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domenica 11 luglio 2010

PROGETTO LAVORO : NO al precariato

 

In una Italia che si sforza di uscire da una crisi economica tra le più importanti del dopoguerra il fardello pesante della disoccupazione  ( 8,7%) che  addirittura sale a ca il 30% se consideriamo solo il settore giovanile  si impone come " il problema " principale da affrontare.

Ancora una volta , così come accadde in maniera risolutiva all'interno degli anni di piombo, può essere l'unità del Sindacato insieme alle forze progressiste  a dettare le priorità alla politica  richiedendo un'attenzione immediata  sul lavoro.

Porre l'attenzione sul lavoro oggi significa non solo guardare in faccia i danni immediati provocati dalla crisi mondiale causata dagli effetti malevoli di un uso smodato ed egoistico della finanza e della globalizzazione ma anche di ricostruire l'unità e la rappresentanza da parte dele forze politiche progressiste e del sindacato nei confronti dei  più deboli costituiti dai lavoratori giovani precari, da chi è impiegato  nei lavori irregolari, dagli immigrati , dalle donne e  lavoratori in età matura ( 45/50 anni)  disoccupati.

Fare ripartire la nostra società dal lavoro  significa non solo riproporre ( art. 1) finalmente i valori costituzionali ( troppo facilmente e grossolanamente oggetto di riflessione critica) alla guida del ns operato ma comprendere che la dignità del lavoro è  un valore  che deve essere riconosciuto a tutela del rapporto fra individuo e società e che lo stesso  non può essere privilegio dei pochi ma patrimonio di tutti i suoi componenti senza distinzione di razza, sesso, religione, fede politica o paese di provenienza .

Ripartire dal lavoro ci consente di riaprire il confronto sul problema dell'immigrazione e sui conseguenti problemi dell'integrazione ad essa connessa ; ci consente di rivedere il ns atteggiamente sull' inserimento nel mondo del lavoro dei ns giovani costringendoci a prendere finalmente una posizione chiara nei confronti del problema del dualismo presente nel mondo del lavoro  e fra le generazioni; ci consente di non tollerare ulteriormente il lavoro irregolare e clandestino  , le condizioni di sfruttamento in cui si realizza ( orari eccessivi, condizioni disagiate, mancanza di sicurezza ecc.), l'evasione fiscale che lo caratterizza e la delinquenza organizzata che vi aleggia attorno; ci consente di ridare la giusta importanza al mondo della produzione rispetto a quello della rendita .

Ripartiamo dal lavoro per riprendere l'iniziatica politica, ritrovare il senso del ns Paese, le forze produttive e positive che nella loro diversità  lo rappresentano , un progetto di sviluppo e di miglioramento per la ns società.

 

Ma, all'interno del progetto lavoro, che è anche indissolubilmente legato  ad un programma di giustizia sociale e di crescita  complessiva del sistema economico, desidero affrontare  e sottoporre alla vs. attenzione  il problema della diffusione del lavoro precario, figlio della crisi  ma anche di una logica di gestione della forza lavoro che ritengo antiquata ed irragionevole e che ha spesso cercato la sua giustificazione nel concetto di flessibilità.

 

 "Nel mondo economico moderno ,dominato dalla globalizzazione, la flessibilità è indispensabile all'impresa per permetterle di adeguarsi alle esigenze mutevoli di un mercato che si trasforma velocemente" .

C'è da chiedersi : ma questo vale per tutti i settori produttivi?  Cosa vuol dire flessibilità del lavoro …forse la possibilità di assumere e licenziare a piacimento a seconda delle fasi del mercato?  Di quali fasi del mercato si parla? : stagionali , congiunturali , legate a particolari lavorazioni o al  mutamento del gusti del consumatore, o legate all'introduzione di nuove  tecnologie, ecc.?

Bisognerebbe  poi distinguere fra le esigenze di programmazione del personale di una azienda nel medio lungo termine e la gestione della struttura ordinaria del lavoro.

In una programmazione a medio lungo termine è logico considerare sia le esigenze di sviluppo che le possibili fasi  congiunturali negative ed adeguare  di conseguenza il fabbisogno di manodopera  considerando anche le  possibili eccedenze  nelle diverse fasi della vita aziendale e del mercato. Queste problematiche  costituiscono il rischio d'impresa e  non possono essere scaricate tout court sulla spesa sociale ( come è spesso accaduto in Italia nelle fasi congiunturali negative utilizzando massicciamente  gli ammortizzatori sociali).

Se invece consideriamo staticamente l'utilizzo della forza lavoro nella struttura ordinaria dell'impresa, osserviamo  come le esigenze di flessibilità siano maggiormente legate  alla tipologia delle lavorazioni ( usuranti, necessarie di turnistica, saltuarie ecc,,) , alle eventuali  strutture stagionali delle produzioni  ,a tutto quello che è legato all'ingresso nella struttura  produttiva di nuova forza lavoro ( apprendistato, prova ecc), al rendimento , alle esigenze di flessibilità richieste dal lavoratore per motivi personali ( part time, motivi di salute, maternità …).ecc-

In sostanza, la flessibilità dovrebbe costituire  l'elemento che regola  e risolve  le esigenze  eccezionali della vita lavorativa aziendale , consentendole un rapido adattamento al mutamento delle esigenze.

