stimolo ai consumi; ma, da sola; non è sufficiente a far ripartire l'economia europea.
La proposta storica di Friedmann di "buttare soldi dall'elicottero " nei periodi di deflazione è interessante; ma, prevede poi che la spesa sia guidata dalle innumerevoli esigenze del cittadino, con l'inevitabile dispersione connessa.
Se la spesa pubblica dei singoli Stati nazionali è sostanzialmente stabile; se i consumi e gli investimenti privati sono fermi, uno stimolo forte per la ripresa della crescita economica può venire solo grazie ad una rilevante spesa pubblica centrale europea ( almeno 2000 MM finanziati con emissione di bonds sottoscritti sostanzialmente dalla BCE con un'operazione di QE?) come catalizzatore di grandi interventi ( nell'ambito del Piano 2020, in sinergia con i privati) che diano commesse e lavoro in tutta l'area.
La questione non è pertanto uscire dall'euro o restare in una situazione di paralisi propositiva, che aumenta le probabilità di uno scardinamento del processo d'integrazione, ma sollecitare l'intervento politico dei partiti europei perché superino i timori e gli antagonismi nazionali in un'ottica di sviluppo comune.
Che cosa rischiamo? Quali sono le controindicazioni?
In questo momento di deflazione strisciante è probabile che i rischi siano pressoché nulli. E' probabile che l'effetto sul livello dei prezzi possa, anzi, bloccare le tendenze deflative e contenersi entro l'obiettivo programmatico del 2%. E'probabile, inoltre, che vi possa essere un indebolimento del cambio nei confronti del dollaro che, certo, non può dispiacerci, in quanto aumenterebbe la concorrenzialità delle nostre merci. Non vi sarebbe sicuramente l'effetto temuto dalle popolazioni dei paesi più ricchi di dover mettere mano al portafoglio per aiutare i paesi più poveri.
 
 

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