Invece, sembra che,  attraverso  l'utilizzo di questa  tematica, si cerchi d'intervenire su due componenti   strutturali della dinamica del lavoro:

a)      Il costo complessivo del lavoro

b)      Il controllo della forza lavoro

 

Il costo complessivo del lavoro.

 

 Grazie alle facilitazioni accordate in termini fiscali per le varie tipologie di lavoro precario le aziende ( anche di Stato) possono avere un grosso risparmio di costo  su questa categoria lavorativa. A questo si aggiunge anche un  reale risparmio complessivo,  in quanto il costo effettivo di questi lavoratori è normalmente  meno oneroso e meno sensibile ad  incrementi salariali.

Ciò perché il mercato è ampio e composto da lavoratori in cerca di prima occupazione o disoccupati da molto tempo e anche perchè è estremamente difficile sindacalizzare queste categorie precarie  su temi di aumento salariale  quando la principale preoccupazione è il mantenimento del lavoro.

Sostituendo il più possibile la manodopera stabile ed a tempo indeterminato con il lavoro cosiddetto precario, l'impresa ha così raggiunto un importante obiettivo, in un mondo economico globale sempre più competitivo : la riduzione del costo del lavoro.

Tuttavia,  questo aspetto non è di per se produttivo di effetti positivi, in quanto la riduzione del costo del lavoro , da sola, non suscita automaticamente una dinamica  di sviluppo.

Prendiamo infatti paradossalmente, ad esempio,  una situazione dove vi è il massimo di riduzione del costo del lavoro : l'utilizzo del lavoro nero  illegale.

 In questa situazione le aziende  , spesso presenti in aree di sottosviluppo, grazie a questo fattore riescono ad evitare il fallimento e a sopravvivere in un mercato che le avrebbe spazzate via per la loro inefficienza ed arretratezza.

Il risultato è che  ingenti risorse umane e finanziarie  vengono sprecate verso produzioni marginali e prive di prospettiva futura che alimentano il sottosviluppo. Non a caso, si parla  del problema dell'evasione fiscale  di massa, in alcune aree, come una delle concause che perpetuano  il sottosviluppo stesso.

Un altro aspetto contraddittorio è dato dal fatto  che l'esigenza delle aziende , a medio termine, è quella di formare della forza lavoro valida ed  efficiente, che rappresenti una parte significativa del  proprio patrimonio aziendale, e questo  entra in conflitto con l'esigenza di ridurre i costi di esercizio, in una logica di breve periodo, utilizzando il più possibile il lavoro precario ed intercambiabile.

 

2) Il controllo della forza lavoro

 

Mantenere intere generazioni  di giovani in una situazione di lavoro precario significa oggettivamente disporre di una riserva di manodopera che, aggiunta a quella costituita dalla massa di immigrati regolari e clandestini ed ai lavoratori adulti delle aziende in crisi  diventa quasi illimitata e adatta a costituire un esercito di lavoratori che senza troppe garanzie di continuità possono essere più agevolmente  controllati  ed utilizzati. In sostanza il rischio d'impresa relativo al fattore lavoro viene  scaricato interamente sulla società civile che cerca di farvi fronte con le armi che ha a disposizione : gli ammortizzatori sociali e le famiglie.

 I primi sono largamente insufficienti. L'entità degli ammortizzatori e dei fondi necessari per consentire a questa massa di lavoratori una vita dignitosa  è del tutto  inadeguata e nel caso dei lavoratori immigrati del tutto assente.

La conseguenza è un malessere sociale diffuso, l'incremento della devianza sociale, il degrado, la mancanza di ricambio generazionale, la difficoltà di costituire una famiglia per le giovani generazioni ecc.

Un grande supporto viene invece dato dalle famiglie che  suppliscono per il possibile con la loro accoglienza e disponibilità alle esigenze di questo mondo precario.

C'è un aspetto anche di profonda ingiustizia in tutto questo ed è costuito dalla profonda separazione fra un mercato del lavoro dei giovani ed in generale delle parti deboli della popolazione ed un  mercato del lavoro degli occupati a tempo indeterminato  della fascia di età forte che gode di ampi privilegi e garanzie.

E' l'eccesso di garanzie di cui gode questa fascia, anche quando si manifestano fenomeni come l'indisciplina,l' assenteismo, lo scarso rendimento ecc che permette lo scatenarsi di una campagna ideologica contro  i privilegi del lavoro a tempo indeterminato  a favore della necessità di una maggiore libertà dell'impresa da raggiungersi con l'utilizzo dello strumento della flessibilità.

 

In conclusione bisognerebbe che questi due mercati del lavoro venissero riunificati aumentando le garanzie  delle fascie deboli, riducendo quelle delle fascie forti e assegnando alla flessibilità il giusto e limitato ruolo che deve avere all'intermo di una organizzazione del lavoro.

Esistono invece larghi margini di utilizzo della flessibilità con nuovi strumenti, anche da immaginare, da utilizzare nel percorso di accompagnamento della forza

 

Roma , 9 luglio 2010                                                 Giuseppe Ardizzone

 

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